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La politica occulta e i suoi alleati

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Presentazione sul tema: "La politica occulta e i suoi alleati"— Transcript della presentazione:

1

2 La politica occulta e i suoi alleati
Il problema dell’educazione alla democrazia logo Mario Caligiuri Università della Calabria

3 Relatori Sessione del mattino

4 Relatori Sessione del pomeriggio

5 Coordinatori Spadafora - Buongiorno

6 Sommario Introduzione Un’area scientifica? La crisi della democrazia
Gli alleati della politica occulta Il problema dell’educazione alla democrazia Gli antidoti? Conclusioni

7 Introduzione

8 Percorso di ricerca

9 Università d’estate di Soveria Mannelli 2006-2007

10 Saggio Su per Giorgio Inserire baldini e castoldi editore sulla copertina Mario Caligiuri, Le componenti perdute della democrazia. Il pensiero di Giorgio Galli

11 Master in Intelligence a.a. 2007-2008

12 Centro Studi sull’ Intelligence

13 Percorso di ricerca

14 Un’area scientifica?

15 In principio fu Popper Copertina libro + manifesto 100

16 Popper: la teoria della cospirazione sociale
La “teoria della cospirazione sociale” si situa esattamente all’opposto del vero scopo delle scienze sociali. Karl Popper, La teoria sociale della cospirazione, Conjectures and Refutations, 1972

17 Popper: la teoria della cospirazione sociale
La teoria sociale della cospirazione è assai diffusa, e contiene pochissima verità. Soltanto quando i teorici della cospirazione giungono al potere essa diviene una teoria in grado di spiegare avvenimenti reali . Per esempio, quando Hitler andò al potere, credendo nel mito del complotto dei Savi Anziani di Sion, tentò di contrastare la loro cospirazione con una contro-cospirazione. Ma il fatto interessante è che cospirazioni del genere non danno mai – o quasi mai – l’esito previsto. Karl Popper, La teoria sociale della cospirazione, Conjectures and Refutations, 1972

18 Popper: la teoria della cospirazione sociale
“La rivoluzione di Lenin e soprattutto la rivoluzione di Hitler, e la guerra di Hitler, furono secondo me davvero delle cospirazioni. Ma furono conseguenza del fatto che erano saliti al potere dei teorici del complotto, i quali – e questo è assai significativo – non riuscirono a portare a termine i loro complotti” Karl Popper, La teoria sociale della cospirazione, Conjectures and Refutations, 1972

19 Popper: la teoria della cospirazione sociale
Hitler costruì un complotto destinato a fallire. Ma perché fallì? Non solo perché altre persone cospirarono a loro volta contro Hitler. Fallì, semplicemente, perché uno dei dati sconcertanti della vita sociale e che nessuna azione ha mai esattamente il risultato previsto. Karl Popper, La teoria sociale della cospirazione, Conjectures and Refutations, 1972

20 Popper: la teoria della cospirazione sociale
Nella vita sociale non si riesce quasi mai a produrre esattamente l’effetto desiderato, e di solito si ottiene anche qualcosa che non si voleva. Certo, si agisce sempre avendo in mente degli scopi, ma le nostre azioni comportano sempre un certo numero di conseguenze indesiderate; e di solito non è possibile eliminarle. Spiegare perché non si possano eliminare è il compito precipuo della teoria sociale. Il vero compito delle scienze sociali è spiegare proprio le cose che nessuno vuole. Karl Popper, La teoria sociale della cospirazione, Conjectures and Refutations, 1972

21 La teoria del complotto
“L'ossessione del grande complotto" è un pericoloso impasto di malessere psicologico e di malafede culturale, ha radici religiose, economiche e ideologiche molto profonde e ha indubbiamente cambiato il corso della storia.”

22 La teoria del caos

23 Teoria del Caos: Equilibrio di Nash
La teoria dei giochi è la scienza che studia la capacità di assumere decisioni in un ambiente competitivo L’equilibrio di Nash consiste nella consapevolezza che ciascun partecipante non ha alcun interesse a cambiare da solo le regole del gioco. A beautiful mind" (2002, Ron Howard),

24 Teoria del Caos: Equilibrio di Nash
"Il concetto di equilibrio di Nash è forse l'idea più importante nella teoria dei giochi non cooperativa. Se analizziamo le strategie di elezione dei candidati, le cause della guerra, la manipolazione degli ordini del giorno nelle legislature, o le azioni delle lobby, le previsioni circa gli eventi si riducono ad una ricerca o ad una descrizione degli equilibri. Detto in altri termini e banalizzando, le strategie di equilibrio sono tentativi di predizione circa il comportamento della gente.“ Peter Ordeshook A beautiful mind" (2002, Ron Howard),

25 Un punto di vista Evidenti complotti
Credere nel complotto è un poco come credere che si guarisca per miracolo. Il bello è che, nella vita quotidiana, non vi è nulla di più trasparente del complotto e del segreto. Un complotto, se efficace, prima o poi crea i propri risultati e diventa evidente. E così dicasi del segreto, che non solo viene di solito svelato da una serie di “gole profonde” ma se è importante prima o poi viene alla luce. Società trasparente copertina vattimo - Complotti evidenti ECO Umberto Eco, La sindrome del complotto, “l’Espresso” 8 febbraio 2007

26 Un punto di vista Evidenti complotti
Complotti e segreti, se non arrivano in superficie, o erano complotti inabili, o segreti vuoti. La forza di chi annuncia di possedere un segreto non è di celare qualcosa, è di far credere che ci sia un segreto. In tal senso segreto e complotto possono essere armi efficaci proprio nelle mani di chi non vi crede. Umberto Eco, La sindrome del complotto, “l’Espresso” 8 febbraio 2007

27 Un punto di vista Società trasparente
Società trasparente copertina vattimo - Complotti evidenti ECO

28 La crisi della democrazia

29 La crisi della democrazia
La causa delle cause? La crisi della democrazia è (coincide?) con la crisi della rappresentanza politica

30 La teoria delle Élites GAETANO MOSCA
In ogni società c’è un numero ristretto di persone che, coalizzate in base a rapporti di interesse, sono omogenee e solidali, traggono la loro forza dal fatto di essere “organizzate”, contro la più numerosa ma divisa, inarticolata, dispersa, disgregata classe dominata. La macchina statale è la strumento di cui si serve l’elite politica per realizzazione i propri fini Norberto Nobbio Bobbio, Matteucci, Pasquino, Dizionario di politica, UTET, 1983

31 La circolazione delle Élites
VILFREDO PARETO “La storia è un cimitero di elites". Quando l'elite non è più in grado di produrre elementi validi per la società decade. Nelle elites si verificano due tipi di movimenti: uno orizzontale (movimenti all'interno della stessa elite) e uno verticale (ascesa dal basso o declassamento dall'elite). L'umanità agisce principalmente secondo azioni non logiche, manifestazioni di qualcosa di non razionale che condiziona la nostra vita. Fra queste: l'istinto delle combinazioni (propensione al cambiamento) e la persistenza degli aggregati (tendenza alla conservazione delle tradizioni).

