DI ANALISI E TRATTAMENTO DEL DISAGIO

Presentazioni simili


Presentazione sul tema: "DI ANALISI E TRATTAMENTO DEL DISAGIO"— Transcript della presentazione:

1 DI ANALISI E TRATTAMENTO DEL DISAGIO
DIPARTIMENTO GIURISPRUDENZA Laurea magistrale in Politiche e programmazione dei servizi alla persona (classe LM- 87) METODI E TECNICHE DI ANALISI E TRATTAMENTO DEL DISAGIO Prof. Sara Sacchi A.A Testi: Diverse normalità, di Fruggero, Carocci (A) Dalla teoria generale dei sistemi alla teoria dell’attaccamento, di Loriedo-Picardi, Franco Angeli ( C ) 1

2 IL MODELLO BIO-PSICO-SOCIALE DI ANALISI E INTERVENTO
Modello di approccio alla persona, sviluppato da Engel negli anni ’80 basato su una concezione multidimensionale della salute, non solo intesa come assenza di malattia ma come stato di “Completo benessere fisico, psichico e sociale”OMS 1947 Sia nell’ottica della salute-benessere che del malessere- disagio, il soggetto è al centro di un sistema influenzato da molteplici variabili di tipo BIOLOGICO-PSICOLOGICO E SOCIALE Ogni condizione di salute e malattia è la conseguenza dell’interazione di tali fattori Il modello bio-psico-sociale trova il suo fondamento nella Teoria Generale dei Sistemi (L. Von Bertalanffy, 1945), intesi come entità dinamiche in cui le componenti sono in continua e reciproca interazione, in modo da formare un’unica entità o un tutto organico (Stone, 1987) 2

3 LIVELLI DI ORGANIZZAZIONE COINVOLTI NEL MODELLO BIO-PSICO-SOCIALE (Wapner, 1995)
Intrapersonale Socioculturale Sociale Interpersonale Fisico Biologico PERSONA - AMBIENTE 3

4 Proprietà fondamentali di un Sistema
Individuo=Sistema (insieme di elementi legati da relazioni di interazione) Proprietà fondamentali di un Sistema TOTALITA’ : il cambiamento di una parte provoca un cambiamento in tutte le altre parti del sistema RETROAZIONE: carattere circolare dei sistemi interattivi, per cui ogni comportamento influenza o è influenzato dal comportamento di ogni altro EQUIFINALITA’: analoghi risultati possono avere origini diverse. Stesse cause non producono medesimi effetti e viceversa. 4

5 Tutte le parti del Sistema sono interconnesse
Un Sistema (individuo) può essere compreso solo a partire dalla sua totalità Tutte le parti del Sistema sono interconnesse Esiste una relazione reciproca tra il sistema e l’ambiente esterno I processi di sviluppo e di adattamento di una persona avvengono in relazione ad uno specifico contesto L’operatore non deve considerare “malato” quello che gli viene presentato come tale, ma deve individuare i vari “malati” nel gruppo (più spesso nelle famiglie) e valutare su quale componente del gruppo è più opportuno indirizzare l’intervento Colloquio come strumento di analisi e trattamento del disagio L’AS deve padroneggiare le tecniche del colloquio, così come deve sapersi muovere all’interno di specifici quadri normativi che regolamentano l’accesso ai Servizi e la loro erogazione all’utenza 5

6 Possibili resistenze al cambiamento (inteso come processo che modifica una data situazione; essendo un qualcosa di nuovo e ignoto spaventa e crea angoscia, anche se la situazione di partenza è fonte di disagio) La famiglia e il sistema di cura (equipe) “resiste” al cambiamento perché non riesce a co-costruire nella relazione un modo nuovo di leggere la realtà. E’ chiuso nella sua auto- organizzazione. Il sistema di cura non riesce a dare nuovi significati

7 RESISTENZA: connota tutti i comportamenti degli utenti/famiglie non attesi dagli operatori in risposta a interventi che essi ritengono favorire il cambiamento. RESISTENZA=PERSISTENZA delle dinamiche disfunzionali o controproducenti sia a livello individuale che familiare RESISTENZA si verifica a causa della tendenza omeostatica del sistema, cioè la tendenza a mantenere un equilibrio raggiunto (paura del cambiamento: ruolo dell’operatore è saper entrare nel sistema senza “distruggerlo”, in maniera graduale, assumendo le caratteristiche del sistema stesso.

8 RESISTENZE Battaglia per il setting Risposte tangenziali Segreti Informazioni incomplete Non esecuzione delle prescrizioni Assenze (di uno o più membri) ai colloqui Appuntamenti saltati o rimandati Comunicazioni extra-colloquio Drop-out

9 Superare le resistenze facendosi accettare dall’utente/sistema/famiglia, in modo da operare cambiamento dall’interno: Ruolo relazione “accudente”- colloquio-comunicazione Se la relazione risponde in maniera soddisfacente ai bisogni di attaccamento- accudimento, l’utente/ sistema/famiglia può permettersi l’esplorazione delle novità introdotte dall’operatore all’interno di una relazione”sicura”

10 L’utente ha in se la possibilità di trasformarsi e l’operatore è solo un elemento che favorisce il processo di cambiamento! Se i membri del sistema non sperimentano la relazione d’aiuto come qualcosa che dà sollievo, mostreranno un comportamento difensivo. Questo porterà ad un irrigidimento e l’operatore potrà essere inglobato in un sistema disfunzionale. Se questo accade, lo stesso operatore si chiude nei propri meccanismi difensivi e diventerà meno esplorativo e creativo.

11 LINGUAGGIO/COMUNICAZIONE/RELAZIONE
Nella prospettiva psicologica la comunicazione diventa il tessuto che crea, mantiene, modifica e rinnova i legami (di qualsiasi tipo) tra i soggetti (Anolli, 2006) Sviluppo del linguaggio e della comunicazione come elementi chiave dello sviluppo della personalità. Ogni volta che un soggetto comunica qualcosa a un altro, egli definisce allo stesso tempo sé e l’altro: la comunicazione è la dimensione psicologica che produce e sostiene la definizione di sé e dell’altro, fin dall’infanzia. Il linguaggio è dunque l’atto sociale più diffuso. Secondo Vygotskij il linguaggio prima serve come mezzo per la comunicazione con il mondo esterno, poi come mezzo per comunicare con sé stessi (Dialogo Intrapsichico, Vygotskij, 1934 ) Lo sviluppo del linguaggio ha quindi un ruolo determinante nel sostenere la capacità del bambino di funzionare come agente causale interattivo nelle relazioni sociali. I contesti sociali stimolano, inoltre, il completo sviluppo di questa potenzialità umana. 11

12 LINGUAGGIO/COMUNICAZIONE/RELAZIONE
Inizialmente la comunicazione è rudimentale e focalizzata sullo scambio di segnali/stati affettivi tra bambino e caregiver. Questa si affina nel tempo e il suo sviluppo è influenzato anche dalla qualità di risposta del caregiver ai bisogni del bambino. Lo sviluppo del linguaggio simbolico -dopo i 18 mesi- permette di comunicare i propri stati affettivi, rinsaldando la relazione con gli altri e la capacità del B. di autoriflessione. La comunicazione comprende qualcosa di più degli scambi linguistici, coinvolge molti processi (imitazione, simbolizzazione, confronto sociale, espressione emotiva non verbale, comportamento ecc..). La comunicazione riflette dunque la storia delle relazioni di ognuno, la personalità e le concezioni di sé e degli altri, le aspettative sulle possibilità di una certa relazione (cfr. MOI) e le regole sociali che governano la conversazione. Le competenze comunicative esercitano influenze pervasive sullo sviluppo e sul funzionamento della personalità. 12 12

13 TEORIA DELLA COMUNICAZIONE
Attraverso la comunicazione entriamo in relazione agli altri: Natura circolare della comunicazione/relazione La comunicazione risulta essenziale per generare, alimentare e conservare il benessere psicologico fra le persone, così come essa è alla base delle manifestazioni più svariate di sofferenza e disagio psicologico 5 presupposti alla comunicazione 1- Emittente 2- Ricevente 3- Codice-Trasmettitore (numerico, analogico: consente la trasformazione del messaggio in segnali fisici ) 4- Canale (mezzo che trasferisce il messaggio: vocale, non vocale, cinesico, scritto..) 5- Messaggio 13

14 ASPETTI PRAGMATICI DELLA COMUNICAZIONE UMANA
P.Watzlawick, J.H. Beavin e Don D. Jackson del Mental Researc Institute (MRI) di Palo Alto hanno teorizzato la “Pragmatica della comunicazione umana” (1971) dove vengono enunciati i 5 assiomi della comunicazione 14

15 1- è impossibile non comunicare, nel senso non è possibile non avere un comportamento: sia l’attività che la non/attività hanno valore di messaggio. Anche uno psicotico, nel suo apparente isolamento dal mondo, comunica qualcosa; la sua comunicazione è caratterizzata dal non-impegno. 2- ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto ed un aspetto di relazione di modo che il secondo classifica il primo acquistando valore di metacomunicazione. In una relazione sana, l’aspetto di relazione fa da sfondo, mentre in una relazione patologica l’aspetto di relazione balza in primo piano (vi sono, tuttavia, anche relazioni sane, in cui l’aspetto di relazione è prevalente, ad esempio nella relazione madre-bambino). La capacità di metacomunicare, cioè di dire qualcosa rispetto alla relazione, è il presupposto per una comunicazione efficace, che implica una consapevolezza di sé e degli altri. 15

16 3. la natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti. Dove comincia una sequenza di eventi comunicativi? Come interpretarla? In una relazione, la punteggiatura è soggettiva e serve ad organizzare gli eventi comportamentali (nei conflitti c’è spesso un problema di punteggiatura: “E’ colpa tua!” / “No, è colpa tua!”). Ci troviamo quindi di fronte ad un’ambivalenza tra la circolarità ipotizzata dalla teoria sistemica, e la necessità di punteggiare sequenze di comportamento. Tuttavia, l’innovazione è rappresentata dal fatto di poter pensare che non c’è un’unica punteggiatura possibile. E’ l’operatore che deve garantire la circolarità, spezzando i nessi lineari causa-effetto, ed introducendo il concetto di circolarità delle relazioni. 16

17 Gli uomini comunicano sia con il modulo numerico che con quello analogico. Il linguaggio numerico ha una sintassi logica assai complessa e di estrema efficacia, ma manca di una semantica adeguata nel settore della relazione, mentre il linguaggio analogico ha la semantica, ma non ha alcuna sintassi adeguata per definire, in un modo che non sia ambiguo, la natura delle relazioni. Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari, a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza. La relazione simmetrica presuppone rapporti basati sull’uguaglianza e sulla minimizzazione delle differenze. viceversa, la relazione complementare è basata sulla minimizzazione dell’uguaglianza e l’enfatizzazione della differenza (relazione one up/one down) 17

18 Dimensioni del contesto Luogo Situazione relazionale Storia
Qualsiasi comunicazione avviene all’interno di un contesto, in cui prende forma ed assume significato ogni comportamento umano (E’ il contesto a fissare il significato-Bateson) Dimensioni del contesto Luogo Situazione relazionale Storia Il contesto ha un carattere dinamico e può essere modificato dalla comunicazione 18

19 TEORIA DELLA COMUNICAZIONE
INFORMAZIONE VS COMUNICAZIONE INFORMAZIONE: è una comunicazione che implica lo scambio di nuove conoscenze ed aggiunge un qualcosa di nuovo alla relazione in corso tra i comunicanti L’informazione è una comunicazione che produce cambiamento (Bateson: l’informazione è una differenza che produce differenza) COMUNICAZIONE: atto di mettere qualcosa in comune tra due o più esseri viventi, cioè un essere vivente comunica con un altro se c’è qualcosa in comune tra i due o se qualcosa viene trasferito dal primo al secondo. 19 19

20 Questa definizione di Comunicazione comporta il problema della intenzionalità, cioè se la comunicazione sia un atto puramente intenzionale o si verifichi indipendentemente dalla intenzione di trasmettere ad altri un messaggio. E’ difficile valutare l’intenzionalità, soprattutto del comportamento non verbale, spesso veicolo di informazioni pur essendo inconsapevole Comunicazione non è sempre informazione, in quanto non sempre introduce elementi di novità L’AS, nel corse del colloquio, deve saper distinguere tra comunicazione e informazione. E’ importante fare attenzione a ciò che la persona sta comunicando, ma è forse ancora più importante estrapolare dal discorso elementi informativi che ci consentono non solo di focalizzare la richiesta, ma anche di iniziare ad ipotizzare possibili soluzioni in risposta al bisogno emerso. 20 20

21 Generare e sviluppare una relazione Mantenere e rinnovare la relazione
FUNZIONI DELLA COMUNICAZIONE Comunicazione come radice della socialità intrinseca (Vygotskij, 1956), partecipa a: Generare e sviluppare una relazione Mantenere e rinnovare la relazione Cambiare la relazione Restaurare una relazione Estinguere una relazione Funzione relazionale 21 21

22 Funzione referenziale
è lo scambio di informazioni tra gli interlocutori su un oggetto o “referente” (aspetto di contenuto della comunicazione). L’approfondimento di questa funzione implica l’analisi della semantica del linguaggio (problema del significato). Perché si abbia uno scambio comunicativo riuscito a livello referenziale e si evitino fraintendimenti, è importante che gli interlocutori condividano una stessa struttura semantica (problemi riguardanti la codifica e la decodifica dei messaggi). * Possibili difficoltà sul piano della comunicazione referenziale con chi appartiene ad un’altra cultura o parla una lingua differente (Ruolo mediatore linguistico- culturale) 22 22

23 Funzione interpersonale (o espressiva)
Le informazioni scambiate durante una comunicazione riguardano molti aspetti relativi ai partecipanti all’interazione e alle relazioni esistenti tra loro. Tali informazioni possono riguardare l’identità sociale e personale (dal linguaggio si possono trarre molte inferenze circa le caratteristiche di una persona: sesso, cultura, estrazione sociale, razza, occupazione, provenienza…), stati emotivi temporanei e atteggiamenti abituali, relazioni sociali. Funzione di auto ed eteroregolazione (o di controllo) Questo aspetto strumentale della comunicazione è finalizzato al conseguimento di un dato obiettivo (con la comunicazione si vuole ottenere qualcosa- nei casi estremi comunicazione con fini manipolatori). 23 23

24 Funzione di coordinazione delle sequenze interattive
Presenza,condivisione e uso delle regole in ogni scambio interattivo, perché non sia un accostamento caotico e incomprensibile di gesti e parole. Funzione di metacomunicazione La metacomunicazione è una comunicazione sulla comunicazione (sto scherzando, è un complimento ecc..). Metacomunicare significa rendersi conto che il proprio sistema di codifica linguistica può essere diverso da quello di altri e permette di evidenziare gli aspetti relazionali propri dello scambio comunicativo. 24 24

25 INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE Comunicazione e Informazione:
I sistemi interpersonali possono essere considerati circuiti di retroazione, poiché il comportamento/comunicazione di ogni persona influenza ed è influenzato dal comportamento/comunicazione di ogni altra persona (CIRCOLARITA’) In ogni comunicazione i partecipanti cercano di determinare la natura della loro relazione. Il rapporto emittente-ricevente è mediato dalla comunicazione. INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE Differenza tra Comunicazione e Informazione: comunicare significa mettere qualcosa in comune; informare è comunicare una novità, un qualcosa che modifica, fa evolvere, dà nuove forme. . 25 25

26 COMUNICAZIONE VERBALE ED INFORMAZIONE
La comunicazione verbale seleziona ed eventualmente manipola l’informazione. Parlando, infatti, si può negare o tacere un’informazione, la si può dissimulare, parlando di cose diverse, e naturalmente si può mentire. Mentre l’informazione disponibile nel nostro campo percettivo è informazione immediata (ovvero ciò che colgo dai gesti, dallo sguardo, dall’odore, dall’abbigliamento..insomma dal non verbale e dal contesto in cui avviene l’interazione), l’informazione comunicata è informazione mediata dalla comunicazione. La comunicazione che intende fornire informazioni viene chiamata comunicazione informativa. 26 26

27 La comunicazione informativa fornisce:
informazioni dirette, corrispondenti agli enunciati espositivi, ovvero informazioni trasmesse intenzionalmente tramite una comunicazione informativa; 2) informazioni indirette, ricavate stabilendo attivamente e autonomamente delle connessioni tra le informazioni ricevute ed altre informazioni già disponibili. 27 27

28 Riassumendo ci sono almeno due diversi modi per valorizzare e mantenere la distinzione tra comunicazione verbale e informazione. In primo luogo, quanto viene comunicato a parole non sempre ha lo scopo principale di fornire informazioni; inoltre, le informazioni che possono essere ricavate da quanto viene detto spesso non coincidono con le informazioni che chi ha parlato intendeva dare. In secondo luogo, una stessa informazione può essere data a livello verbale in modo diretto o indiretto e questa differenza è rilevante sotto il profilo comunicativo 28 28

