Migrazioni Intraeuropee

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Transcript della presentazione:

Migrazioni Intraeuropee

Dal dopoguerra a oggi, le migrazioni interne all’Europa si sono sviluppate a seconda dei differenti scenari sia demografici-economici sia politici adottati dai principali paesi di destinazione di questi flussi. Di migrazioni intraeuropee però si parla solo oggi. All’epoca di tali migrazioni i movimenti verso paesi europei o altri continenti rientravano tutti sotto la stessa definizione di migrazioni internazionali. Questo dimostra il cambiamento avvenuto nella visione dello spazio europeo: una visione allargata a tutto il bacino del Mediterraneo e all’area dei paesi dell’Est

L’Europa del dopoguerra, dissanguata sul piano economico e demografico, si ritrovò politicamente subordinata alle due superpotenze, Stati Uniti e Unione Sovietica, entità portatrici di un proprio messaggio globale, radicalmente contrapposto a quello dell’altra. Dal punto di vista economico fu determinante l’apporto degli Stati Uniti, che con lo European Recovery Program, più comunemente noto come "Piano Marshall", consentì il rilancio delle economie del vecchio continente, a eccezione di quelle del blocco sovietico. Dal punto di vista demografico, si manifestarono gli effetti di compensazione sull’evoluzione della popolazione che, normalmente, si registrano dopo eventi eccezionali. Si ebbe un aumento dei matrimoni, una ripresa delle nascite e una consistente ripresa dei flussi migratori, sia interni che internazionali.

Dalla seconda guerra mondiale fino alla crisi economica degli anni Settanta, vi furono in molti paesi europei una serie di politiche tese a facilitare o a incoraggiare l’immigrazione di forza lavoro su larga scala. I vari paesi europei di accoglienza furono spinti ad aprire le porte all’immigrazione. La necessità comune ai vari paesi era di disporre di una domanda di manodopera consistente, tesa a ovviare le carenze di forza lavoro interna per attuare la ripresa economica Queste migrazioni sono caratterizzate da una forte componente maschile, in particolare per le classi di età lavorativa. La politica dei governi in questo periodo tende a sfruttare al massimo questa manodopera a basso costo scoraggiando l’integrazione e la permanenza a lungo termine dei migranti, attraverso politiche restrittive riguardo ai ricongiungimenti familiari.

I grandi flussi migratori europei di questo periodo : paesi di partenza: Italia, Spagna, Portogallo, Turchia, Jugoslavia e tutti i paesi del Maghreb; paesi di destinazione:Francia, Germania, Benelux, Svizzera e Regno Unito.

I fenomeni migratori in Europa hanno subito dei cambiamenti fondamentali a partire dalla fine del 1973. La conseguenza più importante consistette nella riduzione dell’emigrazione e nell’inversione di tendenza del fenomeno dei rimpatri rispetto agli espatri. Il conseguente saldo, indicato come positivo, comportò dei non lievi squilibri nelle regioni di origine dei flussi migratori, e questo sia per il problema di un incremento assoluto dell’area della disoccupazione, della sottoccupazione e della marginalità di individui rispetto al mercato del lavoro, sia, soprattutto, perché questa inversione di tendenza nei movimenti migratori si era prodotta con particolare accentuazione nell’area dell’emigrazione non qualificata. Un nuovo contingente di disoccupazione non qualificata andava, pertanto, ad aggiungersi, aggravandola, alla situazione in cui disoccupati e sottoccupati già premevano sul mercato del lavoro nelle regioni di origine. In compenso, l’emigrazione all’epoca sussistente diventava a carattere prevalentemente specializzato, non di rado al seguito di grandi imprese e verso nuove destinazioni produttive.

fino all’inizio degli anni Ottanta, Nelle regioni di destinazione, le politiche di sostituzione dei lavoratori migranti, venivano rapidamente sostituite con nuove politiche di integrazione di contingenti più selezionati e più qualificati di lavoratori migranti con le proprie famiglie. Questo ha ovviamente favorito il conseguimento di importanti progressi nelle condizioni civili e sociali dei lavoratori migranti e delle loro famiglie; ciò è avvenuto naturalmente a danno dei migranti non ritenuti necessari o spinti al rimpatrio Negli anni Ottanta l’Europa meridionale divenne un polo di attrazione "obbligato" sia per i paesi del Sud del Mediterraneo che per quelli dell’Est Accanto alla Francia, si istituirono nuovi paesi di accoglienza in quest’area: l’Italia, il cui cambiamento si era già avviato nel corso degli anni Settanta, la Spagna, la Grecia e, seppure in maniera più ridotta, il Portogallo.

