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Formazione Docenti neoassunti Laboratorio
Buone pratiche di didattiche disciplinari per la personalizzazione e l’individualizzazione dell’ insegnamento Serafina Patrizia Scerra a.s Le prime sette slides riportano la normativa. Visto che ci sono polemiche è bene ricordarle 1
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La complessità del Sistema Scuola e l'eterogeneità delle classi con le quali ci si trova a lavorare pongono, in modo sempre più urgente, la necessità di promuovere metodologie, che favoriscano non soltanto gli apprendimenti, ma anche la motivazione ad apprendere e le abilità culturali e sociali necessarie, per promuovere la graduale acquisizione di competenze metacognitive e metalinguistiche e stabilire relazioni costruttive tra i pari e con gli adulti.
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Da una revisione del Libro Bianco
(A WHITE PAPER BASED ON THE LITERATURE REVIEW TITLED A REVIEW OF FLIPPED LEARNING) Sebbene in conflitto con decenni di ricerca sulle pratiche didattiche efficaci, il modello tradizionale centrato sulle lezioni frontali del docente e sulle verifiche classiche, seguendo programmazioni standard, è purtroppo tuttora molto comune. Tuttavia molti insegnanti si rendono conto che il loro metodo di lavoro dovrebbe essere guidato dai bisogni degli studenti piuttosto che dalla fretta di finire i programmi.
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In tutto il mondo si stanno perciò sviluppando tecniche per personalizzare l’apprendimento, utilizzando tecnologie quali video, simulazioni digitali e giochi per computer. Le tecnologie avranno comunque effetti limitati, se il modello di insegnamento tradizionale non verrà profondamente cambiato.
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Il modello tradizionale è centrato sul docente: l’insegnante è la principale fonte di informazioni, l’insegnante è il “saggio sul palco” (King, 1993), vale a dire l’unico esperto di contenuti che fornisce informazioni agli studenti, in genere tramite lezione frontale.
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Attraverso quali pratiche didattiche
si possono realizzare questi obiettivi? Progettazione per competenze; Didattica laboratoriale; Flip teaching; Spaced learning; Digital story telling. Didattica interattiva Cooperative learning; Peer education; Didattica per concetti;
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Le 8 Competenze di Cittadinanza
Comunicazione nella madrelingua Comunicazione nelle lingue straniere Competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia Competenza digitale Imparare ad imparare Competenze sociali e civiche Spirito di iniziativa e imprenditorialità Consapevolezza ed espressione culturale
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COLLABORARE E PARTECIPARE
APPRENDIMENTO COOPERATIVO INFORMALE COMPETENZA (8 competenze di cittadinanza) COLLABORARE E PARTECIPARE
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L'apprendimento cooperativo
L'apprendimento cooperativo può essere un valida metodologia per perseguire questi scopi educativi, sviluppando quella competenza che il "nuovo obbligo" definisce come: "partecipare e collaborare", all'interno delle 8 competenze di cittadinanza. Gli studenti si aiutano reciprocamente e sono corresponsabili del loro apprendimento; stabiliscono il ritmo del loro lavoro; si correggono, si valutano; sviluppano e migliorano le relazioni sociali, per favorire l’ apprendimento.
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Il cooperative learning e la mediazione sociale
Le strutture di S. Kagan e altre attività di apprendimento cooperativo informale, proposte da altri autori, si prestano ad un primo approccio a questa metodologia didattica che è definita a «mediazione sociale», a differenza del metodo tradizionale che è a «mediazione dell’ insegnante». Queste attività, applicabili a qualsiasi contenuto disciplinare, sono facilmente e immediatamente spendibili nelle classi, attraverso la riflessione individuale e il confronto con gli altri, favoriscono le interazioni tra gli studenti e stimolano una riflessione metacognitiva sul processo di apprendimento.
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ATTRAVERSO LA VALUTAZIONE PER L'APPRENDIMENTO
LA COMPETENZA IMPARARE AD IMPARARE ATTRAVERSO LA VALUTAZIONE PER L'APPRENDIMENTO
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La valutazione PER l'apprendimento formulata dai ricercatori inglesi Paul Black e Dylan Wiliam (Università di Londra) e sintetizzata in «Assessment for learning: beyond the black box» (1999), si è dimostrata uno strumento potente per: imparare ad imparare e migliorare i risultati scolastici. La teoria è sostenuta anche dalla psicologia dell’ apprendimento e dagli studi sulla motivazione ad apprendere,
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La Valutazione PER l'apprendimento è distinta dalla Valutazione DELL’ apprendimento
La prima ha valore formativo, la seconda ha valore certificativo. Non tutti gli insegnanti usano sistematicamente la valutazione PER l'apprendimento che, invece, è fondamentale nell’ insegnamento-apprendimento e stimola la riflessione e l’ autovalutazione degli alunni.
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DIDATTICA LABORATORIALE
IN AULA
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Nodo sostanziale per la didattica laboratoriale
La didattica laboratoriale richiede: una rivisitazione dei tempi e degli spazi; una forte interazione tra insegnante e alunni e tra gli alunni stessi; un apprendimento cooperativo e condiviso; un intreccio tra mediazione didattica e operatività degli alunni; un utilizzo dei saperi disciplinari, finalizzato a promuovere l’ acquisizione di conoscenze e competenze, da parte degli studenti.
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Tipologie di Laboratori nell’ accezione comune del termine
Laboratori monodisciplinari: Laboratori linguistici; Laboratori informatici e multimediali; Laboratori specialistici di chimica, fisica, macchine utensili, ecc. (in ambito scientifico, tecnico e professionale) e quelli di ricerca e sperimentazione; Laboratori interdisciplinari: 1.Atelier artistici, teatrali e musicali (Negli indirizzi artistici, umanistici e sociali).
