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Prof. Antonella AntonucciCorso di Diritto delle banche 2014-15 TRASPARENZA BANCARIA Novità relative al Titolo VI T.U. Appunti per il corso di Diritto delle.

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1 Prof. Antonella AntonucciCorso di Diritto delle banche 2014-15 TRASPARENZA BANCARIA Novità relative al Titolo VI T.U. Appunti per il corso di Diritto delle banche 2014-15

2 Prof. Antonella AntonucciCorso di Diritto delle banche 2014-15 Nel Titolo VI del T.U. – già sostituito ad opera del d. lgs. n. 141 del 2010 (successivamente oggetto di due interventi 'correttivi', dd. lgs. 218/2010 e 169/2012) – continuano a stratificarsi modifiche, in particolare relative al costo del denaro. I seguenti appunti aggiornano la trattazione relativa all’anatocismo bancario (cfr. Diritto delle banche, 2012, VIII.2.2.3) ed al sistema delle commissioni applicate dalle banche (cfr. Diritto delle banche, 2012, VIII.2.2.3.2). Evoluzioni disciplinari del Titolo VI T.U.

3 Prof. Antonella AntonucciCorso di Diritto delle banche 2014-15 Dopo l’introduzione del T.U., si sono registrati due ordini di interventi normativi – di segno molto diverso - destinati ad incidere autoritativamente sulla struttura dei costi dei contratti di concessione di credito stipulati nell’ambito dell’ordinaria attività bancaria. I punti toccati riguardano la clausola anatocistica e la commissione di massimo scoperto. Il d.lgs. n. 342 del 1999 ha inserito, nel contenitore dell'art. 120, disposizioni "d'emergenza" in tema di anatocismo bancario, mosso dai problemi sorti con riferimento alla clausola contrattuale che prevede le modalità di capitalizzazione degli interessi. L'art. 1283 c.c. in via generale vieta l'anatocismo, ma la regola ammette deroga in forza di usi contrari. Nella vigenza di detta norma, i contratti bancari prevedevano che gli interessi maturati in favore della banca nell'ambito dei rapporti di conto corrente si capitalizzassero trimestralmente, con clausola la cui legittimità è stata a lungo avallata dalla giurisprudenza di Cassazione, che riteneva la contrattazione uniforme atta a configurare un uso rilevante ai fini della deroga alla disciplina codicistica. La situazione muta radicalmente con l'inversione della giurisprudenza della Corte che, nel volgere di pochi mesi, emana tre sentenze (nn. 2374, 3096, 12507, tutte del 1999) di identico tenore che comminano la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale sulla base dei seguenti argomenti: gli usi cui si riferisce l'art. 1283 c.c. sono usi normativi (artt. 1 e 8 preleggi), non semplici usi negoziali (art. 1340 c.c.) o interpretativi (art. 1368 c.c.); pertanto, in materia non rilevano le NUB, che hanno natura di condizioni generali di contratto; non si riscontrano gli estremi per accreditare l'esistenza di usi normativi. Argomenta a riguardo la Corte che per configurare un uso normativo devono riscontrarsi sia il requisito oggettivo (uniforme e costante ripetizione di un dato comportamento) sia il requisito soggettivo (consapevolezza di prestare osservanza, operando in un certo modo, ad una norma giuridica). Non è quindi sufficiente rilevare che la clausola di anatocismo trova generale applicazione nei rapporti fra banche e clienti (ciò deriva dalle NUB e può condurre a ravvisare un uso negoziale), dando luogo ad una prassi "in concreto ineludibile se si vuol porre in essere un certo tipo di rapporti, perché richiesta da uno dei contraenti mediante clausole uniformi e predisposte". Ciò che manca è la consapevolezza di prestare osservanza ad una norma giuridica, che "non deve essere unilaterale, ma costituire opinione comune dei contraenti in un determinato settore". La disciplina dell’anatocismo. Evoluzioni

