Dalla società del ben-avere a quella del ben-essere

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Transcript della presentazione:

Dalla società del ben-avere a quella del ben-essere Dalla società del ben-avere a quella del ben-essere. Spunti di riflessione, in chiave educativa, dall’economia della felicità Luca Crivelli Università della Svizzera italiana (Istituto MEcoP) e DSAS SUPSI 2 dicembre 2010

I sintomi

PIL pro capite e livello medio di felicità (time trend) PIL reale pro capite PIL reale pro capite ($, prezzi 1996) Felicità media Felicità Fonte: Easterlin

PIL pro capite e soddisfazione con la propria vita PIL reale pro capite in constant $) Livello medio di soddisfazione Fonte: Easterlin (2001) Fonte: Frey e Stutzer (2002)

Reddito e felicità (between countries) Indice di felicità Reddito pro capite ($) Fonte: Inglehart e Klingemann (2000)

Reddito e felicità (within a country) Persone più ricche (10. decile) Persone povere (1. decile) molto felici 37.05% 20.07% abbastanza felici 53.71% 45.16% non molto felici 8.16% 26.19% Per nulla felici 1.08% 8.57% Totale 100.00% Fonte: Becchetti (2009), Nr. di osservazioni: 97’970

Il paradosso di Easterlin Nel 1974 l’economista californiano Richard Easterlin formulò il suo celebre paradosso: TIME TREND: il livello di felicità non è cresciuto nel tempo (diversamente dal PIL). CONFRONTO BETWEEN: Paesi più ricchi non manifestano un livello medio di felicità superiore a quelli poveri (soprattutto raggiunta una soglia di sviluppo). CONFRONTO WITHIN: le persone più ricche in un paese sono mediamente più felici. CONFRONTO LIFE-CYCLE: la felicità di una persona sembra dipendere molto poco da variazioni di reddito e da eventi solitamente associati con il ben-essere (matrimonio).

Adattamento al matrimonio Fonte: Frey e Stutzer 2005

Alcune diagnosi plausibili

Difetti e limiti del PIL IL PROBLEMA È LA MANCANZA DI AFFIDABILITÀ DELL’INDICATORE PIL! Nel PIL ci sono voci che non dovrebbero starci (perché non sono sintomo di ben-essere). Nel PIL mancano alcune voci che dovrebbero essere incluse. Il PIL misura il valore della produzione di merci, ma non considera la variazione di alcuni stock di beni capitali nel corso del processo produttivo, quali il capitale umano, il capitale ambientale ed il capitale sociale.

Quello che c’è e quello che manca nel PIL “Perché il PIL comprende l'inquinamento dell'aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine. Mette nel conto le serrature speciali con cui chiudiamo le nostre porte, e le prigioni per coloro che le scardinano. Il prodotto nazionale lordo comprende la distruzione delle sequoie e la morte del Lago Superiore. Cresce con la produzione di napalm e missili e testate nucleari, e comprende anche la ricerca per disseminare la peste bubbonica. Il prodotto nazionale lordo si gonfia con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte nelle nostre città; e benché non diminuisca a causa dei danni che le rivolte provocano, aumenta però quando si ricostruiscono i bassifondi sulle loro ceneri.” Robert Kennedy, 1967

Occorre dunque andare oltre il PIL Commissione per la misurazione della performance economica e del progresso sociale” (mandato di Sarkozy). “What we measure affects what we do; if our measurements are flawed, decisions may be destorted”.

Dalle merci (ben-avere) al ben-essere Lo scopo delle merci è soddisfare i bisogni delle persone e delle comunità. Il consumo dovrebbe aumentare l’intensità con cui i bisogni delle persone sono soddisfatti. La trasformazione del ben-avere in ben-essere è intralciata da varie forme di “tappeto rullante” (treadmill).