32 La polemica sull’opinione pubblica
I cittadini sono inevitabilmente disinformati rispetto alle complesse questioni della vita pubblica, e quindi il governo va lasciato in mano a specialisti, quindi ai politici. La democrazia va costruita dal basso nelle comunità locali, attraverso il ruolo della scuola che deve consentire ad ogni singolo individuo di assumersi responsabilità, sia nell’ambito personale che collettivo. Frase dewey

33 La conclusione di Lasch
Il problema posto dai due intellettuali americani negli anni Venti del Novecento è di più vasta portata, mettendo a nudo “un problema imbarazzante: la democrazia implica o meno un alto livello di condotta personale? Frase dewey

34 Riflessioni attuali e inattuali
“La democrazia è un viaggio senza fine. Le fonti storiche ci dicono che la democrazia, tra le esperienze umane, è cosa rara. E’ destinata a essere di nuovo rimpiazzata da sistemi non democratici? Continuerà la sua espansione globale? Subirà un’ulteriore trasformazione? Il futuro è troppo incerto per poter dare una risposta univoca” Robert Dahl individua quattro sfide a cui leader e cittadini dovranno rispondere nei prossimi anni per rendere effettiva la democrazia. Tra queste affronta il tema, secondo noi decisivo, dell’educazione dei cittadini. Sostiene: “Uno dei criteri fondamentali del processo democratico è proprio la presenza di un’opinione pubblica ben informata. Ma in pratica come avviene la formazione dei cittadini? La maggior parte dei cittadini riceve un livello di istruzione scolastica sufficiente a garantire l’alfabetizzazione. Quantità di informazioni a basso costo attraverso i media. Le competizioni elettorali accresce l’offerta, si presume che un determinato partito, pur senza conoscerne a fondo e tutti i programmi, possa attuare delle politiche a tutela dei propri interessi”.[1] Dahl parla poi di “cambiamenti graduali”, indispensabili in questa epoca di incertezze, per produrre risultati profondi e duraturi.[2] Lo studioso americano però prevede che non sarà così anche in futuro in quanto, tra l’altro, “è aumentata anche la complessità delle questioni pubbliche, oltrepassando, forse, i benefici dell’aumentato livello di istruzione.”[3] O si supereranno – e questo richiederà inevitabilmente tempi lunghi - le nuove sfide, o ci sarà la decadenza, ampliando il solco già notevole tra democrazia reale e democrazia ideale. In particolare per l’aspetto della formazione, Dahl commenta: “Non intendo suggerire di archiviare le forme di educazione che si sono venute a creare nell’arco degli ultimi due secoli, ma ritengo che, negli anni a venire, queste antiche istituzioni dovranno essere affinate grazie a nuovi strumenti che favoriscano l’educazione civica, la partecipazione politica, l’informazione, le decisioni creative.”[4] [1] R. A. Dahl, Sulla democrazia, Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 194 [2] Dahl parla addirittura di “cambiamenti profondi e persino rivoluzionari”, Idem, pag. 195 [3] Idem, pag. 196 [4] Idem, pag. 197 Robert Dahl, Sulla democrazia, Laterza, 2002

35 Riflessioni attuali e inattuali
Nel mondo si sta affermando un tipo di democrazia senza libertà, in cui la circostanza che si svolgano le elezioni di per sé non è completamente significativa. In questo modo, nei Paesi avanzati c’è il rischio che attraverso le manipolazioni dei media siano le lobbies ad orientare significativamente il consenso dei cittadini mentre nei Paesi in via di sviluppo possono salire al potere estremismi e fondamentalismi Frase dewey Fareed Zakaria, Democrazia senza libertà, Rizzoli, 2003

36 Riflessioni attuali e inattuali
Forse potremmo individuare come spirito di questo tempo la crisi della democrazia e negli ultimi cinquant’anni i meccanismi delle democrazie sono indiscutibilmente peggiorati in tutto il mondo. Le ragioni dell’attuale crisi consistono nell’origine dello Stato moderno, che ha cancellato dalla storia i movimenti e le culture che ha considerato irrazionali. Il risveglio di antiche culture attualmente dimenticate sono elementi da tenere in considerazione, perché rappresentano un contributo culturale per il superamento della crisi della democrazia. Frase dewey Giorgio Galli, Cromwell e Afrodite, Kaos, 1995

37 Gli alleati della politica occulta

38 Gli alleati della politica occulta: le regole della globalizzazione
I processi di globalizzazione condizionano alla base i fondamenti della democrazia o l’allargano?

39 Gli alleati della politica occulta: l’economia canaglia
L’economia criminale minacciano la democrazia degli Stati o è, in qualche modo, funzionale e tollerata?

40 Gli alleati della politica occulta: il sistema mediatico
I Media sostengono un sistema politico inefficiente ed autoreferenziale, contribuendo all’opacità della democrazia, o offrono strumenti di autentica comprensione della realtà?

41 Gli alleati della politica occulta: la politica alla deriva
I politici italiani, di destra e sinistra, stanno portando l’Italia alla deriva o le responsabilità vanno condivise con altri?

42 Gli alleati della politica occulta: la classe dirigente introvabile
è causa od effetto di una società cinica e bara?

43 Gli alleati della politica occulta: l’euro e il signoraggio bancario
L’euro ha messo in ginocchio gli italiani e la finanza internazionale pensa solo a stessa oppure i vantaggi per i cittadini comuni ci sono?

44 Gli alleati della politica occulta: la ‘ndrangheta e il potere
La ‘ndrangheta è collegata al potere o è combattuta dal potere? Ruolo delle regioni Sanità Ruolo internazionale

45 Gli alleati della politica occulta: la ‘ndrangheta e il potere
L’istituzione delle regioni ha alimentato la criminalità organizzata? La politica è intermediaria tra la criminalità e gli affari, in particolare la sanità? La società civile – università, intellettuali, giornali, chiesa, ecc– sta facendo la sua parte? Ruolo delle regioni Sanità Ruolo internazionale

46 Il problema dell’educazione alla democrazia

47 Il ruolo dell’istruzione
La formazione rappresenta una fondamentale educazione alla democrazia, l’unico sistema che consente di creare le condizioni di una vita degna di essere vissuta per sé e per gli altri. La scuola è un “laboratorio di democrazia” poiché l’uomo si comporta in modo intelligente e cooperativo per comprendere la realtà. Chomksy - dewey John Dewey, Democrazia e educazione, La Nuova Italia, 1996

