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Sociologia economica del welfare Piera Rella -15 marzo 2018

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Presentazione sul tema: "Sociologia economica del welfare Piera Rella -15 marzo 2018"— Transcript della presentazione:

1 Sociologia economica del welfare Piera Rella -15 marzo 2018
corso di laurea in Programmazione Gestione e Valutazione dei Servizi Sociali PROSS- I anno 12 crediti formativi (inclusi 6 Nocifora sulle migrazioni) – gruppo disciplinare SPS/09 Dal 1 marzo al 29 maggio Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche Ricevimento stanza B12 su appuntamento 1 1

2 settimana scorsa Definizioni disciplinari sociologia
Le onde lunghe dello sviluppo capitalistico Taylorismo,fordismo, post-fordismo Territorio/ città/ urbanizzazione Nascita del welfare e 3 diversi regimi di protezione sociale, che oggi riprendiamo facendo corrispondere ai diversi sistemi di welfare tipi di capitalismo Quindi vedremo il primo capitolo del testo a cura di Ascoli, Il welfare in Italia

3 La distorsione funzionale del modello italiano
La principale peculiarità italiana sta nella composizione interna della spesa pubblica: fortemente squilibrata a vantaggio della funzione di protezione sociale rivolta a “vecchiaia e superstiti” (assorbe circa il 62% delle spesa totale contro il 46% della media europea), cioè del sistema pensionistico. Si tratta dunque di una distorsione di tipo funzionale, che non si riscontra in nessun altro paese europeo Va detto però che nel sistema pensionistico finiscono funzioni di assistenza come le integrazioni delle pensioni al minimo e la CIG straordinaria Ultima presentata la volta precedente

4 La distorsione distributiva del modello italiano
Un’altra peculiarità italiana è che all’interno delle varie funzioni di spesa, compresa quella pensionistica,vi è un netto divario di protezione fra diverse categorie occupazionali (accesso alle prestazioni e loro entità):  gruppi sociali garantiti (lavoratori dipendenti della pubblica amministrazione e delle grandi imprese)  gruppi sociali semi-garantiti (lavoratori autonomi, lavoratori dipendenti delle piccole imprese e dei settori tradizionali)  gruppi sociali non garantiti (lavoratori instabili e irregolari)

5 Burroni L. , Capitalismi a confronto
Burroni L., Capitalismi a confronto. Istituzioni e regolazione dell’economia nei paesi europei, il Mulino 2016 Ai 4 modelli di welfare corrispondono 4 modelli di capitalismo, diversi per ruolo dello stato e tipo di crescita e coesione sociale, oltre che per caratteristiche ed eredità storiche Dunque il welfare viene analizzato tenendo conto anche di diversi modelli di sviluppo del capitalismo 4 modelli di welfare secondo Esping Andersen e Titmuss: liberale residuale, conservatore corporativo, e una sua variante per i Pigs

6 Tipi di paese in base al Pil, rischi sociali e tipo di welfare
universale occupazionale Alto (e bassi rischi sociali) Alto+alti rischi Paesi scandinavi anglosassoni Paesi continentali Basso (e alti rischi) (solo la sanità) mediterranei

7 Modello nordico: crescita inclusione e nuove sfide portate dall’immigrazione
Obiettivi proposti dal I ministro svedese Hansson negli anni ’30: rimuovere le differenze di classe, sviluppare l’assistenza sociale, e ridurre le disparità economiche Ruolo proattivo dello stato nella crescita della innovazione e nella riduzione delle disuguaglianze Si spende di più in istruzione, formazione e servizi, ma meglio che in altri paesi Universalismo e servizi per promuovere inclusione attiva. La flessibilità del mdl è subordinata alla sicurezza

8 → frammentazione del mdl)
Modello continentale chiunque abbia a cuore il benessere degli individui, non può non promuovere l’economia sociale di mercato (Erhard, cancelliere tedesco dal 1963 al 1966) Lo stato sostiene le grandi imprese, la produttività e l’export e un sistema scolastico duale L’elevata partecipazione al mercato del lavoro si basa sul dualismo tra dipendenti da grandi imprese (forza lavoro protetta con sindacati forti e cogestione) e occupazioni modeste, part time e atipiche poco retribuite → frammentazione del mdl)

