KANT (Critica della Ragion Pratica: imperativo categorico) Prof. Michele de Pasquale
è possibile trovare anche per l'attività pratica della ragione un fondamento assoluto, incondizionato, tale, cioè, da sottrarre il comportamento morale degli uomini alla incertezza e alla variabilità delle situazioni particolari e contingenti?
nella Critica della ragion pratica (1788) Kant partendo dai principi pratici vuole determinare, in conformità con essi, i concetti di "bene" e di "male" questo procedimento risulta possibile perchè Kant ritiene che è possibile trovare un fondamento assoluto della morale, un fondamento, cioè, non collegato né con la realtà in sé, che è inconoscibile, né con le inclinazioni psicologiche dei singoli soggetti, che sono particolari e mutevoli
compito della "critica" della ragion pratica consiste proprio nel i principi fondamentali della morale sono connessi direttamente con le strutture trascendentali della ragione e quindi sono universalmente validi compito della "critica" della ragion pratica consiste proprio nel “ distogliere la ragione, condizionata empiricamente, dalla pretesa di dare essa sola, esclusivamente, il motivo determinante della volontà.” (Kant, Critica della ragion pratica, Introduzione) se l'uomo non possedesse già a priori principi della moralità non potrebbe mai qualificare come morale o immorale una determinata azione: “ ogni esempio, infatti, che mi venga offerto, deve esso stesso essere preventivamente giudicato secondo i principi di moralità, per poter accertare se è degno di servire da esempio fondamentale, o, in altre parole, da modello: nessun esempio, da sé, può fornire il concetto di moralità.” (Kant, Fondamenti della metafisica dei costumi, II, 4)
la legge morale universale e necessaria, si fonda sulla struttura stessa della ragione e non sui contenuti empirici dell'esperienza quotidiana: la legge morale è puramente formale, è priva di qualsiasi contenuto "positivo“ essa non prescrive i contenuti delle azioni da fare, del comportamento da tenere, ma soltanto la "forma", il modo in cui bisogna agire
un'azione conforme alla legge morale non è ispirata da nessun principio "materiale", quali possono essere i principi derivanti dall'educazione ricevuta (principi soggettivi esterni), o dal sentimento (soggettivi interni), o da un codice di leggi religiose o civili (oggettivi esterni), oppure da una vaga idea di perfezione (oggettivi interni) un'azione morale è ispirata soltanto dai "principi pratici" della ragione che Kant così definisce: “ I principi pratici sono proposizioni che contengono una determinazione universale della volontà, la quale ha sotto di sé parecchie regole pratiche. Essi sono soggettivi, ossia massime, se la condizione viene considerata dal soggetto valida soltanto per la sua volontà; ma oggettivi, ossia leggi pratiche, se la condizione viene riconosciuta come oggettiva, cioè valida per la volontà di ogni essere razionale.” (Kant, Critica della ragion pratica)
i "principi pratici" possono valere come massime, cioè limitatamente alla volontà del soggetto, o come leggi, cioè tali da valere per tutti gli esseri razionali la regola pratica si caratterizza come comando, come imperativo che la volontà umana deve ascoltare perché è in condizione di poter ascoltare l'uomo che voglia tenere un comportamento morale, pur potendo ascoltare indifferentemente la ragione o il desiderio, deve aderire all'imperativo che proviene direttamente dalla ragion pratica
quando l’imperativo determina la volontà in vista della realizzazione di un fine particolare da noi desiderato, si qualifica come imperativo ipotetico: la sua validità è in rapporto al desiderio di conseguire un determinato effetto: se vuoi x fai y questi imperativi ipotetici, pur essendo dei "precetti pratici", non possono mai aspirare ad essere leggi: essi sono validi soltanto nel caso particolare che si voglia realizzare l'ipotesi in questione; sono, pertanto, principi "empirici", non universali e quindi rispondenti all'amor proprio del soggetto agente, ossia alla " propria felicità "
al contrario l'imperativo categorico non prevede la realizzazione di alcun fine particolare esterno, esso “ dev'essere indipendente da condizioni patologiche, quindi da condizioni che aderiscono accidentalmente alla sua volontà ... Affinché la ragione possa dare leggi, si richiede che essa abbia bisogno di presupporre semplicemente se stessa, perché la regola è oggettiva e universalmente valida solo quando vale senza le condizioni accidentali e soggettive che distinguono un essere razionale da un altro ... Il semplice volere è ciò che dev'essere determinato interamente a priori mediante quella regola.” (Kant, Critica della ragion pratica)