29 COMUNICAZIONE NON VERBALE E INFORMAZIONE
A volte è possibile parlare di comunicazione non verbale nello stesso senso in cui lo si fa per quella verbale: è il caso del linguaggi gestuale dei sordomuti e di alcuni segni convenzionali. Questa comunicazione, come quella verbale, è intenzionale. Ma si possono ricavare informazioni da segni naturali che non ci sono affatto comunicati (es: i sintomi di una malattia fisica), o da segni non verbali naturali (es: arrossire). I segni naturali non sono prodotti intenzionalmente e non sono prodotti secondo un codice. Il controllo esercitato su questi aspetti del comportamento è ritenuto a ragione minore di quello normalmente esercitato sul comportamento verbale. 29 29

30 Per il comportamento non verbale, come per quello verbale, conviene quindi mantenere la distinzione tra comunicazione ed informazione. La comunicazione è legata all’idea di qualcosa che si trasmette, si dà e si riceve; mentre l’informazione è sì qualcosa che si trasmette, ma è anche prima di tutto qualcosa che si coglie e si ricava Indichiamo con il termine generico di contrasto l’emergere di informazioni che mal si accordano tra loro, riservando quello di incongruenza al contrasto tra informazioni ricavate dall’osservazione del comportamento verbale e quello non verbale. 30 30

31 COMUNICAZIONE NON VERBALE
INSIEME DI MESSAGGI NON TRASMESSI TRAMITE CANALE VOCALE E NON CODIFICATI CON MODALITA’ NUMERICHE INFLUENZA LA QUALITA’ DELLA RELAZIONE TRA COMUNICANTI 1) DISTANZA intima-personale-sociale-pubblica 2) ORIENTAZIONE fianco a fianco-parallela-frontale 3) POSTURA eretta-a sedere-rannicchiata-congruente al verbale 4) SGUARDO 31 31

32 5) ESPRESSIONE DEL VOLTO 6) GESTUALITA’
-gesti emblematici o simbolici (usati a posto delle parole -illustratori (per accentuare, sottolineare quanto detto) -espressivi (segnalano un’emozione, un sentimento..) -regolatori (legati al verbale, ne regolano il flusso) -adattivi (modalità inconsapevole di adattarsi ai messaggi ricevuti o soddisfare propri bisogni) -rivelatori (inavvertiti, contraddicono il verbale) 7) CONTATTO palmare, affettivo-di controllo 32 32

33 LA COMUNICAZIONE DISFUNZIONALE E PATOLOGICA
Di fronte ad una comunicazione/definizione che la persona da di sé ci si può porre in diversi modi: ACCETTAZIONE O CONFERMA RIFIUTO, che può consistere anche nell’abbandono del contesto e non è di per sé patologico, presuppone il riconoscimento dell’altro; SQUALIFICA INTERPUNZIONE ARBITRARIA PROBLEMI NELLA DEFINIZIONE DELLA REL. SINTOMO COME COMUNICAZIONE/DIFESA 33 33

34 LA COMUNICAZIONE DISFUNZIONALE E PATOLOGICA
SQUALIFICA: comunicazione, successiva o contemporanea al messaggio, le quale ne riduce o ne annulla il valore. - autosqualifica ESEMPI DI SQUALIFICHE 1- Evasività: discontinuità di contenuto nella risp. senza alcuna indicazione della ricezione del messaggio 2- Fraintendimenti 3- Cambiamento del discorso: discontinuità di contenuto nella risp. accompagnata da un’indicazione di ricezione 4- Interpretazioni letterali: discontinuità di livello di argomento 34 34

35 LA COMUNICAZIONE DISFUNZIONALE E PATOLOGICA
5- Specificazione: fornire una risposta specifica ad un tema generale 6- Squalifica di status: l’argomento viene deviato dal contenuto del messaggio al suo emittente dello stesso e al suo inadeguato status Ad una squalifica si può rispondere con l’accettazione della squalifica stessa, con il ritiro della comunicazione, con una controsqualifica, con una critica esplicita o richiesta di spiegazioni (metacomunicazione). 35 35

36 LA COMUNICAZIONE DISFUNZIONALE E PATOLOGICA
Squalifica incongruente: vengono contemporaneamente trasmessi messaggi su canali comunicativi diversi (spesso in nuclei con membro psicotico) Squalifica sequenziale: spesso nelle famiglie con un membro depresso, dove il membro “sano” squalifica l’altro (es. “Se non ti tenessi in grande stima come farei a stare con un incapace come te?” Loriedo e Vella, 1991) 36 36

37 INTERPUNZIONE ARBITRARIA: si verifica quando due individui, interpretando ognuno a modo suo una sequenza interattiva, si attribuiscono vicendevolmente colpe e responsabilità, il che può dare origine a un cronico disaccordo o circolo vizioso poiché l’interlocutore crede di reagire a certi comportamenti e non di provocarli. Si può uscire solo attraverso una metacomunicazione, ovvero uscendo dal circolo vizioso lineare per chiarire quali intoppi si siano creati nella loro comunicazione 37 37

38 SIMMETRIA prevede il sopravvento la competitività, ognuno tenta di essere “un po’ più uguale all’altro” col rischio di escalation conflittuali e runaway NB i partner si accettano per come sono, per come si definiscono nella relazione con l’altro COMPLEMENTARIETA’ RIGIDA nella relazione predomina in assoluto un componente rispetto all’altro (one up/one down), con benestare di entrambi e senza flessibilità rispetto alle varie fasi evolutive o del ciclo vitale. Problema tipico quando A chiede a B di confermare la definizione che da di sé stesso e che è in contrasto con il modo in cui B vede A PROBLEMI NELLA DEFINIZIONE DELLA RELAZIONE – DISCONFERMA- Al messaggio “Ecco come mi vedo” la risp. è “tu non esisti” (VS “Hai torto” implicito nel rifiuto : negazione dell’esistenza stessa dell’emittente da parte del ricevente / AUTODISCONFERMA 38 38

39 Comunicazione ironica Comunicazione seduttiva Comunicazione menzognera
39 39

40 IL COLLOQUIO NELLA RELAZIONE DI AIUTO
“Il colloquio è uno strumento fondamentale del processo di aiuto: si tratta di una forma di comunicazione interpersonale guidata dall’assistente sociale verso uno scopo o una molteplicità di scopi al fine di instaurare con la persona una relazione che favorisca la comprensione reciproca della situazione in esame, permetta di intravedere soluzioni possibili e motivi gli stessi a impegnarsi nella realizzazione dei compiti connessi con le soluzioni prospettate” (Dal Pra Ponticelli, 1987) Attraverso il colloquio si veicolano sia gli aspetti legati alla costruzione di una relazione significativa, orientata alla crescita dell’utente, sia quelli finalizzati ad attivare i mezzi, le opportunità di cui dispone l’Istituzione, ma anche le risorse formali/informali presenti nella comunità. 40 40

41 IL COLLOQUIO NELLA RELAZIONE DI AIUTO
“Il colloquio è uno strumento fondamentale dell’assistente sociale utilizzato in tutte le sue dimensioni dell’intervento professionale: sia nel rapporto diretto con l’utente all’interno del processo di aiuto, sia nei diversi contesti operativi. In quanto strumento il colloquio va utilizzato in maniera consapevole e richiede l’impiego di tecniche congruenti con il modello teorico scelto come orientamento per l’operatività“ (Campanini, 2005) 41 41

42 IL COLLOQUIO NELLA RELAZIONE DI AIUTO
Il colloquio professionale, in quanto interazione non occasionale che avviene all’interno di un contesto, che contribuisce a connotarne le caratteristiche, le modalità, le regole, è una forma particolare di relazione con degli specifici obiettivi. A rendere il colloquio uno strumento efficace contribuiscono: - il contesto specifico nel quale questo avviene - il carattere dell’intenzionalità che ne definisce il contenuto e caratterizza lo scambio dell’interazione - il motivo che ne sta alla base - gli obiettivi che si vogliono raggiungere - le dinamiche del potere che si esplicano tra gli individui coinvolti 42 42

43 IL COLLOQUIO NELLA RELAZIONE DI AIUTO
E’ la tipologia dell’organizzazione/servizio in cui si opera che seleziona le caratteristiche della potenziale utenza, che definisce gli obiettivi generali e denota la relazione (contesto) Va tenuto conto della specificità del ruolo professionale: “L’operatore agisce entro i limiti del mandato dell’utenza e/o del Servizio di appartenenza; ha responsabilità di condurre il colloquio, di far domande, di circoscrivere o approfondire le aree di indagine, di aiutare l’utenza ad esprimere fatti e sentimenti, nonché di impegnarsi a realizzare gli obiettivi concordati” (Lerma, 1992) Lo scopo del colloquio deve essere accettato e condiviso sia dall’A.S. che dall’utente, anche se possibile nei casi di intervento coatto e coercitivo 43 43

44 IL COLLOQUIO NELLA RELAZIONE DI AIUTO
Nel colloquio assumono particolare rilevanza sia aspetti di contenuto che di relazione La relazione veicolata dal CV e CNV costituisce un aspetto fondamentale del processo di aiuto, in quanto favorisce la costruzione di un contesto di collaborazione con la persona “Il rapporto che si stabilisce tra A.S. e utente è sbilanciato in termini di potere: da una parte l’A.S. esperto del sistema servizi, dei processi di presa in carico delle difficoltà, delle problematiche che vengono considerate, dall’altro, la persona, interprete di una situazione-problema in possesso di strategie operative deboli o perdenti” (Ferrario, 1992) 44 44

45 IL COLLOQUIO NELLA RELAZIONE DI AIUTO
Relazione di aiuto asimmetrica, non siete amici ma neanche maestri ( “Non si realizza fra gli interagenti una parità di diritti e doveri comunicativi, ma i partecipanti si differenziano per un accesso diseguale ai poteri di gestione dell’interazione”- Orletti,2000) L’A.S. nella relazione di aiuto si trova in una posizione relazionale asimmetrica nei confronti dell’utente in quanto possiede delle competenze professionali a cui quest’ultimo fa riferimento per superare una situazione di difficoltà L’asimmetria in termini di potere è legata anche al compito di guida e di controllo che l’A.S. deve ricoprire per orientare il processo di aiuto, facendosi sempre guidare dai principi etici di riconoscimento del valore della persona e del suo diritto ad autodeterminarsi 45 45

46 IL COLLOQUIO NELLA RELAZIONE DI AIUTO
L’operatore deve avere consapevolezza della posizione che occupa all’interno dell’interazione e deve saper gestire correttamente il potere che deriva dall’esercizio del ruolo professionale L’A.S. deve sapersi porre in una misura giusta evitando sia l’effusione affettiva e il suo completo coinvolgimento emotivo, sia l’eco superficiale che da solo la sensazione di un distacco burocratico e routinario e fa sentire l’utente un caso e non una persona (Dal Pra Ponticelli, 1987) Messe alla prova (figli, età, squalifiche…) Battaglia per il setting (orari, mancati appuntamenti..) Gestione dei conflitti-assertività 46 46

47 IL COLLOQUIO NELLA RELAZIONE DI AIUTO
Caratteristiche essenziali nella relazione di aiuto: Autenticità dell’operatore sociale Accettazione positiva incondizionata o rispetto dell’utente (Rogers) Comprensione empatica 47 47

48 ABILITA’ DI BASE-COMPETENZA COMUNICATIVA
Capacità di comunicare la propria empatia Capacità di ascolto attivo Capacità di riformulazione-chiarificazione Consapevolezza CNV Capacità di auto-osservazione e auto-monitoraggio Capacità di osservare l’evoluzione del rapporto interattivo Capacità di gestire le diverse fasi del colloquio Capacità di condurre correttamente l’interazione (no induzione risposte, spontaneità, risposte ostacolo) ovvero sapere quando parlare e quando tacere, cosa dire e a chi, quando dove e in che modo 48 48

49 ATTEGGIAMENTI SCORRETTI
Risposte di valutazione e giudizio morale: indicatori linguistici (si deve-è giusto-bisogna..) Risposta di interpretazione o spiegazione personale (distorsioni e personalizzazioni) Risposta di supporto o di sostegno-consolazione Risposta investigativo-inquisitoria Risposta di soluzione del problema Fornire informazioni nel modo o momento sbagliato Generalizzazioni Ragionamento emotivo e pensieri assoluti 49 49

50 SVOLGIMENTO DEL COLLOQUIO
Genuino interesse per l’utente, accettazione positiva delle sue caratteristiche e comprensione empatica Colloquio non direttivo: partecipazione attiva alla narrazione dell’utente e al suo modo di vedere il mondo Ascolto attivo- dimensione di assertività Riformulazione Fare domande 50 50

51 Cogliere i messaggi non dichiarati, impliciti
ASCOLTO ATTIVO Ascolto= Atto intenzionale che ci impegna a cogliere quanto l’Altro ci riferisce sia a livello verbale che non verbale Cogliere i messaggi non dichiarati, impliciti Mantenere la concentrazione su ciò che l’Altro dice, senza interromperlo o costringerlo al silenzio Cercare di cogliere la positività dell’Altro Abbassare la soglia della propria soggettività Trattenersi da reazioni emotive inadeguate 51 51

52 Cosa l’altro mi voleva dire…e non mi ha detto?
UN PICCOLO ESERCIZIO… Descrivi su un foglio il ricordo di un episodio/incontro/scontro particolarmente significativo per la tua esperienza professionale/relazionale. Scrivine i CV e CNV relativi. Prova a rispondere alle seguenti domande: Cosa l’altro mi voleva dire…e non mi ha detto? Cosa l’altro diceva di sé…e non ha dichiarato? Cosa l’altro voleva ottenere…e non mi ha chiesto? Che tipo di relazione aveva instaurato con me e come voleva modificarla..voleva imporsi o sottomettersi?..oppure? Che stati d’animo esprimeva…senza rivelarli direttamente? 52 52

53 ALCUNI SUGGERIMENTI… Assumete un atteggiamento di interesse nei confronti di qualsiasi argomento Scoprite le virtù e le risorse della persona, cercate di capire i suoi lati migliori Evitate di farvi intrappolare dalle vostre emozioni negative (invidia, rabbia, ansia, noia, paura….) Siate sensibili agli stati d’animo della persona attraverso un’attenzione alla CNV 53 53

54 LA RIFORMULAZIONE (Carl Rogers)
Non una tecnica, ma un modo di porsi, un atteggiamento nella relazione A livello formale consiste nel ripetere con altre parole, in modo più chiaro, ciò che la persona ha detto Di solito breve e chiara, rimanda qualcosa di già detto in altre parole Non è un’affermazione, ma implica una richiesta di conferma da parte dell’interlocutore E’ un tentativo di comprensione empatica dell’utente Riflette quello che l’operatore sociale ha compreso dal CV e CNV dell’utente Non necessariamente giusta, apre nuovi spiragli di comunicazione 54 54

55 La riformulazione è il motore della relazione di aiuto, in quanto modalità tecnica di partecipazione al colloquio che traduce un atteggiamento caratterizzato da ascolto attivo, empatia, comprensione Stimola la persona nel processo di espressione e promuove la comprensione personale 3 tipi secondo Rogers: Riformulazione semplice-Riformulazione del sentimento- Chiarificazione o delucidazione 55 55

56 1) RIFORMULAZIONE SEMPLICE
Rimandare alla persona il contenuto manifesto della sua comunicazione, riformulazione- riflesso o riformulazione-parafrasi Riassumere la comunicazione della persona, da la sensazione di sentirsi compreso Eco o reiterazione semplice Reiterazione parziale Parafrasi Riformulazione/riassunto di una porzione più estesa di discorso 56 56

57 2) RIFORMULAZIONE DEL SENTIMENTO
Serve a far emergere l’intenzione, l’affetto, l’emozione impliciti nelle parole, proponendoli alla persona Tradurre in parole i sentimenti che si evincono dalle parole dell’utente Consiste nel riflettere un aspetto emotivo privato e personale Competenza critica del processo di aiuto, ci vuole esperienza, empatia, capacità di osservazione No interpretazione 57 57

58 3) CHIARIFICAZIONE E’ la forma più complessa di riformulazione, in quanto mira a rilevare atteggiamenti e sentimenti che non derivano direttamente dalle parole del soggetto, ma che possono essere per logica dedotte dalla comunicazione e dal suo contesto (Rogers e Kinget, 1965) E’ una deduzione da parte dell’operatore E’ maggiore l’apporto dato alla rilettura degli stati interni, così come è possibile che contenga elementi di giudizio Più simile all’interpretazione, trova spazio nel colloquio psicologico più che sociale 58 58

59 La domanda è una tecnica direttiva ma essenziale.
LE DOMANDE La domanda è una tecnica direttiva ma essenziale. E’ l’operatore che decide cosa, quando e come chiedere qualcosa In questo modo si orienta il discorso verso un preciso ambito (es. indagine sociale) Sempre tramite domande l’operatore verifica di aver compreso correttamente la persona 59 59

60 ALCUNE INDICAZIONI DI BASE
Formulare domande con voce chiara e in modo abbastanza lento Domande brevi e semplici Usare un linguaggio vicino a quello dell’utente Non abusare di domande, specie se poco rilevanti Fare domande ricollegandole al discorso della persona Preparare la persona a rispondere alle domande Domande al momento più opportuno 60 60

