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Economia delle Istituzioni Le politiche di sviluppo regionale in Italia nell’ultimo ventennio Domenico Cersosimo Aa 2014-215.

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Presentazione sul tema: "Economia delle Istituzioni Le politiche di sviluppo regionale in Italia nell’ultimo ventennio Domenico Cersosimo Aa 2014-215."— Transcript della presentazione:

1 Economia delle Istituzioni Le politiche di sviluppo regionale in Italia nell’ultimo ventennio Domenico Cersosimo Aa 2014-215

2 Obiettivi : ripercorrere ed analizzare le politiche regionali realizzate in Italia nei venti anni successivi alla fine dell’Intervento straordinario ; analizzare l’ intensità e la qualità degli interventi realizzati.

3 I parte La storia delle politiche regionali

4 La legge 488 del 1992 pone fine all’Intervento straordinario e stabilisce la sua sostituzione con politiche ordinarie per le “aree depresse” nell’ intero territorio nazionale. Essa ridisegna meccanismi e strumenti di intervento. Il passaggio da un sistema di intervento all’altro non è indolore e anzi si caratterizza per notevoli problemi nell’applicazione della nuova normativa. La fine dell’Intervento straordinario ed il lungo intervallo nelle politiche di sviluppo regionale

5  Mancanza di sistematicità e organicità delle nuove disposizioni; forti ritardi nell’emanazione dei regolamenti ministeriali e delle delibere CIPE; difficoltà delle amministrazioni ordinarie a gestire la transizione.  Il meccanismo di incentivazione “a bando” degli investimenti nelle “aree depresse” del Sud e del Centro- Nord diviene concretamente operativo solo nel 1996. La fine dell’Intervento straordinario ed il lungo intervallo nelle politiche di sviluppo regionale

6  Il principio dell’estensione degli interventi alle aree deboli del Centro-Nord, pienamente condivisibile, viene però concretizzato in misura dilatata. Nelle “aree depresse” del Centro-Nord vive un terzo della popolazione, 11,5 milioni di persone; esse non includono solo zone con evidenti problemi di deindustrializzazione, ma anche alcuni dei territori più prosperi ed industrializzati del paese. Per apprezzare l’importanza dell’estensione delle aree si può ricordare che il primo bando della legge 488 determina investimenti per 46.000 nuovi occupati al Sud e per 38.000 al Centro-Nord. La fine dell’Intervento straordinario ed il lungo intervallo nelle politiche di sviluppo regionale

7  Viene cancellata la normativa che fiscalizzava parte degli oneri sociali dei lavoratori nel Mezzogiorno. Il cumularsi degli effetti di sgravi e fiscalizzazioni determinava un vantaggio per le imprese nel costo medio del lavoro nel Mezzogiorno dell’ordine del 20%, in grado di bilanciare, in termini di costo del lavoro per unità di prodotto, il divario di produttività mediamente riscontrabile nel Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord. Il venir meno degli sgravi peggiora drasticamente la competitività di prezzo delle imprese che operano al Sud, con rilevanti effetti sull’occupazione. La fine dell’Intervento straordinario ed il lungo intervallo nelle politiche di sviluppo regionale

8 All’inizio degli anni Novanta, acquistano importanza assai più rilevante che nel passato le politiche di coesione dell’Unione Europea sia per la loro dimensione finanziaria (proprio mentre gli interventi e le risorse nazionali per lo sviluppo del Mezzogiorno si contraggono, quelli europei divengono molto più rilevanti) che per le modalità di programmazione e di realizzazione degli interventi che differiscono sensibilmente da quelle correnti all’epoca nelle amministrazioni italiane. La fine dell’Intervento straordinario ed il lungo intervallo nelle politiche di sviluppo regionale

9 All’indomani della fine dell’Intervento straordinario la politica di sviluppo regionale italiana conosce, dunque, un lungo intervallo, in particolare fra il 1992 e il 1996. Questo avviene in un momento di forte difficoltà dell’economia italiana, acuendone gli effetti in particolare sulle regioni più deboli. Nel periodo 1992-1996 il PIL del Mezzogiorno cresce, in termini reali, meno dell’1%, un valore decisamente inferiore a quello dell’Italia centro-settentrionale (6%). La fine dell’Intervento straordinario ed il lungo intervallo nelle politiche di sviluppo regionale

