Neppure quelli che chiamiamo elementi rimangono immutati: prestatemi attenzione, vi insegnerò per quali vicende passino. Di quattro sostanze.

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Prima fuit illorum qui existimarunt huiusmodi conchas et plura huius generis illuc reducta fuisse quo tempore a diluviis aquarum superati fuerunt. Haec.
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Transcript della presentazione:

Neppure quelli che chiamiamo elementi rimangono immutati: prestatemi attenzione, vi insegnerò per quali vicende passino. Di quattro sostanze generatrici consta l'universo eterno: di queste, due sono pesanti, terra ed acqua, e per il loro peso sono trascinate in basso; le altre due sono prive di peso e, se nulla le tiene premute, tendono ad elevarsi, l'aria e, più puro dell'aria, il fuoco. […] Nulla conserva il proprio aspetto e la natura, che tutto rinnova, forgia da una struttura altre strutture; e nulla, credetemi, in tutto l'universo si dissolve, ma cambia assumendo nuovo aspetto; e noi nascere chiamiamo l'avvio ad essere ciò che non si era e morire cessare d'esserlo. E malgrado questo si trasformi in quello e quello in questo, l'insieme rimane sempre uguale. Ed io propendo a credere che nulla conservi lo stesso aspetto a lungo. E come dall'età dell'oro a quella del ferro è passato il tempo, così dei luoghi è mutato più volte il destino.

Io ho visto farsi mare ciò che un tempo era terraferma, ho visto terre nascere dal mare, ho visto che lontano dai flutti vengono alla luce conchiglie marine e che si trovano antiche àncore in cima ai monti. Cascate d'acqua hanno trasformato pianure in valli, alluvioni hanno trascinato monti al mare, e luoghi prima paludosi sono deserti di sabbia, altri un tempo riarsi sono bagnati dal ristagno di paludi. Qui la natura ha fatto scaturire nuove fonti, là le ha chiuse, e quanti terremoti scotendo il cuore della terra han fatto sgorgare fiumi, altrettanti li hanno interrati seccandoli. Così il Lico, inghiottito da una voragine del terreno, rispunta più lontano, rinascendo da un'altra sorgente; così il grande Erasino che, risucchiato dal suolo, scorre impetuoso sottoterra, riappare poi nella piana d'Argo. E in Misia il Caìco, pentitosi, sembra, della sua fonte e delle sponde che aveva, oggi segue diverso percorso.

Le caratteristiche di umidità e di aridità delle medesime regioni della terra non sono stabili, ma cambiano a seconda della formazione e dell’apparizione dei fiumi; perciò cambiano anche i limiti tra terraferma e mare, e le zone di terraferma e mare non rimangono tali perennemente, ma dove c’era terraferma subentra il mare, dove il mare, terraferma. È comunque da ritenere che questi processi avvengano secondo un certo ordine e ciclo. Loro principio e causa è il fatto che le parti interne della terra hanno un ciclo di sviluppo e decadenza come i corpi degli animali e delle piante.

Solo che, mentre per questi il processo non avviene nelle parti, ma tutto il corpo insieme necessariamente si sviluppa e decade, per la terra avviene nelle parti sotto l’azione di raffreddamento e riscaldamento; e caldo e freddo aumentano e diminuiscono in relazione al sole ed alla sua traslazione; è per queste cause appunto e per la loro azione che le parti della terra si differenziano, per cui possono rimanere umide per un certo tempo, e quindi inaridire e decadere; mentre altri luoghi rifioriscono e diventano umidi parte per parte.

Ma poiché l’intero processo naturale del divenire della terra avviene gradualmente ed in tempi lunghissimi rispetto alla nostra vita, esso ci sfugge; e tutti i popoli cadono in rovina e periscono prima che rimanga un ricordo di tali mutamenti dall’inizio alla fine. Le più grandi e rapide rovine sono causate dalle guerre, dalle malattie e dalle carestie; e queste ultime sono o rovinose o più graduali, sicché in questo caso l’emigrazione dei popoli passa inosservata, perché una parte della popolazione abbandona le terre mentre un’altra rimane finché il paese non è più in grado di fornire nutrimento.

Il tempo che trascorre dalla prima all’ultima emigrazione è, così sembra, tanto lungo da dar sì che non rimanga alcun ricordo, e quando ancora sono superstiti gli ultimi abitanti, la durata ha già cancellato ogni memoria. Allo stesso modo bisogna dunque ritenere che i popoli hanno perso il ricordo del loro originario stabilirsi in regioni che erano in corso di trasformazione da paludose e ricche d’acqua in aride; perché anche qui lo sviluppo avviene gradualmente ed in lungo tempo, sì che si perde il ricordo dei primi abitanti, di quando giunsero e delle condizioni in cui erano i luoghi.

Ma nel suo interno vi sono molte regioni in corrispondenza delle sue cavità, disposte in cerchio tutt’intorno ad essa […]. Tutte queste regioni sotterranee comunicano tra loro con molti canali, ora più stretti ora più larghi, ed hanno sbocchi, attraverso i quali scorre molta acqua dall’una all’altra, come in bacini. E vi scorrono anche, sotto terra, quantità inaudite di fiumi perenni e di acque calde e fredde, molto fuoco e grandi fiumi e molto di fango liquido, ora più puro ora più torbido, come in Sicilia, dove scorrono fiumi di fango davanti al torrente di lava e la lava stessa. Tutti questi fiumi si muovono in su e in giù, come se ci fosse un’oscillazione all’interno della terra; e questa oscillazione avviene per una certa configurazione naturale.