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Laboratorio = “spazio mentale attrezzato”
Ogni disciplina può essere insegnata con una metodologia laboratoriale. Il laboratorio, infatti, non è soltanto un ambiente, ma è uno “spazio mentale attrezzato”, una forma mentis. Esso va inteso, dunque, come spazio fisico, operativo e concettuale, in cui svolgere una determinata attività formativa, per conseguire obiettivi di processo e traguardi per competenze (1° ciclo) e in conformità con gli assi culturali (scuole 2°ciclo).
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Il laboratorio di “epistemologia operativa”
Il laboratorio di “epistemologia operativa”, per definizione, crea tra lo studente e il sapere un rapporto di “conoscenza in azione”.
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Caratteristiche del laboratorio di “epistemologia operativa”
Munari (1994) ha indicato alcune modalità per realizzare un laboratorio di epistemologia operativa: Utilizzo della manipolazione concreta oltre a quello dei codici linguistici e del linguaggio verbale o simbolico; Implicazione delle operazioni cruciali, ossia dei passi principali di una procedura; Previsione di soluzioni molteplici, per non ridurre il laboratorio ad un algoritmo applicativo;
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Caratteristiche del laboratorio di “epistemologia operativa”
Provocare uno «spiazzamento cognitivo», con messa in crisi delle vecchie conoscenze); Situarsi ad una giusta distanza, né troppo vicino, né troppo distante rispetto a ciò che si conosce; Comportare una pluralità di punti di vista, cioè diversi livelli di interpretazione; Richiamare esperienze, anche lontane ed eterogenee, con valenze metaforiche.
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Il laboratorio e i “compiti di realtà”
Il laboratorio non si imposta su itinerari didattici predefiniti, ma lascia al docente il compito e, quindi, la responsabilità di progettare le varie unità di lavoro (es. U.d.A.), attraverso le quali sviluppare situazioni formative, incentrate su compiti di realtà e promuovere l’ acquisizione delle competenze (Indicazioni Nazionali per il curricolo e competenze e Assi Culturali contenuti nel DM Nuovo Obbligo di istruzione).
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Lo studente e il laboratorio
Lavorando in laboratorio, lo studente riesce ad acquisire il senso del suo apprendimento, perché domina il suo spazio, producendo e operando concretamente, nella consapevolezza delle finalità e degli obiettivi che dovrà acquisire.
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Il Laboratorio – Ambiente coinvolgente
Nel laboratorio, il soggetto agisce, è “attivo”, sia nella “riproduzione” che nella “produzione”, i due estremi di tutta una serie di tipologie di “attivismo”. Nell’ area della “riproduzione”, ritroviamo la copiatura, il ripercorrere una procedura richiesta, la ripetizione di quanto si è studiato. Nell’ area della “produzione” sono comprese, invece le ipotesi di nuove strategie risolutive, mirate a produrre qualcosa ex novo.
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La “riproduzione” e la “produzione”
Nel laboratorio si opera su entrambi i piani, all’ insegna della concretezza e dell’ essenzialità: lo scopo formativo del laboratorio è, infatti, quello di produrre pensiero a partire dall’azione e non è mai solamente applicativo, cioè riproduttivo. Con gli studenti che presentano difficoltà comunicative, il laboratorio “operativo” è imprescindibile come metodologia d’avvio.
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La “produzione” Solo in una seconda fase, nel laboratorio «operativo», si potrà proseguire con processi di “verbalizzazione”, confronto e ragionamento, per coniugare azione e riflessione.
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Competenze operative Il laboratorio mira, infatti, allo sviluppo di competenze operative che si consolidano attraverso i processi di verbalizzazione e la rappresentazione metacognitiva, fase importantissima che, però, deve seguire e non precedere l’ azione. La rappresentazione metacognitiva consiste in una riflessione dell’ allievo su quanto ha realizzato e serve per pensare all’azione, nel suo insieme, per costruire i concetti, personalizzarli e consolidarli.
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Strumenti Compiti di realtà; Giochi di simulazione; Debriefing; Mappe concettuali; Conversazione clinica; Verbalizzazione di focus group; Circle time.
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Dall’ unità didattica all’ unità di apprendimento
Cosa cambia con l'introduzione delle unità di apprendimento? Il cambiamento è del tutto radicale, in quanto ribalta il punto di partenza e pone al centro dell'attenzione il processo di apprendimento, partendo dalle Indicazioni Nazionali e non più dai programmi ministeriali. Le Indicazioni Nazionali sono, infatti, il punto di riferimento fisso, per strutturare percorsi formativi e stabilire obiettivi formativi e obiettivi specifici di apprendimento.
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Dall’ unità didattica all’ unità di apprendimento
L'attenzione si sposta quindi dalle conoscenze alle abilità e alle competenze che bisogna far raggiungere mediante le unità di apprendimento. La programmazione delle unità di apprendimento deve tenere conto dei seguenti fattori: la conoscenza della classe; la collaborazione con gli insegnanti dello stesso Consiglio di Classe; la collaborazione con gli insegnanti della stessa disciplina.
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Stabiliti gli obiettivi da desumere dai documenti tecnici, va stabilito il compito di prestazione autentica, che risulta essere lo strumento di verifica e valutazione di tutto il lavoro svolto nelle varie fasi. Tale compito deve essere immediatamente dichiarato dopo il titolo dell'unità di apprendimento e deve indurre negli studenti alcune domande stimolo che permetteranno lo svolgimento delle attività progettate. Tutto ciò che viene proposto dagli insegnanti, verrà visto in funzione del raggiungimento del compito di prestazione autentica, rendendo più vivo e accattivante il contesto operativo.