48 Il ruolo dell’istruzione
“Lontane dal creare pensatori indipendenti, le scuole hanno sempre, nella storia, giocato un ruolo istituzionale in un sistema di controllo e coercizione. Una volta che si è istruiti, si è già plasmati socialmente in maniera tale da sostenere la struttura di potere che, in cambio, ricompensa immediatamente” Chomksy - dewey Noam Chomsky, La diseducazione, Armando, 2003

49 La dispersione della conoscenza
“L’ipotesi di un mercato perfetto significa che tutti i membri della collettività vengono ritenuti automaticamente a conoscenza di tutto ciò che è rilevante per le loro decisioni.” Friedrich von Hayek, La scoietà libera, Rubbettino, 2007

50 La dispersione della conoscenza
Si presuppone un inesistente “sistema di mobilitazione di conoscenze che nessuno può possedere per intero o centralizzate. Ci troviamo di fronte a un problema di divisione della conoscenza, che è totalmente analogo, e di almeno pari importanza, a quello della divisione del lavoro.” Ma per fare questo occorre confrontarsi con un aspetto fondamentale individuato da Friederich A. von Hayek che è quello della dispersione della conoscenza,[1] che investe temi relativi all’educazione ed alla comunicazione. Tale concetto parte dalla teoria del mercato perfetto, nel quale “ciascuno è a conoscenza di tutto” ed in cui ogni evento è conosciuto istantaneamente da ogni individuo: “l’ipotesi di un mercato perfetto significa semplicemente che tutti i membri della collettività vengono perlomeno ritenuti automaticamente a conoscenza di tutto ciò che è rilevante per le loro decisioni.”[2] Si presuppone infatti un inesistente “sistema di mobilitazione di conoscenze che nessuno può possedere per intero o centralizzare,”[3] e quindi “ci troviamo di fronte a un problema di divisione della conoscenza, che è totalmente analogo, e di almeno pari importanza, a quello della divisione del lavoro.”[4] Anche questo aspetto, che sebbene a prima vista potrebbe considerarsi marginale, ribadisce con forza l’importanza della formazione della classe dirigente. [1] F. A, von Hayek, La società libera, Rubbettino, Soveria Mannelli 2007, pagg [2] F. A, Hayek, Conoscenza, mercato, pianificazione, Il Mulino, Bologna 1988, pagg [3] L. Infantino, Prefazione in . A, von Hayek, La società libera, cit., pag. 27 [4] F. A, Hayek, Conoscenza, mercato, pianificazione, cit., pag. 246 Friedrich von Hayek, La società libera, Rubbettino, 2007

51 Videocrazia “La televisione provoca conseguenze disastrose: produce immagini e cancella i concetti, atrofizzando la nostra capacità di astraente e con essa tutta la nostra capacità di capire” Carlo Sartori, Homo videns, Laterza, 1998

52 Forme di sapere che stiamo perdendo
Attualmente, la nostra mente riceve ed elabora le informazioni in modo diverso che in passato, in quanto siamo passati progressivamente dalla lettura all’ascolto ed alla visione. “Se la lettura è in calo, ciò significa che è in calo l’intelligenza che le è specifica” ed inoltre “il calo internazionale non solo del consumo della lettura ma anche della capacità di leggere segna il passaggio da un mezzo di acquisizione delle conoscenze ad un altro.” Secondo Raffaele Simone siamo alla terza fase della conoscenza,[1] che è caratterizzata dall’esplosione tecnologica della fine del Novecento e che segue la prima fase legata all’invenzione della scrittura e la seconda fase caratterizzata dall’invenzione della stampa. Ognuna di queste fasi ha determinato cambiamenti tecnici e mentali sulle forme di acquisizione delle conoscenze. Nella prima fase, l’invenzione della scrittura ha consentito di fermare “con segni scritti le informazioni su un supporto stabile, liberando la memoria individuale e collettiva del peso di un’enorme quantità di dati che, prima di allora, dovevano essere registrati nella mente”.[2] Dopo circa duemila anni, il cambio di rotta è stato dovuto all’invenzione della stampa, definita da Elizabeth Eisenstein la “rivoluzione inavvertita”,[3] che fece diventare il libro un bene riproducibile e con un costo accessibile, consentendo un’inedita diffusione delle conoscenze e che, più tardi con l’avvento dei giornali, ha consentito la costruzione della prima embrionale forma di opinione pubblica e quindi della conseguente comunicazione pubblica.[4] La fase attuale invece è fortemente caratterizzata dal’enormità delle informazioni che conosciamo, in quanto non solo le abbiamo lette, e non solo attraverso la stampa ma anche sugli schermi della televisione o del computer, ma anche per averle sentite alla radio, alla televisione o al computer e per averle soprattutto viste, attraverso la televisione, il cinema o sempre il computer. Attualmente, attraverso una pluralità di strumenti di comunicazione, la nostra mente riceve ed elabora le informazioni in modo diverso che in passato, in quanto siamo passati progressivamente dalla lettura all’ascolto ed alla visione, funzioni che si integrano sempre di più. Il libro non è più il simbolo della conoscenza, sostituito in questa fase soprattutto dalla televisione, il mezzo che maggiormente ha determinato, ed in un certo senso costruito, questo mutamento epocale. Infatti, la televisione provoca conseguenze disastrose[5], in quanto come sostiene Carlo Sartori “produce immagini e cancella i concetti, atrofizzando la nostra capacità di astraente e con essa tutta la nostra capacità di capire”.[6] Tutti i dati indicano che il numero di lettori dei quotidiani nel mondo si sta riducendo, tanto che c’è ipotizza la fine dei giornali entro il 2012, né meglio va con il numero dei lettori di libri. Pertanto, sostiene Raffaele Simone, “se la lettura è in calo, ciò significa che è in calo l’intelligenza che le è specifica” ed inoltre “il calo internazionale non solo del consumo della lettura ma anche della capacità di leggere segna il passaggio da un mezzo di acquisizione delle conoscenze ad un altro.”[7] Secondo Simone, si vengono a determinare due tipi di intelligenze: la prima legata alla lettura che definisce sequenziale e la seconda determinata dall’uso dell’immagine che definisce invece simultanea. Nel primo caso, nella gerarchia dei sensi il vedere prevale rispetto all’udire e l’intelligenza “opera sulla successione degli stimoli, e li dispone in linea, analizzandoli ed articolandoli”.[8] Pertanto chi legge “deve procedere un passo per volta, linearmente, seguendo il testo per codificare i propri pensieri (che possono essere simultanei tra loro) in modo da renderli successivi”.[9] Nella seconda fattispecie, si sviluppa la “capacità di trattare simultaneamente più informazioni, senza stabilire una gerarchia”,[10] consentendo una libera visione delle immagini e quindi determinando a livello mentale “un’elaborazione simultanea”.[11] L’esempio del quadro è molto calzante: quando guardiamo un dipinto, cosa vediamo per prima e in che ordine? E’ praticamente impossibile stabilirlo. Queste due forme di intelligenza, conseguenzialmente determinano due tipi di culture: quelle proposizionali e quelle non-proposizionali. Le prime sono tipiche delle civiltà occidentali, che prediligono la parola, la distinzione e l’analisi, generando i concetti di persona, libertà, diritti civili, spirito critico, democrazia.[12] Le seconde sono invece quelle oggi preferite dai giovani dove al dire si preferisce l’emozione ed alle parole le allusioni ed i riferimenti indiretti. Un universo in cui c’è “l’idea che non sia rilevante dare nome alle cose e tradurre le esperienze in parole e in discorsi, perché le esperienze è molto meglio averle, ricordarle, rievocarle, che raccontarle analiticamente”[13] La prima conseguenza diretta è che la cultura impartita dalla scuola è fortemente disarmonica rispetto alla cultura espressa dai giovani. Da un lato, il sistema educativo stimola lo spirito critico, invitando i giovani a “dare parole al proprio mondo interiore ed alla propria esperienza”,[14] invitando alle conseguenze verbali. Dall’altro, la cultura dei giovani ritiene gli orari scolastici “una sorta di finzione vera, di penitenza più o meno protratta, finita la quale si può tornare alla realtà vera e autentica,”[15] che si trova all’esterno delle aule scolastiche dove c’è “uno spazio vivo, nel quale pullula un’energia che deriva dalle persone e che si può anche materializzare sotto forme diverse”.[16] In conclusione, Simone si domanda: “siamo sicuri che lo spirito analitico sul quale la nostra cultura si è basata per alcuni secoli non abbia passato il limite?”.[17] [1] R. Simone, La Terza Fase, Laterza, Roma-Bari 2006 [2] Idem, pag. VIII [3] E. Eisenstein, La rivoluzione inavvertita, Il Mulino, Bologna 1986 [4] P. Mancini, [5] [6] C. Sartori, Homo videns, Laterza, Roma-Bari 1998, pag. 21 [7] R. Simone, La Terza Fase, cit., pagg [8] Idem, pag. 17 [9] Idem, pag. 74 [10] Idem, pag. 73 [11] Idem, pag. 74 [12] Idem, pag. 135 [13] Idem, pag. 137 [14] Ibidem [15] Idem, pagg [16] Idem, pag. 139 [17] Ibidem Raffaele Simone, La Terza Fase, Laterza, 2002

