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PubblicatoGioacchino Brunetti Modificato 6 anni fa
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I seminaristi burundesi “Martiri della fratellanza”
Buta, 1993
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Il Burundi
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Dal 1993 il paese africano del Burundi era sconvolto da una guerra fra etnie, gli Hutu e i Tutsi.
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In 100 giorni furono uccise 500.000 persone.
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Eppure, in quel clima di odio, nel seminario minore di Buta, il Vangelo trasformava la vita di una quarantina di ragazzi tra i 15 e i 20 anni, che pur appartenendo alle due etnie, provavano a vivere nella fratellanza.
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Nel 1997, pochi giorni dopo Pasqua, una banda di ribelli Hutu, ubriachi e drogati, fa irruzione nel dormitorio, dove i ragazzi stanno riposando. Quello che vogliono dimostrare è come di fronte alla minaccia della morte la possibilità che le due etnie possano convivere sia fallimentare. Ordinano quindi ai ragazzi di separarsi, gli Hutu da una parte e i Tutsi dall’altra.
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I ragazzi non si muovono: non perché paralizzati dalla paura, piuttosto perché convinti che di fronte all’amicizia non si possono fare distinzioni etniche: l’amico resta tale, indipendentemente da come te lo vogliano rappresentare.
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Delusi e disorientati dalla inaspettata reazione, gli assassini scatenano l’inferno, mentre i ragazzi, tutsi e hutu indifferentemente, restano abbracciati tra loro, si sostengono a vicenda, si aiutano come possono.
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Alla fine, su quel pavimento, immersi nel loro sangue, si contano 40 morti: tutti ragazzi tra i 15 e i 20 anni, crivellati di colpi, sventrati dalle granate, finiti con il machete. La loro non è stata una morte casuale, piuttosto il risultato “di un’atmosfera, della cultura, dell’educazione che erano state forgiate da mesi… Non è in quella notte tragica che quegli studenti hanno scoperto il dramma del loro Paese. Vi avevano già riflettuto sopra. Il loro comportamento è il prodotto di quella maturazione”, dicono adesso di loro.
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