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L’ECONOMIA: IL FASCISMO RINUNCIA AL MERCATO
Nico Bartolucci
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LA DEFLAZIONE: Nei primi anni venti del ‘900, l’inflazione colpisce anche l’Italia. 1925 ci volevano 120 lire per 1 sterlina 1926 circa 150 L’indebolimento della lira rendeva costose l’importazioni delle materie prime, quindi Mussolini decise di fissare l’obbiettivo «QUOTA 90». Quindi il governo tolse il denaro di circolazione avviando una politica simile a quella britannica nei primi anni del ‘900. Però il denaro rimanente doveva essere sufficiente anche se in quantità minori; quindi fu necessario che: le importazioni calassero. Fu aumentata la produzione di grano, si inziò ad usuare i minireli presenti in Italia, fu imposo ai giornali di stampare un massimo di 6 pagine e fu aggiunto alcol alla benzina per ridurre le importazioni di petrolio I lavoratori facessero enormi sacrifici. I lavoratori rinunciarono dal 10 al 20% del loro stipendio in modo da far calare i consumi, e quindi la produzione industriale.
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IL FASCIMO ALLE PRESE CON LA CRISI DEL ‘29
La crisi del ‘29 non travolse l’Italia perchè il paese era poco sviluppato dal punto di vista finanziario. Ma la crisi industriale colpì i settori che fino ad ora erano riusciti ad andare avanti, dopo la deflazione che li aveva obbligatia cambiare il proprio modo di lavoro (agricoltura, industrie e banche). Le fabbriche cominciarono a ridurre i posti di lavoro perchè i prodotti non venivano più esportati. Le banche fallirono perchè i clienti industriali non riuscivano più a pagre i debiti. 1931. IMI (istituto mobiliare italiano), questa organizzazione aveva il compito di salvare le banche che concedevano prestiti alle industrie in crisi. 1933. IRI (istituto per la ricostruzione industriale). Serviva a finanziare le industrie attraverso lo Stato.
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