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11 Negli anni Novanta vi è una forte contrazione della spesa in conto capitale in tutto il Paese, ma questa si riduce soprattutto nel Mezzogiorno. Dal 1991 al 2000, la crescita del capitale pubblico nel Mezzogiorno è pressoché nulla (14,0% nel Nord-Ovest, 11,5 nel Nord-Est, 5,9 al Centro), soprattutto per la forte riduzione degli investimenti in infrastrutture di trasporto. La fine dell’Intervento straordinario ed il lungo intervallo nelle politiche di sviluppo regionale

12 Negli anni Novanta la “questione meridionale” diviene sempre più la questione del lavoro : fra il 1993 ed il 1997 si perdono 330mila posti di lavoro. Le cause: drastica contrazione degli investimenti pubblici; forte riduzione delle assunzioni nel pubblico impiego; aumento del costo del lavoro conseguente all’eliminazione della fiscalizzazione degli oneri sociali; profonde riorganizzazioni delle grandi aziende. La fine dell’Intervento straordinario ed il lungo intervallo nelle politiche di sviluppo regionale

13 Le basi teoriche New Economic Geography New public management La “Nuova Programmazione”

14 I principi Gli interventi volti al riequilibrio territoriale non sono più limitati al Mezzogiorno, ma riguardano tutte le aree deboli del territorio nazionale. Passaggio da un modello istituzionale “straordinario” ad uno “ ordinario ”. Le responsabilità degli interventi vengono attribuite alle amministrazioni ordinarie e non più a strumenti ed organismi ad hoc, esterni alla pubblica amministrazione. La “Nuova Programmazione”

15 I principi L’intervento incoraggia e prevede il decentramento ma anche la collaborazione fra diversi livelli istituzionali e fra organismi dello stesso livello nell’elaborazione e nella gestione degli interventi (modifica delle aspettative di imprese e cittadini ). Governance verticale e orizzontale La “Nuova Programmazione”

16 I principi Obiettivo dell’intervento pubblico è migliorare le condizioni di contesto (materiale, immateriale e Ks) eliminando gradualmente e progressivamente le diseconomie, non compensare le imprese per l’esistenza di tali diseconomie. Puntare principalmente su programmi coordinati di investimenti pubblici. La “Nuova Programmazione”

17 Il sistema di governance La “Nuova Programmazione” trova concreta attuazione nel Programma di Sviluppo per il Mezzogiorno (PSM) per gli anni 2000-2006 e nel successivo Quadro Comunitario di Sostegno. Costituzione di un nuovo Dipartimento per le politiche di sviluppo (DPS). La “Nuova Programmazione”

18 Il sistema di governance Per favorire la collaborazione fra i diversi livelli di governo vengono utilizzati gli strumenti delle Intese istituzionali di programma (IIP) e degli Accordi di programma quadro (APQ). Si mira a superare gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione di progetti infrastrutturali ed azioni integrate per lo sviluppo territoriale: l’esistenza di priorità diverse nelle differenti amministrazioni; il prevalere di ottiche di intervento prettamente settoriali; la frammentazione, fra fonti di provvista e soggetti, delle risorse finanziarie disponibili; l’esistenza di poteri di veto o comunque la mancanza di modalità per superare forme di inazione; la mancanza di strumenti di monitoraggio e verifica. La “Nuova Programmazione”

19 Il sistema di governance Strumenti volti a ottenere un miglioramento dell’efficienza delle amministrazioni: i fondi di premialità. Il 10% delle risorse (4% di riserva comunitaria e 6% di quella nazionale) invece di essere ripartito ex ante fra le amministrazioni viene assegnato ex post in relazione alla perfomance delle Amministrazioni centrali e delle Regioni. Valutazione in itinere ed ex post degli interventi attuati. La “Nuova Programmazione”

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22 Con la legislatura 2001-2006, la “ Nuova Programmazione ” subisce un forte e progressivo ridimensionamento, sia nella sua complessiva importanza sia nelle sue scelte di fondo. Vi è una scarsa attenzione e condivisione politica di fondo (come, in generale, accade per la questione dello sviluppo del Mezzogiorno come tema nazionale). Gli interventi realizzati si allontanano dal disegno originario. Le politiche regionali dall’inizio del nuovo secolo in poi

23 Vi è in primis un problema di natura quantitativa: le risorse europee e quelle del FAS non assumono un ruolo addizionale. La politica di sviluppo regionale, per definizione aggiuntiva, è sempre più sostitutiva di mancata spesa ordinaria. Le politiche regionali dall’inizio del nuovo secolo in poi