53 Forme di sapere che stiamo perdendo
Si vengono a determinare due tipi di intelligenze: la prima legata alla lettura che definisce sequenziale e la seconda determinata dall’uso dell’immagine che definisce invece simultanea. Nel primo caso, nella gerarchia dei sensi il vedere prevale rispetto all’udire. Chi legge deve procedere un passo per volta, linearmente, seguendo il testo per codificare i propri pensieri in modo da renderli successivi. Nella seconda fattispecie, si sviluppa la “capacità di trattare simultaneamente più informazioni, senza stabilire una gerarchia”, consentendo una libera visione delle immagini e quindi determinando a livello mentale “un’elaborazione simultanea”. Secondo Raffaele Simone siamo alla terza fase della conoscenza,[1] che è caratterizzata dall’esplosione tecnologica della fine del Novecento e che segue la prima fase legata all’invenzione della scrittura e la seconda fase caratterizzata dall’invenzione della stampa. Ognuna di queste fasi ha determinato cambiamenti tecnici e mentali sulle forme di acquisizione delle conoscenze. Nella prima fase, l’invenzione della scrittura ha consentito di fermare “con segni scritti le informazioni su un supporto stabile, liberando la memoria individuale e collettiva del peso di un’enorme quantità di dati che, prima di allora, dovevano essere registrati nella mente”.[2] Dopo circa duemila anni, il cambio di rotta è stato dovuto all’invenzione della stampa, definita da Elizabeth Eisenstein la “rivoluzione inavvertita”,[3] che fece diventare il libro un bene riproducibile e con un costo accessibile, consentendo un’inedita diffusione delle conoscenze e che, più tardi con l’avvento dei giornali, ha consentito la costruzione della prima embrionale forma di opinione pubblica e quindi della conseguente comunicazione pubblica.[4] La fase attuale invece è fortemente caratterizzata dal’enormità delle informazioni che conosciamo, in quanto non solo le abbiamo lette, e non solo attraverso la stampa ma anche sugli schermi della televisione o del computer, ma anche per averle sentite alla radio, alla televisione o al computer e per averle soprattutto viste, attraverso la televisione, il cinema o sempre il computer. Attualmente, attraverso una pluralità di strumenti di comunicazione, la nostra mente riceve ed elabora le informazioni in modo diverso che in passato, in quanto siamo passati progressivamente dalla lettura all’ascolto ed alla visione, funzioni che si integrano sempre di più. Il libro non è più il simbolo della conoscenza, sostituito in questa fase soprattutto dalla televisione, il mezzo che maggiormente ha determinato, ed in un certo senso costruito, questo mutamento epocale. Infatti, la televisione provoca conseguenze disastrose[5], in quanto come sostiene Carlo Sartori “produce immagini e cancella i concetti, atrofizzando la nostra capacità di astraente e con essa tutta la nostra capacità di capire”.[6] Tutti i dati indicano che il numero di lettori dei quotidiani nel mondo si sta riducendo, tanto che c’è ipotizza la fine dei giornali entro il 2012, né meglio va con il numero dei lettori di libri. Pertanto, sostiene Raffaele Simone, “se la lettura è in calo, ciò significa che è in calo l’intelligenza che le è specifica” ed inoltre “il calo internazionale non solo del consumo della lettura ma anche della capacità di leggere segna il passaggio da un mezzo di acquisizione delle conoscenze ad un altro.”[7] Secondo Simone, si vengono a determinare due tipi di intelligenze: la prima legata alla lettura che definisce sequenziale e la seconda determinata dall’uso dell’immagine che definisce invece simultanea. Nel primo caso, nella gerarchia dei sensi il vedere prevale rispetto all’udire e l’intelligenza “opera sulla successione degli stimoli, e li dispone in linea, analizzandoli ed articolandoli”.[8] Pertanto chi legge “deve procedere un passo per volta, linearmente, seguendo il testo per codificare i propri pensieri (che possono essere simultanei tra loro) in modo da renderli successivi”.[9] Nella seconda fattispecie, si sviluppa la “capacità di trattare simultaneamente più informazioni, senza stabilire una gerarchia”,[10] consentendo una libera visione delle immagini e quindi determinando a livello mentale “un’elaborazione simultanea”.[11] L’esempio del quadro è molto calzante: quando guardiamo un dipinto, cosa vediamo per prima e in che ordine? E’ praticamente impossibile stabilirlo. Queste due forme di intelligenza, conseguenzialmente determinano due tipi di culture: quelle proposizionali e quelle non-proposizionali. Le prime sono tipiche delle civiltà occidentali, che prediligono la parola, la distinzione e l’analisi, generando i concetti di persona, libertà, diritti civili, spirito critico, democrazia.[12] Le seconde sono invece quelle oggi preferite dai giovani dove al dire si preferisce l’emozione ed alle parole le allusioni ed i riferimenti indiretti. Un universo in cui c’è “l’idea che non sia rilevante dare nome alle cose e tradurre le esperienze in parole e in discorsi, perché le esperienze è molto meglio averle, ricordarle, rievocarle, che raccontarle analiticamente”[13] La prima conseguenza diretta è che la cultura impartita dalla scuola è fortemente disarmonica rispetto alla cultura espressa dai giovani. Da un lato, il sistema educativo stimola lo spirito critico, invitando i giovani a “dare parole al proprio mondo interiore ed alla propria esperienza”,[14] invitando alle conseguenze verbali. Dall’altro, la cultura dei giovani ritiene gli orari scolastici “una sorta di finzione vera, di penitenza più o meno protratta, finita la quale si può tornare alla realtà vera e autentica,”[15] che si trova all’esterno delle aule scolastiche dove c’è “uno spazio vivo, nel quale pullula un’energia che deriva dalle persone e che si può anche materializzare sotto forme diverse”.[16] In conclusione, Simone si domanda: “siamo sicuri che lo spirito analitico sul quale la nostra cultura si è basata per alcuni secoli non abbia passato il limite?”.[17] [1] R. Simone, La Terza Fase, Laterza, Roma-Bari 2006 [2] Idem, pag. VIII [3] E. Eisenstein, La rivoluzione inavvertita, Il Mulino, Bologna 1986 [4] P. Mancini, [5] [6] C. Sartori, Homo videns, Laterza, Roma-Bari 1998, pag. 21 [7] R. Simone, La Terza Fase, cit., pagg [8] Idem, pag. 17 [9] Idem, pag. 74 [10] Idem, pag. 73 [11] Idem, pag. 74 [12] Idem, pag. 135 [13] Idem, pag. 137 [14] Ibidem [15] Idem, pagg [16] Idem, pag. 139 [17] Ibidem Raffaele Simone, La Terza Fase, Laterza, 2002

