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Il concetto di hybris nella mitologia classica

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Presentazione sul tema: "Il concetto di hybris nella mitologia classica"— Transcript della presentazione:

1 Il concetto di hybris nella mitologia classica
MAI SFIDARE GLI DEI… Il concetto di hybris nella mitologia classica

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3 IN SINTESI Il concetto di hybris Il concetto di nemesis
ESEMPI TRATTI DAL MITO… Aracne Niobe Marsia

4 Hybris (gr. ὕβρις) «insolenza, tracotanza»
indica la prevaricazione dell’uomo contro il volere divino è l’orgoglio che, derivato dalla propria potenza o fortuna, si manifesta con un atteggiamento di sfida, di arroganza, di ostinata sopravvalutazione delle proprie forze… … e come tale viene punito dagli dèi 

5 Nemesis ( greco: νέμεσις)
al termine hýbris viene spesso associato, come diretta conseguenza, quello di némesis significa "vendetta degli dei", "ira", "sdegno“ si riferisce alla punizione giustamente inflitta dagli dei a chi si macchia di tracotanza (hybris)

6 La hybris punita Esempi tratti dal mito

7 Minerva e Aracne

8 ARACNE AL TELAIO (Londra, British Library, manoscritto del De Claris Mulieribus di Boccaccio, Ms. Royal 20 C. V., f. 30v)

9 Minerva e Aracne Testo tratto da: Publio Ovidio Nasone, Metamorfosi, VI, 1-145, (traduzione a cura di Bernardini Marzolla, Einaudi, Torino 1994)

10 Disse la dea Minerva: “Lodare va bene, ma anche io voglio essere lodata, non permetterò che si disprezzi la mia divinità impunemente!” E decise di rovinare Aracne della Meònia, la quale – le era giunta voce – non intendeva considerarsi inferiore a lei nell’arte di lavorare la lana.

11 Londra, British Library, manoscritto delle Metamorfosi di Ovidio, XV sec.
Parigi, Bibliothèque Nationale, manoscritto di una traduzione francese delle Metamorfosi di Ovidio, XV sec.

12 Costei, non per ceto o lignaggio era famosa, ma perché era un’artista
Costei, non per ceto o lignaggio era famosa, ma perché era un’artista. Suo padre, Idomone di Colofonie, tingeva la lana spugnosa con porpora di Focèa; la madre era morta, ma anch’essa era una popolana, della stessa condizione del marito. Malgrado ciò, Aracne con la sua attività si era fatta n gran nome per le città della Lidia, benché, nata appunto da umile famiglia, abitasse nell’umile Ipèpe.

13 Per vedere i suoi meravigliosi lavori, spesso le ninfe del Timolo lasciarono i loro vigneti, le ninfe del Pactòlo lasciarono le loro acque. E non soltanto meritava vedere i tessuti finiti, ma anche assistere a quando li faceva, poiché era un vero spettacolo.

14 New York, Public Library, manoscritto, 1470

15 Sia che agglomerasse la lana greggia nelle prime matasse, sia che lavorasse di dita e sfilacciasse uno dopo l’altro con lungo gesto i fiocchi simili a nuvolette, sia che con l’agile pollice facesse girare il liscio fuso, sia che ricamasse, si capiva che la sua maestria veniva da Pàllade. Ma Aracne sosteneva di no, e invece di essere fiera di una così grande maestra, diceva impermalita: “Che gareggi con me!

16 Se mi vince potrà fare di me quello che vorrà”
Se mi vince potrà fare di me quello che vorrà”. Pàllade si traveste da vecchia, si mette sulle tempie una finta capigliatura bianca e prende anche un bastone che sorregga le membra piene di acciacchi. Poi comincia a parlare così: “Non tutto è male nell’età avanzata. Più si invecchia più cresce l’esperienza. Dài retta a me: ambisci pure ad essere la più grande tessitrice, tra i mortali;

17 ma non voler competere con la dèa,e chiedile con voce supplichevole di perdonarti per quello che hai detto, o temeraria; chiediglielo, e non ti rifiuterà il perdono”. Aracne le lancia una torva occhiata, lascia andare i fili già cominciati e, a stento trattenendosi dal percuoterla, con una faccia che tradisce l’ira, così dice di rimando a Pàllade che ancora non si è palesata:

18 “O scimunita, smidollata dalla lunga vecchiaia, vivere troppo eccome se rovina! Queste cose valle a dire a tua nuora, valle a dire a tua figlia, se ne hai una! Io mi so regolare benissimo da me, e perché tu non ti creda di aver combinato qualcosa con i tuoi ammonimenti, sappi che io la penso come prima. Perché non viene qui? Perché non accetta la sfida?”

