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ANALISI ECONOMICA DELLA POVERTA’

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Presentazione sul tema: "ANALISI ECONOMICA DELLA POVERTA’"— Transcript della presentazione:

1 ANALISI ECONOMICA DELLA POVERTA’
A cura di Dott.ssa Maria Rita Pierleoni Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Facoltà di Economica

2 Gli argomenti della lezione
Analisi economica della povertà Definizione Approccio tradizionale per la misurazione della povertà Gli indicatori di povertà Le teorie economiche sulla povertà Le politiche di lotta alla povertà I risultati raggiunti e l’esperienza acquisita La cooperazione internazionale 4. La povertà nel mondo: la situazione attuale

3 Premessa L’esistenza di aree di povertà non appartiene in modo esclusivo alle sole società più arretrate. Nei paesi sviluppati permangono situazioni di disagio e di deprivazione. E’ presente un interesse diffuso nei confronti del problema della povertà, tuttavia non esiste una convergenza di opinioni sul significato da attribuire al termine “povertà”, né sui metodi di analisi e di misurazione più idonei a fornire indicazioni in merito all’intensità con cui si manifesta la povertà, né sull’individuazione delle cause che possono essere all’origine del fenomeno. Un importante aspetto che emerge a prima vista in questo campo di studi è la grande distanza che separa le elaborazioni concettuali dall’applicazione empirica. Al grado di sofisticazione nelle tecniche di analisi e di misurazione sviluppate in campo teorico corrispondono drastiche semplificazioni in sede applicativa.

4 Le definizioni di povertà
Le formulazioni del concetto di povertà possono ricondursi alle due grandi categorie di “assolute” e “relative”. Le prime si rifanno ad un concetto minimo vitale e presuppongono la fissazione di una soglia di risorse necessaria a garantire il soddisfacimento dei bisogni primari. Tale definizione si rifà alle sole necessità fisiche e biologiche Le seconde si rifanno ad un concetto di privazione relativa intesa come difficoltà o impossibilità di accesso alla vita economica, sociale e politica da parte dell’individuo che si deve confrontare con il gruppo sociale in cui egli si identifica o all’interno della società.

5 Le definizioni di povertà
Gli schemi di analisi ed i concetti di povertà che via via si sono affermati sono di tipo relativo. La povertà relativa richiede sempre l’individuazione di una soglia che separi la popolazione in poveri e non poveri. La relatività è rappresentata dalla variabilità della soglia al variare della situazione generale. Tuttavia tale definizione non coglie un aspetto importante della condizione di povertà: l’esistenza di un processo graduale tra due posizione estreme (povero e non povero) proprio in relazione alla diversa intensità con cui si possono venire a manifestare i diversi sintomi di disagio e marginalità.

6 Le definizioni di povertà
La povertà non deve essere confusa con la disuguaglianza sociale. Quest’ultima percorre trasversalmente tutta la collettività – costituita da poveri e da non poveri – individuando posizioni superiori ed inferiori alla media.

7 Le definizioni di povertà
Il concetto di privazione relativa si è prestato ad interpretazioni diverse provenienti da settori differenti. Esperti in sociologia (Runciman, 1972; Townsend, 1971, 1974, 1985; Gallino, 1978) hanno proposto nuove definizioni del concetto di povertà di relativa. L’implicazione a ciò connessa è la possibilità di considerare uno spazio concettuale dove possono coesistere una pluralità di definizioni di povertà ed una pluralità di criteri di misurazione del fenomeno a seconda del riferimento politico-culturale accolto, delle condizioni storiche e sociali esistenti ed infine degli obiettivi di analisi che ci si propone.