4 Prof. Antonella AntonucciCorso di Diritto delle banche 2014-15 Le sentenze riferite hanno immediatamente dato luogo ad un capillare contenzioso, anche con diffuse aspettative di rinegoziazione degli interessi maturati. La scure che in tal modo si abbatteva sui profitti bancari viene bloccata dalla modifica all'art. 120 apportata dall'art. 25 d. lgs. n. 342 del 1999, che interviene su due fronti. Da un canto, si predispone per il futuro una disciplina speciale degli "interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria", seguendo ancora una volta la linea della delegificazione: è il CICR a stabilire "modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi", secondo opzioni legislativamente non definite salvo - ed è regola idonea ad incidere sugli attuali assetti contrattuali - che per la necessità di prevedere che "nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori" (2° co.). D’altro canto, si interviene sui contratti in corso, legittimando la sopravvivenza delle clausole ritenute nulle dalla Cassazione: esse restano valide ed efficaci fino all'entrata in vigore della delibera CICR prevista al 2° comma, al cui disposto devono poi adeguarsi nei modi e nei tempi stabiliti dalla stessa delibera. In difetto di adeguamento, "le clausole divengono inefficaci e l'inefficacia può essere fatta valere solo dal cliente" (3° co.). La previsione è immediatamente investita da una pioggia di ordinanze che sollevano la questione della sua legittimità costituzionale per numerosissimi profili. A distanza di un anno giunge la decisione della Corte Costituzionale (n. 245 del 2000) che cassa la norma, riaprendo la questione per le clausole presenti nei contratti chiusi prima dell’entrata in vigore della nuova normativa. Nel frattempo il CICR (delibera 9 febbraio 2000) è tempestivamente intervenuto ai sensi del 2° comma dell’art.120, disegnando una disciplina speciale dell'anatocismo bancario, sottratta al divieto di diritto comune posto dal ricordato art. 1283 c.c., ma anche a parametri cautelativi rispetto ad uno sviluppo quantitativo potenzialmente abnorme degli interessi anatocistici, derivante da una ravvicinata periodicità di capitalizzazione, che non è in alcun modo esclusa dalla delibera. Se la delibera CICR dispone per i contratti in corso, la decisione della Corte Costituzionale n. 245 del 2000 riapre la questione per i contratti chiusi prima dell’entrata in vigore della nuova normativa, quindi impossibilitati a conformarsi ai contenuti della delibera CICR. Dopo incertezze giurisprudenziali, le Sezioni Unite della Cassazione (sentenza n. 21095 del 2004) sono tornate a ribadire l’indirizzo del 1999, confermando altresì che la nullità della clausola d'anatocismo trimestrale 'unilaterale' è rilevabile d'ufficio (Cass. n. 10599 del 2005). La disciplina dell’anatocismo. Evoluzioni

5 Prof. Antonella AntonucciCorso di Diritto delle banche 2014-15 La relativa conflittualità continua a divampare – e non appare destinata a spegnersi rapidamente - visto l’orientamento giurisprudenziale a ritenere decorrente il termine decennale di prescrizione dell’azione di ripetizione delle somme computate a titolo di interessi anatocistici non dalla data di chiusura trimestrale del conto che registra l’addebito, ma da quella di definitiva chiusura del rapporto di conto corrente. Sul tema sono intervenute le Sezioni Unite della Cassazione (sentenza n. 24418 del 2010) che elaborano una soluzione differenziata in base alla natura dell’annotazione, se effettivamente solutoria, avente cioè “lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca”, ovvero con funzioni di mero ripristino della disponibilità, come normalmente avviene nelle aperture di credito regolate in conto corrente: solo per questa seconda ipotesi, il termine prescrizionale dell’azione di ripetizione decorre dalla “data in cui è stato estinto il saldo di chiusura del conto”. Anche in questa occasione, come nel ’99, l’intervento legislativo non si è fatto attendere: il c.d. decreto milleproroghe (d.l. n. 225 del 2010, conv. in l. n. 10 del 2011), ha introdotto una norma che si presenta come interpretazione autentica (quindi, applicabile anche ai rapporti pregressi) - “In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l’art. 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa”- accompagnata da una diretta prescrizione, secondo cui “In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge” (art. 2, co. 61). La norma è stata subito portata all’attenzione della Corte Costituzionale da diverse ordinanze di rimessione e, nella prolungata attesa della delibazione, la giurisprudenza ha elaborato percorsi interpretativi sostanzialmente disapplicativi della previsione del ‘milleproproghe’, generalmente rifacendosi alla soluzione adottata dalle SS.UU. nel 2010. Più volte annunciata, la pronuncia di incostituzionalità, per contrasto con gli artt. 3 e 117 Cost., della norma in parola (sentenza 5 aprile 2012, n. 78) si caratterizza per l’asprezza delle motivazioni, che ne stigmatizzano non solo l’irragionevolezza (in quanto norma formalmente interpretativa, ma di fatto innovativa e, quindi, retroattiva), ma anche il ruolo di “ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia”, in via generale vietato dall’art. 6 della Convenzione europea sui diritti umani, costituzionalmente rilevante ai sensi dell’art. 117, 1° co. “nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali”. All’indomani della pronuncia, quindi, riprende pieno vigore la soluzione interpretativa delle SS.UU. in ordine alla differenziata decorrenza del termine prescrizionale ed è ripristinato il diritto alla restituzione degli importi già versati in forza di clausola anatocistica rivelatasi nulla. La disciplina dell’anatocismo. Evoluzioni