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Schema di un'unità di apprendimento
Denominazione/titolo; Target/contesto (classe, tipologia di scuola, contesto classe); Collocazione dell'argomento all'interno della struttura curricolare; Tempi di realizzazione (Periodo: ottobre/novembre. Numero di ore: 10) Discipline coinvolte; Competenze chiave di cittadinanza (allegato 2 al DM 139/2007); Assi culturali/obiettivi di di riferimento-
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Esempio: Schema di un'unità di apprendimento
Risultati di apprendimento comuni a tutti i percorsi liceali (Indicazioni Nazionali): Area metodologica Area logico-argomentativa Area linguistica e comunicativa Area storico-umanistica Area scientifica, matematica e tecnologica
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Esempio: Schema di un'unità di apprendimento
Risultati di apprendimento Prerequisiti Obiettivi specifici di apprendimento (Indicazioni Nazionali) (suddividerli in abilità e conoscenze) Compito di prestazione autentica oppure Apprendimento unitario da promuovere Esperienze attivate (laboratorio, escursioni, visite guidate, etc.)
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Mediazione didattica Metodi (attività laboratoriali, lezioni partecipate, ricerca/azione, cooperative learning, mastery learning, etc.); Strumenti; Risorse umane interne ed esterne; Fasi di lavoro; Controllo degli apprendimenti (in ingresso e in uscita); Indicatori e strumenti di osservazione e di autovalutazione.
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La «conversazione clinica»
Presupposti teorici J. Piaget ha trasferito il «colloquio clinico» dalla pratica medica a quella pedagogica. Questa tecnica è stata in seguito ripresa da: da Lucia Lumbelli che ha incentrato i suoi studi sullo sviluppo dell'interazione verbale in contesti scolastici e da Elio Damiano, che ne ha fatto la base di partenza per lo sviluppo della didattica per concetti
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La «conversazione clinica»
Presupposti teorici La conversazione clinica permette al docente di cogliere ciò che gli alunni già sanno, in base ad: esperienze, credenze, vissuti emotivi, racconti di altri, informazioni precedenti, sul concetto che si vuole proporre per l'apprendimento e come hanno organizzato le loro conoscenze.
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La «conversazione clinica»
La «conversazione clinica» può essere definita una tecnica d’ascolto cognitivo, per un “apprendimento significativo”, che mira a far emergere le concezioni spontanee degli alunni, ovvero i concetti che essi hanno elaborato in base alle loro esperienze spontanee ed è strettamente connessa alla progettazione per mappe concettuali.
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La "conversazione clinica"
La "conversazione clinica" è disposta a metà tra «mappa» e «rete». La sua funzione è prendere atto degli schemi d'assimilazione già costruiti dal soggetto in apprendimento, quella che si chiama la sua "matrice cognitiva«, perché da quelli si possano generare, per accomodamento e sviluppo, gli schemi predisposti nella "mappa concettuale".
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La «conversazione clinica»
L'insegnante deve specificare che cosa s'aspetta di scoprire, in termini di concezioni spontanee, per orientare l‘inchiesta verso le precomprensioni o verso i concetti spontanei che gli alunni hanno derivato dalla loro esperienza passata, regolando la conversazione in modo da far emergere le argomentazioni degli alunni circa il concetto in questione e consentendo alla classe di discutere sulle divergenze, senza ridurle. .
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Apprendimento «significativo»
La conversazione clinica richiede attenzione verso i processi di concettualizzazione e si configura come fase di lavoro molto delicata, poiché consente di entrare in contatto con la matrice cognitiva degli alunni in ordine all'argomento da affrontare, per produrre un apprendimento significativo.
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Apprendimento «significativo»
Il docente, sulla base della mappa concettuale, può ipotizzare un percorso di esplorazione che orienta sia la domanda iniziale sia le successive domande stimolo del colloquio, sia l'osservazione dei comportamenti durante il colloquio stesso. Senza tale ipotesi di lavoro il colloquio clinico diventa una vaga ricognizione su quanto si può sapere su un argomento (Damiano 1994)
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Fase preliminare L'esperienza del colloquio clinico prevede una fase preliminare composta da due aspetti: l’insegnante individua il tema su cui sviluppare il colloquio clinico sulla base dell'argomento su cui si è deciso di costruire il percorso, dopo aver approfondito le tematiche disciplinari. E’ opportuno documentarsi con letture specifiche per costruire la mappa del concetto (mappa concettuale), il più possibile comprensiva dei vari aspetti legati al concetto, anche non strettamente disciplinari.
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Predisposizione della situazione
L’insegnante crea motivazione verso l'attività attraverso un semplice ma corretto «contratto formativo», che spiega agli allievi l'importanza di raccogliere le loro idee sull'argomento da affrontare e sul quale la classe in seguito andrà a costruire insieme conoscenza.
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Concorda con gli allievi le regole richieste dal colloquio clinico: esprimere ed argomentare le proprie idee lasciando spazio anche a quelle dei compagni, preferibilmente confrontandole e discutendone insieme (per la scuola dell'infanzia questa procedura va esplicitata con estrema semplicità e ponendo molta attenzione a non forzare i bambini nella conversazione). La durata del colloquio clinico non ha tempi predefiniti, deve seguire l'interesse dimostrato dagli alunni; per la scuola dell'infanzia può indicativamente durare dieci minuti e alla scuola primaria/secondaria non superare i trenta.
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La domanda iniziale L’insegnante conduce il colloquio clinico proponendo la domanda stimolo o di partenza formulata con lo scopo di trovare la chiave di accesso al mondo dell'allievo e di metterlo nella condizione di comunicare le proprie idee sull'argomento senza interferenze, interpretazioni o costruzioni mentali tipiche del mondo dell'adulto per riuscire così ad indagare in profondità le sue credenze spontanee, i suoi misconcetti.