8 Le definizioni di povertà
La considerazione di questo spazio concettuale consente l’elaborazione di una definizione più complessa e multidimensionale della povertà, che meglio riflette l’attuale configurazione della stessa. Questo processo di evoluzione teorica si scontra, tuttavia, con i limiti imposti dagli strumenti metodologici di cui generalmente si fa uso che tendono ad offrire una misurazione sintetica e generale del fenomeno. L’obiettivo di sinteticità porta alla costruzione di indici che riassumono le tendenze di alcuni aspetti della povertà suscettibili di interpretazione economica.

9 Approccio tradizionale per la misurazione della povertà
L’approccio tradizionale richiede di stabilire, dopo aver scelto la definizione di privazione, per una o più variabili ritenute cruciali, una soglia in base alla quale classificare come povere le unità economiche di riferimento (l’individuo o la famiglia) che si collocano al di sotto di tale livello critico. A riguardo possiamo dire che non esiste una metodologia consolidata e univocamente accettata. In termini molto generali, l’identificazione dei soggetti poveri può avvenire in due diversi modi: considerando direttamente i bisogni oppure trasformando gli stessi in termini monetari.

10 Approccio tradizionale per la misurazione della povertà
Nel primo caso si tratterà di specificare una lista di basic needs (ad esempio, l’alimentazione, la protezione fisica, l’abitazione) e quindi individuare i soggetti il cui paniere di consumo lascia insoddisfatto alcuni di questi bisogni essenziali. L’alternativa è quella di stabilire il reddito minimo necessario al raggiungimento dei bisogni essenziali, identificando come poveri i soggetti il cui reddito risulta inferiore alla soglia minima che viene definita “linea di povertà”.

11 Approccio tradizionale per la misurazione della povertà
Il primo metodo, quello diretto, è teoricamente preferibile al secondo in quanto richiede semplicemente di individuare quei soggetti il cui paniere di consumo lascia insoddisfatto qualche bisogno ritenuto fondamentale. Quello indiretto che riconduce l’analisi ad un singolo indicatore monetario, presuppone, invece, la definizione di una relazione comportamentale nelle scelte di consumo che consenta di convertire i bisogni fondamentali in beni atti a soddisfarli. Tale metodo è quindi più restrittivo ma si giustifica dal fatto che essi hanno il pregio di offrire una misurazione della distanza di ciascuna singola posizione individuale dalla linea di povertà.

12 Approccio tradizionale per la misurazione della povertà
L’elemento chiave che contraddistingue l’uno e l’altro metodo si rifà a due diverse concezioni di povertà (assoluta e relativa): per il primo “l’inadeguatezza” dei consumi rispetto ai bisogni minimi convenzionalmente definiti; per il secondo “la capacità” dell’individuo a far fronte con le risorse di cui dispone ai bisogni ritenuti essenziali.

13 Approccio tradizionale per la misurazione della povertà
Dopo l’identificazione dei soggetti poveri il passo successivo riguarda la definizione di una linea di povertà. Le linee di povertà ottenute ricorrendo al concetto di basic needs vengono definite assolute; il riferimento principale è nei confronti di un insieme di bisogni fondamentali che hanno rilevanza di per sé. Le linee di povertà definite come relative sono caratterizzate dal fatto di essere sempre e comunque collegate ad un qualche indicatore del tenore di vita prevalente all’interno di una società.

14 Approccio tradizionale per la misurazione della povertà
Uno dei possibili calcoli analitici della linea di povertà oggi adottato è il seguente:  (PX + PX) Dove: X  beni alimentari commercializzati; P  prezzo del bene X; X  beni non alimentari; P  prezzo del bene X;   1: previsione di spese superflue o sprechi. Questo metodo si basa sull’individuazione di un paniere di prodotti di base, composto principalmente da generi alimentari. Il reddito necessario per acquistare tale paniere viene calcolato ai prezzi correnti.