9 Il capitalismo anglosassone: adattabilità, individualizzazione e disuguaglianza
La società non esiste (Thatcher, I ministro dal 1979 al 1990) Ruolo finanziario spinto e rischio crisi finanziarie Settore terziario dinamico ma duale Welfare in contrazione e sempre più selettivo Capacità di creare occupazione ma sempre più vulnerabile Capacità di contrastare la povertà, ma non la disuguaglianza

10 Modello mediterraneo: dell’insicurezza senza la competitività
Riforme del mdl per la flessibilità, ma non per migliorare la qualità Riforme del welfare che puntano a contenere i costi, ma non tengono conto dei nuovi rischi. Macchina burocratica dello stato è un vincolo per le imprese Si spende poco e male per sviluppo e innovazione L’economia sommersa ha un peso maggiore del 18% L’Italia ha un’industria manifatturiera più importante di quella spagnola, portoghese e greca, ma differenze territoriali più ampie

11 Ugo Ascoli (a cura di) Il welfare in Italia, Il Mulino 2011

12 Obiettivo e Metodologia del libro
Rileggere l’evoluzione del nostro welfare comparandola con quella Ue e tenendo conto delle sue peculiarità: alta disoccupazione e forte precariato, basso riconoscimento lavoro di cura, invecchiamento popolazione, scarsi servizi per l’infanzia, mancanza Rmi- max disuguaglianze territoriali La crisi dell’universalismo dipende dall’egemonia neo-liberista? Ogni capitolo scritto da esperti di quel settore di politiche sociali. Si tenta di comprendere non solo le politiche di spesa , ma anche quelle fiscali e occupazionali

13 Cap1 del testo a cura di Ascoli, Il welfare in Italia
Trasformazione e dei rischi sociali e persistenza del welfare di Costanzo Ranci e Mauro Migliavacca Disuguaglianze territoriali non solo di ricchezza ma anche di welfare: al Sud più inefficiente per assunzioni clientelari e ruolo della Mafia (qualche processo di mobilitazione contro) Cap1 del testo a cura di Ascoli, Il welfare in Italia

14 I vettori del cambiamento: modelli familiari e mercato del lavoro
All’inizio anni ’90 c’era ancora stabilità occupazionale e relativa divisione per genere dei ruoli almeno nelle classi medie (donne lavoro di cura e uomini responsabilità capofamiglia) In Francia questi 2 pilastri cominciano ad erodersi (Castel, 1997) Il compromesso fordista fondato ½ secolo prima che ha garantito prosperità e pace sociale viene meno con il ristagno dei salari che crescono meno del Pil (Crouch, 1999)

15 A fine anni ’90 e primi anni 2000 la situazione è cambiata specie in Italia
Il mercato del lavoro si terziarizza e precarizza con conseguenze diverse al Nord + precari (salariati di livello basso e nuove professioni autonome) Al Sud aumentano disoccupati permanenti, underclass e poveri, registrati da I tassi di povertà (assoluta e relativa) Indice Gini che misura la disuguale distribuzione dei redditi Le famiglie e non il Welfare hanno cercato di tamponare la situazione con gli anziani che sostengono i giovani

16 Apparentemente cambia poco:
i redditi da lavoro rimangono stazionari nel decennio prima della crisi, specie al Nord Ma le distanze tra il 3° quintile (ceto medio) e il 5°(ceto alto) aumentano La quota di poveri diminuisce al crescere dell’età La quota di ricchi tra i giovani ancora di più Tutte queste differenze si sono aggravate con la crisi specie al Sud → divario Nord Sud aumenta Quintili= divisione dei possessori di reddito in 5 parti: 1°quintile i più poveri, 5° i più ricchi

17 Di fatto molti gruppi sociali si rimescolano
I dirigenti hanno mediamente il reddito + elevato (> euro nel 2008) simile a quello di imprenditori e liberi professionisti Gli impiegati hanno un reddito stagnante ( euro) Gli operai sono stazionari e nel 2008 guadagnano meno dei pensionati

18 Le trasformazioni del lavoro
Continua negli anni ’90 e 2000 la crescita dei tassi di attività femminile, ma in Italia meno che altrove (anche la Spagna ci supera) Poi con la crisi c’è il crollo del tasso di occupazione

19

20 Ma più per gli uomini che per le donne

21 L’Italia ancora pecora nera in Europa (Balduzzi, 2015)
Differenze nel tasso di occupazione maschile e femminile 20% in Italia