Una delle voragini della terra è particolarmente grande e trapassa la terra intera da una parte all’altra. Omero parla di essa, quando dice: molto lontano, dove sotto la terra è il più profondo abisso. [Iliade VIII 14] E’ essa che egli anche altrove e molti altri poeti hanno chiamata Tartaro. In questa voragine confluiscono tutti i fiumi e da essa di nuovo defluiscono: ciascuno diventa tale quale è reso dalla qualità della terra attraverso la quale scorre. La causa del defluirvi e del confluirvi di tutte le correnti è che quest’acqua non ha né base né sostegno. Essa oscilla, quindi, e fluttua in su e in giù e l’aria e il vento intorno ad essa fanno la stessa cosa, perché la seguono, sia quando tende verso l’altra parte della terra, sia quando tende verso questa. E come respirando il fiato nel suo fluire si espira ed inspira sempre, così anche là l’aria, oscillando con l’acqua, produce, a forza di entrare ed uscire, venti terribili e straordinariamente grandi.

Quanto viene scritto nel Fedone circa i mari ed i fiumi è impossibile. Vi si dice infatti che tutte le acque comunicano fra loro sotterra e che principio e sorgente di tutte le acque sarebbe il cosiddetto Tartaro, massa d’acqua al centro della terra, da cui hanno origine le acque correnti e non.

Dal momento che è necessario che il mondo nel suo complesso sia soggetto a mutamento ma non a generazione e corruzione, poiché il tutto permane, ne consegue, come noi sosteniamo, che gli stessi luoghi non sono sempre umidi perché bagnati dal mare o dai fiumi, o sempre secchi. […] È chiaro dunque che, essendo il tempo senza fine, ed il tutto eterno, né il Tanai né il Nilo sono sempre esistiti, ma che il luogo da cui scorrono era una volta secco; la loro attività ha infatti un limite che invece il tempo non ha. E ciò che diciamo si adatta egualmente agli altri fiumi. Ma se i fiumi si formano e si estinguono, e se gli stessi luoghi della terra non rimangono sempre umidi, anche il mare in alcuni luoghi avanza, in altri retrocede, è chiaro che le varie parti della terra non sono sempre mare terraferma, ma tutte mutano col tempo.

Prima fuit illorum qui existimarunt huiusmodi conchas et plura huius generis illuc reducta fuisse quo tempore a diluviis aquarum superati fuerunt. Haec opinio non prorsus admittenda esse videtur, quoniam olim terra et montes non a mari, sed ab immodicis imbribus, nimirum caeli inundationibus fuerunt obruti. Praeterquamquod non in omnibus montibus, sed in quibusdam horum similia testacea lapidea observantur. La prima tesi è di coloro i quali ritengono che le conchiglie di questo tipo e di altri furono portate lì nel tempo in cui furono ricoperti dalle acque del diluvio. Ma questa opinione non va ammessa, poiché la terra e i monti non dal mare, ma dalle pioggie e dalle inondazioni del cielo furono colpiti. Peraltro questi gusci lapidei non si trovano in tutti i monti ma solo in alcuni.

Secunda sententia fuit illorum qui arbitarti sunt conchylia et alia huius generis testacea in montes a mari fuisse iactata quoniam hos montes a mari factos esse asseverarunt; dum olim arena in cumulos una cum conchyliis coacervata fuit quandoquidem ubi nunc montes conspiciuntur, antiquitus mare fluctuasse pronunciarunt, quo postea paulatim recedente, huiusmodi arenarum cumuli cum testaceis nimirum montes cum insulis detecti fuerunt. La seconda tesi è quella di coloro che ritengono chele conchiglie furono gettati nei monti dal mare, poiché i monti stessi furono formati dal mare; le conchiglie furono depositate mentre si accumulava la sabbia, così che ora dove si vedono i monti, lì una volta fluttuava il mare, il quale poi ritirandosi lentamente, i monti formatisi con la sabbia frammista a sabbia emersero.

Idcirco, mare recedente et solo lapidescente, conchylia ibi relicta in lapides concrevisse tradiderunt siquidem, ubi nunc est arida, ibi olim fuisse mare Aristoteles testificatur. Unde Ovidius accedens ad hanc opinionem cecinit hunc in modum: vidi factos ex aequore terras / et procul a mari conchae iacuere marinae Perciò si è raccontato che con la regressione del mare e l’indurimento del suolo, le conchiglie ivi frammiste si impietrirono, e come Aristotele afferma, ove ora è arido una volta c’era il mare. Per cui Ovidio, esprimendo una opinione simile scrisse: « Io ho visto farsi mare ciò che un tempo era terraferma, ho visto che lontano dai flutti vengono alla luce conchiglie marine».

Tertia sententia, quam magis probamus, fuit illorum qui voluerunt testacea, conchylia et alia huius generis ibi absque ulla difficultate progigni posse ubi humor vel liquor ad horum generationem idoneus invenitur. Immo quando non erit aptus generationem idoneus, testam tantummmodo generari affirmarunt. Quid enim vetat quominus interdum liquor salsus in saxis reperiatur ut ex illo animalia marina viva resultent, si locus et humor id expostulent? Sin secus testae tantummodo et conchae in lucem prodeant? Quocirca nulla debemus teneri admiratione quando huiusmodi testacea in montibus inveniuntur, quae postmodum ex natura loci in lapides transmutantur. La terza tesi, che più approvo, è quella di coloro i quali vollero che i testacei, le conchiglie possano nascere senza alcuna difficoltà dove si trova un umore o un liquido idoneo alla loro generazione. Perciò quando non atto alla generazione affermano che si formi solo la conchiglia. Che cosa impedisce infatti che talvolta del liquido salato si ritrovi nei sassi di modo che da quello si generino animali marini o altrimenti i soli gusci? Per ciò non dobbiamo stupirci se testacei di questo genere si trovano sui monti, che poi sono trasformati in sassi dalla natura del luogo.