6 Prof. Antonella AntonucciCorso di Diritto delle banche 2014-15 La disciplina dell’anatocismo. Evoluzioni in corso e incertezze. Il permanere di tensioni e conflittualità sul tema dell’anatocismo ha portato ad una nuova ondata di provvedimenti normativi contraddittori. La legge n. 147 del 27 dicembre 2013 ("Legge di Stabilità 2014") ha modificato il 2° co. dell'art. 120 conferendo al CICR il compito di stabilire le modalità e i criteri per la produzione di interessi nelle operazioni bancarie, prevedendo in ogni caso che "gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale". L'intervento del legislatore era quindi espressamente finalizzato a introdurre il divieto della capitalizzazione degli interessi nell'ambito delle operazioni bancarie. A pochi mesi di distanza, il c.d “Decreto competitività” (n. 91 del 24 giugno 2014) riscriveva il 2° co. all’art. 120, di fatto riaffermando la legittimità dell'anatocismo bancario. Tale modifica, tuttavia, non è stata confermata dalla legge di conversione del Decreto Competitività ed è pertanto priva di effetto. Ha, quindi, ripreso vigore la versione introdotta dalla Legge di Stabilità, a cui tuttavia non è stata – ad oggi - data attuazione dal CICR. Allo stato è quindi formalmente in vigore la precedente delibera CICR, che ammette pratiche anatocistiche. In tale disallineamento tra normativa primaria e secondaria, si discute se fino alla data di emissione della nuova delibera attuativa da parte del CICR, l'anatocismo debba ritenersi ancora ammesso, nel rispetto delle disposizioni della delibera CICR del 2000, o se debba ritenersi illegittimo alla luce dell'attuale formulazione normativa. Il primo intervento giurisprudenziale noto (App. Genova, ordinanza 11 marzo 2014) sembrerebbe aver aderito alla seconda alternativa, avendo affermato che "attualmente l'anatocismo bancario risulterebbe del tutto eliminato dalla L. 27/12/2013 n. 147, che ha ulteriormente modificato il testo dell' art. 120 del TUB nel senso di consentire solo la contabilizzazione e non più la capitalizzazione degli interessi", indipendentemente quindi dall'emanazione della disciplina secondaria da parte del CICR.

7 Prof. Antonella AntonucciCorso di Diritto delle banche 2014-15 L’uso del danaro prestato dalle banche tradizionalmente incontra una struttura dei costi complessa: accanto all’interesse – capitalizzato nei modi illustrati ai precedenti paragrafi – si colloca una struttura commissionale complessa che determina un sensibile accrescimento del costo dei finanziamenti. Il problema è stato affrontato sia per il versante della rispondenza delle relative clausole alle regole di trasparenza contrattuale, sia con atti d’imperio orientati al divieto, strade che si sono finora rivelate inidonee a governare efficientemente il fenomeno. La questione iniziava ad essere sollevata con riferimento alla commissione di massimo scoperto (CMS), che costituiva una consistente voce di costo, ulteriore rispetto all’interesse, del finanziamento concesso. La scarsa tollerabilità della CMS è emersa in giurisprudenza, in ‘moniti’ del Governatore, che in rituali occasioni ha qualificato la CMS “istituto poco difendibile sul piano della trasparenza”, in iniziative dell’Autorità garante per la concorrenza, in interventi del legislatore. L’AGCM ha non solo ripetutamente segnalato la carente trasparenza nell’evidenziazione di una voce di costo di non agevole determinazione per il cliente (e ciò anche dopo l’intervento normativo di cui si dirà fra un attimo, cfr. parere del 2 febbraio 2009), ma ha anche condannato le maggiori banche per pratiche commerciali scorrette relative alle modalità di applicazione della CMS (provvedimenti tutti del 23 dicembre 2008, n. 19352 –Monte dei Paschi, n. 19353 – Unicredit, n. 19354-BNL, n. 19355-Intesa). Detti provvedimenti si sono conclusi con l’assunzione di impegni (vincolanti ai sensi dell’art. 27, 7° co. CdC) che sono stati ritenuti idonei a far venir meno i profili di scorrettezza della pratica commerciale. Essi si articolano in un miglioramento della qualità dell’informazione e nella sostituzione della CMS con altri tipi di commissione. Anche l’attenzione del legislatore si è ripetutamente rivolta sulla commissione ‘incriminata’. L’occasione dell’intervento è stata colta in sede di conversione del c.d. decreto anticrisi (n. 185 del 2008), con l’art. 2 bis introdotto in sede di conversione dalla l. n. 2 del 2009. La norma introduceva una parziale nullità delle CMS come strutturate, consentendo una riconfigurazione della struttura commissionale espressamente assoggettata all’art. 118 T.U. Non si configura, quindi, un calmiere, non realizza un intervento autoritativo sull’ammontare del costo del danaro, ma sui modi della sua configurazione. Dalla commissione di massimo scoperto all'art. 117 bis T.U. Evoluzioni