61 DIVERSI TIPI DI DOMANDE - Domande aperte
- Domande semiaperte – i chi, come, quando, “perchè” che inibiscono non stimolano la riflessione ma portano la persona a fornire informazioni precise - Domande chiuse - Domande interlocutorie: sia chiuse che aperte vorrebbe parlarmi di…può raccontarmi… - Domande indirette o implicite: mi chiedo…mi domando…deve sentirsi.. - Domande proiettive, rivolte a prospettive future - Domande circolari ERRORI - Domande multiple - Domande retoriche - Domande allusive/induttive 61 61

62 . Mi chiedo come si sia comportato in quella situazione (indiretta)
ESERCITAZIONE . Mi chiedo come si sia comportato in quella situazione (indiretta) . Come si è comportato in quel momento? (aperta) .Non è d’accordo con me? (allusiva) .Perchè si è comportato in quel modo? (semiaperta) .Pensa che il suo comportamento abbia qualche significato? (aperta) . Ci siamo capiti? (retorica) .Se la sente di dirmi come si è comportato in quel momento? (interlocutoria) . Se dovesse esprimermi tre desideri per suo figlio quando crescerà, quali sarebbero? (proiettiva) . Quando ha lasciato suo figlio solo a casa? (semiaperta) . Ha mai fatto uso di sostanze stupefacenti? (chiusa) . Le è mai capitato di lasciare suo figlio solo a casa? O lo ha lasciato sempre coi nonni? O magari lo ha portato a casa di un amichetto? (multipla) . Qual è il rapporto tra suo figlio e i nonni? (circolare) . Vorrebbe raccontarmi meglio cosa è successo quel giorno? (interlocutoria) . Nessuno lascerebbe un bambino piccolo solo in casa, no? (retorica) . Possibile che non si sia preoccupato? (allusiva) 62 62

63 ASSERTIVITA’-COMPONENTI (Nanetti)
1) saper affermare sé stessi, comunicare autenticamente e chiedere secondo le proprie aspettative, intenzioni e necessità 2) saper esprimere e condividere emozioni e sentimenti 3) saper dissentire, rifiutare, dire di no 4) saper ascoltare 5) saper negoziare 6) saper rischiare 7) saper criticare e saper rispondere alle critiche 8) saper offrire, chiedere, rifiutare apprezzamenti 9) saper decidere e realizzare obiettivi concreti 63 63

64 SAPER GESTIRE I CONFLITTI E SAPER NEGOZIARE
Chi gestisce i conflitti in modo assertivo non si impone sull’altro ma attraverso un aperto confronto e compromessi, pone le basi per raggiungere un accordo di reciproca soddisfazione Conflitti fisiologici Conflitti di relazione 64 64

65 Spesso la gestione del conflitto è ostacolata da:
Un pregiudizio sull’altro o su di sé Argomentazioni di superficie, quando non vengono ammessi i veri motivi di disaccordo Pregiudizi di valutazione, quando si colgono solo le info congruenti con la propria tesi Convinzione che esista un’unica soluzione al problema Eccesso di coinvolgimento emotivo 65 65

66 La soluzione del conflitto presuppone:
Un aperto riconoscimento del conflitto Un’individuazione chiara degli obiettivi e delle motivazioni per cui si è in conflitto L’assunzione di un atteggiamento cooperativo che consente di passare dal conflitto di relazione al conflitto di contrasto o di confronto di idee- costruttivo 66 66

67 IL COLLOQUIO NELLA RELAZIONE DI AIUTO
Imparare a gestire il silenzio Non esaurire il campo Comunicativo agli Aspetti verbali Astenersi dal dare consigli affrettati Privilegiare l'umanità e non i tecnicismi Resistere alle fantasie di onnipotenza Resistere alla tentazione di fare qualcosa a tutti i costi INTERAZIONE COSTRUTTIVA A.S./UTENTE Riconoscere in ogni utente un individuo 67 67

68 LO STUDIO DELLA FAMIGLIA COME SISTEMA
Qual è la famiglia «normale»? Molteplicità delle forme familiari (Fruggeri), cultura della differenza. Recenti trasformazioni strutturali e culturali della famiglia. Difficile individuale criteri che definiscano quale sia la famiglia normale, sana, funzionale e quale no Anche famiglie che ci appaiono funzionali possono andare incontro a modifiche in relazione a varie fasi del ciclo vitale o a particolari eventi critici, così come possono apparirci diverse in base al luogo ed alla situazione in cui le osserviamo 68 68

69 LO STUDIO DELLA FAMIGLIA COME SISTEMA
COMPOSIZIONE DELLA FAMIGLIA F. monogenitoriali (madri nubili e figli; genitore vedovo e figli) F. bigenitoriali (2 genitori) F plurigenitoriali (famiglie ricomposte) STRUTTURA DELLA FAMIGLIA Nucleari -coppia senza figli -coppia coniugale e figli biologici -coppia con figli adottivi e/o biologici Plurinucleari -2 nuclei monogenitoriali (separazione) -famiglie ricomposte (figli di precedenti unioni) -famiglie con nucleo originario e affidatario 69 69

70 LO STUDIO DELLA FAMIGLIA COME SISTEMA
DIFFERENZE: APPARTENENZA ETNICA (etnia prevalente/minoritaria; genitore di etnia differente dai figli; partner di diversa etnia) ORIENTAMENTO SESSUALE (coppie eterosessuali/omosessuali) PROVENIENZA GEOGRAFICA (F. autoctone/immigrate) PLURALITA’ DI PROCESSI INTRA ED EXTRAFAMILIARI IN CUI I NUCLEI SONO INSERITI Continuità e discontinuità delle famiglie contemporanee 1-La funzione genitoriale può non coincidere con quella coniugale 2-Possono esserci famiglie che si articolano in nuclei diversi (confini abitativi e affettivi) 3-I ruoli della famiglia possono non coincidere con quelli di genere 4-La famiglia può essere diversificata sul piano culturale 5-I genitori allevanti possono essere diversi dai genitori biologici (famiglie per affetto e per professione) 70 70

71 LO STUDIO DELLA FAMIGLIA COME SISTEMA
Ogni valutazione della famiglia deve essere inserita in una prospettiva evolutiva Nessuno stile di relazione familiare è di per sé normale o patologico In generale il funzionamento familiare sano è dotato di un adeguato livello di coesione, flessibilità e adattabilità alle richieste con cui la famiglia si deve confrontare Inoltre esistono confini chiari, una solida gerarchia intergenerazionale e una condivisione sufficientemente paritaria di potere tra genitori 71 71

72 LO STUDIO DELLA FAMIGLIA COME SISTEMA
LA STRUTTURA FAMILIARE Gerarchia: non ha a che fare tanto col potere all’interno della F. quanto con l’attuazione della competenza genitoriale (sottosistemi chiari VS inversione ruoli) Confini: regole che presiedono al passaggio dell’informazione (chiari/diffusi- invischiamento/rigidi-disimpegno), sia intra che extra familiari 72 72 72

73 IL CICLO DI VITA: PREMESSE
L’Assistente sociale opera al fine di prevenire e risolvere situazioni di disagio e di emarginazione di singole persone, di nuclei familiari e di particolari categorie (minori, anziani, tossicodipendenti, disabili, ecc.) Ogni individuo è portatore di una storia, che si è sviluppata nel tempo Lo sviluppo è il risultato dell’interazione tra individuo e ambiente L’Assistente Sociale attua una presa in carico globale della persona, considerata parte di un nucleo familiare, dotato di sue proprie caratteristiche, che influenzano la persona stessa L’Assistente Sociale deve conoscere le principali fasi del ciclo di vita, per poter intervenire con competenza sul contesto socio-ambientale che le ha influenzate 73 73

74 DIAGRAMMA MODELLO AMBIENTALE A STRUTTURE CONCENTRICHE DI BRONFENBRENNER (1979)
74 74

75 75 75

76 -Dove individuereste i confini tra i vari stadi?
IL CICLO DI VITA ESERCITAZIONE Utilizzando come base l’età cronologica, dividete il corso della vita in ciò che vi sembra una serie logica di stadi. -Dove individuereste i confini tra i vari stadi? - Quali sono le caratteristiche fondamentali di ogni stadio in termini di compiti e problemi di base dell’individuo? Aspettative da parte della società? Occupazione di ruoli? 76 76

77 IL CICLO DI VITA GLI STADI DELLA VITA 1.Prima infanzia 0-2 anni: ruolo di temperamento, attaccamento, ambiente socio-economico- sanitario (stadio senso motorio Piaget: apprendimento concreto e attivo) 2.Il periodo prescolastico 2-6 anni: sviluppo motorio, emotivo-affettivo, capacità di regolazione del comportamento, dimensione sociale, comparsa di una teoria della mente (stadio pre-operatorio:apprendimento più riflessivo, il B. acquisisce capacità di usare simboli e rappresentazioni verbali degli oggetti/eventi) 77 77

78 IL CICLO DI VITA 3. Infanzia 6-12 anni: sviluppo cognitivo e morale, ampliamento rete sociale ed extrascolastica, sviluppo fisico costante e lineare (Stadio Operatorio Concreto: crescente comprensione della logica delle classificazioni e delle relazioni che permette al B. di cogliere le leggi della conservazione) 4.Adolescenza anni: pubertà, identità in costruzione, esigenze di sicurezza e indipendenza in contrasto, accesso al pensiero astratto/simbolico (Stadio Operatorio Formale: capacità di applicare ragionamenti astratti a situazioni reali e ipotetiche) 5. Prima età adulta anni: «raggiungere intimità, operare scelte professionali e conseguire successi sul lavoro sono le sfide fondamentali dell’età adulta» <Rice, 1995>, possibile genitorialità 78 78

79 IL CICLO DI VITA 6. L’età adulta media anni: la maggior parte delle abilità cognitive sono preservate, primi segnali invecchiamento (es. menopausa), apice carriera lavorativa, tratti di personalità tendenzialmente stabili con un incremento dell’interiorità 7. L’età adulta avanzata anni: cambiamenti fisici associati all’invecchiamento più piccolo, più lento, più debole, più scarso e ridotto (Bee e Mitchell, 1984); declino graduale, pensionamento elaborazione delle perdite 8. Tarda età adulta oltre i 75 anni: Neugarten (1974) distingue tra «anziani giovani» e «anziani anziani», si indeboliscono gradualmente abilità specifiche, mentre si preservano le abilità linguistiche e cognitive ben consolidate e le conoscenze ormai cristallizzate 79 79

80 ERIK ERIKSON: TEORIA DELLO SVILUPPO PSICOSOCIALE
Il modello di Erikson si basa su un individuo in fase di sviluppo che, man mano che evolve, deve cercare di adattarsi alle nuove richieste avanzate dalla società. Ogni nuova richiesta provoca una “crisi emotiva” e una soluzione positiva di tale crisi porta allo sviluppo di una nuova “forza vitale” o “virtù”. Secondo Eriskon questo sviluppo avviene secondo un ordine definito, che segue 8 FASI a cui corrispondono 8 compiti , o crisi, psicosociali con cui il soggetto si dovrà confrontare. 80 80

81 ERIK ERIKSON: TEORIA DELLO SVILUPPO PSICOSOCIALE
1) Neonati 0-1: Fiducia VS Sfiducia nei confronti della prevedibilità del loro ambiente e dei loro care givers. Da ciò discende una prima fiducia fondamentale che permette al bambino di tollerare la temporanea assenza della madre, confidando nella speranza che torni. Da ciò si sviluppa una graduale fiducia in sé stessi, accanto alla capacità di tollerare le frustrazioni e proiettarsi nel futuro. 2) Prima infanzia 1-6: Autonomia VS Vergogna- Dubbio, sviluppo delle abilità motorie e di controllo (sfinteri, alimentazione ecc) correlato a maggiori margini di azione sul fronte psicosociale. Compito è il riuscire a conseguire autocontrollo senza perdere l'autostima; se il B. arriva a percepirsi come inadeguato/incapace svilupperà un senso di vergogna. 81 81

82 ERIK ERIKSON: TEORIA DELLO SVILUPPO PSICOSOCIALE
3) Età del gioco 6-10: Spirito di iniziativa VS senso di colpa. La conquista dell'autonomia favorisce lo sviluppo del senso di Sè e della propria intraprendenza La virtù che emerge durante questa fase è la fermezza di propositi, come capacità di portare avanti un progetto e portare a termine un compito. Tipica di questa fase è la voglia dei bambini di intraprendere molte attività "da grandi", superando anche i limiti imposti dai genitori, e sentendosene poi in colpa. La modalità psicosociale di base è il fare, cioè il prendere l’iniziativa, prefiggersi e portare avanti degli scopi. 4) Età scolare 10-14: Industriosità VS senso inferiorità. E' la fase dell'industriosità, del saper fare o al contrario del senso di inadeguatezza e inferiorità. In questo periodo le energie del bambino, incentrate fino ad allora soprattutto sul gioco, si indirizzano verso compiti come l'impegno scolastico, lo sport ecc. Si tratta di una fase delicata, in cui il bambino può acquisire una certa sicurezza e padronanza delle proprie capacità, premessa fondamentale per sviluppare in futuro una competenza lavorativa, oppure può sentirsi inferiore o incapace di fare qualsiasi cosa. Le esperienze positive danno al bambino un senso di industriosità, un sentimento di competenza e di padroneggiamento, al contrario il fallimento porta con sé un senso di inadeguatezza e di inferiorità. 82 82

83 ERIK ERIKSON: TEORIA DELLO SVILUPPO PSICOSOCIALE
5) Adolescenza 14-20: Identità VS Dispersione. Crisi di identità in cui vengono messi in discussione “tutti gli elementi di continuità e di identità che si basano sul passato” (Erikson, 1963). Identità etnica per le minoranze etniche. Un ostacolo psicologico nella costruzione dell'identità è la percezione del negativo in se stessi come qualcosa per cui sentirsi indegni e inadeguati rispetto al mondo. Erikson chiama questa condizione psicologica identità negativa. Uno dei modi di difesa più primitivi da questo sentimento d’ inferiorità e indegnità è la proiezione del negativo sugli altri, da cui originano atteggiamenti pregiudiziali, la discriminazione razziale, il rifiuto del diverso e persino il crimine (lo sviluppo di un'identità autodistruttiva è preferibile all'assenza di identità). In questa fase si integra il senso della fedeltà ai propri valori e alle proprie ideologie, ovvero un atteggiamento di coerenza nonostante le inevitabili contraddizioni a cui ci espongono pulsioni contrastanti e tendenze opposte e conflittuali. Su questo sentimento di fedeltà e di coerenza poggia in maniera stabile l'identità, che si può definire come un insieme coerente nel tempo di atteggiamenti, valori e caratteristiche. 83 83

84 ERIK ERIKSON: TEORIA DELLO SVILUPPO PSICOSOCIALE
6) Età adulta giovane 20-35: Intimità VS Isolamento. Capacità di unirsi in società, nelle amicizie, col partner (presuppone la capacità di “abbandonarsi” quindi di confidare nella solidità della propria identità). Se i tentativi di intimità falliscono, relazioni fredde, distaccate o isolamento. 7) Maturità 35-65: Generatività VS Stagnazione. Possibile esperienza della genitorialità intesa come “preoccupazione di creare e dirigere la generazione successiva” (Erikson, 1980), ma anche attraverso varie forme di creatività e interesse per gli altri. Se ciò non si raggiunge, vi è un ristagno, impoverimento generale dell'Io 8) Età anziana 65+: Integrità dell'Io VS Disperazione. La personalità evolve fino alla vecchiaia. L'integrità presuppone l'accettazione della propria vita per ciò che è stata e l'assenza di un eccessivo rimpianto per ciò che non è stato. La disperazione spesso risulta nella paura della morte o nel disgusto sprezzante verso certe istituzioni/persone che nascondono il disgusto che il soggetto prova per sé. 84 84

85 ERIK ERIKSON: TEORIA DELLO SVILUPPO PSICOSOCIALE
85 85

86 IL CICLO DI VITA DELLA FAMIGLIA
Il concetto trae la sua origine storica dalla ricerca sociologica, dove venne utilizzato per lo studio longitudinale di vari fattori (economici, demografici, di crescita e sviluppo dell’individuo) riguardanti la famiglia considerata in una prospettiva evolutiva. Tali ricerche sono tutte immediatamente seguenti la II guerra mondiale. Nel 1948 Hill e Duvall, pur concettualizzando ancora la famiglia come un insieme di cicli di vita individuali, ne sottolinearono l’interdipendenza. Questi autori fanno coincidere i compiti di sviluppo con i periodi di vita di una famiglia. La Duvall propone la divisione del ciclo vitale familiare in stadi, a partire da eventi critici relativi all’ingresso o all’uscita dalla famiglia dei suoi componenti (matrimonio, nascita e crescita dei figli, uscita dei figli dalla casa dei genitori, pensionamento e morte) 86 86

