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PubblicatoAllegria Bonelli Modificato 11 anni fa
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La fine del II secolo a. C. : la crisi sociale e i Gracchi (133-122 a
La fine del II secolo a.C.: la crisi sociale e i Gracchi ( a.C.)
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Latifondisti e nullatenenti
CAUSE 1) La spina dorsale dell'esercito romano era il cittadino-soldato che aveva la possibilità di dotarsi di un'armatura. In pratica questo significava che l'esercito romano era formato soprattutto da piccoli proprietari di terre. A causa delle molte guerre tra il 250 ed il 150 a.C., un giovane coltivatore poteva rimanere in servizio militare fino alle soglie della vecchiaia. Nel frattempo, la sua fattoria era sommersa dai debiti. 2) La produzione agricola era basata su grano e allevamento: l’arrivo di grandi quantità di grano pubblico dalle province (per es. dalla Sicilia) fece crollare i prezzi e mandò definitivamente in rovina molti piccoli proprietari. CONSEGUENZE 1) Le piccole fattorie fallivano una dietro l'altra, e spesso furono comprate dai romani ricchi che crearono enormi latifondi. Questi latifondi erano coltivati da schiavi e sfruttati solo in parte (vaste zone erano incolte). 2) I soldati in congedo e i piccoli proprietari in rovina andavano invece a ingrossare la schiera dei disoccupati e degli sbandati di Roma.
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La questione dell’ager publicus
I territori conquistati da Roma nel corso delle guerre di espansione nella penisola erano utilizzati in due modi: una parte, sottoposta alla centuriazione, era assegnata in possesso ai coloni romani o latini in occasione della fondazione di colonie (si parla di assegnazioni viritiane, fatte cioè virītim, per ogni individuo); un’altra parte, chiamata ager publicus, rimaneva invece di proprietà dello stato, che lo concedeva in uso ai privati cittadini, dietro pagamento di una piccola tassa (vectīgal) Già le leggi Licinie Sestie (367 a.C.) ponevano dei limiti allo sfruttamento dell’agro pubblico, ma i ricchi proprietari terrieri da sempre lo occupavano illecitamente e lo consideravano una proprietà privata, che andava ad aumentare l’estensione dei latifondi.
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Tiberio Gracco, riformatore o rivoluzionario?
Nel 146, la IV guerra macedonica e la III guerra punica finirono insieme e un grande numero di veterani congedati non avevano un posto dove andare. Quello che seguì fu un periodo di grandi difficoltà sociali. Tiberius Sempronius Gracchus, apparteneva alla nobilitas senatoria: il padre, Tiberio Sempronio Gracco, di famiglia plebea, era stato governatore della Spagna; la madre, Cornelia era figlia di Scipione l’Africano ed apparteneva al patriziato. Tiberio Gracco, che aveva partecipato all’assedio di Cartagine e poi aveva combattuto in Spagna nel 137 a.C., nel 133 a.C. fu eletto tribuno della plebe. Come tribuno egli propose una riforma agraria per dare soluzione ai problemi che affliggevano i piccoli proprietari e i veterani. Egli non era un rivoluzionario, ma un comandante esperto che sentiva urgente il bisogno di riforma seria.
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La riforma agraria di Tiberio Gracco
Tiberio propose una legge per la redistribuzione delle terre dell’ager publicus usurpate dai ricchi latifondisti (lex sempronia agraria) La legge limitava l'occupazione delle terre dello stato a 500 iugeri (=125 ettari) a persona e riassegnava le terre eccedenti ai contadini in rovina: una nobile poteva avere 500 iugeri di terreno, più 250 per ogni figlio, fino ad un massimo di 1000 (ma queste terre venivano date ai nobili in proprietà privata); i terreni confiscati dovevano essere redistribuiti ai nullatenenti in modo che ogni famiglia contadina avesse un lotto di 30 iugeri in possesso precario (rimanevano giuridicamente di proprietà dello stato). Sorvegliare l'equità della divisione spettava ad una commissione di triumviri, composta oltre che dallo stesso Tiberio, dal suocero Appio Claudio e dal fratello Gaio Gracco. Lo scopo della riforma non era solo quello di risollevare le sorti dei contadini poveri ridotti al rango di proletarii, ma anche quello di ricostituire il ceto di piccoli proprietari per dare nuova linfa all’esercito
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Un atto incostituzionale
Il provvedimento fu osteggiato sdegnosamente dai latifondisti che tentarono inutilmente di incitare una rivolta contro Tiberio. Essi si appoggiarono allora ad un altro tribuno della plebe, il giovane Marco Ottavio, che pose il veto alla legge agraria. E così Tiberio fu costretto a proporre la destituzione di Ottavio che il giorno dopo fu approvata dal concilio della plebe: si trattava di un atto che non era previsto dall’ordinamento repubblicano (i tribuni godevano infatti della sacrosanctitas e avevano lo ius intecessionis, lo ius coercitionis e lo ius auxilii). Si arrivò così anche all'approvazione della legge; ma il clima era sempre infuocato e nonostante i gesti distensivi di Tiberio, Ottavio fu a fatica sottratto dalle grinfie della folla inferocita. Alla sua morte il re di Pergamo Attalo III lasciò in eredità le sue terre e le sue ricchezze al popolo romano. Tiberio pensò di utilizzare il tesoro di Attalo per finanziare la sua riforma: propose che il suo patrimonio fosse destinato all'acquisto di sementi e attrezzi agricoli per i nuovi proprietari e che le nuove terre fossero anch'esse divise tra i nullatenenti.