15 Approccio tradizionale per la misurazione della povertà
I problemi di identificazione e di definizione della povertà fanno riferimento in modo quasi esclusivo a variabili di tipo economico. Tra queste variabili rientrano il reddito e la spesa e rappresentano degli indicatori di povertà che considerano gli aspetti di natura micro riferiti al singolo individuo. Tuttavia, nel corso degli anni, si è avvertita la necessità di passare dal semplice reddito monetario o dalla spesa corrente ad un indicatore composito dello status economico in grado di riflettere il potere di comando generalizzato sulle risorse da parte dell’individuo.

16 Approccio tradizionale per la misurazione della povertà
L’adozione di un’ottica di tipo macroeconomico, basata sul ricorso prevalente ad indicatori globali di sviluppo, è quella invece normalmente accolta da parte di organismi sovranazionali che studiano il problema della povertà, con particolare attenzione nei confronti delle economie sotto-sviluppate o in via di sviluppo. Anche in questo caso, alle variabili di natura economica sono stati con il tempo affiancati altri indicatori al fine di delineare un quadro complessivo più appropriato a descrivere il benessere o il disagio, non solo economico, in cui vivono le popolazioni. Grandezze come il prodotto nazionale lordo o il reddito pro-capite, non rilevano né la composizione né la reale disponibilità di risorse per i singoli individui.

17 Gli indicatori di povertà
La Banca Mondiale, l’UNDP e l’Ifad hanno elaborato alcuni indicatori economici che risultano complementari a quelli statistici di sviluppo economico solitamente utilizzati a livello internazionale. Tra questi indicatori, cinque risultano particolarmente interessanti: Indice di Sicurezza Alimentare (ISA) che consente di classificare i paesi a bassa sicurezza alimentare ISA  0,80; media sicurezza 0,80  ISA  1 ed alta sicurezza ISA  1. L’indice cerca di fornire un profilo di prima approssimazione della situazione di un paese in termini di sicurezza alimentare.

18 Gli indicatori di povertà
Indice Integrato di Povertà (IIP) che combina il concetto assoluto e quello relativo di povertà, avendo valori possibili compresi tra 0 e 1, dal che risulta possibile parlare di alta povertà quando IIP  0,40, di povertà contenuta 0,40  IIP  0,20 o relativamente bassa IIP  0,20 L’importanza dell’IIP sta nel tentativo di esprimere il legame tra la riduzione della povertà ed il progresso economico complessivo, non volendo sottovalutare con ciò il problema connesso alla definizione di “linea di povertà” e di termini come “reddito”.

19 Gli indicatori di povertà
Indice dei Bisogni Fondamentali (IBF) essendo un indice normalizzato può avere valori compresi tra 0 e 1: più il valore è prossimo ad 1, più alto è lo stato di soddisfacimento raggiunto dai bisogni fondamentali. Indice del Benessere Relativo (IBR), una misura sintetica di sicurezza alimentare, povertà e bisogni fondamentali dei PVS. Si tratta di una media aritmetica tra ISA, IIP e l’IBF. Il valore dell’IBR di un PVS sarà compreso tra 0 e 1: più vicino ad 1 quanto più alto è il livello di benessere raggiunto da un paese. Un indice utile sia per confronti in termini assoluti che relativi tra i PVS.

20 Gli indicatori di povertà
5. Indice Condizione Femminile (ICF), creato dall’Ifad per ottenere un profilo quantitativo della condizione delle donne, utile nell’approntare specifiche politiche di intervento. L’ICF è compreso tra 0 e 1; più vicino ad 1 migliore è la condizione femminile.

21 Gli indicatori di povertà
Sen propone il primo e più noto indicatore “sintetico” o “globale” della povertà, il poverty gap ratio: S  h 1 - 1 - i 1 - Gp (q  1+q) che diventa h i + (1 - i) Gp per q   dove q è il numero degli individui poveri Gp è il rapporto di concentrazione (di Gini) del reddito dei poveri; se è nullo (i redditi di tutti i poveri sono uguali) l’indice sarà pari al prodotto hi.