87 IL CICLO DI VITA DELLA FAMIGLIA
Il ciclo di vita della famiglia rappresenta un modello evolutivo che esamina e descrive i cambiamenti che tipicamente avvengono in una famiglia nel corso degli anni Per un sistema familiare il compito principale è rappresentato dal riuscire ad instaurare il tipo di relazioni più adeguato in rapporto alla fase del ciclo di vita che la famiglia sta attraversando. In quest’ottica, ogni espressione di disagio (anche sintomatologica) può essere vista come il segnale di una difficoltà nel superare uno stadio del suo ciclo vitale; è l’espressione di una disfunzione momentanea all’interno di una famiglia che non riesce ad affrontare un certo evento e, contemporaneamente, è un tentativo di provocare un cambiamento. 87 87

88 Si parla di blocco del ciclo vitale se, nel corso di una determinata fase, non avvengono le ridefinizioni delle relazioni interpersonali e la riorganizzazione del sistema che sarebbero necessarie per passare alla fase successiva. Si parla di passaggio incompleto se il passaggio alla fase successiva avviene solo apparentemente, senza che si siano in realtà modificate le relazioni interpersonali e le modalità di funzionamento del sistema familiare (es: matrimonio senza reale svincolo). 88 88

89 FASI DEL CICLO VITALE DELLA FAMIGLIA
1. CORTEGGIAMENTO E COSTITUZIONE DELLA COPPIA 2. FAMIGLIA CON BAMBINI 3. FAMIGLIA CON ADOLESCENTI 4. FAMIGLIA TRAMPOLINO 5. FAMIGLIA ANZIANA * DIVORZIO dati emergenti supportano l’idea del divorzio come fase normale del ciclo di vita familiare (McGoldrick- Shibusawa 2012, Mc Goldrick et al. 2011) 89 89

90 FASI DEL CICLO VITALE DELLA FAMIGLIA
1. CORTEGGIAMENTO E COSTITUZIONE DELLA COPPIA Il matrimonio implica l’incontro tra due famiglie che esercitano la loro influenza, creando una complessa rete di sottosistemi. Ci si sposano per molte ragioni, per il desiderio di uscire di casa, per liberarsi reciprocamente, perché si è innamorati, per avere dei figli.Non appena la coppia sposata inizia la vita in comune i coniugi devono raggiungere un accordo su molti problemi fondamentali per ogni situazione di vita a due: come trattare le loro famiglie d’origine e i loro amici, come gestire gli aspetti pratici della convivenza e le differenze individuali. In sostanza le idee sul matrimonio e la reale esperienza sono due cose ben distinte. Bisogna imparare ad affrontare e gestire eventuali contrasti, che magari in un primo periodo non vengono affrontati per la paura di ferirsi o per non rovinare il clima di serenità. Può succedere col tempo che le aree da evitare aumentino e che permanga una apparentemente inspiegabile tensione tra i due, che sfocia prima o poi in un litigio per poi temporaneamente rientrare fino all’accumulo di nuova tensione e nuovi litigi. La coppia cerca così di superare le difficoltà, ma a volte le soluzioni sono insoddisfacenti e creano un crescente senso di sconforto che emerge più avanti nel matrimonio. 90 90

91 FASI DEL CICLO VITALE DELLA FAMIGLIA
2.FAMIGLIA CON BAMBINI la nascita di un figlio suscita problematiche nuove e ripropone quelle preesistenti. Il tipo di schema stabilito dalla coppia prima della nascita del bambino era a due, con il figlio si ha una situazione triangolare; un nuovo tipo di gelosia può nascere quando un coniuge sente che l’altro è più attaccato al bambino che al lui o lei (problemi con nuovo coinvolgimento delle famiglie d’origine, triangolazione del figlio nel conflitto coniugale). 3.FAMIGLIA CON ADOLESCENTI emerge il problema di svincolo, processo che non è completo fino a che il ragazzo non ha formato dei profondi legami al di fuori della sua famiglia. I genitori possono infatti dare la libertà ai propri figli o imprigionarli nella struttura familiare. Naturalmente, l’autonomia può svilupparsi solo rispetto all’autorità. Genitori eccessivamente democratici, ad esempio, possono ostacolare lo svincolo (potrebbe trattarsi di una manovra deduttiva per trattenere il figlio in famiglia). 4.FAMIGLIA TRAMPOLINO quando il figlio lascia la famiglia e i coniugi rimangono nuovamente soli, il matrimonio può entrare in crisi dal momento che per la coppia un modo tipico per mantenere la stabilità del rapporto coniugale è la comunicazione dei genitori attraverso i figli 91 91

92 FASI DEL CICLO VITALE DELLA FAMIGLIA
5. FAMIGLIA ANZIANA Quando una coppia riesce ad accettare che i figli se ne vadano di casa, spesso passa un periodo di relativa tranquillità che arriva fino al pensionamento. A volte, quando un coniuge va in pensione, può accadere che l’altro cominci a manifestare un sintomo invalidante, per permettere al primo di sentirsi ancora utile. Solitamente, nelle prime due fasi del ciclo vitale prevalgono le forze centripete, mentre nelle ultime tre prevalgono le forze centrifughe. La dimensione più importante all’interno del ciclo vitale è quella dell’adattabilità (dei ruoli, dei confini e delle regole). L’altra variabile è quella della coesione, che deve essere alta nelle prime fasi del ciclo vitale. 92 92

93 - Dimensioni dell’evento-oggettive
La famiglia e/o l’individuo quale membro di un peculiare sistema familiare, possono trovarsi ad affrontare eventi di vita critici-traumatici al di fuori di quelli tipicamente caratterizzanti le varie fasi del ciclo vitale, afferenti a vari contesti (famiglia-sé-relazioni sociali-lavoro-scuola- varie) che possono indurre stress - Dimensioni dell’evento-oggettive - Dimensioni della percezione-soggettive - Dimensioni dell’effetto 93 93

94 1. La variabile della situazione. Che cosa sta accadendo?
In questi casi la capacità della famiglia/individuo di far fronte a tali eventi critici ha a che fare con (Schlossberg et al.,1995): 1. La variabile della situazione. Che cosa sta accadendo? 2. La variabile del Sé. A chi sta accadendo? 3. La variabile del sostegno. Quale aiuto è disponibile? 4. La variabile delle strategie. Come affronta la situazione l’individuo? Schlossberg e coll. ritengono che possiamo valutare le nostre risorse e i nostri punti deboli in base ad ognuno di questi ambiti 94 94

95 1. LA VARIABILE DELLA SITUAZIONE
I fattori della situazione che influenzano la capacità di fronteggiare gli eventi critici: - Elemento scatenante - Il momento: in che modo è associato alle norme sociali e allo stadio di vita che la persona sta attraversando? - Il controllo: quali aspetti dell’evento la persona si sente in grado di controllare? - La durata: temporaneo o permanente? - Le esperienze precedenti: la persona ha vissuto situazioni simili in passato? - Lo stress associato: quali altre situazioni di stress vive la persona in quel momento e che portata hanno? 95 95

96 2. LA VARIABILE DEL SE’ I fattori del Sé che influenzano la capacità di fronteggiare gli eventi critici: Risorse personali e demografiche (stato socioeconomico, sesso, gruppo etnico, età e fase della vita, stato di salute) Risorse psicologiche (maturità psicologica, personalità, impegno e valori) 96 96

97 3. LA VARIABILE DEL SOSTEGNO
Sostegno sociale (Khan, Antonucci, 1980): “Transazione interpersonale che comprende uno o più tra i seguenti elementi chiave: affetto, affermazione, aiuto” MA le reti sociali sono dotate di loro regole, aspettative, obblighi per cui non sempre rappresentano una fonte positiva di sicurezza. Possono divenire indesiderate e sgradevoli 97 97

98 3. LA VARIABILE DEL SOSTEGNO
LE FUNZIONI DEL SOSTEGNO SOCIALE Rassicurazione sul proprio valore Opportunità di offrire cura, responsabilità per la cura altrui Attaccamento inteso come vicinanza emotiva Integrazione sociale Guida e assistenza, fornire esperienza e aiuto pratico Alleanza e affidabilità, garantire assistenza nei casi di bisogno 98 98

99 4. LA VARIABILE DELLE STRATEGIE
Coping focalizzato sull’ambiente mediante: - modifica della situazione e quindi delle richieste che impone al soggetto - fuga o evitamento della situazione Coping focalizzato sulla persona mediante: - sviluppo di strategie addizionali o della capacità di ripresa - modifica della percezione e della valutazione della situazione 99 99

100 LA FAMIGLIA CONFLITTUALE
Gli stili di gestione del conflitto genitoriale influenzano le modalità successive di relazione coi figli Gli effetti deleteri sui figli sono dovuti alla intensità e al perdurare nel tempo dei conflitti (aperti/coperti/negati), a prescindere da eventuali separazioni coniugali 100 100

101 LA FAMIGLIA CONFLITTUALE
Fasi della separazione secondo Bohannan 1. Divorzio emotivo 2. Divorzio legale 3. Divorzio economico 4. Divorzio genitoriale 5. Divorzio dalla comunità 6. Divorzio psichico 101 101

102 LA FAMIGLIA CONFLITTUALE
Separazione come processo, non come evento. Ha a che fare con un’elaborazione del Lutto 5 Fasi (Kubler-Ross, 1970) a. Negazione/rifiuto b. Rabbia c. Patteggiamento/Negoziazione d. Depressione e. Accettazione 102 102

103 LA FAMIGLIA CONFLITTUALE
Il processo di elaborazione della separazione si articola in 3 fasi (Wallerstein): -disorganizzazione familiare (18 mesi) -mutamenti e progressi ma con confini familiari instabili (1-2 anni) -nuova stabilità (negli uomini dopo 2,5 anni e nelle donne dopo 3,5 anni) Gli ex coniugi devono affrontare: -divorzio psichico = scioglimento del legame di coppia e ridefinizione dell’identità -gestione collaborativa dei conflitti -bilanciamento tra continuità (genitorialità) e cambiamento (coniugalità) 103 103

104 LA FAMIGLIA CONFLITTUALE
Variabili individuali, familiari e sociali che influenzano l’elaborazione: -genere: maggiori difficoltà economiche per le donne ma più riflessione sull’autonomia che le porta a sviluppare maggior autostima. -asimmetria: chi decide per la separazione si trova in ‘vantaggio’ perchè sperimenta senso di controllo e ha elaborato il fatto in precedenza. -famiglia originaria: la sua presenza è fonte di sicurezza e fornisce meno vulnerabilità -ceto sociale: un ceto sociale alto è connesso a separazioni più consensuali. -rete sociale: una rete sociale estesa attenua il legame emotivo con l’ex partner e rende meno difficile il percorso adattivo post separazione 104 104

105 LA FAMIGLIA CONFLITTUALE
Quando si prende atto del fallimento, si possono avere ripercussioni importanti sul piano dell’autostima, dell’umore, della progettualità, con conseguenti rancori, odio, rivalse, disprezzo reciproco. I figli possono essere coinvolti in queste dinamiche, in maniera più o meno consapevole 105 105

106 LA FAMIGLIA CONFLITTUALE
Secondo Maccoby et al. (1993) dopo la separazione si possono individuare 3 stili differenti di co-genitorialità: 1) Cooperativo: G. si confrontano regolarmente sul figlio e non si squalificano 2) Disimpegnato*: G. non coinvolti, non comunicano tra loro, anche se entrambi hanno un legame col figlio 3) Ostile: G. mantengono contatti tra loro ma in modo ostile, aggressivo e coinvolgono i figli in conflitti di Lealtà 106 106

107 LA FAMIGLIA CONFLITTUALE
A seguito della separazione possiamo avere 6 scenari (Fruggeri): -coppia dissolta = fine anche della coppia genitoriale -buoni amici = continuità familiare prevale per finzione -colleghi collaborativi = discontinuità della coppia e continuità genitoriale sono bilanciate (giusto livello) -soci arrabbiati = il conflitto prevale sulla genitorialità -furie = separazione che innesca dinamiche patologiche -irrigidimento dei ruoli tra genitore affidatario e non 107 107

108 LA FAMIGLIA CONFLITTUALE
Gravi espressioni di conflittualità coniugale nelle separazioni, con conseguenze sul piano genitoriale e sui figli: - Denunce di falsi abusi sessuali - Alienazione parentale (Gardner, 1980) 108 108

109 LA FAMIGLIA CONFLITTUALE: ALIENAZIONE GENITORIALE
E’ una patologia relazionale che si manifesta nelle separazioni conflittuali ed è caratterizzata da una campagna di denigrazione del figlio nei confronti del genitore non affidatario, a seguito dell’indottrinamento da parte dell’altro genitore. Le dinamiche intrapsichiche e relazionali riscontrabili riguardano tutto il sistema familiare. Teorizzata da Richard Gardner nel 1980 come Sindrome da Alienazione Genitoriale, la sua esistenza è stata messa in discussione in quanto, tra l’altro, non inclusa nel DSM-IV. E’ in ogni caso una violenza emotiva e un abuso psicologico. Il bambino nel tempo, attraverso l’utilizzo di meccanismi difensivi quali la scissione e la negazione, può manifestare strutture psicotiche oppure, sperimentando vissuti di lutto e perdita, può sviluppare nuclei depressivi o ancora, vivendo sensi di abbandono, può provare gravi stati di angoscia.

110 LA FAMIGLIA CONFLITTUALE: ALIENAZIONE GENITORIALE
DEFINIZIONE: è un disturbo psicopatologico che compare nell’età evolutiva (7/14-15) in un quadro relazionale caratterizzato da controversie a seguito di separazione. Presupposti sono la campagna di denigrazione del genitore affidatario, a cui si aggiunge il coinvolgimento attivo del bambino nella campagna di denigrazione e l’assenza di comportamenti realmente maltrattanti/violenti/disfunzionali dell’altro genitore

111 LA FAMIGLIA CONFLITTUALE: ALIENAZIONE GENITORIALE
SINTOMI PRIMARI Campagna di denigrazione a cui il figlio partecipa attivamente senza nessuna conseguenza, punizione o rimprovero da parte del genitore alienante Razionalizzazioni deboli, superficiali, assurde del figlio attraverso cui giustifica il suo disprezzo per il genitore alienato Mancanza di ambivalenza, per cui il figlio crede che il genitore alienato presenti solo caratteristiche positive Fenomeno del pensatore indipendente, per cui il bambino dichiara di non essere stato influenzato dal genitore alienante Appoggio automatico al genitore alienante da parte del figlio, sempre e comunque Assenza di senso di colpa e di empatia del figlio verso il genitore alienato Scenari presi a prestito, ovvero affermazioni del bambino che non possono ragionevolmente venire da lui, utilizzo di parole e concetti del mondo adulto 8)Estensione della verità, cioè la campagna di denigrazione si estende fino a coinvolgere familiari, amici del genitore alienato, mancando di rispetto per queste figure adulte

112 LA FAMIGLIA CONFLITTUALE: ALIENAZIONE GENITORIALE
CARATTERISTICHE DEL BAMBINO PLASMABILE Di solito i bambini che sviluppano una PA(S) non hanno fratelli o sorelle o comunque persone rilevanti al di fuori dei genitori, hanno una bassa autostima, un basso livello di differenziazione e una tendenza all'egocentrismo. La suggestionabilità del bambino è bassa fino ai 2 anni circa, cresce fino ai 7-8 anni e rimane costante fino ai Da questa età in poi eventuali critiche al genitore alienato posso essere indipendenti dalla manipolazione dell'altro genitore. Gli EFFETTI della patologia sul bambino possono essere diversi in base alle “tecniche di programmazione utilizzate”, dalla loro intensità e durata, dall'età del bambino ecc. Tra gli effetti sia a breve che a lungo termine ricordiamo: aggressività; tendenza all'acting-out; egocentrismo; falso sé; futuro carattere manipolatorio/materialistico; comportamenti autodistruttivi, ossessivo-compulsivi e dipendenti; narcisimo; disturbi psicosomatici, alimentari, relazionali e dell'identità sessuale; eccesso di razionalizzazione; confusione emotiva o intellettiva; depressione; fobie; regressione; abuso di alcol e sostanze; disturbi di personalità.

113 LA FAMIGLIA CONFLITTUALE: ALIENAZIONE GENITORIALE
TIPOLOGIE DI GENITORE ALIENANTE - ALIENATORI NAIF: mantengono atteggiamenti sostanzialmente passivi nella relazione col figlio -ALIENATORI ATTIVI: abili nel distinguere i propri bisogni da quelli del figlio, ma non riescono ad elaborare o contenere i propri sentimenti di odio, aggressività, frustrazione, trasmettendoli più o meno consapevolmente al figlio -ALIENATORI OSSESSIVI: molto arrabbiati, tendono a percepire sé stessi come traditi ingiustificatamente dall'altro genitore, a cui attribuiscono il fallimento della loro esistenza. In genere: genitori vulnerabili, immaturi, dipendenti dall'accettazione degli altri. Tendono ad instaurare col figlio un rapporto simbiotico, centrato sulla dipendenza, sulla genitorializzazione piuttosto che sulla spinta all'autonomia.