19 Allora la dèa: “È venuta
Allora la dèa: “È venuta!”, dice, e si spoglia della figura di vecchia e si rivela – Pàllade. Le ninfe e le donne della Lidia si prostrano dinnanzi alla divinità; soltanto la vergine non si spaventa. Tuttavia trasalisce, e un improvviso rossore le dipinge suo malgrado il viso e poi ridilegua, come l’aria s’imporpora al primo comparire dell’aurora e dopo breve tempo s’imbianca, quando sorge il sole.

20 Insiste sulla via che ha preso, e per insensata bramosia di gloria corre verso la propria rovina. E infatti la figlia di Giove non rifiuta, e non l’ammonisce più, e nemmeno rinvia più la gara. Subito si sistemano una da una parte, l’altra dall’altra, e con gracile filo tendono ciascuna un ordito.

21 Lavorano tutte e due di lena, e liberate le spalle dalla veste muovono le braccia esperte, con tanto impegno che non sentono fatica. Mettono nel tessuto porpora che ha conosciuto la caldaia a Tiro, e sfumature delicate, distinguibili appena:

22 così, quando la pioggia rifrange i raggi solari, l’arcobaleno suole tingere con grande curva, per lungo tratto, il cielo, e benché risplenda di mille diversi colori, pure il passaggio dall’uno all’altro sfugge all’occhio di chi guarda, tanto quelli contigui si assomigliano, sebbene gli estremi differiscano. Anche intridono i fili di duttile oro, e sulla tela si sviluppa un’antica storia.

23 Pàllade effigia il colle di Marte
Pàllade effigia il colle di Marte .Sei dèi più sei, e Giove nel mezzo, siedono con aria grave e maestosa su scanni eccelsi: ciascuno ha come impressa in volto la propria identità; l'aspetto di Giove è quello di un re. Poi disegna il dio del mare, mentre colpisce col lungo tridente il macigno di roccia e da questo squarciato fa balzare un cavallo indomito.

24 A se stessa assegna uno scudo, un'asta dalla punta acuminata, un elmo e l'egida per proteggere il capo e il petto; e rappresenta la terra che percossa dalla sua lancia genera l'argentea pianta dell'ulivo con le sue bacche; e gli dei che guardano stupefatti; infine la propria vittoria.

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26 Ma perché la rivale capisca da qualche esempio cosa dovrà aspettarsi per così folle ardire, aggiunge ai quattro angoli quattro altre sfide, vivaci nei colori, ma nitide nei tratti minuti. […] Contorna i bordi con rami d'olivo, segno di pace, e con la pianta che le è sacra conclude l'opera sua.

27 Aracne invece disegna Europa ingannata dalla falsa forma di toro: diresti che è vero il toro, vero il mare; la si vede che alle spalle guarda la terra e invoca le compagne, e come, per paura d'essere lambita dai flutti che l'assalgono, ritragga timorosa le sue gambe. […] Ognuno di questi personaggi è reso a perfezione e così l'ambiente. Tutto intorno alla tela corre un fine bordo, con fiori intrecciati a rami d’edera flessuosi.

28 Neppure Pàllade, neppure la Gelosia poteva trovar qualcosa da criticare in quell’opera. Ma la bionda dèa guerriera ci rimase malissimo e fece a brandelli la tela che illustrava a colori le colpe degli dèi, e trovandosi in mano la spola di legno del Citoro, tre e quattro volte colpì con quella sulla fronte Aracne.