22 Approccio tradizionale per la misurazione della povertà
Un ulteriore problema che si presenta nell’analisi di povertà riguarda la scelta dell’unità di riferimento. Esiste la possibilità di considerare come unità non solo l’individuo ma anche la famiglia e calcolare per questa i possibili indicatori. Ciò si giustifica dal fatto che esiste la necessità di considerare anche i meccanismi e le relazioni che si sviluppano all’interno della famiglia, data l’influenza che questa ultima esercita sui singoli. Date le interrelazioni che sussistono tra le due unità, la scelta dipenderà dalle concrete possibilità di misurare e valutare il benessere e il tenore di vita per ciascuna di esse e dalla possibilità di considerare gli effetti che l’unità familiare può esercitare su quella individuale e viceversa, attraverso l’utilizzo di strumenti statistici adeguati.

23 Le Teorie economiche sulla povertà
Per analizzare la povertà da un punto di vista teorico è possibile fare riferimento a diverse scuole di pensiero, la più importante in termini di tradizione è quella utilitarista. L’utilitarismo tende a trascurare il problema dell’ineguaglianza della distribuzione del reddito: per Pareto non si possono effettuare confronti tra chi vince e che perde, e sono possibili solo valutazioni ordinali di utilità. I giudizi in materia di benessere sono perciò limitati solo all’ambito ristretto del miglioramento paretiano, cioè i casi in cui c’è chi migliora e nessuno peggiora.

24 Le Teorie economiche sulla povertà
Nel quadro dell’utilitarismo intendendo poi massimizzare la somma totale delle utilità, i meno efficienti risultano penalizzati da una politica di distribuzione del reddito finalizzata a premiare la maggiore utilità marginale, cioè la maggiore efficienza; il risultato è evidentemente anti-egualitario all’eccesso. L’utilità si dimostra informazione inadeguata in termini di giudizio morale in campo distributivo e, soprattutto, l’approccio utilitarista si scontra con l’impossibilità di confrontare le utilità di individui diversi.

25 Le Teorie economiche sulla povertà
L’approccio teorico di Rawls (1971) si basa sul principio del “maxmin”: il benessere, o insieme di utilità individuali, di uno stato sociale è misurato dal livello di utilità degli individui più svantaggiati. Al pari dell’approccio utilitarista, anche l’applicazione del criterio di Rawls può non prestare attenzione alle diversità delle persone e limita l’analisi al reddito ed ai beni primari considerando questi gli unici elementi di valutazione delle condizioni di benessere degli individui.

26 Le Teorie economiche sulla povertà
L’approccio di giustizia distributiva di Nozick ha evidentemente un concetto negativo di libertà e si limita ad assegnare maggior reddito all’individuo che ha un maggior numero di attribuzioni derivanti dai tre principi di giustizia su cui si fondano le attribuzioni individuali, e cioè i diritti di proprietà, di trasferimento e, in caso di violazione, di correzione. Questa concezione è indifferente rispetto ai problemi di diverse condizioni di partenza che determinano ineguali opportunità.

27 Le Teorie economiche sulla povertà
Sen introduce l’approccio del titolo valido o “entitlement” (attribuzione) secondo cui la capacità di disporre beni e servizi dipende sia dalle condizioni sociali, politiche, economiche e giuridiche della data società, sia dalla posizione dell’individuo nella stessa. L’approccio degli “entitlements” si concentra sulla capacità dei soggetti di comandare cibo attraverso mezzi legali disponibili nella società; cioè il paniere di beni e servizi su cui la persona può esercitare un controllo, mediante l’impiego dei diritti e delle opportunità, è indicato dal titolo valido.

28 Le Teorie economiche sulla povertà
Sen superando sia l’utilitarismo, incapace di tener conto di importanti valori morali, sia le teorie dei diritti, sia le teorie interessate unicamente ai beni e non ai rapporti tra beni e persone, centra la sua visione consequenzialista in termini di qualità della vita (well-being, piuttosto che well-fare). Secondo questo approccio i beni non sono fonte di utilità né oggetti di base da rendere disponibili ma mezzi a disposizione delle persone da far funzionare.