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27 Inoltre Minore capacità di regia politica e tecnica dell’insieme degli interventi. Mancanza di un coordinamento del livello centrale che porti ad una concentrazione tematica delle risorse. Assenza di riequilibrio del totale della spesa in conto capitale che avrebbe dovuto spostare risorse dai trasferimenti alle imprese verso gli investimenti pubblici. Le politiche regionali dall’inizio del nuovo secolo in poi

28 Con il cambio di legislatura, le politiche regionali precedentemente programmate vengono stravolte e sostanzialmente cancellate.  Il Governo cancella l’obiettivo di destinare alle otto regioni del Sud il 45% della spesa totale in conto capitale, così come l’obiettivo del 30% della spesa ordinaria in conto capitale per le amministrazioni centrali e per gli enti extra pubblica amministrazione. Le politiche regionali dall’inizio del nuovo secolo in poi

29  La parte nazionale (FAS), che rappresenta circa metà delle disponibilità totali delle politiche regionali, non si avvia. Tagli e allocazioni dirottano una parte cospicua delle risorse verso destinazioni diverse rispetto alla loro missione originaria.  La drastica riduzione delle risorse nazionali non solo depotenzia da un punto di vista quantitativo l’intervento, ma determina anche uno stravolgimento della complessiva programmazione. Le politiche regionali dall’inizio del nuovo secolo in poi

30  La collaborazione verticale fra Amministrazioni centrali e regionali diviene sempre minore.  Un’ulteriore criticità è legata al processo decisionale: le decisioni di spesa non sono riconducibili ad un quadro programmatico con chiare priorità, si tratta, invece, di un insieme di interventi estemporanei. Le politiche regionali dall’inizio del nuovo secolo in poi

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32 II parte L’impatto delle politiche regionali

33 Alcune premesse. Importanza della valutazione (non burocratica) delle politiche pubbliche. Valutare è molto complicato, presuppone l’utilizzo di approcci e metodi rigorosi. Ogni valutazione comporta una serie di problemi: progetti che si sarebbero realizzati comunque; effetti di spiazzamento. Importante è individuare il «nesso causale»: il cambiamento osservato è attribuibile alla politica? Necessità di confronto tra uno scenario osservabile e uno «controfattuale» (ipotetico). Esistono più modi (complementari) per valutare un progetto, intervento, investimento (dipende da cosa si deve valutare e dalle domande di valutazione): approccio controfattuale, realista (contesto-meccanismo-esito), partecipata L’impatto macroeconomico e microeconomico delle politiche regionali

34 L’impatto macroeconomico e Lmicroeconomico delle politiche Per definizione, perché possano avere un qualche effetto, politiche di sviluppo regionale devono destinare alle aree obiettivo una spesa aggiuntiva rispetto a quella “ordinaria”, a quella cioè che si sarebbe comunque avuta.  Addizionalità “programmatica” : per il periodo 2002-2007 si registra un dimezzamento della componente addizionale.  Addizionalità “concordata”: per il periodo 2007-2013, la verifica intermedia evidenzia che il profilo di addizionalità negoziato e formalizzato nel QSN non è rispettato.

35  Addizionalità “economica”: la spesa in conto capitale pro capite nel Mezzogiorno è inferiore alla media nazionale (ancora di più lo è quella per i soli investimenti pubblici); misurata rispetto al PIL è, invece, maggiore.  Addizionalità “microeconomica”: vi è evidenza che parte dei fondi europei rimborsino interventi già previsti e finanziati con risorse nazionali. L’impatto macroeconomico e microeconomico delle politiche regionali

36 Alcune premesse Occorre considerare la dimensione relativa dell’intervento nel provare ad individuare una relazione fra le politiche di sviluppo e i risultati economici delle regioni. La dimensione delle politiche regionali, intesa come la spesa in conto capitale formalmente aggiuntiva, rappresenta circa metà della spesa totale in conto capitale al Sud, circa il 2% della complessiva spesa pubblica nel Mezzogiorno e circa lo 0,8% del PIL meridionale. L’impatto macroeconomico e microeconomico delle politiche regionali

37 Gli obiettivi programmatici L’ obiettivo di crescita previsto nella programmazione 2000-2006 viene mancato : nell’intero decennio il tasso di crescita del Mezzogiorno è sistematicamente e significativamente inferiore a quello dell’Unione Europea. In particolare nel periodo 2000-2005 il Mezzogiorno realizza una crescita cumulata del 5% del PIL, inferiore di quasi il 9% rispetto a quella attesa. Tale scarto tocca l’11% se, fra gli scenari di crescita, ci si compara a quello migliore, nel quale veniva ipotizzato che la politica avrebbe indotto anche esternalità positive attraverso il miglioramento delle “variabili di rottura”. L’impatto macroeconomico e microeconomico delle politiche regionali