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La domanda iniziale L’insegnante nel porre le domande tiene conto della epistemologia disciplinare e indaga su quelle conoscenze/competenze che possono essere considerate come fondanti per gli apprendimenti da sviluppare. La domanda iniziale non deve essere vaga ma cogliere quelle che l’insegnante ritiene essere idee motivanti o idee spontanee presunte.
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Tipologia di interventi
Nella conduzione del colloquio clinico possono essere utilizzate diverse tipologie di interventi: interventi di specificazione ( chi, che cosa, quando, dove, come), che l’insegnante introduce quando ritiene di dover stimolare la comunicazione ed ampliarla sulle basi dell'esperienza concreta degli allievi; interventi di riformulazione che, riprendendo il contenuto delle risposte fornite, lo riformula chiedendo comunque sempre conferma della corretta interpretazione agli alunni che hanno espresso tale idee;
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Tipologia di interventi
interventi di rispecchiamento nei quali l’insegnante ripete la frase ( o parti di essa) espressa dall’alunno e la rilancia per permettere di chiarirla ulteriormente, sia al conduttore del colloquio sia al gruppo;
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Tipologia di interventi
interventi per approfondire il confronto, attraverso i quali il conduttore: recupera e valorizza i contributi emersi, fa notare la presenza di pareri diversi, sollecita alla discussione più approfondita rispetto alle idee che risultano più condivise, ma anche su quelle divergenti; favorisce la problematizzazione anche offrendo alcuni stimoli.
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Tipologia di interventi
interventi di sintesi che possono essere utilizzati sia nelle fasi intermedie del colloquio clinico per fare il punto della discussione e rilanciare il dibattito sia nella fase finale, quando l’insegnante ritiene utile sintetizzare con gli allievi la complessità dei contributi emersi dal colloquio clinico;
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Fase conclusiva Effettuato il colloquio clinico, l’insegnante costruisce la mappa cognitiva delle idee emerse dal colloquio stesso. In questa fase è fondamentale: analizzare i risultati emersi, evidenziare le idee non previste, cercare di individuare gli elementi che possono averle prodotte, valutare se tenerne conto nella progettazione.
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Confronto tra mappa concettuale e mappa cognitiva
Il confronto tra la mappa concettuale dello studente con la mappa cognitiva permette di definire quali concetti debbano essere affrontati, per costruire negli alunni una conoscenza più sistematica e scientifica, partendo da ciò che è già stato da loro elaborato, ma che necessita di maggiori approfondimenti o modificazioni.
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Rete concettuale Partendo dal colloquio clinico l’insegnante, attraverso il confronto tra le due precedenti mappe, va a costituire la rete concettuale, ovvero la revisione della progettazione iniziale per rendere più significativo il percorso di insegnamento/apprendimento.
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L'EDUCAZIONE SOCIALE ED EMOZIONALE
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Molti dei problemi delle nostre scuole sono il risultato di un cattivo funzionamento degli aspetti sociali ed emozionali di cui soffrono tanti bambini e tanti ragazzi; nonostante ciò l'educazione sociale ed emozionale rimane il pezzo mancante dell'istruzione. Pur con grave ritardo, ci si comincia ad accorgere di questo pezzo mancate e a richiamare con sempre maggiore forza l'esigenza che la scuola affronti gli aspetti sociali ed emozionali, sollecitati da crescenti fenomeni di esclusione sociale, da una preoccupante diminuzione dell'autostima in molti ragazzi, da un continuo aumento di casi di difficoltà di apprendimento e di comportamenti borderline.
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IL COMPORTAMENTO A SCUOLA
E LA SUA VALUTAZIONE
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La disciplina a scuola è diventata in tutti i Paesi del mondo occidentale una questione di difficilissima gestione ed è assurta a priorità assoluta nell'agenda dei responsabili dell'istruzione. Le crescenti difficoltà di regolazione dei comportamenti degli allievi hanno infatti pesanti ripercussioni sugli apprendimenti e sulla possibilità stessa degli insegnanti di svolgere in modo sereno ed efficace la propria attività. Tale questione pertanto non deve più essere trascurata o affrontata con sistemi tradizionali, ma divenire specifico oggetto di approfondimento e di formazione degli insegnanti.
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Anche la valutazione del comportamento richiede l'assunzione di un nuovo punto di vista e necessita e strumenti più accurati di misurazione, come le rubriche. Il problema educativo oggi. • Il contesto educativo attuale. Il problema educativo oggi: società complessa e progressivo aumento di frammentazione, variabilità, centrazione sul solo presente in ogni aspetto della vita. Una progressiva perdita di strutture, limiti, distinzioni. • Mutamento antropologico. Verso un vero e proprio mutamento antropologico? Dalla società della stabilità e del senso del limite alla società dell'in-differenza: la compatibilità di tutto con tutto.
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Come si struttura lo stile del comportamento nella formazione della personalità
• Funzione strutturante dell'educazione a scuola. Bambini e ragazzi davanti ai compiti di costruzione della propria identità in un quadro di indeterminatezza di riferimenti. La scuola (e l'educazione in generale) come percorso di progressiva strutturazione del pensiero e dei comportamenti. • Stili di relazione e di personalità. Fattori che determinano lo stile delle emozioni, delle relazioni, dei comportamenti nell'organizzazione di base della personalità.
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- Scuola secondaria di 2° grado: la riorganizzazione del sé in adolescenza.
• Problemi e disturbi del comportamento. Problemi di adattamento e di relazione, Iperattività, Disturbo Oppositivo Provocatorio (DOP), Disturbo del Comportamento (DC). Il problema dell' "adattamento all'insuccesso scolastico".