29 Le politiche di lotta alla povertà
Una “politica” può essere definita come un programma d’azione coordinato, con effetti pubblici e visibili, promosso e attuato da uno o più soggetti, pubblici o privati, con finalità sociali anche indirette, dotato di una permanenza nel tempo. Di seguito si presenteranno alcune politiche contro la povertà adottate da governi nazionali, agenzie di cooperazione e organismi internazionali. In questa rassegna non sono incluse le politiche di natura macroeconomica finalizzate a promuovere lo sviluppo economico poichè il nesso tra questo ed il miglioramento delle condizioni dei poveri non è dimostrato in maniera univoca ed è, anzi, di recente, sempre più spesso messo in discussione.

30 Le politiche di lotta alla povertà
Considerazione dei bisogni primari della popolazione Tale politica riguarda: 1) la distribuzione di cibo a che vive in condizioni di povertà estrema; 2) assicurare condizioni minime per tutti; 3) la costruzione di impianti di fognature; 3) la fornitura di acqua potabile; 4) la copertura dei costi dei servizi di base offerti a carico dei consumatori in grado di sostenere la spesa. Si tratta di politiche affermate universalmente che tentano di rispondere alla necessità di creare un ambiente in cui i poveri, risolte alcune necessità minime legate alla sopravvivenza, siano messi in condizione di pensare più serenamente alla propria emancipazione economica e sociale.

31 Le politiche di lotta alla povertà
Per quanto concerne il problema della copertura dei costi nei PVS, esso è strettamente legato, alla sostenibilità di queste politiche ed è attualmente affrontato operando una distinzione tra poveri: da una parte quelli “estremi”, rispetto ai quali le politiche di recupero dei costi sono palesemente un’assurdità; dall’altra i soggetti che, per quanto subiscano un processo di impoverimento, sono tuttavia in grado di contribuire alla spesa per i servizi di base.

32 Le politiche di lotta alla povertà
Costruzione del Capitale Umano dei Poveri Tali politiche riguardano: 1) la diffusione dell’educazione primaria a tutta la popolazione povera; 2) la riduzione del tasso di analfabetismo tra gli adulti; 3) la formazione di skill; 4) il riconoscimento delle potenzialità dei poveri; 5) la diffusione di programmi di educazione pre-scolastica e di crescita per bambini che vivono in povertà. Tali politiche sono particolarmente importanti in relazione all’obiettivo dell’interruzione del ciclo intergenerazionale della povertà, causato proprio dalla difficoltà per i più poveri di dedicare tempo all’istruzione, propria e dei figli, sottraendolo alla ricerca di mezzi per la soddisfazione di necessità essenziali alla sopravvivenza (prima tra tutte l’alimentazione).

33 Le politiche di lotta alla povertà
Particolarmente importanti sono le politiche finalizzate a fornire servizi pre-scolastici qualificati ai bambini provenienti da famiglie povere: lo scopo è di intervenire tempestivamente per limitare i danni in relazione allo sviluppo intellettuale che si producono già in età molto precoce e che minano la possibilità dei bambini di liberarsi, in futuro, dalla condizione di povertà ereditata dai genitori.

34 Le politiche di lotta alla povertà
Politiche per la casa Tali programmi riguardano: 1) l’erogazione di sussidi per l’affitto; 2) mezzi finanziari per consentire la costruzione di una casa propria; 3) l’attribuzione di case comunali; 4) finanziamenti agevolati per l’acquisto di abitazioni da parte di famiglie a basso reddito; 5) miglioramento delle case in cattivo stato e il riconoscimento dei diritti degli abitanti degli insediamenti abusivi.