114 LA MEDIAZIONE FAMILIARE
«La vita non è aspettare che passi la tempesta, ma imparare a ballare sotto la pioggia» Ghandi Importante risorsa nei processi separativi per perseguire l’obiettivo della continuità genitoriale e della responsabilità comune verso i figli Nasce in America agli inizi degli anni ‘70 grazie all’avv. Coogler (mediazione strutturata); fondazione del Family Mediation Association nel 1975 Convenzione Diritti del Fanciullo New York (ONU, 1989) ratificata in Italia con la L.285/97 (Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza, 1997): realizzare interventi per favorire la promozione dei diritti, la qualità della vita, lo sviluppo di infanzia e adolescenza.. tra cui la Mediazione quale sostegno alla relazione genitori/figli 114 114

115 LA MEDIAZIONE FAMILIARE
«La specificità del mediatore risiede nella sua capacità di creare un clima relazionale favorevole all’instaurazione e al mantenimento di un dialogo tra le parti. Egli favorisce la comunicazione tra le persone presenti e permette che le rispettive richieste vengano reciprocamente comprese. Egli contribuisce alla gestione dei conflitti in modo tale da realizzare il dialogo e la ricerca di soluzioni pratiche ai problemi di divorzio o della separazione. Il m.f. non è un «negoziatore», nel senso che formulerà delle proposte e orchestrerà le mutue concessioni solo al fine di ottenere un compromesso accettabile. Il mediatore lavora alla realizzazione di una dinamica relazionale che permetta ai genitori o ai coniugi di gestire in prima persona i loro conflitti, secondo e preseti esigenze legali» <Carte europeenne de la formations des médiateurs familiaux, punto 2.3, 1992> 115 115

116 LA MEDIAZIONE FAMILIARE
«Il M.F. è un professionista qualificato a seguito di percorsi di formazione specifici che interviene, quale figura terza, nel percorso di aiuto ala famiglia prima, durante e dopo la separazione o il divorzio, in autonomia dall’ambiente giudiziario, per raggiungere accordi concreti e duraturi concernenti l’affidamento e l’educazione dei minori, nonché tutti gli elementi concernenti l’esercizio della potestà genitoriale e tutto ciò che concerne la divisione dei beni, l’assegno di mantenimento al coniuge debole o gli alimenti, la residenza principale dei figli e tutto quanto previsto dalla normativa vigente in tema di separazione e divorzio con esplicito riferimento all’attività negoziale» <Codice Deontologico Associazione Internazionale dei Mediatori Sistemici, art. 2 ,2013> 116 116

117 LA MEDIAZIONE FAMILIARE
IL SETTING: Volontarietà Riservatezza e autonomia dal contesto giudiziario: estraneità della M. alle fonti di giudizio Valutazione: verificare se la M. corrisponde al miglior interesse per gli ex partner e se è un percorso al momento percorribile LA METODOLOGIA Percorso breve e circoscritto max. 12/15 colloqui Preceduto da una valutazione sulla mediabilità No prevede l’esplorazione del passato, quanto il vissuto e la costruzione del momento attuale e l’orientamento al futuro Si avvale della ricontestualizzazione e confrontazione, ferme restando le condizioni di accettazione, comprensione empatica ed autenticità offerte a ciascuna delle persone coinvolte 117 117

118 LA FAMIGLIA DISFUNZIONALE
In psicopatologia dello sviluppo viene utilizzato l’approccio process-oriented che permette di mettere in luce i fattori di rischio e di protezione nelle situazioni di violenza all’infanzia. Tale approccio considera come i fattori biologici, genetici, psicologici, sociali, familiari, influenzano il modo in cui i singoli individui svolgono il proprio ruolo di genitori. Si parla di adattamento quando il genitore è capace di esprimere una funzione genitoriale sufficientemente valida; viceversa parliamo di maladattamento E’ possibile che le persone manifestino un adattamento positivo nonostante condizioni esistenziali avverse (resilienza come processo: stima di sé + progettualità futura) 118 118

119 LA FAMIGLIA DISFUNZIONALE
Coalizione (Vs alleanza): unione tra due individui a danno di un terzo Triangolazione: coalizione instabile Triangolo perverso (Haley): coalizione intergenerazionale negata Deviazione del conflitto su un terzo (figlio) Capro espiatorio 119 119

120 NUCLEI FAMILIARI DISFUNZIONALI
Fattori di rischio: -Abusi, maltrattamenti, patologie delle cure, violenza assistita -Trasmissione transgenerazionale dell’esperienza traumatica -Storia di una lunga presa in carico da parte dei servizi -Malattie psichiatriche di uno o più membri, tossicodipendenze, alcolismo, prostituzione, devianze -Problematiche della condotta, carcere -Disagio socio-ambientale radicato -Disabilità intellettive -Malattie degenerative o genetiche -Famiglie monoparentali -Giovane età dei genitori -Temperamento e vulnerabilità del bambino… 120 120

121 NUCLEI FAMILIARI DISFUNZIONALI
In questi casi fattori da rilevare (micro- equipe) per valutare la recuperabilità o possibilità di collaborazione con l’utente: 1- Esame di realtà 2- Tolleranza alla frustrazione 3- Consapevolezza della propria sofferenza e delle conseguenze delle proprie azioni sugli altri significativi e sui figli 121 121

122 NUCLEI FAMILIARI DISFUNZIONALI:
FATTORI DI PROTEZIONE E DI RISCHIO DELLA FUNZIONE GENITORIALE 1. RISORSA: indica gli aspetti concreti e materiali di cui dispongono gli individui 2. FATTORI PROTETTIVI: si riferiscono alla qualità dell’ambiente e delle persone con cui si interagisce 3. PROCESSI PROTETTIVI: rappresentano il modo in cui i fattori protettivi agiscono in condizioni di rischio (Masten e Reed, 2002) E’ necessario saper individuare risorse e fattori protettivi e comprendere il loro effetto sui fattori di rischio. Spesso la volontà degli operatori di voler intercettare, comprendere e contrastare le cause del disagio nelle famiglie e nei bambini porta a sottovalutare il potenziale positivo dei fattori protettivi. 122 122

123 NUCLEI FAMILIARI DISFUNZIONALI:
ALCUNI FATTORI DI RISCHIO DELLA FUNZIONE GENITORIALE 1. La patologia medica cronica e acuta in età pediatrica o adulta. L’adattamento alla malattia dovrebbe passare attraverso un processo emotivo che implica il passaggio tra fasi diverse : 1) fase di shock 2) fase di negazione 3) fase di depressione 4) fase di rielaborazione 5) fase di accettazione Modelli di intervento: costruire una relazione empatica con la famiglia/ comunicazione della diagnosi ai genitori e al bambino (stili protettivo-aperto-non dire nulla) 123 123

124 NUCLEI FAMILIARI MULTIPROBLEMATICI:
ALCUNI FATTORI DI RISCHIO DELLA FUNZIONE GENITORIALE 2. I disturbi dello sviluppo: - disturbi della regolazione (dell’alimentazione; dei ritmi del sonno; della processazione sensoriale : ipersensibilità/iposensibilità e iporesponsività/impulsività e ricerca di stimolazione sensoriale) - disturbi dello spettro autistico (deficit nelle interazioni sociali reciproche, nel linguaggio e nella comunicazione associati a comportamenti ripetitivi e interessi ristretti) con QI >70 ad alto funzionamento, con QI < 70 a basso funzionamento Il lavoro coi genitori presuppone interventi sull’interazione, supporto alla genitorialità e gruppi 124 124

125 NUCLEI FAMILIARI MULTIPROBLEMATICI:
ALCUNI FATTORI DI RISCHIO DELLA FUNZIONE GENITORIALE 3. La psicopatologia genitoriale - depressione perinatale (dal 5 al 41%: sintomi depressivi classici associati a senso di inadeguatezza per il ruolo materno, ansia per la salute del feto/neonato, ritiro psicologico, percezione si scarso supporto del partner) - disturbi mentali e di personalità /ritardo mentale nei genitori - dipendenza da sostanze: gli effetti della sostanza compromettono lo stile di parenting. A volte gravidanza negata con perseverazione nell’uso di sostanze, altre volte vissuto idealizzante verso il «bambino salvifico» alternanza tra distruttività e idealizzazione tendenza ad ignorare il bambino, affettività prevalentemente negativa e dominata da forte rabbia atteggiamenti ambivalenti e incoerenti. Stile genitoriale spesso autoritario e rigido, con bassa tolleranza e ricorso a metodi disciplinari fisici, punitivi e minacciosi MA AL CONTEMPO lassismo, permessività e mancanza di supervisione e controllo. Ruolo prevenzione/comunità madre-bambino 125 125

126 NUCLEI FAMILIARI MULTIPROBLEMATICI:
ALCUNI FATTORI DI RISCHIO DELLA FUNZIONE GENITORIALE 4. Maltrattamento, abuso e carenza di cure Maltrattamento (Council of Europe, 1981) come «quell’insieme di atti e carenze che turbano gravemente il bambino, attentando alla sua integrità corporea e al suo sviluppo fisico, affettivo, intellettivo e morale, le cui manifestazioni sono: la trascuratezza e>/o lesioni di ordine fisico e/o sessuale da parte di un familiare o di altri che hanno cura del bambino» OMS (2002) intende per maltrattamento e abuso all’infanzia «tutte le forme di cattiva salute fisica ed emozionale, abuso sessuale, trascuratezza o negligenza o sfruttamento commerciale o altro tipo di sfruttamento che procura un danno reale o potenziale per la salute del bambino, per la sua sopravvivenza, per il suo sviluppo per la sua dignità, nell’ambito di una relazione caratterizzata da responsabilità, fiducia e potere» Maltrattamento fisico/psicologico, patologia delle cure (incuria, discuria, ipercura es. chemical abuse, medical shopping per procura, help seeking, sindrome di Munchausen per procura), violenza assistita, abuso sessuale 126 126

127 NUCLEI FAMILIARIDISFUNZIONALI E MULTIPROBLEMATICI
Cosa fare? a) Laddove ci siano minori in famiglia valutare la necessità di eventuali coinvolgimenti dell’Autorità Giudiziaria Minorile (procedimenti civili, penali o amministrativi) b) Attivare risorse istituzionali e territoriali volte alla prevenzione secondaria e terziaria, anche attraverso l’invio corretto al Servizio di competenza. 127 127

128 Gli studi di Konrad Lorenz: l'imprinting
LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO: LO STILE DI ATTACCAMENTO COME POSSIBILE FATTORE DI RISCHIO O DI PROTEZIONE Gli studi di Konrad Lorenz: l'imprinting Negli animali esiste un periodo critico in cui i piccoli apprendono e memorizzano le caratteristiche della figura allevante. Oche  “prontezza” del piccolo a seguire il primo oggetto in movimento (nelle prime 48h di vita) Obiettivo: mantenere la prossimità con la propria madre, che assicura la sopravvivenza. Lorenz: prima figura in movimento vista dagli anatroccoli  anatroccoli indirizzano a Lorenz le loro richieste di accudimento e ignorano la madre vera Imprinting irreversibile (Nobel 1973) 128 128

129 LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO
Gli studi di Harlow Scimmiette appena nate passavano il tempo necessario per prendere il latte da un poppatoio su una “madre” di ferro, mentre manifestavano un comportamento di attaccamento per una “madre” sempre di ferro ma ricoperta di pezza e dunque più morbida. Se nella gabbia veniva introdotto qualche oggetto minaccioso che spaventava la scimmietta, essa correva subito a rassicurarsi sulla madre di pezza. Caratteristiche che rendono la figura oggetto di imprinting filiale: morbidezza associata al calore 129 129

130 LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO
Bowlby parte dall'osservazione diretta delle interazioni madre-bambino VS ricostruzioni retrospettive (Freud) La propensione a stringere relazioni emotive con alcuni individui particolari rappresenta una componente di base della natura umana, presente fin dalla nascita. E' la risultante di un sistema di schemi comportamentali su basi biologiche, che hanno come effetto quello di mantenere il bambino in prossimità della figura materna (Bowlby, 1969), in modo da essere maggiormente protetto dai pericoli. 130 130

131 LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO
Prime conclusioni degli studi di Bowlby: Le cure materne nella prima infanzia hanno un ruolo fondamentale nello sviluppo della salute mentale della persona Per cure materne si intende non solo la soddisfazione dei bisogni fisiologici immediati di nutrimento, assistenza e protezione, ma anche la capacità di assicurare risposte adeguate ai bisogni affettivi e intellettivi del bambino La privazione prolungata di cure materne nell’infanzia può avere effetti gravi e talvolta permanenti sulla formazione del carattere e quindi della personalità adulta - La psiche ancora indifferenziata dei primi anni di vita necessita, perché si evolva in modo corretto, di un organizzatore psichico: una figura di attaccamento nettamente identificata 131

132 LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO
Il legame madre-bambino non si basa solo sulla necessità di nutrimento del piccolo, ma si basa su un bisogno primario, geneticamente determinato, la cui funzione è quella di garantire alcuni processi vitali fondamentali, tra cui la crescita, la sopravvivenza psicologica e fisica del bambino, nonché la protezione dai pericoli. Concetto di base sicura (Ainsworth,1969), fornita dalla figura di attaccamento da cui il B. si può allontanare per esplorare il mondo e ritornare in caso di minaccia, pericolo, o bisogno di rassicurazione, conforto e sicurezza. Lo sviluppo della personalità risente dell’aver sperimentato o meno una base sicura nell’infanzia, e della conseguente capacità di riconoscere se una persona è fidata e può offrire una solida base sicura. 132

133 LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO
Caratteristiche del comportamento di attaccamento: - E’ selettivo - Il bisogno di attaccamento è un bisogno primario, innato - Ha la funzione biologica di protezione e sopravvivenza - Ha la funzione psicologica di dare supporto - Implica la ricerca di vicinanza fisica - Fornisce benessere e sicurezza attraverso la vicinanza; successivamente la negoziazione della distanza è l’elemento fondamentale delle relazioni di attaccamento - Fornisce una base sicura dalla quale il B. può allontanarsi per esplorare il mondo e farvi ritorno 133

134 LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO: M.O.I.
Il legame del B. con la madre è il prodotto dell’attività di diversi sistemi comportamentali, che hanno come risultato il mantenimento della vicinanza alla figura materna. Il B. stesso è un potente attivatore dell’attaccamento e può sviluppare attaccamenti differenti ad es. con i due genitori Il B., a partire dalle esperienze di ricerca della vicinanza, sviluppa dei Modelli Operativi Interni (componenti emozionali e cognitive), ovvero rappresentazioni interne della relazione di attaccamento, della figura di attaccamento nel contesto della relazione con il sé e dello stato affettivo associato alla relazione. 134

135 LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO: M.O.I.
L’utilità di questi modelli non risiede nella loro completa aderenza alla realtà, ma nel fatto che sono in grado di contenere informazioni generalizzate su di essa. Il termine “operativo” suggerisce inoltre che i M.O.I. non sono statici, definitivi, ma al contrario frutto di un processo dinamico, in cui è possibile introdurre anche dei cambiamenti in base alle modificazioni dell’ambiente in cui la persona è inserita, o in base alle trasformazioni evolutive che la persona si trova ad affrontare. Tali rappresentazioni emergono come risultato dell’interiorizzazione della qualità delle interazioni ripetute tra il B. e la figura di attaccamento. Un B., quindi, che avrà costruito un M.O.I. della figura di attaccamento come amorevole, disponibile e attenta ai suoi bisogni, interiorizzerà un M.O.I. complementare di sé come degno di cure. Da questo deriva una stretta interconnessione tra esperienza di cure, sviluppo dell’immagine di sé e autostima. 135 135

136 LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO: M.O.I.
MOI del Sé= immagine che il soggetto ha di sé e di quanto sia accettabile o meno agli occhi degli altri, soprattutto in riferimento al soddisfacimento dei propri bisogni MOI del mondo/relazioni: riguarda la realtà esterna e il funzionamento delle relazioni in termini di aspettative/anticipazioni MOI: 1) Forniscono regole che guidano il comportamento e i sentimenti dell’individuo in relazione a persone significative 2) Permettono all’individuo di prevedere e interpretare il comportamento degli altri e quindi di piaificare e modulare di conseguenza il proprio 136

137 LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO
IL CONTRIBUTO DI MARY AINSWORTH (1978) – STRANGE SITUATION- Procedura sperimentale di 8 fasi (circa 20 min.) volta a valutare l’attaccamento del B. tra i 12 e i 18 mesi di vita che permette, attraverso l’induzione di uno stress moderato (presenza/assenza di genitore/estraneo), di attivare comportamenti di attaccamento Fasi Fattori esterni Soggetti coinvolti 1 - B-G 2 Ingresso estraneo B-G-E 3 Uscita genitore B-E 4 Ritorno genitore, uscita estraneo 5 B 6 Ritorno estraneo 7 137

138 LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO: STILI
SICURO (B): ha fiducia nella figura di attaccamento, disponibile e supportiva. Il B. mostra sicurezza nell’esplorazione del mondo, credenza di essere amabile, capacità di sopportare distacchi prolungati, nessun timore di abbandono, fiducia nelle proprie capacità e in quelle degli altri, Sé/Altri positivo e affidabile. L’emozione predominante è la gioia. Adulti sicuri- autonomi (AAI, Mary Main) 138