22 Dal Rapporto Svimez: al Sud l’occupazione giovanile Femminile metà che al Centro-Nord
Entrambe sotto la media Ue

23 Il lavoro flessibile si diffonde dal 1992 al 2009
In maniera più accelerata che in Germania,Spagna, Francia, R.U Fino allo scoppio della crisi permette di contenere la disoccupazione Con la crisi non è più utile a questo fine. La disoccupazione risale e produce uno slittamento nella transizione alla vita adulta O peggio l’invischiamento nella trappola della precarietà

24 Dipendenza e attività di cura
Nonostante in forte invecchiamento della popolazione, il numero di persone dipendenti si mantiene sui 2- 2,5 milioni perché Nascono meno bambini con handicap I grandi anziani >80 anni , pari al 40% degli anziani >65, stanno meglio Le donne danno meno il loro sostegno, i servizi pubblici rimangono carenti→ badanti anche irregolari

25 Il sistema pensionistico
Metà della spesa va in pensioni, ma non perché si distribuiscono troppe pensioni e neppure perché esse sono di importo troppo elevato, ma perché si spende poco negli altri settori Come nota F. R. Pizzuti (Rapporto sullo stato sociale) il sistema pensionistico è in equilibrio finanziario. L’Inps oltre a compiti previdenziali svolge assistenza: integrazioni al minimo e pensionamenti anticipati che dovrebbero essere a carico della fiscalità generale Paga i trattamenti di TFR (salario differito) Preleva tasse per lo stato sulle pensioni L’incidenza sul Pil della spesa pensionistica è al di sotto della media UE L’Inps dal 1998 non è più in passivo

26 Le politiche di welfare non hanno subito cambiamenti
Inerzia del nostro sistema di welfare: in sanità si spende meno che negli altri grandi paesi Ue per la tutela della disabilità e ancor meno in indennità di disoccupazione, e spesa sociale in senso stretto Spesa sociale per famiglie e infanzia più a rischio con la crisi non è aumentata Manca un Rmi (a parte il Sia e il Rei introdotti dopo)

27 Inerzia delle politiche pubbliche (visione benevola)
conclusioni Le disuguaglianze tra i diversi gruppi sociali si sono approfondite in un gioco a somma 0, in cui i perdenti sono i < 16 anni, i giovani, i lavoratori temporanei, le famiglie monoreddito, i non autosufficienti e coloro che li accudiscono, i ceti medi I vincitori: ricchi, dirigenti, imprenditori professionisti, pensionati Il welfare non ha attenuato le sofferenze degli sconfitti per Inerzia delle politiche pubbliche (visione benevola) Propensione a rispondere agli interessi degli insiders (Ranci, Migliavacca) RICHIAMO a Il lavoro in crisi cap 3

28 DISTRIBUIRE I FOGLI PER LE FIRME E/O PAUSA. POI PASSIAMO AL CAP
DISTRIBUIRE I FOGLI PER LE FIRME E/O PAUSA. POI PASSIAMO AL CAP.5 sulle politiche per il lavoro

29 Stefano Sacchi e Patrik Vesan Le politiche del lavoro
Politiche del lavoro in italia: Fino agli anni ’90 Dalla metà anni ’90: passaggio al lavoro flessibile Attive e passive regolative

30 Di che tratta il capitolo 5
Attenzione al mercato del lavoro (mdl) regolare e non alle politiche di emersione dell’occupazione irregolare e sommersa Politiche proattive: volte alla promozione dell’occupazione in particolare servizi per l’impiego Politiche passive: sostegno al reddito Regolazione dei rapporti di lavoro Già presentata

31 I cambiamenti della legge 223/1991
Eliminazione della chiamata numerica del collocamento (sistema introdotto nel dopoguerra per un‘equa ripartizione del poco lavoro - di fatto non qualificato- disponibile, a cui ormai le imprese derogavano con trasferimenti dalle piccole imprese che assumevano per chiamata nominativa ) Cig straordinaria anche per accompagnare la mobilità lunga verso la pensione per chi è stato espulso dal processo produttivo→ col perdurare della crisi proroghe e deroghe alla durata dei trattamenti per singole categorie

