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Come nascono i distretti industriali di G. Viesti

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Presentazione sul tema: "Come nascono i distretti industriali di G. Viesti"— Transcript della presentazione:

1 Come nascono i distretti industriali di G. Viesti
CENTRI E PERIFERIE Come nascono i distretti industriali di G. Viesti

2 1. Il fattore “spazio” nell’analisi economica
Negli anni ‘90 la scienza economica ha posto sempre più attenzione nei suoi studi alla dimensione spaziale dello sviluppo Ciò è stato determinato da alcuni mutamenti nella realtà economica internazionale; in particolare: Una notevole porzione mondiale di manufatti viene realizzata in un ristretto numero di città e regioni Le imprese appartenenti a un particolare settore tendono a localizzarsi in prossimità le une delle altre e a formare concentrazioni geografiche di attività

3 Il fattore “spazio” nell’analisi economica
Tali processi una volta avviati sono cumulativi, determinano, cioè, forze economiche che tendono a rafforzare gli stessi processi di concentrazione La ripresa di interesse per i “distretti industriali”, come li definì Alfred Marshall nei suoi primi studi, è stata resa possibile dall’avanzamento negli strumenti matematici a disposizione degli economisti In particolare dalla possibilità di formalizzare nei modelli economici di uso comune le “economie di scala”, un elemento chiave nei processi di agglomerazione delle attività produttive

4 Il fattore “spazio” nell’analisi economica
Negli anni ’90 si è avviato un filone di letteratura economica definito nella “nuova geografia economica”, a partire dal modello centro- periferia di Krugman Essa, partendo da concetti già presentati nell’economia regionale, nell’economia internazionale e nell’economia dello sviluppo, ha come obiettivo spiegare le divergenze nei sentieri di sviluppo “regionale”

5 2. L’approccio neoclassico
Un filone ampio della letteratura economica, di stampo neoclassico, sostiene che l’azione dei mercati determina una crescita economica equilibrata sul territorio Ipotizzando una concorrenza perfetta e una razionalità assoluta degli attori economici, la spiegazione è costruita sull’assunto dei rendimenti marginali decrescenti: impiegando quantità sempre maggiori di un fattore produttivo si è in grado di ottenere una quantità maggiore di bene finale, ma a un tasso decrescente di crescita

6 L’approccio neoclassico
I sistemi economici procedono perciò in questo modo verso un prevedibile equilibrio, che risulta ottimale in termini di allocazione delle risorse La distribuzione territoriale delle attività economiche è spiegata dalla teoria neoclassica innanzitutto dai costi di trasporto: maggiore sarà la distanza tra produttore e consumatore, maggiore sarà il prezzo complessivo del bene e quindi minore la quantità domandata

7 L’approccio neoclassico
Ciascun produttore servirà un’area di mercato di forma circolare, tangente a quella di un altro produttore al fine di non generare concorrenza Perciò, posto che la popolazione sia distribuita in maniera uniforme, tutte le aree avranno la stessa dimensione e la localizzazione di tutti i produttori avrà la stessa logica Ma la situazione muta se vengono prodotti beni diversi

8 Il modello di Christaller
Secondo Christaller, infatti, ciascun bene ha un prezzo differente e una differente domanda: tutti i beni sono offerti all’interno di aree di mercato di forma esagonale, la cui dimensione varia a seconda dei beni Non si determina mai una polarizzazione delle attività economiche nello spazio: i centri di livello inferiore sono omogeneamente diffusi sul territorio

9 Il modello di Christaller
Centro rango A Centro rango B Centro rango C Area rango A Area rango B Area rango C

10 L’equilibrio della dinamica domanda-offerta
In queste interpretazioni, la crescita economica e il suo impatto nello spazio costituiscono un processo lineare ed uniforme: se un qualsiasi mutamento disturba il sistema, il perfetto funzionamento dei mercati è in grado di ristabilire l’ordine Ciò accade anche in conseguenza del presupposto che i fattori produttivi (ad es. capitale e lavoro) sono considerati perfettamente mobili, altrimenti ciascuna regione tenderà a specializzarsi i beni per la cui produzione sono necessari in misura più intensa i fattori di cui essa dispone maggiormente

11 3. L’economia “classica” del sottosviluppo regionale
A differenza dell’impostazione neoclassica, tale approccio considera gli squilibri regionali una caratteristica permanente e non transitoria del sistema economico Le teorie della polarizzazione e dello sviluppo squilibrato, sviluppatesi negli anni ‘50, attribuiscono all’esistenza di economie di scala lo sviluppo di alcune regioni e il mancato sviluppo di altre