139 LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO: STILI
2. INSICURO-EVITANTE (A): il B. è certo che non incontrerà, nel richiedere aiuto, la disponibilità della figura di attaccamento, ma verrà rifiutato. Impara a fare esclusivo affidamento su sé stesso, ricercando l’autosufficienza anche sul piano emotivo, con la possibilità di arrivare a costruire un Falso Sé. Il B. mostra insicurezza nella esplorazione del mondo, convinzione di non essere amato, percezione del distacco come prevedibile, tendenza all’evitamento della relazione per convinzione di rifiuto, apparente ed esclusiva fiducia in sé stessi, Sé positivo e affidabile, Altro negativo e inaffidabile. Emozioni prevalenti tristezza e dolore. Adulti Distanzianti (AAI) e svalutanti nei confronti dell’attaccamento. 139

140 LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO: STILI
3. INSICURO-AMBIVALENTE (C): Il sogg. non è mai certo che la figura di attaccamento sia disponibile nel rispondere a una richiesta di aiuto. Per questo l’esplorazione del mondo tende a essere esitante, si accompagna a sentimenti ansiosi, il B. è incline all’angoscia da separazione. Il genitore è disponibile, di fatti, in alcune situazioni ma non in altre, è imprevedibile, ipercontrollante e intrusivo, può bloccare il B. nei suoi tentativi di gioco ed esplorazione autonoma, ricorre spesso alle separazioni e minaccia l’abbandono. Il B. svilupperà due MOI contrapposti, con prevalenza di una immagine di sé come persona non amabile e della figura di attaccamento come non disponibile. Frequenti ansia abbandonica, sfiducia nelle proprie capacità e fiducia in quelle degli altri, incapacità di sopportare distacchi prolungati, sé negativo –Altro positivo, introversione, compiacenza, con l’obiettivo di essere accolto. Emozione prevalente: colpa. Adulti Iper-Coinvolti, invischiati (AAI) 140

141 LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO: STILI
DISORGANIZZATO (D): Il B. mette in atto comportamenti sterotipati ed è sorpreso/stupefatto quando la Md. si allontana, la cerca strillando verso la porta ma se ne allontana durante la riunione. E’ come se non riuscisse ad organizzare il suo comportamento né in direzione dell’avvicinamento né in quella dell’evitamento. Spesso madri con traumi o lutti non risolti alle spalle, o relazioni traumatiche con le loro figure di attaccamento non elaborate. Sono genitori immersi in un mondo interiore doloroso e/o che incutono paura al B. In queste circostanza si sviluppano MOI multipli e abbozzati di Sé e dell’Altro -Sé accettabile e figura attaccamento disponibile - Sé come vittima impotente di un Altro minaccioso - Sé come pericoloso per le persone amate - Sé e figura di attaccamento debole di fronte ai pericoli esterni Adulti Irrisolti, Disorganizzati. Spesso attaccamento di tipo D alla base di futuri D. Borderline di personalità o afferenti allo spettro psicotico. 141

142 LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO: STILI
Aspetti caratteristici attaccamento di Tipo D: Manifestazioni sequenziali di modelli comportamentali contraddittori (es. ricerca contatto e successivo evitamento) -Manifestazione simultanea di comportamenti contraddittori (es. B. si avvicina al genitore camminando all’indietro, o con la testa girata da un’altra parte) -Movimenti interrotti, indiretti o mal diretti: un movimento di ricongiungimento può essere interrotto a metà da un’esplosione di rabbia, interruzione del movimento in una postura fissa :freezing) -Indici di apprensione rispetto al genitore: alcuni B. si avvicinano al genitore in modo esitante e poi se ne allontanano subito con le spalle sollevate, le mani alla bocca, piangendo e mantenendosi da quel momento in poi a distanza - Stereotipie, movimenti asimmetrici e posizioni anomale: ciondolarsi o tirarsi i capelli, specie al momento del ricongiungimento 142

143 LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO: ETA’ ADULTA AAI, Main et. al. 1985
STILE SICURO (bassa ansietà-basso evitamento): Modello positivo di Sé e l’Altro, porta il sogg. ad essere coerente e fiducioso in sé stesso, a manifestare scarsa ansia e esitazione, ad apprezzare gli altri. Relazioni caratterizzate da intimità, rispetto, apertura emotiva, i conflitti col partner tendono a risolversi in modo costruttivo 2) STILE PREOCCUPATO (alta ansietà/basso evitamento): Modello di sé negativo e dell’Altro positivo, porta il sogg. ad avere bassa autostima e una tendenza a dipendere dal giudizio degli altri, considerati modelli positivi. Le sue relazioni sono caratterizzate da un intenso bisogno di intimità, ma le insaziabili richieste di attenzione spesso sfociano in relazioni conflittuali intrise di vissuti di rabbia, che la persona è incapace di abbandonare o che spingono l’Altro ad allontanarsi. 143

144 LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO: ETA’ ADULTA
STILE DISTANZIANTE (bassa ansietà-alto evitamento): modello di Sé positivo e dell’Altro negativo, porta il sogg. ad avere alta fiducia in Sé e a non mostrare, in apparenza, interesse per il giudizio degli altri, da cui viene spesso considerato arrogante, critico e riservato. Svalutante verso le relazioni, nelle quali non entra in intimità e si mostra spesso anaffettivo e annoiato, tende invece a sottolineare il ruolo dell’indipendenza, della libertà e dell’affermazione personale. 4) STILE TIMOROSO EVITANTE (alta ansietà-alto evitamento): il sogg. presenta bassa stima sia di sé che degli Altri, fa fatica ad affidarsi. Di rado coinvolto in una relazione, quando vi si trova assume un ruolo passivo, dipendente e insicuro. Tende ad autocolpevolizzarsi per i problemi di coppia e ha difficoltà nel verbalizzare apertamente i propri sentimenti 144

145 L’ATTACCAMENTO NELLA RELAZIONE DI AIUTO
Il carattere evocativo della relazione di aiuto (asimmetrico, tra un sogg. portatore di un bisogno che chiede aiuto ed uno che lo offre) richiama quello tra la figura di attaccamento ed il bambino. Riguardo le relazioni supportive, Marris (1991) scrive: “le qualità del comportamento di cui ci sarebbe bisogno per dar forma a queste relazioni (sensibilità, capacità di dare risposte adeguate, comprensione reciproca, stabilità, abilità di negoziare) sono per molto versi quelle che vengono create da un attaccamento sicuro” La teoria dell’attaccamento può aiutarci ad inquadrare il peculiare tipo di relazione che si viene a creare tra operatore ed utente, ma anche il particolare stile di intervento che quell’operatore adotta all’interno della relazione di aiuto 145

146 L’ATTACCAMENTO NELLA RELAZIONE DI AIUTO
OPERATORE UTENTE RISULTATI A (ansioso- evitante) A - Approccio rigidamente tecnico-cognitivo - Focalizzazione sul somatico - Aree inesplorate ed evitate - Distanziamento emozioni negative C (ansioso- ambivalente) C - Enfasi emotiva - Eccesso di aspettative - Prolungarsi delle consultazioni - Conflitti relazionali - Parziale compensazione - Difficoltà di comprensione - Interruzione della terapia B (sicuro) A, B,C - Capacità riflessive - Comunicazione affettiva e cognitiva - Strategie adattate all’utente 146

147 LA TEORIA DELLA MENTE Capacità di attribuire a sé e agli altri stati mentali quali desideri, intenzioni, pensieri, ragionamenti, inferenze, emozioni,bisogni e credenze e di spiegare e prevedere i comportamenti sulla base di queste inferenze (Premack e Woodruff, 1978) Stati mentali: condizioni psichiche vissute dalle persone. Possono essere oggettivati, rappresentati e comunicati 147 147

148 LA TEORIA DELLA MENTE Gli studiosi della Teoria della Mente indagano su come il bambino costruisce il mondo psicologico, come arriva a comprendere se stesso e gli altri. Precursori compaiono nei primi due anni di vita: attenzione condivisa (indicare richiestivo e dichiarativo-pointing dove viene catturata l’attenzione dell’adulto), imitazione facciale, gioco di finzione/simbolico 148 148

149 LA TEORIA DELLA MENTE Meins e Fonagy hanno messo in relazione lo sviluppo delle capacità di pensare agli stati mentali con la qualità del rapporto di attaccamento del bambino alla figura che ne ha cura Funzione riflessiva del Sè (Fonagy, 1999): capacità di riflettere sugli stati mentali propri e altrui, di ragionare sulle azioni in termini di stati mentali, sull'impatto dei conflitti psicologici e sui limiti del controllo cosciente nel monitorare l'attività psichica. Connessa all'attaccamento. 149 149

150 Ruolo contenitore materno (Bion)
LA TEORIA DELLA MENTE Abilità del genitore di riflettere sugli stati mentali di sé e dell'altro, nel contesto delle proprie relazioni di attaccamento. Ruolo contenitore materno (Bion) L'emergere della mentalizzazione è connesso alle capacità di rispecchiamento col caregiver, che impedisce al bambino di essere sopraffatto dall'angoscia e gli consente di gestirla::: sviluppo della capacità di regolazione affettiva Il bambino capisce di avere sentimenti e pensieri e che le sue esperienze interne ricevono una risposta da parte della madre 150 150

151 LE BASI BIOLOGICHE DELLA PERSONALITA'
Sistemi cerebrali e sviluppo: i circuiti cerebrali si sviluppano con modalità che sono direttamente legate alla loro attivazione. Le nostre esperienze possono quindi influenzare in modo significativo le connessioni neuronali e l’organizzazione dell’attività del nostro cervello e in questo senso svolgono un ruolo particolarmente importante quelle che si verificano durante i primi anni di vita (es. traumi in età precoce, separazioni dal caregiver, istituzionalizzazione ecc..) Le strutture cerebrali fondamentali si formano nel corso dei primi anni di vita. Ciò significa che le esperienze possono avere effetti diretti sui processi che portano allo sviluppo dei circuiti neuronali. Geni ed esperienze interagiscono in maniera complessa: il B., con il suo temperamento, contribuisce a determinare la natura delle esperienze a cui la mente dovrà poi adattarsi. L’espressione genica, le attività della mente, i comportamenti dell’individuo e le sue continue interazioni con l’ambiente (esperienze) sono parti correlate di un unico processo di sviluppo (Rutter et. Al )

152 TEMPERAMENTO E AMBIENTE
Temperamento: viene definito dagli aspetti dell’organizzazione psicologico-soggettiva più stabili, ereditari e presenti fin dalla nascita e più influenzati da determinanti biologiche (livello di attività, intensità e rapidità della risposta alla stimolazione, sensibilità, eccitabilità, responsività ecc..). Ha un ruolo cruciale nel modo in cui la persona fa esperienza Thomas e Chess (1977) definiscono il temperamento come l’insieme delle caratteristiche del comportamento che vanno ad interagire con le aspettative, le richieste e le opportunità dell’ambiente. Nella loro teoria individuano 3 stili di temperamento: Facile-Difficile-Lento Bambini facili: hanno ritmi regolari nelle funzioni biologiche, mostrano reazioni positive a stimoli nuovi, si adattano facilmente al cambiamento ed esprimono un umore positivo moderatamente intenso Bambini difficili: ritmi biologici irregolari, si ritraggono di fronte alle novità, resistono al cambiamento e mostrano reazioni emotive intense e negative Bambini lenti: discreta regolarità nelle funzioni vitali, nonostante si adattino lentamente, possono avere delle reazioni normali se ricevono sostegno dall’ambiente.

153 TEMPERAMENTO E AMBIENTE
N.B.: per comprendere il legame esistente tra il temperamento e gli esiti di personalità successivi, è necessario prestare attenzione non solo alle caratteristiche del temperamento, ma anche alle costellazioni di interazioni che intercorrono tra i bambini e il loro ambiente sociale (OTTICA BIO-PSICO-SOCIALE!) Vari studi mostrano che, ad esempio, esiste una costante correlazione tra le caratteristiche di personalità, il temperamento del B., gli stili di parenting dei genitori e la comparsa di successivi problemi di comportamento in età adolescenziale (Campbell et al. 2000, Deater- Deckard et al. 1999, Prior et al. 2001) Altre ricerche hanno individuato nel conflitto familiare un ulteriore fattore predisponente alla comparsa e al mantenimento di comportamenti di tipo aggressivo (Tschann et al. 1996). Già Rutter e coll. (1975) indicavano che il quadro psicopatologico del disturbo era tracciato da un insieme di fattori familiari di rischio che agiscono in concomitanza. Il pericolo per l’insorgenza del disturbo sembra aumentare parallelamente all’incremento del numero dei fattori di rischio. Pertanto, sia la qualità del parenting sia le caratteristiche individuali e temperamentali del B. sembrano essere implicate nella futura condotta

154 LA PERSONALITA' Dal latino “persona=maschera”, oggetto indossato dall'attore tale da tipicizzare un certo personaggio Il termine “personalità” entra a far parte degli ambiti psicologici intorno agli anni ’30, grazie a studiosi come Allport e Murray, scalzando la vecchia terminologia di “carattere” e “temperamento” Allport (1937) intende la personalità come organizzazione dinamica, all’interno del soggetto, di tratti, ovvero sistemi psicofisici che determinano l’adattamento di quel soggetto all’ambiente. I tratti (ad es.introversione/estroversione, aggressività/intrapunitività, iniziativa/evitamento, autonomia/dipendenza) costituiscono la struttura di personalità, originando l’unicità dell’individuo e dirigendo il suo comportamento in modo stabile e caratteristico. La personalità può essere studiata attraverso strumenti e tecniche psicometriche Cattell (1946): la personalità è ciò che consente di prevedere quello che un uomo farà in una data situazione e i tratti sono le strutture mentali, inferite dall’osservazione del comportamento, che descrivono la personalità e che rendono ragione di tale previsione OMS: una modalità strutturata di pensiero, sentimento e comportamento che caratterizza il tipo di adattamento e lo stile di vita di un soggetto e che risulta da fattori costituzionali, dello sviluppo e dell'esperienza sociale 154 154

155 Tre strutture (istanze) fondamentali: Io/Es/Super-io
LA PERSONALITA': FREUD Freud concepisce la personalità sia in termini strutturali che dinamici, formulando ipotesi anche rispetto alle sue fasi di sviluppo. Tre strutture (istanze) fondamentali: Io/Es/Super-io Es: completamente inconscio, serbatoio dell'energia psichica, composto da fattori ereditari-istintuali-pulsioni che tendono a raggiungere la coscienza per potersi scaricare attraverso un comportamento vervale o non verbale. Non tollera aumenti di tensione, tende alla scarica immediata della medesima ed è governato dal Principio di Piacere/processo primario. 155 155

156 LA PERSONALITA': FREUD Io: si sviluppa in conseguenza ai bisogni dell'organismo che richiedono rapporti adeguati con la realtà (principio di realtà). La sua attività è prevalentemente cosciente e regolata dal Principio di Realtà. Opera tramite il processo secondario che sospende il Principio di Piacere e permette all'Io di riformulare un piano per soddisfare il proprio bisogno. Media tra le esigenze pulsionali e il mondo esterno. Dall’Io hanno origine l’adattamento della personalità all’ambiente, i suoi meccanismi di difesa e la risoluzione dei conflitti tra il soggetto e la società. Dall’Io intorno ai 6 anni origina il Super-IO, a seguito dell’interiorizzazione delle forze repressive di fronte a cui si è trovato il soggetto nel corso dello sviluppo. Teoria della personalità di Freud ancorata allo sviluppo psico- affettivo 156 156

157 Es: componente biologica della personalità
LA PERSONALITA': FREUD Super-Io: rappresentante interiore dei valori tradizionali e degli ideali della società che vengono appresi dal bambino tramite le figure di riferimento (coscienza e Io- ideale). Ha la funzione di inibire gli impulsi dell'Es e di indurre l'Io a sostituire con finalità morali i suoi scopi realistici, è in parte consci ed inconsci. Si fonda sulla Coscienza Morale(interiorizzazione dei valori morali e delle norme genitoriali e sociali che impediscono al soggetto la trasgressione di quelle regole interiorizzate) e sull’Ideale dell’Io (prescrive come idealmente la persona dovrebbe essere o comportarsi) Es: componente biologica della personalità Io: componete psicologica della personalità Super-Io: componente sociale della personalità 157 157

158 Teoria pulsionale (fonte-meta-oggetto-impeto)
LA PERSONALITA': FREUD Organismo umano come un complesso sistema energetico, che tende verso la riduzione della tensione Teoria pulsionale (fonte-meta-oggetto-impeto) Pulsioni di vita-conservative Pulsioni di morte-distruttive Dinamica di personalità: modo in cui le tre Istanze distribuiscono e utilizzano l'energia pulsionale 158 158