54 Forme di sapere che stiamo perdendo
La prima conseguenza diretta è che la cultura impartita dalla scuola è fortemente disarmonica rispetto alla cultura espressa dai giovani. Il sistema educativo stimola lo spirito critico, invitando i giovani a “dare parole al proprio mondo interiore ed alla propria esperienza”, invitando alle conseguenze verbali. La cultura dei giovani ritiene gli orari scolastici “una sorta di finzione vera, di penitenza più o meno protratta, finita la quale si può tornare alla realtà vera e autentica,” che si trova all’esterno delle aule scolastiche dove la vita pulsa. “Siamo sicuri che lo spirito analitico sul quale la nostra cultura si è basata per alcuni secoli non abbia passato il limite?”. Secondo Raffaele Simone siamo alla terza fase della conoscenza,[1] che è caratterizzata dall’esplosione tecnologica della fine del Novecento e che segue la prima fase legata all’invenzione della scrittura e la seconda fase caratterizzata dall’invenzione della stampa. Ognuna di queste fasi ha determinato cambiamenti tecnici e mentali sulle forme di acquisizione delle conoscenze. Nella prima fase, l’invenzione della scrittura ha consentito di fermare “con segni scritti le informazioni su un supporto stabile, liberando la memoria individuale e collettiva del peso di un’enorme quantità di dati che, prima di allora, dovevano essere registrati nella mente”.[2] Dopo circa duemila anni, il cambio di rotta è stato dovuto all’invenzione della stampa, definita da Elizabeth Eisenstein la “rivoluzione inavvertita”,[3] che fece diventare il libro un bene riproducibile e con un costo accessibile, consentendo un’inedita diffusione delle conoscenze e che, più tardi con l’avvento dei giornali, ha consentito la costruzione della prima embrionale forma di opinione pubblica e quindi della conseguente comunicazione pubblica.[4] La fase attuale invece è fortemente caratterizzata dal’enormità delle informazioni che conosciamo, in quanto non solo le abbiamo lette, e non solo attraverso la stampa ma anche sugli schermi della televisione o del computer, ma anche per averle sentite alla radio, alla televisione o al computer e per averle soprattutto viste, attraverso la televisione, il cinema o sempre il computer. Attualmente, attraverso una pluralità di strumenti di comunicazione, la nostra mente riceve ed elabora le informazioni in modo diverso che in passato, in quanto siamo passati progressivamente dalla lettura all’ascolto ed alla visione, funzioni che si integrano sempre di più. Il libro non è più il simbolo della conoscenza, sostituito in questa fase soprattutto dalla televisione, il mezzo che maggiormente ha determinato, ed in un certo senso costruito, questo mutamento epocale. Infatti, la televisione provoca conseguenze disastrose[5], in quanto come sostiene Carlo Sartori “produce immagini e cancella i concetti, atrofizzando la nostra capacità di astraente e con essa tutta la nostra capacità di capire”.[6] Tutti i dati indicano che il numero di lettori dei quotidiani nel mondo si sta riducendo, tanto che c’è ipotizza la fine dei giornali entro il 2012, né meglio va con il numero dei lettori di libri. Pertanto, sostiene Raffaele Simone, “se la lettura è in calo, ciò significa che è in calo l’intelligenza che le è specifica” ed inoltre “il calo internazionale non solo del consumo della lettura ma anche della capacità di leggere segna il passaggio da un mezzo di acquisizione delle conoscenze ad un altro.”[7] Secondo Simone, si vengono a determinare due tipi di intelligenze: la prima legata alla lettura che definisce sequenziale e la seconda determinata dall’uso dell’immagine che definisce invece simultanea. Nel primo caso, nella gerarchia dei sensi il vedere prevale rispetto all’udire e l’intelligenza “opera sulla successione degli stimoli, e li dispone in linea, analizzandoli ed articolandoli”.[8] Pertanto chi legge “deve procedere un passo per volta, linearmente, seguendo il testo per codificare i propri pensieri (che possono essere simultanei tra loro) in modo da renderli successivi”.[9] Nella seconda fattispecie, si sviluppa la “capacità di trattare simultaneamente più informazioni, senza stabilire una gerarchia”,[10] consentendo una libera visione delle immagini e quindi determinando a livello mentale “un’elaborazione simultanea”.[11] L’esempio del quadro è molto calzante: quando guardiamo un dipinto, cosa vediamo per prima e in che ordine? E’ praticamente impossibile stabilirlo. Queste due forme di intelligenza, conseguenzialmente determinano due tipi di culture: quelle proposizionali e quelle non-proposizionali. Le prime sono tipiche delle civiltà occidentali, che prediligono la parola, la distinzione e l’analisi, generando i concetti di persona, libertà, diritti civili, spirito critico, democrazia.[12] Le seconde sono invece quelle oggi preferite dai giovani dove al dire si preferisce l’emozione ed alle parole le allusioni ed i riferimenti indiretti. Un universo in cui c’è “l’idea che non sia rilevante dare nome alle cose e tradurre le esperienze in parole e in discorsi, perché le esperienze è molto meglio averle, ricordarle, rievocarle, che raccontarle analiticamente”[13] La prima conseguenza diretta è che la cultura impartita dalla scuola è fortemente disarmonica rispetto alla cultura espressa dai giovani. Da un lato, il sistema educativo stimola lo spirito critico, invitando i giovani a “dare parole al proprio mondo interiore ed alla propria esperienza”,[14] invitando alle conseguenze verbali. Dall’altro, la cultura dei giovani ritiene gli orari scolastici “una sorta di finzione vera, di penitenza più o meno protratta, finita la quale si può tornare alla realtà vera e autentica,”[15] che si trova all’esterno delle aule scolastiche dove c’è “uno spazio vivo, nel quale pullula un’energia che deriva dalle persone e che si può anche materializzare sotto forme diverse”.[16] In conclusione, Simone si domanda: “siamo sicuri che lo spirito analitico sul quale la nostra cultura si è basata per alcuni secoli non abbia passato il limite?”.[17] [1] R. Simone, La Terza Fase, Laterza, Roma-Bari 2006 [2] Idem, pag. VIII [3] E. Eisenstein, La rivoluzione inavvertita, Il Mulino, Bologna 1986 [4] P. Mancini, [5] [6] C. Sartori, Homo videns, Laterza, Roma-Bari 1998, pag. 21 [7] R. Simone, La Terza Fase, cit., pagg [8] Idem, pag. 17 [9] Idem, pag. 74 [10] Idem, pag. 73 [11] Idem, pag. 74 [12] Idem, pag. 135 [13] Idem, pag. 137 [14] Ibidem [15] Idem, pagg [16] Idem, pag. 139 [17] Ibidem Raffaele Simone, La Terza Fase, Laterza, 2002