12 Sviluppo e sottosviluppo regionale come fenomeni cumulativi
Uno spostamento della posizione di equilibrio può provocare cambiamenti irreversibili e amplificare piuttosto che ridurre le differenziazioni tra le aree Secondo Myrdal (1957), infatti, “per se stessi le migrazioni, i movimenti dei capitali e del commercio sono piuttosto il mezzo attraverso il quale si svolge il processo cumulativo, in senso ascendente nelle regioni fortunate e discendente in quelle sfortunate”

13 Sviluppo e sottosviluppo regionale come fenomeni cumulativi
L’interdipendenza economica determina l’immissione sui mercati delle regione periferiche di beni prodotti in quelle centrali, il che ostacola ulteriormente lo sviluppo Il risultato è un centro dominante e una periferia dominata

14 Effetti moltiplicatori ed “imprese motrici”
Secondo gli studi di Allan Pred (1966) e Perroux (1955), la crescita economica dipende da complessi effetti moltiplicatori, generati dall’inizio di nuove attività industriali in una regione In particolare essi individuano delle “imprese motrici” che, per la loro dimensione, capacità innovativa e rapporti instaurati con il tessuto circostante, stimolano la crescita regionale attraverso la nascita di fornitori, oppure attraverso la formazione di capitale umano, o ancora attraverso la diffusione di conoscenze tecnologiche

15 4. La “nuova geografia economica”
I contributi degli economisti classici del sottosviluppo regionale sono stati ripresi dalla “nuova geografia economica”: essa si ripropone lo scopo di spiegare le concentrazioni di popolazione e attività economica Krugman (1991) illustra come due regioni uguali in ogni loro caratteristica possono avere percorsi di sviluppo assai differenti, determinando l’emergere di una regione centrale e di una regione periferica

16 Vantaggi first-nature e second-nature
Egli sottolinea come alcune regioni abbiano evidenti vantaggi oggettivi, definibili di first- nature, sulle altre nella creazione di agglomerazioni di attività economiche: risorse naturali, clima, posizione geografica Anche se questi mancano, si possono sviluppare vantaggi second-nature: una regione attrae nuove imprese semplicemente perché , al di là di ogni considerazione oggettiva, ne ospita già molte

17 La scelta localizzativa dell’impresa nel modello di Krugman
La nuova geografia economica cerca di dimostrare analiticamente questi effetti, come risultato di interrelazioni fra economica di scala, costi di trasporto e mobilità fattoriale Facciamo un esempio numerico: si ipotizzano due regioni, Est e Ovest, che producono beni agricoli e manufatti che vengono acquistati dagli stessi lavoratori

18 La scelta localizzativa dell’impresa nel modello di Krugman
La forza lavoro nel settore agricolo è in proporzione alla terra disponibile,e quindi identica nelle due regioni; la distribuzione dell’occupazione industriale è invece endogena al modello, non determinata a priori Nella produzione di manufatti ci sono economie di scala e i costi di trasporto sono nulli all’interno di una regione, ma non fra due regioni Dove si insedierà una nuova impresa? Essa ha a disposizione 3 possibilità: produrre in una delle 2 regioni o in entrambe

19 La scelta localizzativa dell’impresa nel modello di Krugman
Distribuzione delle altre imprese costi dell’impresa, se si localizza: solo ad Est ad Est e Ovest solo ad Ovest Tutti ad Est fissi 4 8 trasporto 3 7 totali 11 Metà e metà 5 9 Tutti ad Ovest

20 La scelta localizzativa dell’impresa nel modello di Krugman
La sua scelta, perciò, dipende da un elemento: al precedente distribuzione territoriale delle attività manufatturiere e quindi della domanda Il modello di Krugman fornisce due indicazioni importanti: La scelta dell’impresa dipende dai suoi costi, ma la dimensione dei suoi costi dipende dalla localizzazione delle altre imprese; quindi le scelte localizzative delle imprese sono interconnesse Essa va ad insediarsi dove ci sono le altre; la scelta dell’impresa rafforza l’equilibrio localizzativo preesistente

21 Il fattore “costi di trasporto”
Un equilibrio di tipo simmetrico tra le due regioni si mantiene fintanto che i costi di trasporto sono molto alti; una volta che questi sono sufficientemente bassi e per qualsiasi motivo aumenta la domanda di una regione, le imprese (e insieme ad esse la forza lavoro) abbandonano l’altra; man mano che questo accade, quel mercato cresce, e quindi i motivi per spostarsi si fanno sempre più forti