32 Il progressivo passaggio al lavoro flessibile
L. 79/ 1983 Possibilità di introdurre il tempo determinato (ammesso in pochi casi e settori dalla legge 230 del 1962) per punte stagionali in tutti i settori e non solo commercio e turismo previa autorizzazione del Ministero L.863/ 1984 introduce contratti a tempo parziale, di formazione lavoro e di solidarietà→ tentativi di rispondere alla disoccupazione e alla richiesta di flessibilità

33 Il cambiamento delle politiche del lavoro dalla metà degli anni ‘90
3 dimensioni del cambiamento ↓ ↓ ↓ Strategica distributiva organizzativa Per ogni dimensione vanno definiti gli obiettivi I cambiamenti nei livelli di protezione Cambiamenti della governance: ripartizione delle competenze tra una pluralità di attori pubblici e privati

34 La dimensione strategica
aumento politiche proattive, attente alla crescita dell’occupazione attraverso politiche di condizionalità ↓ Chi prende l’indennità di disoccupazione non deve essersi dimesso da solo e fare la DID (Dichiarazione di Immediata Disponibilità) ed accettare offerte di lavoro congrue o partecipare a corsi di formazione scelti dal Centro per l’impiego Di fatto i CpI hanno difficoltà ad attuare tali politiche specie al Sud (59% contro 85% al Nord fanno verifiche periodiche della DID e solo il 23% procedono alla revoca dello stato di disoccupazione) Non più promozione uscite ( in progressivo calo dal 2000 al 2008 cfr. graf. p.154) ma invecchiamento attivo→ nel 2012 eliminazione accompagnamento alla pensione e creazione esodati con la Riforma Fornero

35 La dimensione distributiva
A metà anni ’90 gli ammortizzatori sociali sono su base assicurativa, ma si raddoppia l’indennità di disoccupazione  avvicinamento a chi può usufruire della Cig le carriere frammentate rendono difficile avere i requisiti assicurativi sarebbe necessario il Rmi Crisi economica affrontata dal governo di Centro-destra non riformando le regole d’accesso, ma aumentando Cig e mobilità in deroga  + attenzione ai disoccupati settentrionali che a quelli meridionali

36 La dimensione organizzativa: i Servizi per l’impiego
1997 fine del monopolio pubblico Devoluzione competenze a livello regionale rafforzata dalla Riforma del Titolo V della Costituzione 2003 ampliamento possibilità interventi privati con la legge 30/2003  nascono più sistemi locali, al Ministero compiti di monitoraggio tendenza al riaccentramento con Renzi: Programma Garanzia Giovani e DL 150/2015 che assegna le politiche attive allo stato attraverso l’Agenzia Nazionale Politiche del Lavoro- ANPAL Ma la non approvazione della riforma costituzionale richiede accordo con le Regioni Scarsa integrazione con l’Inps che eroga sussidi di disoccupazione Al Nord mancano gli impiegati, al Sud le infrastrutture e difficoltà perché i CPI sono progettati per mercati del lavoro dinamici

37 Le politiche del governo Renzi
in seguito alla proposta di riforma costituzionale, spetterebbe allo Stato la competenza esclusiva in materia di politiche attive del lavoro; alle Regioni la potestà legislativa in materia di “promozione dello sviluppo economico locale” Nel frattempo a Costituzione invariata Gestione operativa delle politiche attive e responsabilità dei Cpi riconosciute alle Regioni con l’Accordo quadro del 30 luglio 2015. Il D.L. 14/9/ 2015 n. 150 ridisegna anche il ruolo dei Cpi  nuova governance dei servizi per l’impiego, con sistema misto pubblico/ privato (Cpi+Apl accreditate),già in atto nella Regione Lazio attivare le persone beneficiarie di ammortizzatori sociali per immetterle in tempi rapidi nel mercato del lavoro attraverso l’assegno di ricollocazione.