55 L’alfabetizzazione preoccupante nessun titolo di studio
% nessun titolo di studio % licenza elementare % licenza media TOTALE: % massimo licenza media ISTAT, 2001

56 L’alfabetizzazione preoccupante
Piero Angela (con Lorenzo Pinna) Perche dobbiamo fare figli, Mondadori 2008

57 Lassù qualcuno ci…P.I.S.A.
OCSE, Indagine PISA, 2007

58 L’alfabetizzazione preoccupante
OCSE – nord sud OCSE, Indagine PISA, 2007

59 L’alfabetizzazione preoccupante
OCSE – nord sud OCSE, Indagine PISA, 2007

60 L’alfabetizzazione preoccupante
OCSE – nord sud OCSE, Indagine PISA, 2007

61 L’alfabetizzazione preoccupante
OCSE – nord sud Questione meridionale tema centrale e ineludibile

62 L’alfabetizzazione preoccupante
“Il 6 per cento degli intervistati di un’indagine dell’Istat ha dichiarato di non sapere leggere. Questo vuol dire che oltre 2 milioni adulti sono praticamente analfabeti di origine oppure di ritorno. Il 40 per cento si è rivelato incapace di leggere neppure un giornalino per ragazzi” Analfabeti di ritorno “Il 6 per cento degli intervistati ha dichiarato di non sapere leggere. Questo vuol dire che, secondo questa indagine, oltre 2 milioni adulti sono praticamente analfabeti. Di origine oppure di ritorno. Il 40 per cento si è rivelato comunque incapace di leggere non solo un giornale come il “Corriere della Sera” e “la Repubblica”, ma neppure un giornalino per ragazzi. Va detto, naturalmente, che queste percentuali riguardano soprattutto le persone più avanti con gli anni, e in particolare gli ultra anziani”.[1] [1] Idem, pag. 189 Piero Angela (con Lorenzo Pinna) Perche dobbiamo fare figli, Mondadori 2008

63 L’alfabetizzazione preoccupante
Laureati in Italia 1. Lazio 10,8 % 2. Liguria 8,4 % 3. Calabria 7,9 % (Istat – Censimento 2001) Laureati tra i 25 e i 64 anni Italia 10% Media UE 21 % (Eurostat 2001) Istat: 3 IN iTALIA Dati pagg num. laureati Dati – competenza di lettura

64 L’alfabetizzazione preoccupante
Istat: 3 IN iTALIA Dati pagg num. laureati Dati – competenza di lettura Sviluppo economico Sviluppo civile

65 L’alfabetizzazione preoccupante
Ricaudte in calabria – conosceza/sviluppo Viene inoltre evidenziato che anche il livello dell’istruzione è drasticamente calato: all’inizio della prima legislatura del 1948, i laureati erano il 91.4%, all’inizio della XV legislatura si sono invece ridotti al 64.6%, a fronte invece dell’aumento notevole verificatosi nel conteso sociale. Il livello dell’istruzione dei parlamentari è drasticamente calato: all’inizio della I legislatura del 1948, i laureati erano il 91.4%, all’inizio della XV legislatura sono il 64.6%, a fronte invece dell’aumento notevole verificatosi nella società italiana. Fondazione Rodolfo De Benedetti, Il mercato del lavoro dei politici, maggio 2008

66 Gli antidoti?

67 Provocazione Acqua di lourdes

68 Uno Scenario e due Verità
Democrazia bloccata da elite autoreferenziali che legittimano se stesse Democrazia bloccata elite autoreferenziali che legittimano se stesse - burocrzie non si autoriformkao da sole Burocrazie non si autoriformano da sole

69 Fattore scatenante Trauma di media portata

70 Crisi fiscale Rivoluzione americana e francese

71 Nuovo blocco storico: impensabile una rivoluzione dal basso
Piccole e medie eimprese e giovani laureati Guidato e rappresentato da una nuova Elite basata su effettivi criteri di merito

72 La rivoluzione del merito
“Negli ultimi sessant’anni il vero campo di battaglia della meritocrazia è stata l’educazione, in particolare l’università. Oggi nelle società dove il merito prevale è emerso in maniera chiara e potente: il desiderio di creare un sistema educativo che selezioni e formi i migliori per creare dei leader che possano aumentare le opportunità di benessere per tutti”. Roger Abranel, Meritocrazia, Garzanti, 2008

73 Conclusioni

74 Conclusioni rendere meno opaca e più giusta la democrazia circolazione
Selezionare urgentemente nuove elites politiche e sociali per favorirne un’indispensabile circolazione frutto di un’educazione alla democrazia che consenta di formare elites responsabili e ai cittadini di esercitare un controllo effettivo sulla politica pubblica attraverso una reale comprensione della politica occulta per rendere meno opaca e più giusta la democrazia Fare presto

