EUDAIMONIA L’arte di essere felici con la filosofia.

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Transcript della presentazione:

EUDAIMONIA L’arte di essere felici con la filosofia

“La filosofia ha questo effetto: guarisce l’anima, elimina le preoccupazioni vane, libera dai desideri, scaccia le paure”. (Cicerone, Tusculanae disputationes)

I Greci chiamavano la scuola di filosofia luogo di cura dell’anima e medico il filosofo

Cicerone nel De natura deorum (I, 3, 7 ): “Omnia philosophiae praecepta referuntur ad vitam”. Per gli antichi la filosofia è l’arte della vita.

“Ars bene vivendi” ( Cic “Ars bene vivendi” ( Cic. De finibus bonorum et malorum, I, 13, 42) “bene” significa “in modo da raggiungere il fine” ossia la felicità , l’eudaimonìa

Ευ δαιμον BUON DAIMON

Arcaica concezione della felicità – infelicità dovuta all’influsso determinante degli dei (buon daimon) Eraclito (fine VI inizio V sec.a.C.) : demone è a ciascuno il suo modo di essere”

L’UOMO È LIBERO E IN GRADO DI RENDERSI FELICE

SENECA E L’EUDAIMONIA: Epistulae ad Lucilium Ep SENECA E L’EUDAIMONIA: Epistulae ad Lucilium Ep. 95: DISTINZIONE FRA PRAECEPTA e DECRETA

Nelle lettere 94 e 95 Seneca affronta il problema se l’educazione alla sapienza debba basarsi sulla Philophia naturalis cioè sui decreta o sulla philosophia moralis cioè sui praecepta. Su questo punto Seneca era in polemica con altri filosofi che sostenevano che l’educazione alla sapienza (cioè l’arte del vivere) avvenisse tramite l’osservanza dei praecepta (tradizionali indicazioni pratiche da applicare nelle varie situazioni della vita). Era anche in polemica particolarmente con lo stoico Aristone che sosteneva invece che per apprendere “l’ars bene vivendi” i praecepta erano del tutto inutili

1° il rapporto del saggio con la divinità 2° il rapporto del saggio con gli uomini 3° il rapporto del saggio con le cose.

DEI “il primo vero culto sta nel credere nell’esistenza degli dei; poi nel riconoscerne la maestà ed insieme la bontà, che dalla maestà è indissolubile… Vuoi propiziarti gli dei? Sii buono. Chi li imita rende loro il debito culto”. Il decretum quindi è: “gli dei sono buoni”. Di conseguenza i “praecepta” riguardo al culto si riassumono in questo praeceptum: sii buono come sono buoni gli dei. Questa idea dell’imitatio dei è e sarà dottrina cristiana per molti secoli. Non a caso il libro “Imitatio Christi” attribuito a Tommaso da Kempis è stato famoso per tutto il medioevo cristiano ed oltre.

UOMINI Il rapporto del saggio con gli uomini comprende infiniti “praecepta”: soccorrere il naufrago, insegnare la strada agli erranti, dividere il pane con chi ha fame Ma tutti questi “praecepta” si basano sul “decretum” fondamentale: “Membra sumus corporis magni. Natura nos cognatos edidit … haec nobis amorem indidit mutuum et sociabiles fecit ... ex illius imperio paratae sint iuvandis manus. Ille versus et in pectore et in ore sit: homo sum, humani nihil a me alienum puto” e cioè: “ Siamo membra di un grande corpo (l’universo). La natura ci ha creato fratelli, essa ci ha ispirato amore reciproco e ci ha fatto socievoli; per suo comando dobbiamo sempre essere pronti a prestare aiuto a chi ne ha bisogno. (Terenzio, Heautontimoroumenos v. 77: Sono un uomo, nulla che riguardi l’uomo mi può essere estraneo”.

COSE “Solo il bene morale (che Cicerone chiama honestum cioè azione fatta secondo ragione) – è un bene. Solo il male morale (azione fatta contro ragione, che Cicerone definisce “turpe”) è un male”. Seneca afferma che, solo chi è convinto di questo, potrà agire bene e aggiunge: “In supervacuum praecepta iactabimus nisi illud praecesserit, qualem de quaqumque re habere debeamus opinionem, de paupertate, de divitiis, de gloria, de ignominia, de patria, de exilio. Aestimemus singula, fama remota, et quaeramus quid sint non quid vocentur” (lettera 95, 54-59) cioè: “I precetti cadranno nel vuoto se prima non chiariremo quale valutazione si debba dare ad ogni cosa, povertà e ricchezza, gloria e infamia, patria ed esilio. Valutiamole una per una senza curarci della fama che hanno e cerchiamo di sapere che cosa sono non che nome venga loro dato”.

Dalla lettera 95, 59: “Quaemadmodum folia per se virere non possunt, ramum desiderant cui inhaereant, ex quo trahant sucum, sic ista praecepta, si sola sunt, marcent: infigi volunt sectae”. “Come le foglie non possono inverdire da sé ed hanno bisogno di un ramo a cui essere attaccate e dal quale trarre la linfa vitale, così questi precetti, se isolati, appassiscono: debbono innestarsi nella dottrina di una scuola filosofica (decreta).

Manuel Dominguez Sanchez, La muerte di Seneca, 1871, Museo del Prado.