159 LA PERSONALITA': I MECCANISMI DI DIFESA
Meccanismi difensivi: meccanismi psicologici che operano inconsciamente nel tentativo di risolvere un conflitto; attraverso la loro azione si cerca di ottenere un sollievo dalla tensione emotiva Secondo la moderna prospettiva psicodinamica, i meccanismi difensivi preservano l’autostima di fronte a sensi di colpa, vergogna, ferite narcisistiche e garantiscono un senso di sicurezza di fronte ai timori di abbandono o a percepiti pericoli esterni Il loro compito è di assicurare l'adattamento all'ambiente Generalmente operano in modo automatico La nevrosi si sviluppa a partire da situazioni difficili/traumatiche, che ostacolano la soddisfazione delle esigenze del soggetto e che mettono in difficoltà l'Io e i sistemi difensivi di fronte alle necessità istintuali frustrate, creando maggiore tensione/sofferenza 159 159

160 LA PERSONALITA': I MECCANISMI DI DIFESA
MECCANISMI DI DIFESA PRIMITIVI (organizzazione Borderline e Psicotica): scissione, identificazione proiettiva, proiezione, dissociazione MECCANISMI DI DIFESA DI ALTO LIVELLO (organizzazione nevrotica): rimozione, intellettualizzazione, isolamento, formazione reattiva - MECCANISMI DI DIFESA MATURI (organizzazione sana): repressione, umorismo, sublimazione

161 CENNI DI PSICOPATOLOGIA
Organizzazione nevrotica-psicotica-borderline (Kernberg) Nel valutare la struttura di personalità in generale consideriamo: Meccanismi di difesa (evoluti Vs primitivi) Livello di integrazione dell'identità (continuità temporale e affettiva che la persona ha di sé e degli altri) e capacità di controllo dell'angoscia e degli impulsi (eventuali manifestazioni non specifiche di debolezza dell'Io) Esame di realtà Rapporti Interpersonali 161 161

162 CENNI DI PSICOPATOLOGIA
Disturbi di personalità: definiti da tratti rigidi e maladattivi, tali da causare compromissioni sociali e lavorative, con o senza sofferenza soggettiva e spesso senza una chiara consapevolezza da parte del soggetto (egosintonia) Cluster A-B-C 162 162

163 CENNI DI PSICOPATOLOGIA
Disturbi dello spettro schizofrenico (D. schizoaffettivo, D. delirante, D. psicotico breve) Disturbi dell'Umore (D.D. Maggiore, D. D. persistente, D. Bipolari, D. Ciclotimico) Disturbi d'ansia (D. Ansia generalizzata, D. di panico, Agorafobia, D. ansia sociale, Fobia specifica) Ossessioni, Compulsioni e disturbi correlati (D. dismorfismo corporeo, D. da accumulo) Dipendenze da sostanze e dipendenze comportamentali Disturbi della nutrizione e dell'alimentazione Disturbo da sintomi somatici e disturbi correlati (D. da ansia di malattia, D. di conversione) Disturbi correlati a eventi traumatici e stressanti (D. da stress post traumatico, D. reattivo dell’attaccamento, D. da impegno sociale disinibito, D. dell’adattamento) D. dissociativi (D. di deralizzazione/depersonalizzazione, D. dissociativo dell’identità, Amnesia dissociativa) 163 163

164 DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO
Disabilità intellettiva (disturbo dello sviluppo intellettivo) Disturbi della comunicazione (disturbo del linguaggio, disturbo della comunicazione sociale, disturbo della fluenza con esordio nell’infanzia-balbuzie) Disturbo dello spettro dell’autismo Disturbo da deficit di attenzione/iperattività Disturbo specifico dell’apprendimento Disturbi del movimento Disturbi da tic 164 164

165 DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO: DISABILITA’ INTELLETTIVA O DISTURBO DELLO SVILUPPO INTELLETTIVO
Deficit cognitivo associato ad una difficoltà di adattamento all’ambiente, con compromissione delle competenze sociali e di quelle necessarie a provvedere alle abituali richieste nelle attività quotidiane, che si manifesta prima dei 18 anni e rimane sostanzialmente stabile per tutta l’età adulta. La disabilità intellettiva deve essere misurata con test standardizzati (Test Wechsler) Il comportamento adattivo viene misurato con scale che valutano l’autosufficienza nel funzionamento personale e sociale (Es. Vineland Adaptive Behavior Scale). Un soggetto con ritardo mentale presenterà severe limitazioni in almeno due delle seguenti aree: comunicazione, cura di sé, vita domestica, abilità sociale, autonomia economica e amministrativa, abilità nel provvedere alla propria salute e sicurezza personale, funzionamento scolastico e lavorativo, gestione tempo libero.. Nel ritardo mentale si riduce la forza e l’ampiezza dei processi cognitivi fondamentali, con una diminuzione delle capacità di astrazione, formulazione di ipotesi e deduzioni, con un abbassamento dell’autonomia e dell’originalità e di conseguenza un aumento delle condotte imitative e stereotipate Il deficit intellettivo colpisce le componenti verbali (QIV) e di performance (QIP) Fattori genetici / Fattori acquisiti prenatali, perinatali e post natali

166 QI 100±15 norma QI tra 70 e 85 Borderline
DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO: DISABILITA’ INTELLETTIVA O DISTURBO DELLO SVILUPPO INTELLETTIVO QI 100±15 norma QI tra 70 e 85 Borderline QI tra 69 e 50 Ritardo Mentale LIEVE* (85%, diagnosi in età scolare, compatibile con una vita socialmente autonoma, ma la consapevolezza delle difficoltà e delle frustrazioni spesso espone questi soggetti a patologie affettive e dell’umore) QI tra 49 e 35 Ritardo Mentale MEDIO (10%, diagnosi in età prescolare, spesso da causa organica o patologia neurologica, spesso presenti disturbi psicopatologici associati sintomatologia psicotica o autistica) QI tra 34 e 20 Ritardo Mentale GRAVE e QI ‹ 20 Ritardo Mentale PROFONDO (5%, dipende da una o più cause organiche e si associa a patologie neurologiche concomitanti, diagnosi precoce, spesso sintomi autistici, necessità di assistenza continuativa spesso per tutta la vita)

167 DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO: DISABILITA’ INTELLETTIVA O DISTURBO DELLO SVILUPPO INTELLETTIVO
Circa il 50% sviluppa un disturbo psichiatrico in comorbilità Più frequente comorbilità con disturbi dello spettro autistico/ disturbo da deficit di attenzione e iperattività/ disturbi di sviluppo della coordinazione/disturbi del linguaggio ma anche disturbi d’ansia/disturbi dell’umore/disturbi da comportamento dirompente, del controllo degli impulsi o della condotta La disabilità intellettiva assume caratteristiche età-dipendenti: nel bambino con disabilità intellettiva bisogna prevedere interventi spesso diversi tra loro, che rispondono a obiettivi specifici e volti a favorire l’adattamento all’ambiente. I vari interventi nei riguardi di un bambino con un determinato Profilo Funzionale devono essere articolati in un Progetto Terapeutico Personalizzato (o PEI/PDP a livello scolastico), dinamico e flessibile che prenda in considerazione i seguenti interventi: 1)riabilitativi (terapia della neuro e psicomotricità dell’EE, logopedia, terapia occupazionale 2)psico-educativi: facilitano l’apprendimento di comportamenti adattivi a livello di autonomie personali, familiari e di comunità 3)psicoterapeutici: sostegno nei casi di modesta compromissione funzionale 4) farmacologici

168 DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO: DISABILITA’ INTELLETTIVA O DISTURBO DELLO SVILUPPO INTELLETTIVO
L.R. 20/2000 Articolo 5 (Strutture per disabili) 1. La comunità alloggio di cui all'articolo 3, comma 2, lettera b), è una struttura residenziale parzialmente autogestita destinata a soggetti maggiorenni in condizioni di disabilità, privi di validi riferimenti familiari, che mantengono una buona autonomia tale da non richiedere la presenza di operatori in maniera continuativa. 2. La comunità socio-educativa-riabilitativa di cui all'articolo 3, comma 3, lettera b) (Le strutture con funzione tutelare, caratterizzate da media intensità assistenziale, sono destinate a soggetti fragili e a rischio di perdita di autonomia, privi di un valido supporto familiare), è una struttura residenziale a carattere comunitario rivolta a persone maggiorenni in condizioni di disabilità, con nulla o limitata autonomia e non richiedenti interventi sanitari continuativi, temporaneamente o permanentemente prive del sostegno familiare o per le quali la permanenza nel nucleo familiare sia valutata temporaneamente o definitivamente impossibile o contrastante con il progetto individuale. 3. La residenza protetta di cui all'articolo 3, comma 4, lettera a) (Le strutture con funzione protetta, caratterizzate da un alto livello di intensità e complessità assistenziale, sono destinate a soggetti non autosufficienti che necessitano di protezione a ciclo diurno o di residenzialità permanente o temporanea con funzione di sollievo alle famiglie) , è una struttura residenziale destinata a persone, in condizioni di disabilità con gravi deficit psico-fisici, che richiedono un elevato grado di assistenza con interventi di tipo educativo, assistenziale e riabilitativo con elevato livello di integrazione socio-sanitaria. 4. Il centro diurno socio-educativo-riabilitativo di cui all'articolo 3, comma 4, lettera a) (Le strutture con funzione protetta, caratterizzate da un alto livello di intensità e complessità assistenziale, sono destinate a soggetti non autosufficienti che necessitano di protezione a ciclo diurno o di residenzialità permanente o temporanea con funzione di sollievo alle famiglie) , è una struttura territoriale a ciclo diurno rivolta a soggetti in condizioni di disabilità, con notevole compromissione delle autonomie funzionali, che abbiano adempiuto l'obbligo scolastico e per i quali non è prevedibile nel breve periodo un percorso di inserimento lavorativo o formativo

169 DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO: DISTURBI DELLO SPETTRO DELL’AUTISMO
-Disordine neuropsichiatrico complesso con esordio in età evolutiva con una espressività clinica molto variabile tra soggetti e anche all’interno dello stesso soggetto in varie epoche di vita Comportamento la compromissione di tre aree di comportamento: Delle relazioni sociali e dell’empatia Della comunicazione sia verbale che non verbale, linguaggio e immaginazione Della flessibilità mentale e della varietà degli interessi (focalizzazione dell’interesse su particolari, presenza di comportamenti ripetitivi e stereotipati) - Nel 75% dei casi associato a disabilità intellettiva

170 DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO: DISTURBI DELLO SPETTRO DELL’AUTISMO
Mancato sviluppo dell’interazione sociale: mancano di attenzione e intenzione congiunta, non sono interessati a imitare l’altro né a rispettare i turni della comunicazione, tendono a non condividere le loro emozioni, evitano il contatto, non rispondono al sorriso ecc.. Difficoltà nella comunicazione sia verbale che non verbale: non mantengono il contatto oculare, presentano ridotta comunicazione emozionale sia nel volto che nella gestualità, alcuni non sviluppano il linguaggio, possono presentare ecolalie (ripetizioni di parole o frasi senza comprendere il significato). Anche chi sviluppa il linguaggio fa fatica a capire proverbi, metafore o doppi sensi. I B. fin da molto piccoli (18 mesi) non fanno gesti affermativi o negativi col capo, non indicano col dito. Interessi ristretti e comportamenti ripetitivi o stereotipati: interessi ossessivi e rigidi per oggetti o parti di oggetti, i cambiamenti e gli imprevisti aumentano l’ansia di questi soggetti, a volte comportamenti stereotipati con funziona autostimolatoria, molto sensibili agli stimoli sensoriali tanto che vengono disturbati da particolari rumori, comportamenti bizzarri che fungono da comunicazione anche se non sono semplici da decifrare

171 DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO: DISTURBI DELLO SPETTRO DELL’AUTISMO
I soggetti con QI superiore a 70 vengono definiti ad alto funzionamento Con l’avanzare dell’età le competenze sociali di solito migliorano, anche se l’interazione sociale, la passività e la bizzarria rimangono costanti nel tempo. L’evoluzione del linguaggio nella metà dei soggetti è nulla. In adolescenza spesso si acuiscono i problemi comportamentali. Nei soggetti con ritardo mentale l’autocontrollo può diventare più precario e possono comparire crisi di aggressività. Sindrome di Asperger: a differenza dell’autismo sviluppo linguistico nella norma, pur con dei deficit. L.R. n.25 /2014 DISPOSIZIONI IN MATERIA DI DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO

172 DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO: DISTURBI DELLO SPETTRO DELL’AUTISMO
Ipotesi patogenetiche: 1) teoria della mente: incapacità di attribuire stati mentali a sé e agli altri 2) deficit di coerenza centrale: insufficiente coerenza centrale (SNC) che ostacola l’integrazione delle informazioni in unità significative 3) difetto delle funzioni esecutive con difficoltà di organizzazione e pianificazione degli obiettivi, nel controllo degli impulsi, nell’inibizione delle risposte inappropriate, nella flessibilità di pensiero e di azione Ruolo centrale della diagnosi e dell’intervento precoci (tra i 2 e i 4 anni)

173 DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO: DISTURBI DA DEFICIT DI ATTENZIONE E IPERATTIVITA’ - DDAI
E’ una sindrome comportamentale caratterizzata da impulsività, incapacità di fissare l’attenzione in maniera continuativa e livelli di attività molto accentuati, che durano da almeno 6 mesi e si presentano in almeno due contesti di vita. Tali comportamenti, per intensità e frequenza, influiscono sulle normali attività del soggetto (sottogruppo con iperattività-impulsività, sottogruppo con disattenzione, sottogruppo combinato) Più presente nel sesso maschile, ha una prevalenza del 3%-6% nella popolazione scolastica Le cause cono sconosciute, ma si è riscontrata una familiarità per sintomi di DDAI nei genitori di soggetti affetti dal disturbo Si manifesta in genere nei primi anni di vita (di solito scuola primaria), comunque diversi sintomi prima dei 12 anni Spesso parallele diagnosi di disturbi della condotta, disturbi d’ansia, disturbi depressivi, disturbi specifici del linguaggio e disturbi specifici dell’apprendimento

174 DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO: DISTURBI DA DEFICIT DI ATTENZIONE E IPERATTIVITA’ - DDAI
L’evoluzione del DDAI nel tempo è condizionata da: 1) l’espressività dei sintomi, ovvero se prevale l’iperattività-impulsività, la disattenzione o se si è in presenza di una forma combinata. L’iperattività, accentuata nelle prime fasi dello sviluppo, tende a ridursi con la crescita e in adolescenza si trasforma in una sorta di irrequietezza e sensazione interiore di nervosismo. La disattenzione e l’impulsività tendono a persistere nel tempo, andando a connotare uno stile comunicativo-relazionale caratterizzato dalla presa di decisioni avventate, da limitata riflessione sugli eventi e da un rapido passaggio da un’attività all’altra 2) La severità di ciascuna dimensione 3) La presenza di comorbilità 4) La qualità delle misure terapeutiche adottate e la responsività del soggetto La terapia: parent training per migliorare le modalità di relazione e i comportamenti problematici del figlio/ collaborazione scuola-bambino- genitori per ampliare strategie di prevenzione e interventi sul comportamento problema/ terapia farmacologica

175 DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO: DISTURBO SPECIFICO DELL’APPRENDIMENTO
-Interessano bambini che non hanno problemi neurologici, sensoriali o psichiatrici, né deficit dello sviluppo intellettivo o problematiche socio- culturali -Elemento caratterizzante è un deficit che riguarda una o più abilità scolastiche che perdura per almeno 6 mesi (lettura, scrittura, abilità di calcolo). In alcuni casi si ha la compromissione contemporanea di più aree (DSA misto): lettura delle parole imprecisa, lenta o faticosa/ difficoltà nella comprensione del significato di ciò che viene letto/difficoltà nello spelling/difficoltà con l’espressione scritta/difficoltà nel padroneggiare il concetto di numero/difficoltà nel ragionamento matematico -Il problema si rende evidente con l’inizio della scuola; la diagnosi viene fatta utilizzando specifici test standardizzati, in equipe multidisciplinari (UMEE, centri accreditati, L.R. n.32/2012, DGR 1288/2013) -Interessano circa il 20% della popolazione scolastica e sono più frequenti nei maschi che nelle femmine; probabilità di una componente genetica alla base

176 DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO: DISTURBO SPECIFICO DELL’APPRENDIMENTO
DSA con compromissione della LETTURA (dislessia): i problemi possono riguardare l’accuratezza (errori causati da un disturbo fonologico che si ripercuote sui processi di transcodifica grafema- fonema), la velocità (tempo impiegato per leggere, grosse esitazioni, discontinuità nel ritmo ecc..) o la comprensione del testo DSA con compromissione della SCRITTURA :i problemi possono riguardare la grafia (disgrafia: il deficit riguarda la capacità di realizzazione grafica della scrittura, la fluidità e il controllo del tratto grafico ovvero il B. non riesce a tradurre nel tratto grafico quanto elaborato mentalmente), l’ortografia (disortografia deficit processi linguistici di transcodifica grafema fonema e del padroneggiamento delle regole che appartengono al sistema della lingua scritta) o la composizione del testo (costruzione del testo scritto marcatamente deficitaria, di solito riconosciuta verso gli 8-9 anni DSA con compromissione del CALCOLO: difficoltà nella comprensione e nella manipolazione delle abilità numeriche, nell’acquisizione delle procedure, degli automatismi del calcolo e della elaborazione dei numeri

177 DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO: DISTURBO SPECIFICO DELL’APPRENDIMENTO
Oltre alla predisposizione di interventi riabilitativi, è la scuola a doversi occupare in primis dei DSA, realizzando adeguate strategie compensative e misure dispensative (L. 170/2010): Art. 5 Misure educative e didattiche di supporto 1. Gli studenti con diagnosi di DSA hanno diritto a fruire di appositi provvedimenti dispensativi e compensativi di flessibilità didattica nel corso dei cicli di istruzione e formazione e negli studi universitari. 2. Agli studenti con DSA le istituzioni scolastiche, a valere sulle risorse specifiche e disponibili a legislazione vigente iscritte nello stato di previsione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, garantiscono: a) l'uso di una didattica individualizzata e personalizzata, con forme efficaci e flessibili di lavoro scolastico che tengano conto anche di caratteristiche peculiari dei soggetti, quali il bilinguismo, adottando una metodologia e una strategia educativa adeguate; b) l'introduzione di strumenti compensativi, compresi i mezzi di apprendimento alternativi e le tecnologie informatiche, nonché misure dispensative da alcune prestazioni non essenziali ai fini della qualità dei concetti da apprendere; c) per l'insegnamento delle lingue straniere, l'uso di strumenti compensativi che favoriscano la comunicazione verbale e che assicurino ritmi graduali di apprendimento, prevedendo anche, ove risulti utile, la possibilità dell'esonero. 3. Le misure di cui al comma 2 devono essere sottoposte periodicamente a monitoraggio per valutarne l'efficacia e il raggiungimento degli obiettivi. 4. Agli studenti con DSA sono garantite, durante il percorso di istruzione e di formazione scolastica e universitaria, adeguate forme di verifica e di valutazione, anche per quanto concerne gli esami di Stato e di ammissione all'università nonché gli esami universitari.