75 Conclusioni Il basso livello di istruzione indebolisce e rende opaca la democrazia e offre poche possibilità di migliorare o mantenere il livello sociale di partenza. Questo può fare prevedere, per la prima volta nella società italiana, una mobilità verso il basso creando notevole tensioni sociali in tutti i settori. Fare presto

76 Le università devono recuperare il ruolo centrale di formazione delle elités
Fare presto

77 Contatti mario.caligiuri@unical.it caligiuri@caligiuri.it 337.980189

78 Il complotto per eccellenza: il protocollo dei Savi di Sion
Frase dewey Norman Cohn Licenza per un genocidio (1967)

79 Forme di sapere che stiamo perdendo
La terza fase della conoscenza è caratterizzata dall’esplosione tecnologica e segue la prima fase legata all’invenzione della scrittura e la seconda fase aperta dall’invenzione della stampa. Secondo Raffaele Simone siamo alla terza fase della conoscenza,[1] che è caratterizzata dall’esplosione tecnologica della fine del Novecento e che segue la prima fase legata all’invenzione della scrittura e la seconda fase caratterizzata dall’invenzione della stampa. Ognuna di queste fasi ha determinato cambiamenti tecnici e mentali sulle forme di acquisizione delle conoscenze. Nella prima fase, l’invenzione della scrittura ha consentito di fermare “con segni scritti le informazioni su un supporto stabile, liberando la memoria individuale e collettiva del peso di un’enorme quantità di dati che, prima di allora, dovevano essere registrati nella mente”.[2] Dopo circa duemila anni, il cambio di rotta è stato dovuto all’invenzione della stampa, definita da Elizabeth Eisenstein la “rivoluzione inavvertita”,[3] che fece diventare il libro un bene riproducibile e con un costo accessibile, consentendo un’inedita diffusione delle conoscenze e che, più tardi con l’avvento dei giornali, ha consentito la costruzione della prima embrionale forma di opinione pubblica e quindi della conseguente comunicazione pubblica.[4] La fase attuale invece è fortemente caratterizzata dal’enormità delle informazioni che conosciamo, in quanto non solo le abbiamo lette, e non solo attraverso la stampa ma anche sugli schermi della televisione o del computer, ma anche per averle sentite alla radio, alla televisione o al computer e per averle soprattutto viste, attraverso la televisione, il cinema o sempre il computer. Attualmente, attraverso una pluralità di strumenti di comunicazione, la nostra mente riceve ed elabora le informazioni in modo diverso che in passato, in quanto siamo passati progressivamente dalla lettura all’ascolto ed alla visione, funzioni che si integrano sempre di più. Il libro non è più il simbolo della conoscenza, sostituito in questa fase soprattutto dalla televisione, il mezzo che maggiormente ha determinato, ed in un certo senso costruito, questo mutamento epocale. Infatti, la televisione provoca conseguenze disastrose[5], in quanto come sostiene Carlo Sartori “produce immagini e cancella i concetti, atrofizzando la nostra capacità di astraente e con essa tutta la nostra capacità di capire”.[6] Tutti i dati indicano che il numero di lettori dei quotidiani nel mondo si sta riducendo, tanto che c’è ipotizza la fine dei giornali entro il 2012, né meglio va con il numero dei lettori di libri. Pertanto, sostiene Raffaele Simone, “se la lettura è in calo, ciò significa che è in calo l’intelligenza che le è specifica” ed inoltre “il calo internazionale non solo del consumo della lettura ma anche della capacità di leggere segna il passaggio da un mezzo di acquisizione delle conoscenze ad un altro.”[7] Secondo Simone, si vengono a determinare due tipi di intelligenze: la prima legata alla lettura che definisce sequenziale e la seconda determinata dall’uso dell’immagine che definisce invece simultanea. Nel primo caso, nella gerarchia dei sensi il vedere prevale rispetto all’udire e l’intelligenza “opera sulla successione degli stimoli, e li dispone in linea, analizzandoli ed articolandoli”.[8] Pertanto chi legge “deve procedere un passo per volta, linearmente, seguendo il testo per codificare i propri pensieri (che possono essere simultanei tra loro) in modo da renderli successivi”.[9] Nella seconda fattispecie, si sviluppa la “capacità di trattare simultaneamente più informazioni, senza stabilire una gerarchia”,[10] consentendo una libera visione delle immagini e quindi determinando a livello mentale “un’elaborazione simultanea”.[11] L’esempio del quadro è molto calzante: quando guardiamo un dipinto, cosa vediamo per prima e in che ordine? E’ praticamente impossibile stabilirlo. Queste due forme di intelligenza, conseguenzialmente determinano due tipi di culture: quelle proposizionali e quelle non-proposizionali. Le prime sono tipiche delle civiltà occidentali, che prediligono la parola, la distinzione e l’analisi, generando i concetti di persona, libertà, diritti civili, spirito critico, democrazia.[12] Le seconde sono invece quelle oggi preferite dai giovani dove al dire si preferisce l’emozione ed alle parole le allusioni ed i riferimenti indiretti. Un universo in cui c’è “l’idea che non sia rilevante dare nome alle cose e tradurre le esperienze in parole e in discorsi, perché le esperienze è molto meglio averle, ricordarle, rievocarle, che raccontarle analiticamente”[13] La prima conseguenza diretta è che la cultura impartita dalla scuola è fortemente disarmonica rispetto alla cultura espressa dai giovani. Da un lato, il sistema educativo stimola lo spirito critico, invitando i giovani a “dare parole al proprio mondo interiore ed alla propria esperienza”,[14] invitando alle conseguenze verbali. Dall’altro, la cultura dei giovani ritiene gli orari scolastici “una sorta di finzione vera, di penitenza più o meno protratta, finita la quale si può tornare alla realtà vera e autentica,”[15] che si trova all’esterno delle aule scolastiche dove c’è “uno spazio vivo, nel quale pullula un’energia che deriva dalle persone e che si può anche materializzare sotto forme diverse”.[16] In conclusione, Simone si domanda: “siamo sicuri che lo spirito analitico sul quale la nostra cultura si è basata per alcuni secoli non abbia passato il limite?”.[17] [1] R. Simone, La Terza Fase, Laterza, Roma-Bari 2006 [2] Idem, pag. VIII [3] E. Eisenstein, La rivoluzione inavvertita, Il Mulino, Bologna 1986 [4] P. Mancini, [5] [6] C. Sartori, Homo videns, Laterza, Roma-Bari 1998, pag. 21 [7] R. Simone, La Terza Fase, cit., pagg [8] Idem, pag. 17 [9] Idem, pag. 74 [10] Idem, pag. 73 [11] Idem, pag. 74 [12] Idem, pag. 135 [13] Idem, pag. 137 [14] Ibidem [15] Idem, pagg [16] Idem, pag. 139 [17] Ibidem Raffaele Simone, La Terza Fase, Laterza, 2002