38 Ma perché l’obiettivo di crescita viene così clamorosamente mancato? Peggioramento dello scenario economico generale del Paese. Il forte rallentamento dell’economia delle regioni del Mezzogiorno è del tutto coerente con il rallentamento dell’intera economia italiana. “Riduzione” delle politiche, cioè una spesa in conto capitale inferiore di circa il 14% rispetto a quanto previsto. L’impatto macroeconomico e microeconomico delle politiche regionali

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40 I Fondi strutturali hanno contribuito per circa un punto percentuale di crescita all’anno allo sviluppo del Mezzogiorno. Le politiche regionali (comunitarie) avrebbero impedito una lunga fase di recessione dell’economia meridionale ed evitato un forte incremento delle disparità interne. L’impatto macroeconomico e microeconomico delle politiche regionali

41 Le politiche regionali non sono state in grado di indurre una significativa accelerazione della crescita nel Mezzogiorno. L’impatto macroeconomico e microeconomico delle politiche regionali

42 Non si è significativamente ridotto il rilevante gap nelle condizioni di contesto esistente fra le diverse aree del Paese, anche se è migliorato il livello, assoluto, di dotazione di infrastrutture e servizi al Sud. I risultati non sono stati omogenei. L’impatto macroeconomico e microeconomico delle politiche regionali

43 Guardando ad un insieme di indicatori, relativi agli obiettivi specifici delle politiche, si trova evidenza di modesti, ma non insignificanti, miglioramenti nelle regioni meridionali. L’impatto macroeconomico e microeconomico delle politiche regionali

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46 La struttura degli ambiti di intervento del Fondo europeo di sviluppo regionale è largamente simile: i principali sono i trasporti e il sostegno agli investimenti delle imprese. Vi sono, però, anche significative differenze: al Sud è decisamente più alta la quota di risorse destinate al sostegno delle imprese ed al settore del turismo, mentre meno risorse sono destinate alle infrastrutture sociali ed ai trasporti. La qualità delle politiche realizzate: sono intervenute negli ambiti giusti?

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49 Confrontando i progetti contenuti negli Accordi di Programma Quadro, emerge che al Centro-Nord hanno un peso molto maggiore gli investimenti nei trasporti e nei servizi alle persone, cioè nelle infrastrutture sociali. Al contrario al Sud pesano proporzionalmente di più gli interventi nell’industria e per le risorse idriche. La qualità delle politiche realizzate: sono intervenute negli ambiti giusti?

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51 I dati relativi al numero di progetti ed alla loro dimensione media non sembrano consentire conclusioni forti; tendono a correggere in parte l’idea molto diffusa che, a differenza di quanto avvenuto nel resto del Paese, al Sud si siano utilizzate le risorse disponibili frammentandole eccessivamente su una vasta pluralità di interventi. La qualità delle politiche realizzate: vi è stata eccessiva frammentazione degli interventi?

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54 La qualità delle politiche realizzate: l’avanzamento finanziario ed operativo dei progetti Nel ciclo di programmazione 2000-2006, le Regioni meridionali fanno segnare un significativo ritardo iniziale nell’esecuzione finanziaria rispetto alle altre Regioni europee. Se si compara l’esecuzione finanziaria del Centro-Nord con la media delle Regioni Obiettivo 2 dell’UE-15 si riscontra un ritardo ancora maggiore che per il Sud. I primi dati disponibili per il periodo di programmazione 2007-2013 mostrano un avvio molto lento dei programmi, sia regionali che nazionali, peggiore rispetto al ciclo precedente.

55 La qualità delle politiche realizzate: l’avanzamento finanziario ed operativo dei progetti

56 Da cosa dipendono questi forti ritardi? I ritardi si riscontrano sia nella progettazione ed aggiudicazione delle opere sia nella fase di realizzazione lavori, dunque lungo tutte le fasi di un appalto pubblico (DPS-UVER 2010). Lenti sono anche i cosiddetti “tempi di attraversamento”, vale a dire i tempi intercorrenti tra le diverse fasi (progettazione, aggiudicazione, realizzazione, collaudo). I tempi di realizzazione delle infrastrutture non sono sistematicamente inferiori nelle Regioni del Centro-Nord rispetto a quelle del Mezzogiorno.