29 Herman Posthumus, Aracne e Minerva, Landshut, Stadtresidenz, Sala di Aracne ( affresco commissionato da Ludovico X di Baviera),

30 La poveretta non lo tollerò, e corse impavida a infilare il collo in un cappio. Vedendola pendere, Pàllade ne ebbe compassione e la sorresse, dicendo così: “Vivi pure, ma penzola, malvagia, e perché tu non stia tranquilla per il futuro, la stessa pena sia comminata alla tua stirpe e a tutti i tuoi discendenti!”

31 ARACNE, miniatura (1490 ca.) (Dresda, Sächsische Landesbibliothek, manoscritto del De Mulieribus Claris di Giovanni Boccaccio, Ms. F 171b, f. 25r)

32 Aracne e Minerva (miniatura da manoscritto del XV sec
Aracne e Minerva (miniatura da manoscritto del XV sec. Parigi, Bibliothèque Nationale, manoscritto di una  traduzione francese delle Metamorfosi di Ovidio, Ms. français 137, f. 75v)

33 Detto questo, prima di andarsene la spruzzò di erbe infernali, e subito al contatto del terribile filtro il naso e gli orecchi scivolarono via; e la testa diventa piccolissima, e tutto il corpo d’altronde s’impicciolisce. Ai fianchi rimangono attaccate esili dita che fanno da zampe. Tutto il resto è pancia: ma da questa, Aracne riemette del filo e torna a rifare – ragno – le tele come una volta.

34 Da Aracne agli aracnidi Un mito eziologico…

35 Latona e Niobe

36 Latona, madre di Diana e Apollo

37 Niobe Niobe era figlia del re della Lidia Tantalo e fu data in sposa ad Anfione, re di Tebe, dalla cui unione nacquero ben quattordici figli, sette maschi e sette femmine. La regina era una donna fortunata, aveva nobili natali, immense ricchezze e grande potere, ma ciò che la rendeva maggiormente orgogliosa era la sua numerosa prole.

38 Niobe

39 Durante le festività in onore della dea Latona, Niobe osò interrompere i riti sacri proclamandosi superiore alla dea, che era madre di due soli figli, Apollo e Diana. Latona, irata, chiese a loro di vendicare l’onta subita, punendo così le empie parole della regina. Apollo uccise i sette figli di Niobe fuori dalla città di Tebe, mentre questi si allenavano a cavallo e nella lotta.

40 Johann König, Strage dei Niobidi,1610-1620 ca., Collezione privata

41 Apollo saetta i figli di Niobe, 1548, Cambridge

42 Strage dei figli di Niobe, Ermitage, san Pietroburgo, 1541

43 Dopo questo dura punizione Niobe non si arrese anzi nonostante la perdita, continuava a vantarsi in quanto le rimanevano comunque ben sette figlie femmine; era ancora lei a vincere sulla madre di Apollo e Diana. Questa volta toccò a Diana vendicarsi della madre, e ad una ad una con le sue frecce, uccise le sette figlie di Niobe. La sventurata madre accorse sulle pendici del monte dove erano le quattordici salme dei suoi figli, e davanti a quella scena si arrese e pianse.

44 Pianse tanto da scongiurare Zeus di tramutarla in roccia
Pianse tanto da scongiurare Zeus di tramutarla in roccia. Dopo un lungo vagabondare, Niobe capitò in Lidia dove, come suo volere, fu tramutata in roccia conservando la sua forma; tuttora continua a piangere tanto che da quella pietra colano incessantemente gocce d'acqua.

45 La metamorfosi di Niobe
Senza più nessuno, si accascia tra i cadaveri dei figli, delle figlie, del marito, impietrendosi per il dolore: il vento non le muove un capello, sul volto ha un pallore mortale, nelle sue orbite spente gli occhi sono sbarrati; nulla di vivo c'è nei suoi tratti. Persino la lingua, persino quella, nel palato irrigidito si congela, e le vene perdono la forza di pulsare; il collo non può più piegarsi, le braccia compiere movimenti, i piedi camminare; anche dentro le viscere non v'è che pietra. Eppure piange; e travolta dal turbinare impetuoso del vento è trascinata in patria. Lì, confitta in cima a un monte, si strugge e ancor oggi dal marmo trasudano lacrime. (Ovidio, Metamorfosi, VI, 301 ss.)