22 5. Cosa dice la “nuova geografia economica”
I modelli sottolineano come due regioni perfettamente uguali possano diventare, per l’azione di forze endogene, profondamente diverse. La loro dinamica si può riassumere in 3 fattori: La quota di occupazione nel settore a localizzazione non vincolata: tanto maggiore è questa quota, tanto più è probabile che le attività economiche possano concentrarsi Il livello dei costi di trasporto: al decrescere dei costi di trasporto, la produzione può facilmente concentrarsi in alcune regioni La rilevanza di economie di scala: tanto più importanti sono le economie di scala, tanto più forti saranno le tendenze all’agglomerazione

23 Cosa dice la “nuova geografia economica”
Dal momento che i processi di agglomerazione tendono ad autorafforzarsi proprio per forze endogene al sistema, che rafforzano la polarizzazione, la “nuova geografia economica” afferma che con elevata probabilità si creeranno un centro e una periferia, ma non dice quale delle due sarà centro Ciò però è facilmente intuibile attraverso un’analisi path dependency: vantaggi naturali ereditati, ovvero geografici e storici (first-nature) evolvono naturalmente in vantaggi di concentrazione (second- nature), rendendo più semplice lo sviluppo delle aree già centrali

24 Cosa dice la “nuova geografia economica”
Allo stesso modo i costi di trasporto giocano un ruolo decisivo: se essi sono proibitivi, non vi è alcuno scambio e quindi alcuna agglomerazione, ogni produttore servirà solo il suo mercato Altro elemento fondamentale sono le aspettative: le decisioni localizzative delle imprese e della forza lavoro dipendono anche dalle attese circa le dimensioni future dei mercati, dalle loro aspettative circa le dinamiche delle due regioni (self- fulfilling prophecy)

25 6. Come fanno le periferie a diventare centro?
Dal momento che l’approccio della “nuova geografia economica” presuppone che l’essere centro o periferia non dipende da caratteristiche intrinseche della regione, ma dalle dinamiche di imprese e lavoratori in base a parametri economici, è altresì possibile che, al mutare di tali parametri, le periferie si sviluppino fino a diventare centri (principio di reversibilità della geografia)

26 Le condizioni del mutamento
Ipotizzata una regione A centro e una regione B periferia, il possibile sviluppo di nuove attività produttive in B richiede che si verifichino contemporaneamente 3 condizioni: Un livello dei costi di trasporto tale che renda possibile e conveniente spostare produzioni da A a B, per servire il mercato di A Un vantaggio nei costi di produzione in B; ciò dipende, ad esempio, da minori livelli nei salari della forza lavoro Una “profezia credibile”: ovvero che si formi una ragionevole aspettativa che B si svilupperà, in modo da influenzare il comportamento delle risorse mobili fra regioni e incentivare a spostarsi in B

27 Le condizioni del mutamento
Queste condizioni possono essere determinate dall’azione di forze di mercato, ma spesso risultano opportune forme di intervento pubblico, volte a creare e a rafforzare le dinamiche di mercato

28 7. Economie esterne e distretti industriali
Abbiamo visto come i fenomeni agglomerativi possono dar vita ad economie di tipo pecuniario (di domanda), ma alcuni economisti hanno sostenuto che essi possono favorire anche economie di tipo non pecuniario (di offerta) Alfred Marshall mise in luce come vi fossero fenomeni agglomerativi dovuti ad una pluralità di condizioni economiche definite “economie esterne” Queste si possono determinare a seguito di: Un’ampia circolazione di informazioni e conoscenze tecniche Lo sviluppo di pool di forza lavoro specializzata e qualificata L’insediamento di fornitori specializzati

29 Economie esterne MAR ed intersettoriali
Si possono a tal proposito distinguere fra economie esterne: MAR (Marshall-Arrow-Romer) che riguardano spillover conoscitivi all’interno di singoli settori (la specializzazione stimola l’innovazione) Intersettoriali, determinate dall’interazione fra attività economiche differenziate collocate all’interno della stessa area (la diversificazione della base produttiva stimola l’innovazione)

30 Il “cluster” Michael Porter (1998) ha introdotto il concetto di “cluster” per leggere ed interpretare le dinamiche economiche territoriali e i fenomeni di concentrazione geografica delle imprese Esso costituisce un insieme, geograficamente prossimo ed economicamente interconnesso, di imprese ed istituzioni L’interconnessione economica è leggibile attraverso i rapporti verticali fornitore/cliente o i rapporti orizzontali di concorrenza e complementarietà fra le imprese; ma anche dall’esistenza di comuni campi di interesse fra le imprese e le istituzioni


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