CARME DEI SEPOLCRI di Ugo Foscolo Presentazione a cura di Tarcisio Muratore
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L’occasione del carme fu l'editto di Saint-Cloud, emanato da Napoleone in Francia il 12 giugno 1804 ed esteso all’Italia il 5 settembre 1806, quando Foscolo aveva già ultimata la stesura dell’opera: segno, questo, che il Poeta dava per certa e imminente l’estensione in Italia di quell’editto. A indurlo a scrivere sui Sepolcri dovettero inoltre influire le discussioni che si accesero - ed alle quali non fu estraneo egli stesso - tra gli intellettuali già dopo il 1804. L’editto imponeva di seppellire i morti in cimiteri extraurbani (per motivi igienici) ed in fosse comuni e anonime (per rispetto del principio dell’egualitarismo). D’altra parte l’editto napoleonico non faceva altro che riprendere e ripristinare un’analoga disposizione del governo austriaco, che aveva avuto in Lombardia breve applicazione a causa dell’energica opposizione popolare, ma era riuscita tuttavia a valere sulla sepoltura del Parini, morto il 15 agosto 1799, le cui ossa erano andate disperse.
Nel carme confluiscono tutte le esperienze esistenziali, intellettuali, morali e politiche di Foscolo: la concezione materialistica della vita (la forza operosa della Natura affatica tutte le cose di moto in moto, finché l’oblio le inghiotte nella sua notte, vv.1-22); la necessità delle “illusioni” per superare l’angoscia esistenziale e soprattutto per dare un senso alla vita dell’uomo ed una dignità alla sua opera (perché il mortale deve privarsi di quell’illusione che, dopo la morte, lo trattiene sulla soglia dell’aldilà e gli consente di continuare il suo dialogo con i vivi? – vv. 23-29); il disprezzo per la classe dirigente italiana (“Già il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo, / decoro e mente al bello italo regno, / nelle adulate reggie ha sepoltura / già vivo, e i stemmi unica laude”, vv.137-150); il senso della dignità del poeta che non deve asservire la sua Musa ai potenti (gli amici raccolgano da lui non una eredità di tesori, “ma caldi sensi e di liberal carme l'esempio”,vv.145-150); il desiderio di gloria e la tristezza dell'esilio (“E me che i tempi ed il desio d'onore / fan per diversa gente ir fuggitivo…”, vv.226-229); infine, la potenza della poesia : l’unica forza umana capace di sfidare il tempo, vincendo con l’armonia il silenzio di mille secoli e perpetuando la fama degli eroi “… finché il sole risplenderà sulle sciagure umane”, vv.292-295.
IL CULTO DELLA TOMBA Resta però che il culto della tomba è il tema centrale del carme attorno al quale gravitano tutti gli altri. Ma la tomba non è qui simbolo di Morte, non è il ricettacolo dei “miserandi avanzi che Natura / con veci eterne a sensi altri destina ”, vv. 95-96. È invece simbolo di Vita, è il sacrario delle memorie domestiche e patrie da cui i posteri attingono messaggi di civiltà. E la Morte non è più il deludente passaggio dalla vita al “nulla”, né un semplice porto di “quiete” in cui riposare l’animo afflitto: segna il momento in cui lo spirito umano, svincolandosi dai legami con il contingente, si affida alla storia universale, cessa di appartenere al mondo dell’effimero per entrare nell’eternità.
vv.1-22 All'ombra de' cipressi e dentro l'urne confortate di pianto è forse il sonno della morte men duro? Ove piú il Sole per me alla terra non fecondi questa bella d'erbe famiglia e d'animali, e quando vaghe di lusinghe innanzi a me non danzeran l'ore future, né da te, dolce amico, udrò piú il verso e la mesta armonia che lo governa, né piú nel cor mi parlerà lo spirto delle vergini Muse e dell'amore, unico spirto a mia vita raminga, qual fia ristoro a' dí perduti un sasso che distingua le mie dalle infinite ossa che in terra e in mar semina morte? Vero è ben, Pindemonte! Anche la Speme, ultima Dea, fugge i sepolcri: e involve tutte cose l'obblío nella sua notte; e una forza operosa le affatica di moto in moto; e l'uomo e le sue tombe e l'estreme sembianze e le reliquie della terra e del ciel traveste il tempo.