Nel corso degli anni Ottanta l’attenzione si è spostata lentamente sull’integrazione, sul piano dell’insediamento, dell’abitazione, del ricongiungimento familiare, dei programmi scolastici, dell’accesso all’assistenza pubblica. Conseguentemente cresce il piano normativo: ora leggi o atti nazionali sanciscono le disposizioni che riguardano i lavoratori migranti e le loro famiglie, e accordi internazionali restrittivi a regolarne i movimenti. Alla fine degli anni Ottanta e nel corso degli anni Novanta si sviluppano nuovi fenomeni migratori dovuti dalla caduta dell’URSS

Dopo la caduta del muro di Berlino, la ritrovata libertà di movimento da parte dei cittadini dell’Est fece temere un esodo incontrollato e senza precedenti verso Ovest. Al contrario, questi non avvennero ma nel corso degli anni Novanta si è assistito all’inclusione delle nuove democrazie all’interno di una regione paneuropea di immigrazione. L’Europa dell’Est è divenuta allo stesso tempo area di attrazione di flussi migratori. La cosiddetta migrazione di transito è stata la manifestazione principale di questo fenomeno, ma all’Est si è anche manifestata una migrazione di provenienza dall’Ovest, soprattutto da parte di persone altamente qualificate, e una migrazione di tipo etnico e vi è stato una crescente pressione di persone in cerca di asilo politico. Per quanto riguarda la migrazione Est-Ovest occorre sottolineare che i nuovi flussi hanno seguito le tendenze migratorie già osservate in passato e che la Germania rimane il principale paese di ricezione per i migranti provenienti dall’Europa centro-orientale.

La natura e la grandezza dei movimenti Est-Ovest avvenuti dopo il 1989 si spiega con l'esistenza di comunità precedentemente costituite all’estero, e con i flussi di lavoratori stagionali e che vivono al confine. Questi flussi corrispondono in gran parte a un processo di integrazione regionale limitato alle zone di confine entro il sistema di accordi bilaterali (ad esempio l’accordo tra Germania e Repubblica Ceca o tra Germania e Polonia). Inoltre, mentre l’emigrazione di tipo permanente verso Ovest sta diminuendo, si sta sviluppando sempre più un’emigrazione di lavoratori di tipo temporaneo sia da Est a Ovest, che all’interno dell’Europa centro-orientale. L’Europa dell’Est è stata recentemente definita dai demografi come un "nuovo polo di attrazione" o come un "nuovo spazio migratorio". Questo ha portato a un nuovo tipo di regime migratorio tra i paesi dell’Est, poiché alcuni paesi, in particolare la Repubblica Ceca e l’Ungheria, sono divenuti attraenti e accessibili per gli altri, sia come paesi di destinazione che di passaggio.

Attualmente si avverte la necessità di una politica di programmazione europea che elimini dal fenomeno migratorio quel carattere di congiunturalità sul quale si fondano soluzioni nazionali e nazionalistiche. Difatti la storia delle migrazioni internazionali in Europa evidenzia la necessità di realizzare una politica migratoria comune. Il processo di armonizzazione delle politiche migratorie è effettivamente iniziato grazie all’Unione Europea: la maggior parte dei paesi dell’Unione ha aderito agli accordi di Schengen che prevedono la libera circolazione di tutte le persone all’interno della cosiddetta "Area Schengen", costituita dall’insieme dei territori relativi ai paesi aderenti.

Per quanto concerne la cooperazione tra i paesi dell’Est e l’Unione, nel 1991 vennero firmati una serie di accordi noti come "Accordi europei", firmati inizialmente da Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, e successivamente da Romania, Bulgaria, Repubbliche Baltiche e Slovenia.

La popolazione europea viene oggi considerata quella meno dinamica del mondo, in considerazione della bassa fecondità, dell’incremento demografico nullo e del forte invecchiamento. Eppure, nell’ultimo decennio, la dinamica di questa popolazione può essere considerata straordinaria se accentuiamo maggiormente il carattere "europeo". Con una lettura europea del fenomeno, infatti, potremmo sostenere che questa popolazione si è raddoppiata in dieci anni, passando dai 421,5 milioni del 1988 ai 752,5 milioni del 1998. Ancora, contrariamente alle apparenze, è fortemente aumentata la mobilità interna e diminuita la migrazione internazionale: la mobilità per studio e per lavoro, ancorché poco visibile attraverso i media, è diventata infatti un fattore dominante.

La nuova popolazione europea,dopo i rivolgimenti politici nell’est europeo, sembra molto diversa dalla sommatoria delle precedenti popolazioni nazionali; si pensi ai modelli familiari, passati da un sistema matrimoniale tradizionale ai diversi e molteplici modi di costituzione e organizzazione delle diverse generazioni nella famiglia, ai regimi di fecondità ormai uniformati al di sotto del livello di sostituzione delle generazioni, alla acquisita considerazione di mobilità interna e di popolazioni integrate per gli italiani, spagnoli, portoghesi, greci e altri presenti in Francia, Germania, Benelux e Regno Unito. Appare, inoltre, rilevante sottolineare che le questioni della popolazione e della migrazione rivestono una dimensione locale molto particolare in Europa; vista la loro importanza, è necessario coordinare le risorse per sfruttare al meglio questi due fattori, al fine di costituire un polo d’osservazione permanente per seguirne l’evoluzione e i cambiamenti.

Sotto questo punto di vista, un ruolo sempre più decisivo dovrà essere svolto dai poteri locali, gli unici in grado di adottare degli interventi adeguati per controllare e coordinare i flussi, in quanto sono gli unici a conoscere effettivamente le realtà territoriali da cui questi nascono o arrivano. Tra l’altro, il principio di sussidiarietà più volte richiamato in ambito comunitario negli ultimi anni, non potrà che responsabilizzare ulteriormente le autorità locali, la cui attività non potrà, comunque, prescindere dalla collaborazione con i governi dei principali paesi di provenienza, spingendo verso la diffusione di forme sempre più evolute e innovative di cooperazione decentralizzata e partenariato.

Contatti: info@focuseurope.org www.focuseurope.org