38 Un sistema multilivello di politiche Attive del Lavoro
ANPAL (Agenzie Nazionale politiche attive del lavoro), Regioni (Cpi) e soggetti privati accreditati (Apl) debbono garantire a tutti gli utenti i servizi minimi essenziali stabiliti per legge. Il Governo, (Ministero del lavoro e delle politiche sociali) previa intesa con le Regioni, definisce i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) in materia di politiche attive del lavoro validi su tutto il territorio nazionale. l’ANPAL coordina su scala nazionale (la rete degli enti attuatori delle politiche attive: Cpi e Apl), il monitoraggio delle stesse, (ma non la sostituzione in caso di malfunzio-namento dato che non è passata la riforma costituzionale) e lo sviluppo del sistema informativo (unitario) delle politiche attive. Le Regioni assumono la gestione operativa delle politiche attive (incluse quelle che spettano alle Province) e la responsabilità dei CpI. Perché il personale dei Cpi possa continuare a lavorare senza soluzione di continuità con le Regioni, Governo e Regioni s’impegnano a reperirne le risorse nella proporzione 2/3 a carico del Governo e 1/3 a carico delle Regioni resta in piedi solo ciò che è evidenziato in grassetto (tra parentesi ciò che non viene attuato senza riforma costituzionale)

39 Da I centri per l’impiego dopo il Jobs Act,Lucia Valente Prof
Da I centri per l’impiego dopo il Jobs Act,Lucia Valente Prof. Diritto del Lavoro, Nuovi lavori Resta da capire se tutto il processo messo in atto sia in grado di garantire l’erogazione dei servizi per il lavoro ai cittadini in modo davvero uniforme su tutto il territorio nazionale Dato che le competenze in materia di politica attiva per il lavoro non sono passate effettivamente allo Stato, ma restano in capo alle Regioni.

40 La situazione attuale secondo l’Isfol
Attualmente le regioni hanno 2 modelli: lombardo con equiparazione e concorrenza pubblico e privato prevalenza del pubblico, ma accreditamento agenzie private e alcune operazioni insieme fino ad un unico data base in comune con gli enti accreditati Il Lazio ha un modello intermedio che utilizza l'assegno di ricollocazione regionale per l'avvio al lavoro. Il monitoraggio del sistema è stato tolto per 1 anno all'Isfol e dato ad Agenzia lavoro (ora riunificate). Il monitoraggio in corso ha prodotto una lista degli enti accreditati, con alcune informazioni. E' prevista una rilevazione sui centri privati del Lavoro (Apl) con un questionario ancora non definito La rilevazione sulle Apl non è stata fatta?

41 Dinamica, processo e impatto del cambiamento nelle politiche sociali di Sacchi e Vesan
Quali tipi di cambiamento sono possibili, in base al contesto politico-sociale? Evolutivo = adattamento delle politiche esistenti alle nuove sfide (aumenta la disoccupazione, si rafforzano gli strumenti esistenti come la CIG) Rivoluzionario = discontinuità e rottura con il passato e nuove policies Che cosa condiziona il cambiamento? la possibilità di veto del contesto politico, Capacità di contrasto all’implementazione della politica

42 Tentativi di cambiamento
Condizionalità =chi prende l’indennità di disoccupazione non deve essersi dimesso da solo e fare la DID -Invecchiamento attivo = Non più promozione uscite

43 Bilancio 1995-2010 dell’impatto del cambiamento
Nonostante il carattere evolutivo della regolamentazione dei rapporti di lavoro, vi è stato un significativo cambiamento da un MdL rigido ad uno dei più flessibili in Ue. Le politiche attive si sono modificate invece poco Nonostante le modifiche degli Spi siano state rivoluzionarie, i cambiamento è stato variegato, differente tra Nord e Sud

44 Conclusioni autori nel 2014
Forte aumento flessibilità non aumenta possibilità d’impiego durature, a meno che non avvenga in un’azienda in espansione  tentativo attuale Jobs act di rafforzare il carattere stabile del lavoro Alla vigilia della crisi economica si sono tappate le falle, ma manca un pavimento di diritti sociali e universalistici accessibili per tutti i lavoratori: gli ammortizzatori sociali rimangono di tipo assicurativo (quindi non per tutti)- Le politiche attive sono limitate La riforma degli Spi limitata Quando scrivono gli autori + DL 2014 del jobs act

45 Lavori di gruppo Obiettivo una didattica più partecipata.. E una migliore valutazione Come i CPI rispondono all'introduzione della politica di contrasto alla povertà REI (reddito di inclusione attiva). indagando il ruolo dell'Assistente sociale come facilitatore del percorso di ricerca attiva del lavoro, fare interviste ad assistenti sociali sulle difficoltà di interfacciarsi con i Centri per l’impiego ma allo stesso tempo chiedere sia agli intervistati che ai CPI dove si recheranno come si stanno adoperando per implementare il REI


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