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• Empatia e riflessività
• Empatia e riflessività. I due presidi di base contro le dinamiche sociali di aggressività (bullismo, ecc.). La costruzione di relazioni nella classe: il rispetto dell'altro, l'accoglienza reciproca, la fiducia della capacità regolativa della buona comunicazione. Lo stile cooperativo e lo spirito di iniziativa nella relazione con l'altro. La relazione d'aiuto verso il compagno con forti difficoltà o disabilità. Educazione alla cittadinanza.
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Se è vero che esistono tecnologie specifiche utilizzate, espressamente, in ambienti educativi speciali inclusivi, il restante (tecnologia convenzionale normalmente disponibile) riveste un ruolo altrettanto importante, per avviare una didattica personalizzata e individualizzata, che preveda anche azioni compensative e dispensative.
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Inclusione attraverso le tecnologie
L’esperienza dell’ IC “G. Pascoli” di Tramonti (SA) L’Istituto Comprensivo “G. Pascoli” di Tramonti (SA), si trova sui Monti Lattari, in Costiera Amalfitana. L’Istituto si è fatto promotore di una Rete che coinvolge tutti gli istituti Comprensivi della Costiera Amalfitana. A tutt’oggi, la Rete è attiva con il nome di “Scuole Costiera Amalfitana”, ha un proprio statuto e si prefigge di realizzare progetti di carattere pedagogico, didattico e culturale
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.Tra i diversi percorsi didattico-sperimentali attuati, nel 2015 la Rete ha realizzato il progetto di ricerca-azione: “Tecnologie ed inclusione”, con l’obiettivo di meglio comprendere e, possibilmente, risolvere il problema dello scarso utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) nella didattica rivolta a alunni con bisogni educativi speciali e/o diversamente abili. Il progetto non intende assegnare alle tecnologie un ruolo pervasivo nella didattica, ma stimolare l’utilizzo e la pratica di alcuni dispositivi nel campo dei bisogni educativi speciali.
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I motivi dello scarso utilizzo delle nuove tecnologie da parte degli insegnanti sono riconducibili alla percezione del profilo professionale docente, ovvero alla convinzione che le TIC demoliscano molte caratteristiche della didattica tradizionale “trasmissiva”, a cominciare dal controllo delle modalità, degli strumenti, dei contenuti e dei processi di apprendimento, basati essenzialmente sulla lezione in presenza e sul libro di testo. Si è pensato, quindi, che fosse più proficuo, ma anche immediatamente fruibile, una semplice esperienza di “didattica comparata” per far evidenziare, nel pratico, il valore aggiunto di tali strumenti, soprattutto per alunni BES
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La sperimentazione prevede tre step, finalizzati a focalizzare le migliori strategie inclusive per la propria scuola. Primo step, denominato “Pianificazione”: • Informazione/comunicazione, approvazione, tramite OOCC, dell’iniziativa progettuale ai docenti. Individuazione di due classi parallele della scuola secondaria di 1° grado in tutte le scuole della rete; l’una, monitorata e oggetto della sperimentazione, l’altra con funzione di controllo. Informazione/comunicazione ai genitori degli alunni delle classi coinvolte.
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3. Formazione dei docenti coinvolti nella sperimentazione (n
3. Formazione dei docenti coinvolti nella sperimentazione (n. 20 ore in presenza): indicazioni, da parte di un neuropsichiatra infantile, su come individuare alunni con BES, quali le problematiche, quali le ipotesi di soluzione; indicazioni, da parte di un esperto di tecnologie assistive (TA), rispetto alle diverse situazioni problematiche e/o disabilità, delle soluzioni offerte dalle nuove tecnologie; indicazioni, da parte di un esperto in valutazione, su come monitorare, valutare e verificare l’intero percorso in relazione al gruppo classe e al docente.
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Elaborazione, da parte del gruppo di progetto (referenti di rete), di una scheda per la rilevazione dei dati di contesto, delle metodologie e delle risorse utilizzate, del setting tecnologico a disposizione, delle situazioni problematiche, delle ipotesi di soluzione, della progettazione dell’ambiente di apprendimento, della descrizione dell’attività, della funzione ricoperta dalla tecnologia. Raccolta dei dati e mappatura dei casi (gruppo di progetto di rete) con individuazione delle possibili evidenze, riferite alle situazioni problematiche. • Scelta di 2-3 casi/situazioni comuni per tutte le classi della Rete.
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Sono stati creati blog di classe, non solo per motivare alla lettura e alla scrittura, ma anche per aprire uno spazio comune di riflessione, discussione e condivisione e per favorire un’educazione alla cultura della Rete, abituando gli alunni a considerare Internet, come fonte di risorse, occasione di collaborazione e confronto, in grado di superare vincoli spaziali e temporali.
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Il blog si è rivelato uno strumento didattico potente, che ha permesso agli alunni di scrivere, di dimostrare quanto imparato, di pubblicare le proprie idee per la classe o per la scuola, oltre che foto e immagini, creando titoli e didascalie, piccoli articoli di attualità, per stimolare la riflessione, le reazioni e la ricerca di soluzioni. Inoltre il blog ha indirizzato gli alunni a siti di interesse per il loro curricolo scolastico, favorendo lavori collaborativi e la costruzione di progetti cooperativi. Infine, grazie al blog, è stato possibile coinvolgere, in modo proficuo, i genitori nelle attività scolastiche dei loro figli.
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Secondo step, denominato “Dimensione pubblica”:
• I docenti impegnati hanno comunicato ai propri colleghi (consigli di classe, dipartimenti disciplinari, ecc.) l’azione didattica da svolgere e, successivamente, ai genitori delle classi impegnate nella sperimentazione. Il gruppo di progetto, in accordo con i docenti delle classi, in relazione ai casi e/o alle situazioni problematiche scelte, ha individuato uno o più “microattività”, da svolgere nella classe monitorata con l’utilizzo delle TIC (ad esempio, come aumentare e migliorare i tempi di attenzione dei bambini che si distraggono facilmente).