vv.23-29 Ma perché pria del tempo a sé il mortale invidierà l'illusïon che spento pur lo sofferma al limitar di Dite? Non vive ei forse anche sotterra, quando gli sarà muta l'armonia del giorno, se può destarla con soavi cure nella mente de' suoi? …
vv.137-150 Ma ove dorme il furor d'inclite gesta e sien ministri al vivere civile l'opulenza e il tremore, inutil pompa e inaugurate immagini dell'Orco sorgon cippi e marmorei monumenti. Già il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo, decoro e mente al bello italo regno, nelle adulate reggie ha sepoltura già vivo, e i stemmi unica laude. A noi morte apparecchi riposato albergo, ove una volta la fortuna cessi dalle vendette, e l'amistà raccolga non di tesori eredità, ma caldi sensi e di liberal carme l'esempio. E me che i tempi ed il desio d'onore fan per diversa gente ir fuggitivo, me ad evocar gli eroi chiamin le Muse del mortale pensiero animatrici. vv.226.229
VV.1-90 – Le tombe non servono ai morti, che hanno perduto definitivamente ogni rapporto concreto con la vita. Sono utili invece ai vivi perché questi hanno il “dono celeste” di continuare il dialogo con i cari estinti, illudendosi che un giorno, se lasceranno un’eredità di affetti, potranno anch’essi sopravvivere nel ricordo dei vivi. È però fondamentale, perché possa verificarsi questa ideale “corrispondenza d'amorosi sensi”, che la terra natale offra ai suoi figli l’ultimo asilo, proteggendone le ceneri, e che una lapide conservi i nomi dei morti. È perciò disumana la nuova legge che sottrae i morti al culto dei vivi e consente che le ossa di un uomo onorato come il Parini possano giacere probabilmente accanto a quelle di un infame. [GIUSTIFICAZIONE SENTIMENTALE DEI SEPOLCRI]. VV.91-150 – Eppure, il rispetto per i morti è stata una delle prime manifestazioni di pietà degli uomini, quando dallo stato ferino tentarono i primi passi sul lungo cammino della civiltà, e questa pietà è stata tramandata di generazione in generazione dalle virtù patrie e dagli affetti familiari. Vero è che la pratica usata dai cristiani dell’era moderna di seppellire i cadaveri tra le mura della città e nelle chiese, ammorba l’aria e turba il sonno delle giovani madri; ma non è stato sempre così: il culto dei morti ha avuto ben altri riti nel passato: i Greci e i Romani seppellivano i loro morti sotto viali odorosi e coltivavano sulle tombe amaranti e viole, sicché chi andava a “raccontar sue pene ai cari estinti, una fragranza intorno sentia qual d'aura de’ beati Elisi”. Naturalmente le tombe, se confortano l’animo pio, sono però mute presso gli uomini dominati solo dal “tremore” e dalla sete di ricchezza materiale. [GIUSTIFICAZIONE STORICA]. VV.151-212 – Le tombe dei Grandi sono poi un sacrario di glorie patrie e spingono gli animi dei generosi a magnanime imprese, come quelle dei Martiri di Maratona che nutrirono la virtù dei Greci contro l’ira dei Persiani, come quelle raccolte in Santa Croce, a Firenze, che hanno confortato ed ispirato l’Alfieri, il fiero vate, e un giorno offriranno gli “auspici” agl’Italiani, se finalmente rifulgerà loro nuova “speme di gloria”. [GIUSTIFICAZIONE CIVILE O PATRIOTTICA]. VV 213-295 – Ed anche se le tombe saranno divorate dalla furia impietosa del tempo, la memoria dei Grandi sarà affidata al canto dei poeti, che vince di mille secoli il silenzio: la fama degli eroi greci che distrussero Troia fu eternata dalla poesia di Omero, grazie al quale anche Ettore, che morì per la difesa della sua città, sarà onorato di pianto, presso coloro che considerano santo il sangue versato per la patria, “finché il sole risplenderà sulle sciagure umane”. [GIUSTIFICAZIONE POETICA].