57 La qualità delle politiche realizzate: l’avanzamento finanziario ed operativo dei progetti

58 La qualità delle politiche realizzate: si è decentrato troppo?

59 In Italia il ruolo di Enti locali e Regioni nelle politiche di investimenti pubblici è simile a quello di molti altri importanti Stati membri dell’Unione Europea; questo ruolo è notevolmente cresciuto negli ultimi dieci anni.

60 La qualità delle politiche realizzate: si è decentrato troppo? La scelta del decentramento appare opportuna, ma...... sono mancate forme di raccordo e collaborazione fra governo centrale e governi periferici,... carente è stato il ruolo del governo centrale non solo in sede di programmazione e regia complessiva, ma anche di monitoraggio e controllo, stimolo, verifica e, soprattutto, di sostegno alla progettazione tecnica;... non si è completato il rinnovamento delle risorse umane delle strutture amministrative, iniziato in modo forte ma poi affievolitosi.

61 Il Piano di Azione Coesione Il Governo Monti, d’intesa con la Commissione Europea, attua un’ampia riprogrammazione delle risorse comunitarie attraverso il Piano di Azione Coesione. L’azione di riprogrammazione si fonda sulla concentrazione degli interventi su alcune priorità (connesse anche agli obiettivi della Strategia Europa 2020) e si basa sui seguenti principi: (i)integrazione della politica europea e nazionale per lo sviluppo regionale, rafforzando i presidi di competenza offerti dal Governo centrale;

62 Il Piano di Azione Coesione (ii) riduzione dell’incertezza dei flussi di finanza pubblica; (iii) attenzione ai risultati attesi e non solo ai processi per conseguirli; (iv) disponibilità per i cittadini di informazioni e strumenti per conoscere in tempo reale le decisioni di investimento, per valutarle e per farne oggetto di dibattito pubblico.

63 Il Piano di Azione Coesione Una prima fase della riprogrammazione è varata il 15 dicembre del 2011 e interessa i fondi gestiti dalle Regioni Convergenza per circa 3,7 miliardi.  Riduzione del cofinanziamento nazionale al 25%;  vincoli del Patto di stabilità interno meno stringenti;  quattro priorità: istruzione (a cui è destinato circa un miliardo di euro), agenda digitale (oltre 0,4 miliardi), occupazione di lavoratori svantaggiati, attraverso un credito di imposta occupazione (poco più di 0,1 miliardi) e ferrovie;  alcuni importanti progetti dimostrativi nel campo dei beni culturali (Progetto Pompei), della giustizia e della formazione.

64 Il Piano di Azione Coesione Una seconda fase del Piano di Azione Coesione parte nel maggio del 2012, con riferimento a fondi per circa 2,3 miliardi di euro gestiti dalle Amministrazioni centrali (Programmi operativi nazionali e interregionali).  Interventi per la cura dell’infanzia (0,4 miliardi) e degli anziani non autosufficienti (oltre 0,3 miliardi);  il sostegno ai giovani attraverso ulteriori interventi contro la dispersione scolastica, il finanziamento di progetti nel campo del privato sociale, il sostegno finanziario per l’imprenditoria giovanile (oltre 0,2 miliardi);

65 Il Piano di Azione Coesione  il sostegno della competitività e delle imprese innovative (0,9 miliardi);  interventi volti alla conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale del Mezzogiorno con l’individuazione di 20 poli archeologici e museali in Calabria, Campania, Puglia e Sicilia (oltre 0,3 miliardi);  un intervento per l’attivazione del processo civile telematico in 23 uffici giudiziari per la riduzione dei tempi della giustizia civile.

66 Le principali conclusioni Nel ventennio successivo alla chiusura dell’Intervento straordinario, pur con un percorso non lineare, le politiche di sviluppo territoriale italiane si sono progressivamente ridotte e alla fine quasi completamente cancellate.

67 Le principali conclusioni Le politiche realizzate hanno avuto un impatto modesto sullo sviluppo e sulla riduzione dei divari territoriali interni, sia per la loro dimensione contenuta, sia per il debole o assente raccordo con le grandi politiche pubbliche del Paese, sia per problemi tecnici nella loro attuazione.

68 Le principali conclusioni Tuttavia, si delinea un quadro di luci e ombre ed è possibile individuare una serie di insegnamenti utili per migliorare il disegno e la realizzazione delle politiche regionali, quando l’Italia vorrà tornare ad investire nelle risorse disponibili in tutti i suoi territori per provare a vivere nuove stagioni di sviluppo.


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