I tre tipi di “tappeto rullante” Teoria dell’adattamento ed effetto di assuefazione Brickman-Campbell (1971) / Scitovsky (1976) / Kahneman (2003) “Hedonic treadmill” Effetto aspettative Easterlin, Frey & Stutzer (2005) Layard (2005) “Aspiration and satisfaction treadmill” Competizione posizionale Veblen (1899), Robert Frank (1985), Choosing the Right Pond “Positional treadmill”

Economia e infelicità? Competizione posizionale  socialità declinata come invidia e rivalità  spiegazione dell’infelicità e delle frustrazioni (non della felicità). Rischio di una deriva “conservatrice” (laissez-faire). Quanto deve contare il benessere soggettivo? Non troppo poco (per eccessiva enfasi sul reddito) Ma neppure troppo (necessità di misure anche oggettive del benessere). Più libertà e capacità  più potere e responsabiltà  effetto incerto sul benessere personale. Quale felicità?

Cos’è la felicità? Un po’ di storia delle idee Il dibattito inizia in Grecia: Eudaimonia: “buon daimon” Età “mitica”: coincidenza tra felicità e fortuna (happiness, glück …) La filosofia greca cerca di separare i due concetti attraverso la categoria di “virtù”, risemantizzando la parola eudaimonia: dalla fortuna alla “vita buona” frutto delle virtù. Abbiamo però due diverse risposte filosofiche al tema del rapporto virtù-felicità, quella platonica e quella aristotelica

Platone e Aristotele Platone Aristotele Per separare la felicità dalla fortuna, non investire sui beni materiali (troppo vulnerabili) Se non si vuole dipendere dalla fortuna, non dipendere dagli altri Contemplazione e solitudine come ideale del filosofo maturo. Aristotele No a (eccessivi) beni materiali “Non si può essere felice da soli” “L’uomo felice ha bisogno di amici”

La fragilità della “vita buona” Per la tradizione aristotelica, la felicità è al tempo stesso: CIVILE e FRAGILE. Ogni relazione profonda con l’altro è insieme ferita e benedizione. Rinunciare alla fragilità delle relazioni significa rinunciare alla vita buona, alla “fioritura umana” (Martha Nussbaum). In questo senso, la vita in comune, la communitas, porta iscritto il segno della sofferenza e della morte (si pensi, per un esempio, che la prima città (Enoch) nella Bibbia viene fondata dal fratricida Caino, e che anche la fondazione di Roma è associata all’assassinio di Remo da parte di Romolo). Ecco perché l’idea di “bene comune” non era, nell’ancient régime, una somma, era piuttosto una sottrazione: solo rinunciando e rischiando qualcosa del “proprio” (del bene privato) si poteva costruiva il “nostro” (il bene comune), che quindi era comune perché non apparteneva a nessuno.

Il peccato originale di Adamo (Smith) Un punto centrale del pensiero di Smith (e della modernità illuminista) è l’indipendenza dalla “benevolenza dei propri concittadini” come virtù positiva associata alla nuova forma di socialità introdotta dall’economia di mercato: il contratto. Le relazioni di mercato, basate sull’interesse, ci permettono di soddisfare i nostri bisogni senza dover dipendere dall’amore degli altri  l’immunitas diventa l’antidoto alle ferite insite nelle relazioni della communitas. Il mercato consente di economizzare l’amore. Il contratto di mercato è un buon sostituto del dono Il dono lega … il contratto libera

L’economia come immunitas Il contratto come nuova forma di reciprocità radicalmente alternativa a quella fondata sul dono: ci rende reciprocamente immuni perché ciò che è mio non è tuo, e viceversa. La terra comune è invece “terra di conflitto” e di dolore, un conflitto e un dolore che la modernità spesso non vuole accettare, rinunciando così spesso anche alla benedizione.