8 Prof. Antonella AntonucciCorso di Diritto delle banche 2014-15 L’intreccio fra strumenti autoritativi e di trasparenza realizzato con una previsione intessuta di complessi distinguo ha avuto come esito un il mantenimento e, in molti casi, l’aumento del costo complessivo dei finanziamenti, cui segue l’imposizione di un parziale calmiere (tetto trimestrale dello 0,5 dell’importo dell’affidamento) apposto non a tutte le commissioni e spese, ma alla sola commissione sulla messa a disposizione della linea di fido (art. 2 d.l. n. 78 del 2009, che modifica l’art. 2 bis in commento), provocando una migrazione della contrattualistica bancaria verso nuove commissioni e spese, caratterizzate dalla penalizzazione per i fidi di minore importo e, soprattutto, per gli sconfinamenti dalle posizioni affidate. La disposizione in parola ha avuto breve vita - risultando infine abrogata a seguito del varo dell'art. 117 bis tub ad opera della legge di conversione del c.d. decreto Salva Italia (l. 22.12.2011, n. 214, di conv. del d.l. 6.12.2012, n. 201) - ma grande capacità di sollevare una diffusa conflittualità, che si è consumata in larga misura davanti all'ABF, nelle cui Relazioni annuali (al sito www.arbitrobancariofinanziario.it) si trova riscontro di diversi profili di illegittimità della variegata riconfigurazione della struttura commissionale seguita all'intervento normativo. Contro una commissione introdotta in base alla disposizione si registra la prima vittoria consumeristica in una class action bancaria. L'azione ha, infatti, portato alla "comminatoria della nullità, per i conti non affidati, delle clausole analoghe alla cms [i.e. commissione di massimo scoperto], comunque ridenominate" (nella specie, commissioni di scoperto di conto) ed alla conseguente condanna alla restituzione delle somme indebitamente pagate, ma solo in favore delle due posizioni attoree e di tre fra gli oltre cento aderenti alla classe, con ‘dissolvimento’ della classe dovuto a motivi procedurali (Trib. Torino, 10.4.2014, n. 2659/2014).. Dalla commissione di massimo scoperto all'art. 117 bis T.U.