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Terzo step, denominato “Disseminazione”:
Valutazione dei risultati raggiunti per le diverse situazioni problematiche scelte, comparati con quelli raggiunti dalle classi-campione; Condivisione in Rete delle buone prassi; Inserimento delle microattività disciplinari, svolte con l’ausilio delle TA, che hanno sortito effetto positivo in un repository di rete, come LO (learning object), e loro condivisione al fine di promuovere un percorso virtuoso di utilizzo funzionale delle TIC a 360 gradi, ossia in ambito strettamente disciplinare e non.
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A distanza di un anno dal progetto è stato confermato e/o rilevato quanto segue:
i tempi di attenzione e impegno su una consegna data sono sensibilmente aumentati; • conoscenze e competenze degli alunni con BES sono migliorate, confermando, nel contempo, che mentre la didattica tradizionale può andar bene per tutti, ma non per studenti BES o DSA, una didattica, per studenti BES o DSA, può andar bene per tutti.
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Le differenze più importanti sono state registrate nell’ambito socio-relazionale.
Infatti, l’utilizzo delle TIC e l’introduzione di nuovo metodologie (le quali sono alla base anche di una didattica laboratoriale) ha moltiplicato le occasioni, in cui far lavorare gli alunni nei piccoli e grandi gruppi, che si componevano e ricomponevano, secondo la microattività da svolgere.
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il contesto educativo è uno dei principali luoghi per prevenire l’esclusione sociale e garantire pari opportunità a tutti
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nel contesto educativo, le tecnologie sono diventate il terzo elemento
dell’interazione tra docenti e studenti
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In un recente intervento, Wilfred W
In un recente intervento, Wilfred W. Fong ha ripercorso, sinteticamente, l’evoluzione che l’aula scolastica ha vissuto in questi ultimi anni. L’aula di tipo tradizionale, dotata di: cattedra, lavagna di ardesia e banchi disposti in file ha progressivamente accolto al suo interno tecnologie di varia natura, che sono diventate il terzo elemento dell’interazione tra docenti e studenti.
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Creare nuovi spazi per l’apprendimento
La fluidità dei processi comunicativi innescati dalle ICT si scontra con ambienti fisici, non più in grado di rispondere a contesti educativi in continua evoluzione. Una scuola d’avanguardia ripensa, gradualmente, gli spazi e i luoghi con soluzioni: flessibili, polifunzionali, modulari e facilmente configurabili in base all’attività svolta e per usi anche di tipo informale.
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Device mobili Oggi le aule più avanzate includono l’utilizzo di device mobili, che consentono il superamento della stessa dimensione fisica dell’aula e l’accesso ad ambienti di lavoro, collocati nello spazio virtuale.
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Aule tecnologicamente innovative
Il progetto di realizzare aule tecnologicamente innovative è promosso nelle scuole da Indire (Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa). Gli spazi per la didattica sono flessibili, in modo da consentire lo svolgimento di lavori di gruppo nei quali l’insegnante non ha più solamente un ruolo frontale, ma piuttosto quello di facilitatore e organizzatore delle attività.
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Arredi flessibili Gli arredi flessibili garantiscono inoltre una disposizione d’aula variabile per i lavori di gruppo. Ci sono lavagne interattive multimediali touch screen, tutte collegate in rete e collegabili con ogni tipo di device in uso da studenti e professori (tablet, PC/portatili), per condividere lezioni innovative.
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L’Aula 3.0 L’aula si dota di una sorta di “doppio” in cui si svolgono attività complementari e profondamente diverse da quelle di classe. È quella che si definisce «Aula 3.0», uno spazio che riconfigura la sua organizzazione in termini di apertura verso l’esterno, ma che modifica anche il suo assetto in senso propriamente fisico, tramite modifiche evidenti alla disposizione degli arredi. Il tutto per favorire una didattica innovativa, che privilegia approcci laboratoriali e collaborativi.
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ATTORI / RUOLI Dirigente:
Coordina la progettazione della/e aula/e e supporta il cambiamento delle pratiche didattiche. Docente: Contribuisce alla progettazione delle aule e individua le caratteristiche degli arredi e degli strumenti necessari. Implementa nuove pratiche didattiche. Personale Ata: Evidenzia requisiti ed esigenze correlate alla manutenzione degli strumenti e degli arredi necessari.
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RIsORsE tecnologiche Connessione wireless banda larga,
dispositivi fissi e/o mobili, LIM, software e applicativi dedicati, periferiche. Infrastrutturali: disponibilità di un ambiente da riconvertire o di due aule di minore dimensione, da destinare alla creazione di un Aula 3.0. Arredi modulari e flessibili per consentire, nel tempo eventuali riconfigurazioni degli spazi disponibili.
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Risorse umane: Coinvolgimento di un gruppo di docenti disponibili a “mettersi in gioco” e progettare e sviluppare pratiche didattiche innovative. Finanziarie: Fondi in misura variabile, a seconda del tipo di dotazioni tecnologiche e strutturali necessarie e in base al tipo di spazio. Si tratta in sostanza di riconvertire ambienti esistenti o “unire” due aule confinanti per ottenere un ambiente più ampio di un’aula tradizionale e acquisire le strumentazioni necessarie per i nuovi setting.
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è bene sapere che. La realizzazione di un’Aula 3
è bene sapere che... La realizzazione di un’Aula 3.0 comporta una rivisitazione delle pratiche didattiche e delle attività tanto per il docente che per gli studenti. Il tipo di arredi e la progettazione dei setting saranno legati alle metodologie, che verranno implementate nel nuovo ambiente.
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Il progetto dei Senza Zaino
Qualche anno fa, Marco Orsi, maestro e pedagogista illuminato, che insegna in una scuola di Lucca, è andato a visitare alcune scuole steineriane, montessoriane, libertarie, scuole non tradizionali insomma e, prendendo spunto da queste esperienze, e non solo, si è inventato un vero metodo educativo, la Scuola senza zaino.