80 Forme di sapere che stiamo perdendo
L’invenzione della stampa ha fatto diventare il libro un bene riproducibile a un costo accessibile, consentendo un’inedita diffusione delle conoscenze. La fase attuale invece è fortemente caratterizzata dal’enormità delle informazioni che conosciamo, in quanto non solo le abbiamo lette, e non solo attraverso la stampa ma anche sugli schermi della televisione o del computer, ma anche per averle sentite alla radio, alla televisione o al computer e per averle soprattutto viste, attraverso la televisione, il cinema o sempre il computer. Secondo Raffaele Simone siamo alla terza fase della conoscenza,[1] che è caratterizzata dall’esplosione tecnologica della fine del Novecento e che segue la prima fase legata all’invenzione della scrittura e la seconda fase caratterizzata dall’invenzione della stampa. Ognuna di queste fasi ha determinato cambiamenti tecnici e mentali sulle forme di acquisizione delle conoscenze. Nella prima fase, l’invenzione della scrittura ha consentito di fermare “con segni scritti le informazioni su un supporto stabile, liberando la memoria individuale e collettiva del peso di un’enorme quantità di dati che, prima di allora, dovevano essere registrati nella mente”.[2] Dopo circa duemila anni, il cambio di rotta è stato dovuto all’invenzione della stampa, definita da Elizabeth Eisenstein la “rivoluzione inavvertita”,[3] che fece diventare il libro un bene riproducibile e con un costo accessibile, consentendo un’inedita diffusione delle conoscenze e che, più tardi con l’avvento dei giornali, ha consentito la costruzione della prima embrionale forma di opinione pubblica e quindi della conseguente comunicazione pubblica.[4] La fase attuale invece è fortemente caratterizzata dal’enormità delle informazioni che conosciamo, in quanto non solo le abbiamo lette, e non solo attraverso la stampa ma anche sugli schermi della televisione o del computer, ma anche per averle sentite alla radio, alla televisione o al computer e per averle soprattutto viste, attraverso la televisione, il cinema o sempre il computer. Attualmente, attraverso una pluralità di strumenti di comunicazione, la nostra mente riceve ed elabora le informazioni in modo diverso che in passato, in quanto siamo passati progressivamente dalla lettura all’ascolto ed alla visione, funzioni che si integrano sempre di più. Il libro non è più il simbolo della conoscenza, sostituito in questa fase soprattutto dalla televisione, il mezzo che maggiormente ha determinato, ed in un certo senso costruito, questo mutamento epocale. Infatti, la televisione provoca conseguenze disastrose[5], in quanto come sostiene Carlo Sartori “produce immagini e cancella i concetti, atrofizzando la nostra capacità di astraente e con essa tutta la nostra capacità di capire”.[6] Tutti i dati indicano che il numero di lettori dei quotidiani nel mondo si sta riducendo, tanto che c’è ipotizza la fine dei giornali entro il 2012, né meglio va con il numero dei lettori di libri. Pertanto, sostiene Raffaele Simone, “se la lettura è in calo, ciò significa che è in calo l’intelligenza che le è specifica” ed inoltre “il calo internazionale non solo del consumo della lettura ma anche della capacità di leggere segna il passaggio da un mezzo di acquisizione delle conoscenze ad un altro.”[7] Secondo Simone, si vengono a determinare due tipi di intelligenze: la prima legata alla lettura che definisce sequenziale e la seconda determinata dall’uso dell’immagine che definisce invece simultanea. Nel primo caso, nella gerarchia dei sensi il vedere prevale rispetto all’udire e l’intelligenza “opera sulla successione degli stimoli, e li dispone in linea, analizzandoli ed articolandoli”.[8] Pertanto chi legge “deve procedere un passo per volta, linearmente, seguendo il testo per codificare i propri pensieri (che possono essere simultanei tra loro) in modo da renderli successivi”.[9] Nella seconda fattispecie, si sviluppa la “capacità di trattare simultaneamente più informazioni, senza stabilire una gerarchia”,[10] consentendo una libera visione delle immagini e quindi determinando a livello mentale “un’elaborazione simultanea”.[11] L’esempio del quadro è molto calzante: quando guardiamo un dipinto, cosa vediamo per prima e in che ordine? E’ praticamente impossibile stabilirlo. Queste due forme di intelligenza, conseguenzialmente determinano due tipi di culture: quelle proposizionali e quelle non-proposizionali. Le prime sono tipiche delle civiltà occidentali, che prediligono la parola, la distinzione e l’analisi, generando i concetti di persona, libertà, diritti civili, spirito critico, democrazia.[12] Le seconde sono invece quelle oggi preferite dai giovani dove al dire si preferisce l’emozione ed alle parole le allusioni ed i riferimenti indiretti. Un universo in cui c’è “l’idea che non sia rilevante dare nome alle cose e tradurre le esperienze in parole e in discorsi, perché le esperienze è molto meglio averle, ricordarle, rievocarle, che raccontarle analiticamente”[13] La prima conseguenza diretta è che la cultura impartita dalla scuola è fortemente disarmonica rispetto alla cultura espressa dai giovani. Da un lato, il sistema educativo stimola lo spirito critico, invitando i giovani a “dare parole al proprio mondo interiore ed alla propria esperienza”,[14] invitando alle conseguenze verbali. Dall’altro, la cultura dei giovani ritiene gli orari scolastici “una sorta di finzione vera, di penitenza più o meno protratta, finita la quale si può tornare alla realtà vera e autentica,”[15] che si trova all’esterno delle aule scolastiche dove c’è “uno spazio vivo, nel quale pullula un’energia che deriva dalle persone e che si può anche materializzare sotto forme diverse”.[16] In conclusione, Simone si domanda: “siamo sicuri che lo spirito analitico sul quale la nostra cultura si è basata per alcuni secoli non abbia passato il limite?”.[17] [1] R. Simone, La Terza Fase, Laterza, Roma-Bari 2006 [2] Idem, pag. VIII [3] E. Eisenstein, La rivoluzione inavvertita, Il Mulino, Bologna 1986 [4] P. Mancini, [5] [6] C. Sartori, Homo videns, Laterza, Roma-Bari 1998, pag. 21 [7] R. Simone, La Terza Fase, cit., pagg [8] Idem, pag. 17 [9] Idem, pag. 74 [10] Idem, pag. 73 [11] Idem, pag. 74 [12] Idem, pag. 135 [13] Idem, pag. 137 [14] Ibidem [15] Idem, pagg [16] Idem, pag. 139 [17] Ibidem Raffaele Simone, La Terza Fase, Laterza, 2002

81 “Sono i poveri che hanno bisogno dello Stato”
Conclusioni “Sono i poveri che hanno bisogno dello Stato” Karl Marx Fare presto Una democrazia efficiente non solo promuove i meriti ma soprattutto realizza una maggiore giustizia sociale

82 Conclusioni Fare presto


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