46 Niobe, un altro mito eziologico…
Da Niobe, la donna… …alla roccia che per sempre porterà il suo nome, rendendo eterno il suo ricordo

47 Apollo e Marsia

48 Marsia, I-II sec. d.C., Louvre

49 Apollo e Marsia Racconta il mito che un giorno Atena, per riprodurre il lamento lanciato dalle Gorgoni quando Perseo decapitò la sorella Medusa, inventò uno strumento a fiato, l’aulòs, un flauto a doppia canna. Qualche tempo dopo, al termine di un banchetto degli dei, la dea per compiacere Zeus e gli altri convitati, prese il suo strumento ed iniziò a suonare. La musica era piacevole, ma ciò nonostante Era e Afrodite scoppiarono a ridere, prendendosi gioco di lei. Offesa, Atena fuggì dall'Olimpo, fermandosi nei pressi di un lago; qui riprese a suonare lo strumento, ma vedendo il suo volto riflesso nell’acqua capì il motivo dell’ilarità delle due dee: soffiando nelle canne del flauto, infatti, il viso della dea si gonfiava, arrossava e deformava.

50 Adirata, Atena gettò via lo strumento musicale maledicendo chiunque l’avesse raccolto. L’aulòs fu trovato e raccolto da Marsia, un satiro di origine frigia, che esercitandosi divenne abilissimo nel suonarlo. La fama acquisita era tale che un giorno il satiro osò lanciare una sfida ad Apollo, dio della musica, certo di poterlo battere. Il dio accettò e chiamò le Muse a giudicare la contesa. In un primo momento la giuria rimase molto colpita dalle melodie dell’aulòs di Marsia; Apollo quindi – temendo una sconfitta – iniziò a suonare la sua lira e a cantare contemporaneamente, sfidando il rivale a fare altrettanto: chiaramente, la natura stessa dello strumento a fiato del satiro non gliel’avrebbe consentito, e così la vittoria fu assegnata al dio.

51 Come punizione per aver osato sfidare un dio, mettendosi in competizione, Apollo sottopose Marsia ad una tortura atroce (ed è proprio da questo punto che parte il racconto ovidiano): legatolo ad un albero, lo scorticò vivo. Satiri, ninfe e fauni accorsero per piangere un ultima volta il compagno, e dalle loro lacrime nacque un fiume che prese il suo nome

52 Marsia scorticato, XV sec
Marsia scorticato,  XV sec., Parigi, Bibliothèque Nationale, manoscritto di una traduzione francese delle Metamorfosi di Ovidio

53 Nicola da Urbino, Apollo e Marsia, 1525-1528, Los Angeles, Paul Getty Museum

54 Luca Giordano, Apollo e Marsia, El Escorial, 1626

55 La punizione di Marsia  "Perché mi scortichi vivo?" urlava; "Mi pento, mi pento! Ahimè, non valeva tanto un flauto!". Urlava, mentre dalla carne la pelle gli veniva strappata: altro non era che un'unica piaga. D'ogni parte sgorga il sangue, scoperti affiorano i muscoli, senza un filo d'epidermide pulsano convulse le vene; si potrebbe contargli le viscere che palpitano e le fibre che gli traspaiono sul petto. Lo piansero le divinità dei boschi, i Fauni delle campagne e i Satiri suoi fratelli, lo piansero l’Olimpo a lui sempre caro e le ninfe, e con loro tutti quanti su quei monti pascolano greggi da lana e armenti con le corna. Di quella pioggia di lacrime s'intrise la terra fertile, che in sé madida le accolse, assorbendole nel fondo delle vene; poi mutatele in acqua, le liberò disperdendole nell'aria. Da lui prende il nome quel fiume che tra il declinare delle rive corre rapido verso il mare, Marsia, il più limpido della Frigia. (Ovidio, Metamorfosi, VI, 385 ss.)

56 Jacob Jordaens, Marsia scorticato da Apollo, 1625 ca.

57 Marsia, un altro mito eziologico…
Da Marsia, il satiro… …al fiume che per sempre porterà il suo nome, rendendo eterno il suo ricordo


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