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Il progetto Scuole Senza Zaino, nato a Lucca da una intuizione pedagogica di Mario Orsi nei primissimi anni 2000, è stato presentato alla Regione Toscana nel 2012 e approvato dalla Giunta regionale lo stesso anno, prevedendo un finaziamento annuo di 50mila euro, in compartecipazione con le scuole della rete, per la formazione dei docenti e dei formatori nonché per la produzione di materiali informativi.
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L'istituto comprensivo Mariti di Fauglia, in provincia di Pisa, in qualità di capofila della rete nazionale delle Scuole Senza Zaino, ha promosso e sostenuto l'incremento delle scuole toscane fino a raggiungere la quota "cento scuole"
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Nelle scuole pubbliche che hanno aderito al progetto La scuola senza zaino, il gesto di buttare lo zaino è simbolico, ma anche pratico: ci si muove con una cartellina leggera e a scuola si lasciano libri e materiale didattico. Le aule sono simili a open space, con aree dedicate a varie attività, e la cattedra è in un angolino. Il maestro supervisiona il lavoro degli studenti che sono responsabilizzati e attenti.
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Le aule e i vari ambienti vengono arredati con mobilio funzionale e dotati di una grande varietà di strumenti didattici sia tattili che digitali. Ma togliere lo zaino, ha anche un significato simbolico, in quanto vengono realizzate pratiche e metodologie innovative in relazione a tre valori a cui ci si ispira: la responsabilità, la comunità e l’ospitalità.
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PERCHÉ TOGLIERE IL VOTO nel primo ciclo d'istruzione
Senza zaino per una Scuola Comunità Rete Nazionale Istituto Comprensivo “G.Mariti” istituto capofila - d.s. Daniela Pampaloni Corso della Repubblica, 125 – Fauglia (PI) tel PERCHÉ TOGLIERE IL VOTO nel primo ciclo d'istruzione Documento approvato dal Gruppo di Coordinamento Nazionale della Rete - Firenze, 11 marzo 2016 In una scuola che si basa sull'Ospitalità, sulla Responsabilità e sulla Comunità il Voto, inteso come Numero, rappresenta la metafora della negazione di questi Valori. Quando si parla di scuola ospitale, infatti, intendiamo una scuola che accoglie tutte le diversità in una logica di valorizzazione, di inclusione, di ben-essere.
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PERCHÉ TOGLIERE IL VOTO nel primo ciclo d'istruzione
Quando introduciamo: competizione, tensione verso il risultato, disuguaglianze per gradi di prestazione, classificazioni, divisioni, neghiamo in pratica il diritto delle bambine e dei bambini, delle ragazze e dei ragazzi al piacere di apprendere, di star bene con gli altri, di imparare ognuno con i propri tempi facendo quel che può. Il voto disturba la crescita, l'autostima, abbassa la considerazione di se stessi e degli altri.
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Scuola della responsabilità
Togliere il voto in questo senso significa: sostenere i nostri studenti nei momenti di difficoltà e rimotivarli, attraverso un processo di ricerca di strategie di cooperazione e astensione dal giudicare in base alle prestazioni, fondato sul rispetto della diversità.
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Scuola della responsabilità
Per scuola della responsabilità intendiamo; una scuola dove gli alunni sono protagonisti nel e del loro apprendimento, che decide con loro i punti di forza e i punti deboli su cui occorre migliorare. Se utilizziamo la valutazione per: costringere, intimidire, giudicare, confrontare produciamo e distribuiamo feedback valutativi che sostanzialmente i traducono in giudizi su se stessi e sul loro valore come persone.
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Il voto però non ci basta
Come professionisti dell'educazione dire che non vogliamo il voto però non ci basta perché vorremmo aiutare il legislatore e le scuole a costruire strumenti per la valutazione formativa. La nostra esperienza di scuole Senza Zaino ci ha permesso nel tempo di raccogliere materiali e strumenti che vanno in questa direzione e siamo disponibili a confrontarci e contribuire alla costruzione di nuovi criteri valutativi.
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"Togliere il voto per aggiungere"
Sulla base di queste considerazioni la Rete "Scuole Senza Zaino per una scuola comunità" lancia la campagna "Togliere il voto per aggiungere", rivolge un appello al Governo per l'abolizione del voto numerico nel primo ciclo d'istruzione e invita dirigenti, docenti e genitori a condividere e sostenere la campagna sottoscrivendo la petizione.
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"La scuola la vorrei senza pagelle e con tante cordiali chiacchiere con i genitori, perché, alla fine, invece di una bella pagella, si abbia un bel ragazzo, cioè un ragazzo libero, sincero, migliore comunque". Mario Lodi
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Avanguardie educative
Avanguardie educative è un movimento che intende trasformare il modello organizzativo e didattico della scuola italiana. Il progetto è stato avviato nel 2014 su iniziativa dell’Indire e di 22 scuole fondatrici e da allora oltre 370 istituti scolastici hanno deciso di prendervi parte, adottando una o più delle sue “idee”. Numerose sono state anche le realtà scolastiche che hanno proposto le loro esperienze d’innovazione.