35 Le politiche di lotta alla povertà
Queste politiche sono un esempio dei differenti approcci che possono essere seguiti per risolvere il problema di fornire un’abitazione a tutti; si passa, infatti, da politiche improntate all’assistenzialismo dirette ai poveri meno dotati di risorse in un’ottica di intervento pubblico a fondo perduto, ad altre che puntano maggiormente sulle capacità di alcuni gruppi di poveri. E’ il caso di politiche che promuovono l’autocostruzione delle abitazioni o il riconoscimento dei diritti degli abitanti negli insediamenti abusivi; le politiche di finanziamento agevolato per l’acquisto dell’abitazione si rivolgono, infine, a gruppi in condizioni di “vulnerabilità”, piuttosto che poveri in senso stretto.

36 Le politiche di lotta alla povertà
Stabilire un sistema di previdenza sociale rivolto, soprattutto ai gruppi vulnerabili Tali politiche riguardano: 1) una rete di sicurezza sociale e la raccolta di fondi pubblici; 2) aiuto alle famiglie con un solo genitore; 3) accesso degli anziani ai servizi sociali ed al sistema previdenziale; 4) sistema di protezione sociale. Tali politiche si concretizzano in misure volte ad evitare che soggetti particolarmente esposti a vari tipi di rischi cadano vittime di processi di impoverimento spesso irreversibili, con un danno complessivo per la società.

37 Le politiche di lotta alla povertà
Tra i soggetti vulnerabili prestare una maggiore attenzione alle donne Questo comporta: 1) orientamento alle politiche aventi lo scopo di eliminare la povertà in una prospettiva di non discriminazione tra i sessi; 2) promozione di politiche in favore delle donne, 3) promozione dell’empowerment femminile; 4) promozione ed incentivazione dell’istruzione delle giovani; 5) l’accesso al credito alle donne; 6) favorire l’accesso alla terra alle donne; 7) la tutela dei diritti riproduttivi delle donne.

38 Le politiche di lotta alla povertà
Si tratta di politiche che riflettono orientamenti differenti: ad esempio, convivono politiche finalizzate ad incentivare la diffusione dei diritti delle donne in tutti i programmi e gli interventi, anche non specificatamente dedicati al problema delle donne, e politiche che predicano la messa a punto di interventi specifici.

39 Le politiche di lotta alla povertà
Avviare politiche anti shock mediante: 1) meccanismi diretti a ridurre l’impatto ed a mitigare gli effetti dei disastri naturali sui poveri; 2) analisi delle conseguenze di politiche macroeconomiche e di programmi di aggiustamento strutturale sui poveri e misure per mitigarne l’impatto; 3) prevenzione e soluzione di conflitti; 4) controllo di malattie conosciute; 5) la sicurezza alimentare; 6) rispetto dei diritti umani; 7) misure per combattere le discriminazioni; 8) identificazione e supporto di strategie per la sopravvivenza dei poveri.

40 Le politiche di lotta alla povertà
Queste politiche in alcuni casi hanno valore per l’intera popolazione, anche se il loro obiettivo principale è di evitare che soggetti a rischio cadano nella trappola della povertà permanente. I tipi di schock presi in considerazione sono di diversa natura: disastri naturali, politiche economiche, conflitti militari, persecuzioni, ecc.

41 Le politiche di lotta alla povertà
Empowerment e accesso alle risorse Tali politiche riguardano: 1) la promozione dell’empowerment politico ed economico dei poveri e delle loro organizzazioni; 2) la promozione delle attività di microcredito rivolte ai poveri; 3) l’accesso dei poveri alla terra ed alle altre risorse produttive; 4) il possesso della terra attraverso l’implementazione di riforme. Le politiche di questo gruppo fanno riferimento a due delle nozioni più diffuse di povertà, spesso collegate tra loro: quelle che la definiscono come mancanza di capacità e come mancanza di accesso alle risorse produttive.