Sul piano concettuale, il carme si sviluppa dialetticamente (cioè per opposizioni) attorno a due poli: a) una concezione materialistica di tipo settecentesco, per cui l’esistenza degli uomini è vista come circoscritta dagli insuperabili limiti di un universo fisico. b) lo storicismo vichiano, sulla cui base il poeta elabora la sua meditazione sulle illusioni. Ad esse Foscolo sembra conferire lo stesso ufficio di organizzazione degli eventi umani in un disegno finalistico, che Vico attribuiva alla Provvidenza. Sul piano letterario l’impalcatura logica si risolve in poesia attraverso due tecniche che richiamano il procedimento dell’ode pindarica: a) le “transizioni” ( il termine è foscoliano) o associazioni di immagini e di idee, che bruciano i passaggi logici intermedi. Ad esempio i versi 90-91, dall’esecrazione della fossa comune in cui giace Parini alla storia delle istituzioni civili. Passaggio omesso: la sepoltura del Parini testimonia una frattura nella evoluzione di quella civiltà che aveva avuto inizio col culto dei morti. b) La tecnica evocativa dei grandi miti esemplari, miti talvolta riconducibili alle fonti classiche, altre volte originali del Foscolo stesso; miti che non rappresentano però, come in un certo neoclassicismo coevo, un modo di evadere dalla realtà, ma al contrario, uno strumento per interpretare l’esistenza e la storia. Lo stile è sublime, non solo per l’uso dei costrutti alla greca e di latinismi, ma soprattutto per la novità delle immagini, che hanno una vasta risonanza umana e per la romantica suggestione delle metafore. Sul piano politico, la delusione giacobina prende voce in una più o meno esplicita polemica antifrancese. Prescindendo dal fatto che uno dei motivi fondamentali del Carme è la celebrazione della patria e delle tradizioni nazionali, appaiono significativi altri elementi: a) l’occasione del suo poemetto, con la critica all’egualitarismo indiscriminato (editto di St.Cloud): b) i cimiteri inglesi proposti come modello di civiltà, e la celebrazione di Nelson, che aveva vinto i francesi a Trafalgar; c) l’esaltazione dell’Alfieri.
PIANO CONCETTUALE Sono posizioni contraddittorie, che il poeta tenta di comporre non già nell’ambito di un sistema filosofico, ma in un una prospettiva etica. La premessa materialistica non è infatti sconfessata sul piano razionale; e tuttavia cantare la poesia e le tombe nella loro funzione storica, come vincolo tra passato e presente, luogo sacro di affetti e patrimonio di idealità da trasmettere nel tempo, significava un atto di fede in un processo storico che, in virtù di determinati valori morali, pareva oltrepassare il limite della materia e della morte.
Momigliano: «I Sepolcri sono la prima data della nostra letteratura patriottica di fondo storico, sono il ritratto ideale del Foscolo, sono - sopra tutto - la consacrazione poetica d'una nobile e triste religione della civiltà e della vita;[...] sono una breve e immensa sinfonia della vita e della morte». Citanna: «La religione dei Sepolcri... era in fondo la religione della poesia, l'esaltazione della sua stessa opera ideale di poeta». Ramat: «I Sepolcri sono la “Divina Commedia” del Romanticismo, perché vi si canta il dramma dell'anima che dall'inferno del materialismo meccanicistico, attraverso il purgatorio della nobile illusione, giunge al paradiso della certezza storica; certezza che lo spirito vince la materia, la vita trionfa della morte, anzi la morte si trasfigura in vita».