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Nell’ambito di tre dimensioni fondamentali del fare scuola, Spazio, Tempo e Didattica, Avanguardia educativa sviluppa le 12 idee innovative del Movimento: • Aule laboratorio disciplinari • Spazio flessibile (aula 3.0) • Bocciato con credito • Compattazione del calendario scolastico • Teal (tecnologie per l’apprendimento attivo) • Integrazione cdd/libri di testo
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• Spaced learning (apprendimento intervallato) • Ict lab • Flipped classroom (la classe capovolta) • Didattica per scenari dentro/fuori la scuola • Debate (argomentare e dibattere)
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nel quartiere di Santa Croce, in pieno centro storico della città
La scuola è a Firenze, nel quartiere di Santa Croce, in pieno centro storico della città
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Caratteristiche principali della Scuola
Scuola-Città Pestalozzi accoglie alunni dai 6 ai 14 anni. La Scuola nasce nel 1945, come scuola di Differenziazione Didattica, nome dato a quel tempo alle scuole sperimentali a tempo pieno. A settanta anni dalla sua fondazione, Scuola-Città Pestalozzi è oggi una scuola di base, sperimentale e statale, unitaria negli otto anni della scuola primaria e secondaria di primo grado, organizzata in quattro bienni e in rapporto con la scuola dell'infanzia e con la scuola secondaria superiore. Maggiori informazioni
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La scuola si presenta col duplice aspetto e funzione di Scuola sperimentale e di Centro Risorse per la formazione di docenti. Dal 2006 «Scuola Città Pestalozzi» ha avviato, insieme alle scuole «Don Milani» di Genova e «Rinascita» di Milano, ai sensi di quanto previsto dall'articolo 11 del D.P.R, 8 Marzo 1999, n. 275, un progetto congiunto. L'intervento sperimentale delle «Scuole Laboratorio», realizzato nel quinquennio , si è sviluppato nella proposta denominata «Dalla scuola laboratorio verso la wikischool», in corso di attuazione ( ). Maggiori informazioni
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una giornata a Scuola-Città Pestalozzi in memoria di
Lunedì 29 febbraio 2016 "INSIEME MATEMATICANDO" seconda edizione una giornata a Scuola-Città Pestalozzi in memoria di Stefania Cotoneschi Maggiori informazioni
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- alle 16:40 un momento tra adulti per ricordare insieme Stefania.
- al mattino laboratori matematici e scientifici per gli alunni/e dei bienni bassi proposti dai compagni/e più grandi; - nel pomeriggio dalle 14:00 alle 16:00 le ragazze e i ragazzi dei bienni alti organizzano mini laboratori per i genitori e gli adulti, che vorranno partecipare; - alle 16:40 un momento tra adulti per ricordare insieme Stefania. Maggiori informazioni
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APPRENDIMENTO INTERVALLATO FISSARE LA MEMORIA A LUNGO TERMINE
SPACED LEARNING APPRENDIMENTO INTERVALLATO FISSARE LA MEMORIA A LUNGO TERMINE
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Uno degli obiettivi dell'istruzione è creare memoria a lungo termine.
Studi scientifici pubblicati nel 2005 su Scientific American hanno permesso di capire come la memoria si forma nel cervello. Douglas Fields, neuroscienziato americano del National Institute of Child Health and Development ha scoperto che le cellule del cervello si “accendono” e si collegano tra loro a seconda di come sono stimolate. Stranamente se la stimolazione della cellula è continua la cellula non si “accende”.
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Lo Spaced learning o Apprendimento Intervallato è stato ideato da Paul Kelley, che ha cercato di dare applicazione didattica alle teorie di Douglas Fields e di tradurre le sue teorie in esperienze reali per gli studenti: Lo Spaced Learning, che ha avuto effetti sorprendenti negli apprendimenti. Si tratta di un insegnamento/apprendimento costituito da tre attività strutturate di circa 15/20 minuti, intervallate da pause di 10 minuti, che si è dimostrato particolarmente efficace nelle fasi di riepilogo e/o di recupero.
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Il progetto FLI-SPA 2020 Sulla base delle sperimentazioni di «Insegnamento intervallato» e della «flipped classroom», l’Associazione Docenti Italiani (Adi) ha proposto due anni fa, nel 2013, un progetto europeo per la sperimentazione e progettazione di unità didattiche per competenze il progetto FLI-SPA 2020. Sebbene non vi sia alcuna lista “how-to” associata alle migliori pratiche didattiche, ci sono comunque alcuni temi unificanti.
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Una squadra di educatori esperti dal Flipped Learning Network, insieme a Pearson (2013), ha individuato i quattro pilastri della FLIP, acronimo di: Flexible Environment, Learning Culture, Intentional Content, and Professional Educator.
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Il progetto FLI-SPA 2020 I quattro concetti sono comuni a tutte le metodologie in cui si ricerca un apprendimento “attivo” degli studenti e possono essere tradotte in italiano con: AMBIENTE DI APPRENDIMENTO FLESSIBILE, PROFONDO CAMBIAMENTO CULTURALE IN CAMPO EDUCATIVO, SELEZIONE RAGIONATA DEI CONTENUTI, CORPO DOCENTE CON ELEVATE COMPETENZE PROFESSIONALI.
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Il progetto FLI-SPA 2020 Una grossa parte della progettazione delle lezioni affrontate durante il progetto FLI-SPA 2020 si concentra proprio sulla valutazione: diventa fondamentale, al fine di una valutazione che abbia “significato”, incorporare nelle valutazioni non solo quelle disciplinari ma anche le competenze chiave o trasversali (agire in modo autonomo e responsabile, cooperare, imparare ad imparare …) che si possono e si devono sviluppare in un insegnamento efficace e che sempre più il mondo del lavoro richiede
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Capovolgere la propria classe o utilizzare lezioni intervallate non significa assolutamente che deve essere abolita la classica lezione frontale. I docenti dovranno valutare quali contenuti sarà opportuno continuare ad proporre frontalmente (dal momento che le lezioni frontali continuano ad essere uno strumento efficace per l’insegnamento di particolari competenze e concetti) e quali materiali potranno invece essere analizzati e studiati dagli studenti in maniera autonoma al di fuori dei gruppi di studio o riassunti nei Power Point delle lezioni intervallate.
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