9 Prof. Antonella AntonucciCorso di Diritto delle banche 2014-15 Sulla difficoltosa situazione descritta interviene la legge di conversione del c.d ‘decreto salva-Italia’ (n. 201 del 2011, conv. in l. 214/2011) che introduce nel T.U. l’art. 117 bis, in tema di “Remunerazione degli affidamenti e degli sconfinamenti”. La norma è stata successivamente ritoccata (d.l. 29/2012, conv. in l. 62/2012), all'esito di convulse vicende normative, senza modificarne l'impianto. La nuova disposizione inserita nel T.U. impone una drastica semplificazione della struttura commissionale, identificando quali possono essere gli “unici oneri a carico del cliente” nei casi di apertura di credito (1° co.) e di sconfinamento (2° co.). Per i contratti di apertura di credito, l’onere unico è costituito da “una commissione onnicomprensiva calcolata in maniera proporzionale rispetto alla somma messa a disposizione del cliente e alla durata dell'affidamento, e un tasso di interesse debitore sulle somme prelevate. L'ammontare della commissione non può superare lo 0,5 per cento, per trimestre, della somma messa a disposizione del cliente”. Per i casi di sconfinamento (extra-fido o in assenza di procedura di affidamento), l’onere è costituito da “una commissione di istruttoria veloce determinata in misura fissa, commisurata ai costi” (c.d.CIV), che si cumula all'interesse debitore sull'ammontare dello sconfinamento. Comminata la nullità per “le clausole che prevedono oneri diversi o non conformi rispetto a quanto stabilito”, con salvezza del contratto (3° co.), si rimettono al CICR (e cfr. DM Economia 30 giugno 2012) l’emanazione delle disposizioni applicative e l’individuazione di “altri contratti per i quali si pongano analoghe esigenze di tutela del cliente”, cui applicare la norma, nonchè dei “casi in cui, in relazione all'entità e alla durata dello sconfinamento, non sia dovuta la commissione di istruttoria veloce di cui al comma 2” (4° co.). L’abuso della CIV, spesso di elevato ammontare, è oggetto di condanna da parte dell’ABF che, nell’ultima relazione annuale, ha evidenziato le decisioni secondo cui “grava sulla banca l’onere di dimostrare di aver compiuto l’istruttoria veloce per ogni singola applicazione della CIV. Non appare inoltre giustificabile un utilizzo intensivo di tale commissione, in quanto il ricorso all’extrafido deve essere considerato eccezionale”. Al di fuori del tessuto del T.U. è stata collocata una previsione di specifica tutela di fasce deboli di utenza bancaria (le "famiglie consumatrici"), esentate dalla commissione di cui all'art. 117 bis, 2° co. T.U. in caso di limitato e sporadico sconfinamento (art. 1, co. 1 ter d.l. 29/2012, conv. in l. 62/2012). Dalla commissione di massimo scoperto all'art. 117 bis T.U. Disciplina attuale

10 Prof. Antonella AntonucciCorso di Diritto delle banche 2014-15 Con la legge illustrata non si disponeva l’espressa abrogazione dell’art. 2 bis d.l. 185, divenuto incompatibile con il nuovo art. 117 bis T.U. e, quindi, valutabile come implicitamente abrogato. Emerge peraltro l’intenzione di provvedere all’espressa abrogazione in sede di conversione in legge del successivo ‘decreto liberalizzazioni’( n. 1 del 2012), prevedendosi espressamente la salvezza del solo 2° co. della norma che, come ricordato, interveniva sui TEGM (art. 27, 3 ° co.). Si provvede inoltre a fissare termine sia per l’emanazione della delibera CICR di cui al 4° co. dell’art. 117 bis (31 maggio 2012), sia per l’adeguamento dei contratti alla nuova disciplina, da realizzarsi entro tre mesi dall’entrata in vigore della delibera (art. 27, co. 1 bis e 2). In Senato, però, insorge un ‘incidente’ che ha provocato un autentico corto circuito: nel testo approvato dal Senato il 1° marzo 2012 (votando il provvedimento su mozione di fiducia) risulta inserito un art. 27 bis che così recita: “Sono nulle tutte le clausole comunque denominate che prevedano commissioni a favore delle banche a fronte della concessione di linee di credito, della loro messa a disposizione, del loro mantenimento in essere, del loro utilizzo anche nel caso di sconfinamenti in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido”. L’emendamento, inserito nel corso dei lavori nella VI Commissione Industria, avrebbe dovuto completarsi con una frase finale, che collegava la comminatoria di nullità al mancato adeguamento alla delibera CICR di cui all’art. 117 bis. I potenziali effetti della norma, che rimane nel testo definitivo della legge (n. 27 del 2012), sono alla fine eliminati con la sua abrogazione ad opera del successivo d.l. n. 29 del 2012, pubblicato contestualmente sulla Gazzetta Ufficiale. Resta non chiarita la forte opacità della vicenda. Quel che è certo è l’effetto paralizzante sui finanziamenti bancari in un periodo già caratterizzato da una loro severa contrazione, con negative ricadute sull’andamento del ciclo economico. Dalla commissione di massimo scoperto all'art. 117 bis T.U. Le successive fibrillazioni


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