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La reazione del senato. Il primo assassinio politico
Per poter far approvare questo provvedimento, pensò di candidarsi nuovamente al tribunato della plebe, infrangendo una consuetudine di due secoli. La paura era che un leader carismatico potesse usare l'ufficio di tribuno, come trampolino per il raggiungimento di un potere personale basato sulla demagogia. La decisione di Tiberio era senza precedenti ed allarmò i senatori, che lo accusarono di aspirare alla tirannide. Nel luglio del 133 a.C., mentre i Concili della plebe erano riuniti per eleggere i tribuni per l’anno seguente, Tiberio fu assalito da un gruppo di senatori alla testa di un grande numero di soldati e clienti. I senatori marciarono per - essi dissero - salvare la repubblica: Tiberio fu ucciso insieme con 300 seguaci. Ma il senato non ebbe la forza di abrogare la riforma agraria e la commissione continuò ad operare.
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Un nuovo progetto di riforma: Caio Gracco
Gaio Sempronio Gracco era il fratello più giovane di Tiberio. Egli, già collaboratore del fratello, aveva una visione politica molto più ampia. I suoi programmi di riforma sociale lo resero popolare presso la gente di Roma. Egli non solo sfruttò come forza politica formidabile la grande massa di immigrati proveniente dalle campagne ma ottenne l'appoggio del ceto dei cavalieri. Gaio divenne tribuno della plebe nel 123 a.C. e di nuovo nel 122 a.C., grazie ad una nuova legge approvata qualche anno prima che riconosceva al tribunato la piena legittimità della iteratio della carica.
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Il pacchetto di leggi di Gaio
1) Gaio riaffermò la legge agraria del fratello Tiberio e la rese perfezionò in più punti; 2) con la legge frumentaria propose la distribuzione di pane a prezzo ridotto per i cittadini poveri; 3) per dare terra ai nullatenenti propose la fondazione di tre nuove colonie romane (Cartagine, Squillace e Taranto); 4) con la legge sulla cittadinanza cercò di risolvere il problema del malcontento degli italici: propose di estendere la cittadinanza romana ai latini e quella latina agli italici (nel 125 a.C. Fulvio Flacco aveva proposto senza successo l’estensione a tutti della cittadinanza romana); 5) Propose una legge giudiziaria, secondo la quale i tribunali permanenti (quaestiones perpatuae) che dovevano giudicare l’operato dei governatori provinciali usciti di carica (che spesso erano accusati di estorsione crimen de repetundis pecuniis), fino ad allora composti solo da senatori, fossero composti per 1/3 da senatori e per 2/3 da cavalieri. Ciò gli attirò le simpatie dei cavalieri, ma l’odio dei senatori (“Gaio diede alla città due teste”).
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La demagogia senatoria
Il Senato tentò di corteggiare le masse tumultuanti dei diseredati facendo loro credere che avrebbero perso i loro privilegi a danno degli italici. La popolarità di Gaio cominciò a declinare. Gli elettori romani non volevano affrancare gli italiani, perché questo avrebbe reso meno decisivi i loro voti. L'altro tribuno, Livio Druso, d'accordo col senato, presentò proposte demagogiche (fra le quali la fondazione di ben 12 colonie) e fece elargizioni di grano al popolo. La manovra ebbe successo: nel 122 a.C. Gaio non fu rieletto per l’anno successivo (le elezioni si tenevano in estate). La massa dei nullatenenti di Roma aveva ceduto alle lusinghe del senato e aveva abbandonato Gaio al suo destino.
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La morte di Gaio Gracco A quei tempi non solo molti leader a Roma camminavano scortati da una banda personale di seguaci e guardie del corpo, ma anche dei leader secondari avevano le proprie scorte armate. Spesso quindi le strade di Roma erano teatro di scaramucce, bastonature e uccisioni. Un gruppo dei seguaci di Gaio si incontrò con un servitore di uno dei consoli. Dalle parole si passò ai fatti e il servitore del console fu ucciso. Il senato emanò per la prima volta il senatus consultum ultimum (l’estrema decisione del senato), con la quale si attribuivano ai consoli poteri straordinari: videant consules ne quid detrimenti res publica capiat. I partigiani di Gaio Gracco tentarono un'azione disperata occupando e fortificando l'Aventino, ma l'esercito li assediò e li uccise. Gaio, per non cadere vittima dei nemici, si fece uccidere da uno schiavo.
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Una riforma incompiuta
La riforma agraria, asse centrale della politica graccana fu gradualmente smantellata: la commissione agraria fu abolita e i lotti dei nullatenenti, che erano dello stato, furono ben presto recuperati dai i ricchi proprietari con pressioni o con l’acquisto. Il processo di ricostituzione della piccola proprietà contadina fu interrotto e il processo di allargamento del proletariato continuò. Restò in vigore più a lungo, invece, la legge giudiziaria di Gaio Gracco, che sarà abolita da Silla.
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Un bilancio sui Gracchi
I Gracchi furono due riformatori che elaborarono risposte a problemi urgenti e pressanti nei quali si dibatteva la società romana, ma che commisero anche errori fatali di giudizio politico. La loro azione, infatti, segna l'introduzione della violenza nella politica romana e la tendenza a prevaricare sull’ordinamento repubblicano. Essi fecero anche intravedere lo spettro della guerra di classe e anche lo spettro della guerra civile tra popolari e ottimati, spettro che non aveva più minacciato Roma fin dalla lotta tra patrizi e plebei. In conclusione con i Gracchi si rivelò la debolezza della aristocrazia senatoria e dell’ordinamento repubblicano. Il Senato, battuto una volta, poteva essere battuto ancora, anche se non senza prezzo. Ma c'era ormai chi era disposto a pagare quel prezzo.
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