Una spiegazione alternativa del paradosso di Easterlin Il consumo di beni materiali spiazza i veri beni relazionali. I beni relazionali sono per natura “incontri”di gratuità, dove il rapporto è il “fine” e non il “mezzo”. Sono “beni” ma non “merci”, hanno un valore (anche economico) ma non un prezzo di mercato. Modernità cerca la fuga dal rischio di ferita insito nelle relazioni con gli altri. Sostituzione dei veri beni relazionali con merci che “simulano” i rapporti umani (TV, rapporti mediati dalle tecnologie). Luigino Bruni

Il declino dei beni relazionali negli USA (Putnam, 2000; Bartolini, 2010): la tendenza della felicità USA tra il 1975 ed il 2004 è spiegata da quattro forze che agiscono in direzioni contrastanti: L’aumento del reddito  Il declino dei beni relazionali  Il declino della fiducia nelle istituzioni  L’aumento dei paragoni sociali  (ruolo dei media e della pubblicità) Quando il lavoro piace (perché e in sé fonte di soddisfazione) si rischia di lavorare sempre: l’umanesimo cristiano insegna che il lavoro è importante ma ad un certo punto termina. Altrimenti si cade in circoli viziosi, del tipo: lavoro molto i rapporti extra lavoro si deteriorano sto male fuori lavoro, e per questo lavoro di più  i rapporti fuori peggiorano ancora …

La cura: una pista possibile

Come curare alla radice il male della modernità? Scoprire e coltivare il proprio daimon (Socrate) Evitare gli effetti di crowding-out delle motivazioni, dovuti ad un eccesso di esposizione agli incentivi e ai comportamenti strumentali (buoni per i frutti che consentono di ottenere, ma non necessariamente buoni in sé). Guardare la realtà con “occhi diversi” (definizione di “carisma”). Esempio: don Bosco e Bartolomeo Garelli

Una stessa radice semantica gratis charis grazia o “ciò che dà gioia” da cui proviene anche la parola “CARISMA” agisce con gratuità chi trova nel comportamento la sua prima ricompensa, perché è mosso da “dentro” e non da incentivi esterni

Ma quanto vale la gratuità? Un grande errore semantico è associare la gratuità al “gratis”, ad un prezzo nullo. Il realtà la gratuità corrisponde ad un prezzo infinito (San Francesco): “Che cosa sono, a che cosa servono, che significano, e quanto valgono il lupo a Gubbio e per Gubbio, o le colombe e le cornacchie a Bevagna e per Bevagna?” Gratuità = un dato comportamento ha un valore in sé e non è solo mezzo per qualcos’altro; la strada da percorrere è importante quanto la meta da raggiungere. “Per una cosa che vale un denaro io ti verserò mille marchi d’argento, anzi mille volte di più. Perché il servo di Dio offre al benefattore, in cambio dell’elemosina, l’amore di Dio, a confronto del quale tutte le cose del mondo e anche quelle del cielo sono nulla” (San Francesco)

Gratuità e beni relazionali (Aristotele) Un bene relazionale è tale se la relazione non è “usata” per altro, se è vissuta in quanto bene in sé, se nasce da motivazioni intrinseche. Il bene relazionale si produce quando la relazione è il bene, quando la relazione umana non è un “incontro di interessi” ma un “incontro di gratuità”. Il bene relazionale richiede motivazioni intrinseche nei confronti di quel particolare rapporto (e l’apertura al rischio di “ferita”).

Si può insegnare la gratuità? Non esiste un « know how ». La gratuità deve nascere da motivazione intrinseca, da “vocazione”(come nell’arte), dal proprio daimon. La gratuità non è associata ad un “che cosa” si fa, o ad una classe di azioni (altruistiche); è piuttosto un “come”, una modalità o una dimensione dell’azione. È un “trascendentale” (una dimensione dell’essere), come il bello o il buono. Davanti all’invasione della logica del “prezzo”,  inventare scuole e palestre dove si pratichi l’arte della gratuità (per ricordarci che i beni più importanti non hanno un “prezzo finito”).

Che fare? Alcune proposte: Investire più risorse nella formazione culturale ai beni relazionali Educare a saper riconoscere i “falsi” beni relazionali Rendere meno costosi i beni relazionali. Esempi Architettura, urbanistica e disegno dei luoghi di lavoro Beni durevoli in famiglia (TV, musica, videogiochi) Ripensare cosa significa “povertà” nel mondo post-industriale. Immaginare anche l’economia e il lavoro come luoghi per costruire “beni relazionali”.