178 L’ANSIA E I SUOI DISTURBI
1) DIST. D’ANSIA GENERALIZZATA: preoccupazioni ansiose croniche per almeno 6 mesi, che si associano ad almeno 3 sintomi somatici (irrequietezza, facile affaticamento, difficoltà a concentrarsi e vuoti di memoria, irritabilità, tensione muscolare, alterazioni del sonno). Il sogg. fa fatica a controllare la preoccupazione. L’ansia compromette le attività della vita quotidiana apportando disagio significativo. Non dipende da uso di sostanze o da altre malattie 178

179 L’ANSIA E I SUOI DISTURBI
2) FOBIA SPECIFICA/SOCIALE: paura sproporzionata o irrazionale di una determinata cosa/situazione, che dura più di 6 mesi. La situazione o l’oggetto fobici vengono attivamente evitati, o sopportati con intensa ansia o paura. Causa disagio e non deriva da altre patologie. Nella F.Sociale la paura riguarda l’esposizione a situazioni sociali in cui il sogg. potrebbe essere esposto al possibile giudizio negativo degli altri; timore di manifestare in determinate situazione stati d’ansia che verrebbero valutati negativamente dagli altri. 179

180 L’ANSIA E I SUOI DISTURBI
3)ATTACCHI DI PANICO: comparsa improvvisa di intensa paura che raggiunge l’apice nel giro di pochi minuti, con almeno 4 tra: palpitazioni- tachicardia/sudorazione/tremori/dispnea-sensazioni di soffocamento/sensazioni di asfissia/dolore o fastidio al petto/nausea o dist.addominali/sensazione di vertigine- instabilità o di svenimento/brividi o vampate di calore/parestesie/derealizzazione o depersonalizzazione/paura di perdere il controllo o di impazzire/paura di morire DISTURBO DI PANICO: attacchi di panico ricorrenti e inaspettati con ansia anticipatoria e/o alterazione disadattiva della propria routine, per almeno 1 mese. AGORAFOBIA:paura spazi aperti/spazi chiusi/trasporti pubblici/stare in fila o tra la folla/essere da soli fuori casa. Il timore è di non poter essere soccorsi o di non poter fuggire qualora comparissero sintomi tipo panico o manifestazioni socialmente imbarazzanti. Evitamento 4) DISTURBO D’ANSIA INDOTTO DA SOSTANZE/FARMACI 180

181 DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO
Presenza di ossessioni e/o compulsioni che fanno consumare tempo o causano disagio e compromissione del funzionamento Ossessioni: pensieri, impulsi o immagini ricorrenti che almeno in qualche momento sono stati vissuti come intrusivi e disturbanti e che di solito causano ansia e disagio marcati. La persona tenta di ignorare, eliminare o neutralizzare tali pensieri, impulsi o immagini, di solito con altri pensieri o azioni (compulsioni) Compulsioni: comportamenti ripetitivi o azioni mentali che la persona si sente obbligata a dover mettere in atto in risposta alle ossessioni o secondo regole rigide. Tali comportamenti sono volti a prevenire un disagio o ridurre l’ansia o prevenire alcune situazioni temute; tuttavia non c’è nessun legame tra le compulsioni e le situazioni che esse sono volte a prevenire, o qualora ci sia le compulsioni sono comunque eccessive 2) L’insight può essere buono o sufficiente/ scarso / assente o con convinzioni deliranti 181

182 DISTURBI DELLO SPETTRO DELLA SCHIZOFRENIA E ALTRI D.PSICOTICI
DISTURBO DELIRANTE: 1 o più deliri per almeno 1 mese (erotomanico, grndezza,gelosia, persecuzione,somatico..). No grave compromissione DISTURBO PSICOTICO BREVE: almeno 1 giorno ma meno di 1 mese con 1 o più tra deliri*, allucinazioni*, eloquio disorganizzato*, comportamento disorganizzato o catatonico. Può esordire da un marcato episodio di stress (psicosi reattiva breve) o nel post-partum DISTURBO SCHIZOFRENIFORME: dura più di 1 mese a meno di 6 e prevede almeno 2 tra deliri *, allucinazioni*, eloquio disorganizzato*, comportamento disorganizzato o catatonico, diminuzione nell’espressione delle emozioni 182

183 DISTURBI DELLO SPETTRO DELLA SCHIZOFRENIA E ALTRI D.PSICOTICI
4) SCHIZOFRENIA: almeno 2 tra deliri *, allucinazioni*, eloquio disorganizzato*, comportamento disorganizzato o catatonico, diminuzione nell’espressione delle emozioni per più di 6 mesi. Marcata compromissione del funzionamento della persona. 5) DISTURBO SCHIZOAFFETTIVO: almeno 2 tra deliri *, allucinazioni*, eloquio disorganizzato*, comportamento disorganizzato o catatonico, diminuzione nell’espressione delle emozioni per un periodo significativo, associati a un episodio dell’umore maggiore (depressivo o maniacale) 6) DISTURBO PSICOTICO INDOTTO DA SOSTANZE/FARMACI: presenza di uno o entrambi tra deliri e allucinazioni, che insorgono durante o poco dopo l’intossicazione o l’astinenza e cessano nell’arco di circa un mese. La sostanza o farmaco sono in grado di produrre deliri/allucinazioni 183

184 DISTURBO BIPOLARE E CORRELATI
DISTURBO BIPOLARE I: e’ / è stato presente un episodio maniacale (almeno 1 settimana di aumento dell’attività finalizzata che si associa ad aumento dell’energia con almeno 3 sintomi tra autostima ipertrofica, ridotto bisogno di sonno, elevata distraibilità, fuga delle idee, aumento attività finalizzata, elevata loquacità e spinta a parlare, coinvolgimento in azioni rischiose) che può essere preceduto o seguito da episodi ipomaniacali (stessi sintomi di minor durata e funzionamento meno compromesso) o depressivi (almeno 2 settimane di umore depresso e disinteresse per le attività della vita quotidiana a cui si associano almeno 5 tra problemi nel sonno, diminuzione/aumento dell’appetito, difficoltà di concentrazione, rallentamento o agitazione psicomotoria, stanchezza e mancanza di energia, sensi di colpa o autosvalutazione eccessivi, ideazione suicidaria o tentativi di suicidio) DISTURBO BIPOLARE II: mai episodio maniacale ma solo ipomaniacale e depressivo 184

185 DISTURBO BIPOLARE E CORRELATI
3) DISTURBO CICLOTIMICO: per almeno 2 anni (1 nei bambini e adolescenti) ci sono alcuni, costanti sintomi ipomaniacali o depressivi ma senza mai soddisfare i criteri per un episodio maniacale, ipomaniacale o depressivo. La persona non è mai stata libera da tali sintomi per più di 2 mesi 4) DISTURBO BIPOLARE INDOTTO DA SOSTANZE/FARMACI 185

186 DISTURBI DEPRESSIVI DISTURBO DEPRESSIVO MAGGIORE: almeno 1 episodio depressivo maggiore DISTURBO DEPRESSIVO PERSISTENTE/DISTIMIA: umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi tutti i giorni per almeno 2 anni (nei bambini e adolescenti 1 anno) con 2 o più sintomi tra: scarso o aumentato appetito, insonnia o ipersonnia, scarsa energia, bassa autostima, difficoltà di concentrazione e nel prendere decisioni, sentimenti di disperazione. La persona non è libera da sintomi, nei 2 anni, per più di 2 mesi. DISTURBO DEPRESSIVO INDOTTO DA SOSTANZE/FARMACI 186

187 DISTURBO DA SINTOMI SOMATICI
1 o più sintomi somatici che causano disagio e compromettono la vita quotidiana, con pensieri, comportamenti o sentimenti eccessivi collegati alla salute (1 tra pensieri spropositati e persistenti circa la gravità dei propri sintomi/ livello costantemente elevato di ansia per la salute o per i sintomi/ tempo ed energie eccessive dedicate a questi sintomi o preoccupazioni eccesive legate. Dura più di 6 mesi (può essere persistente o con dolore preminente) DISTURBO DA ANSIA DI MALATTIA (preoccupazione di poter avere o contrarre una malattia in assenza di sintomi rilevanti, con ansia costante per la salute ed eccessivi comportamenti legati alla salute, per più di 6 mesi) 187

188 DISTURBI CORRELATI A SOSTANZE
DISTURBI DA USO DI SOSTANZE: sintomi cognitivi, comportamentali e fisiologici che indicano che il soggetto fa uso della sostanza. Implicano la compromissione del controllo rispetto all’uso della sostanza, la compromissione sociale, l’uso rischioso della sostanza e i criteri farmacologici (tolleranza e astinenza) DISTURBI INDOTTI DA SOSTANZE: intossicazione, astinenza, Disturbi mentali indotti da sostanze. 188

189 DISTURBI CORRELATI A SOSTANZE
DISTURBI DA USO DI SOSTANZE- ALMENO 2 NEI 12 MESI TRA: Il soggetto assume la sostanza in quantità maggiori o per periodi più lunghi di quanto non fosse sua intenzione Desiderio persistente o sforzi infruttuosi di ridurre o regolare l’uso della sostanza Il soggetto impiega una grande quantità di tempo per procurarsi la sostanza, per usarla o riprendersi dai suoi effetti Craving come desiderio intenso o irresistibile per la sostanza L’uso corrente della sostanza causa compromissione dei principali ruoli e obblighi sul lavoro, a scuola, a casa.. Il soggetto continua a usare la sostanza nonostante i numerosi problemi sociali o interpersonali Importanti attività ricreative o lavorative possono essere abbandonate o ridotte Il soggetto usa la sostanza in situazioni in cui è fisicamente pericoloso Il soggetto continua a usare la sostanza nonostante riconosce di avere problemi fisici e psicologici persistenti o ricorrenti dovuti o aggravati dalla sostanza Tolleranza Astinenza DA LIEVE (2-3 sintomi) A MODERATO (4-5 sintomi) A GRAVE (6 o più) 189

190 DISTURBI CORRELATI A SOSTANZE
TOLLERANZA: bisogno di quantità aumentate della sostanza per ottenere l’effetto desiderato o l’intossicazione + marcata diminuzione dell’effetto con l’uso continuativo dello stesso quantitativo di sostanza ASTINENZA: sindrome sostanza-specifica+ sostanza viene assunta per ridurre i sintomi di astinenza SOSTANZE: alcol, cannabis, allucinogeni, inalanti, oppiacei, sedativi-ipnotici-ansiolitici, stimolanti (amfetamine, cocaina), tabacco, caffeina 190

191 DISTURBO DA GIOCO D’AZZARDO
- Tra i Disturbi non correlati a sostanze nel DSM 5 E’ caratterizzato da un comportamento problematico relativo al gioco che dura da ALMENO 12 MESI, con almeno 4 tra: 1. bisogno per giocare d’azzardo di quantità crescenti di denaro per ottenere l’eccitazione deisderata 2. soggetto irrequieto/irritabile se tenta di smettere di giocare d’azzardo 3.ripetuti sforzi infruttuosi per controllare, ridurre o smettere di giocare d’azzardo 4.soggetto spesso preoccupato dal gioco d’azzardo 5. spesso gioca d’azzardo quando si sente a disagio 6.fenomeno del «rincorrere le perdite» 7.soggetto mente per occultare l’entità del suo problema col gioco 8.soggetto ha messo in pericolo o perso una relazione significativa, o il lavoro, opportunità di studio/carriera a causa del gioco d’azzardo 9.conta sugli altri per procurare il denaro necessario a risollevare situazioni finanziarie disperate per via del gioco Lieve (4-5 criteri)/Moderato (6-7 criteri)/Grave (8-9 criteri) 191

192 DISTURBO DA GIOCO D’AZZARDO
- Sebbene si ritenga che si possa avere una regressione spontanea del gioco d’azzardo nel 35% dei soggetti, nella maggior parte dei casi il decorso è cronico, con variazioni temporali della gravità dei sintomi - La progressione appare più rapida nelle donne piuttosto che negli uomini Solo una piccola percentuale richiede il trattamento - La metà degli individui in trattamento ha ideazione suicidaria e circa il 17% ha tentato il suicidio -Spesso associati altri disturbi da uso di sostanze, disturbi depressivi, disturbi d’ansia, disturbi di personalità. In generale i soggetti con disturbo da gioco d’azzardo hanno una scarsa salute in generale. - Ad oggi sono disponibili diversi approcci: trattamento in regime di ricovero, trattamento intensivo ambulatoriale, terapia cognitivo- comportamentale individuale o di gruppo, terapia farmacologica 192

193 IL MODELLO BIO-PSICO-SOCIALE: SCHEMA
Modello di approccio alla persona con disagio in sostituzione al modello bio-medico 1. Diagnosi dei bisogni multidimensionali 2. Elaborazione del piano socio-assistenziale Problemi clinici Problemi di autonomia Problemi socio ambientali Problemi psicologici o individuali Per ogni problema sono indicati interventi, operatori (compresa la famiglia) e forniture necessarie (contributi, farmaci, ausili ecc) Persona e Famiglia 3. Erogazione di interventi integrati e continui 4. Partecipazione di paziente e famiglia Interventi erogati da equipes multiprofessionali dei servizi in rete Educazione terapeutica al self care Alleanza terapeutica Famiglia-servizi 193 193

194 RISCHIO: nella pratica i vari professionisti, pur attribuendo valore all’approccio bio-psico-sociale, possono finire per focalizzare l’attenzione sull’aspetto che più attiene al proprio background culturale e professionale L’unica strategia per realizzare l’approccio bio-psico- sociale è quella che prevede attività di equipes multiprofessionali interagenti al proprio interno e con la persona DALL’ASSESSMENT DIAGNOSTICO DEI BISOGNI MULTIDIMENSIONALI AL PIANO ASSISTENZIALE INDIVIDUALIZZATO CHE DEVE TENER CONTO DEI BISOGNI COMPLESSI DI CUI IL SOGGETTO E’ PORTATORE Promuovere una cultura dell’integrazione e della comunicazione interprofessionale fin dall’Università 194 194

195 Il PAI può essere definito come il risultato della condivisione in equipe degli interventi necessari per rispondere ai bisogni del soggetto nel modo più appropriato, tenendo conto del suo contesto ambientale (barriere e facilitatori), dei fattori personali e delle capacità, nonché delle risorse disponibili Il PAI prevede che per ogni bisogno rilevato, come per ogni capacità, vengano definiti gli obiettivi, gli interventi clinico-assistenziali, i relativi operatori compresi i familiari, nonché i prodotti e gli strumenti adatti a compensare limitazioni e sviluppare capacità. Oltre a disposizioni legislative, metodologie del servizio sociale, procedure consolidate, buone prassi ecc..di quale altro strumento dispone l’assistente sociale nel suo lavoro? 195 195

196 Può essere individuale o collettiva
LA PREVENZIONE La Prevenzione è un insieme di attività, di interventi ed opere attuate con il fine prioritario di promuovere e conservare lo stato di benessere ed evitare l’insorgenza delle malattie/patologie/disagi Può essere individuale o collettiva 196 196


Scaricare ppt "DI ANALISI E TRATTAMENTO DEL DISAGIO"
Annunci Google