oggettivi (leggi pratiche) principi pratici R A G I O N P T C d e s i r o soggettivi (massime) oggettivi (leggi pratiche) imperativo a m z o i r o a n l e e ipotetico categorico volontà
l'imperativo categorico determina la volontà non secondo i contenuti, ma semplicemente secondo la forma non si impone perché propone la realizzazione di questo o di quel fine particolare esterno all'imperativo stesso, ma per se stesso, per la sua validità di legge universale nell'adesione disinteressata alla legge espressa dall'imperativo categorico cioè nella semplice " volontà buona ", consiste la moralità: morale non è quell'azione che punta a realizzare un fine particolare, frutto del desiderio del soggetto, ma soltanto quell'azione che si rivela conforme alla legge un’azione è morale non perché la si compie ( = legalità), ma per l’intenzione con cui la si compie (morale dell’intenzione) neppure il desiderio della felicità può determinare una azione morale: esso, pur essendo universale, cioè proprio di ogni persona, produce effetti completamente opposti alla concordia universale; produce, infatti, disarmonia e guerra, in quanto i soggetti, desiderando realizzare lo stesso fine, entrano in contrasto
quale deve essere la natura di una volontà che si lascia determinare soltanto dalla pura "forma" della legge, indipendentemente dai contenuti empirici e dai fini particolar che essa permette di realizzare? “ Siccome la semplice forma della legge non può essere rappresentata se non dalla ragione, e quindi non è oggetto dei sensi. e per conseguenza non appartiene nemmeno ai fenomeni, ... una tale volontà dev'essere considerata come affatto indipendente dalla legge naturale dei fenomeni, cioè dalla legge di causalità degli uni rispetto agli altri. Ma una tale indipendenza si chiama libertà nel senso più stretto, cioè trascendentale. Dunque una volontà a cui la semplice forma legislativa delle massime [cioè la legge nella sua formalità] può servire di legge, è una volontà libera.” (Kant, Critica della ragion pratica)
l'uomo grazie alla formalità della legge morale, scopre in sé la libertà che altrimenti gli sarebbe rimasta sconosciuta s'accorge di possedere una volontà libera soltanto quando comprende di poter essere determinato ad agire non da un fenomeno che, come tale, è comprensivo di contenuto ed è soggetto alla legge della causalità necessitante, ma dalla sola ragione, dalla pura "forma" della legge: l'imperativo categorico, infatti, prescrive soltanto il modo in cui bisogna agire, ma non cosa bisogna fare
la prima formula dell'imperativo categorico, o legge fondamentale della ragion pratica, suona, infatti: “ Agisci in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere in ogni tempo come principio di una legislazione universale.” (Kant, Critica della ragion pratica) il comando espresso dalla legge impone, perché l'azione sia morale, che la norma soggettiva, ossia la massima ispiratrice delle azioni dell'uomo possa sempre essere considerata da tutti gli altri come legge universale “La coscienza di questa legge fondamentale si può chiamare un fatto della ragione, non perché si possa dedurre per ragionamento da dati precedenti della ragione, ma perché essa ci s'impone per se stessa come proposizione sintetica a priori; ... essa non è empirica, ma è il fatto particolare della ragion pura, la quale per essa si manifesta come originariamente legislativa (sic volo, sic iubeo).” (Kant, Critica della ragion pratica)
da qui deriva la seconda formula dell'imperativo, categorico: ciò che vale per me vale per tutti gli altri esseri ragionevoli, ognuno dei quali si pone come fine ultimo la realizzazione completa della sua natura razionale, cioè della sua umanità da qui deriva la seconda formula dell'imperativo, categorico: “Agisci in modo da trattare l'umanità tanto nella tua persona quanto nella persona di ogni altro sempre come fine e mai come mezzo.” (Kant, Fondamenti della metafisica dei costum)
la terza formula dell'imperativo categorico, suona, infatti: l'universalità del fine accomuna gli uomini in quanto soggetti morali, in una unione retta da comuni leggi oggettive, cioè in un "regno che può dirsi un regno dei fini" (una comunità delle volontà buone) al quale ogni essere ragionevole appartiene come membro che vi detta leggi universali, ma anche come suddito che si assoggetta ad esse: perché possa dettare una legislazione universale, ogni soggetto deve poterla produrre con la sua stessa volontà la terza formula dell'imperativo categorico, suona, infatti: “Agisci in modo che la volontà, mediante la sua massima, possa considerare se stessa come universalmente legislatrice.” (Kant, Fondamenti della metafisica dei costumi)