42 Le politiche di lotta alla povertà
Promuovere l’avvio di attività generatrici di reddito e la creazione di posti di lavoro Tali politiche implicano: 1) il supporto allo sviluppo di piccole imprese; 2) la promozione di lavori pubblici ad alta intensità di lavoro; 3) la legalizzazione ed il supporto alle attività economiche sommerse; 4) la promozione di industrie non agricole in aree rurali; 5) la creazione e diffusione della tecnologia nelle zone rurali.

43 Le politiche di lotta alla povertà
Queste politiche si rivolgono a fasce di povertà diverse dalle condizioni di estrema povertà: indirizzate, cioè, a soggetti ancora in possesso di energie fisiche ed intellettuali tali da rendere loro possibile lavorare attivamente e, soprattutto, gestire attività complesse come quelle imprenditoriali, sia in ambito rurale che urbano. La creazione di imprese è la strategia che viene, oggi, proposta con maggior insistenza come strumento per favorire l’integrazione sociale di soggetti potenzialmente o effettivamente esclusi.

44 Le politiche di lotta alla povertà
La Governance mediante: 1) l’attiva partecipazione dei poveri in programmi anti-povertà, 2) meccanismi di partnership con la società civile ed il settore privato; 3) supporto delle attività delle ONG. La partnership e la governance sono “parole d’ordine” ampiamente accettate e tradotte in metodologie anche complesse nella maggior parte degli interventi di sviluppo. Nel caso della lotta alla povertà, avendo a che fare con soggetti che, almeno in alcuni casi, hanno subito un forte processo di depotenziamento delle proprie capacità, è necessaria qualche distinzione. Occorre, infatti, separare coloro che sono a rischio di impoverimento ma possiedono ancora la capacità di reagire e partecipare attivamente da quelli che versano invece in condizioni di estrema povertà ed hanno probabilmente bisogno della mediazione di soggetti come le ONG.

45 Le politiche di lotta alla povertà
Salvaguardia dell’ambiente questo implica: 1) combattere la degradazione ambientale; 2) promuovere un’amministrazione sostenibile di risorse fisiche e naturali. I problemi ambientali vengono da molti collegati direttamente al tema della lotta alla povertà dal momento che: a) la cattiva gestione dell’ambiente è spesso annoverata tra le cause della stessa povertà, soprattutto in ambiente rurale, b) il degrado ambientale è uno dei fattori che aggrava la condizione dei poveri, rendendola spesso drammatica ed irreversibile (attraverso, ad esempio, la diffusione delle malattie causata da inquinamento idrico, ecc.).

46 Le politiche di lotta alla povertà
Ricerca, raccolta dei dati e loro diffusione Tali politiche implicano: 1) l’aumento di informazioni sulla povertà; 2) lo sviluppo, l’aggiornamento e la diffusione di studi focalizzati sulle definizioni, sugli indicatori e sulle cause della povertà, della vulnerabilità e dell’esclusione sociale; 3) valutazione e controllo dei cambiamenti nei livelli di povertà mondiale. Queste politiche fanno esplicitamente riferimento alla necessità di arrivare ad una migliore comprensione di un fenomeno, come quello della povertà, rispetto al quale si è ancora lontani dal raggiungere un punto di vista condiviso.

47 Le politiche di lotta alla povertà
Il perseguimento di tali politiche si scontra tuttavia con un’inefficienza tecnica legata ai meccanismi esistenti per combattere fenomeni di privazione che sfocia in situazioni paradossali, e crea notevoli difficoltà nel raggiungimento degli obiettivi stabiliti da queste politiche. Il principale problema resta però quello derivante dalla seguente questione: non essendo, né recepita da tutti, né chiara la distinzione tra povertà ed esclusione sociale, si è portati ad adottare politiche per lottare contro la prima che hanno per target gli esclusi, e politiche per contrastare la seconda che hanno per target i poveri (considerando la povertà come una situazione di maggiore deprivazione rispetto all’esclusione sociale).

48 Le politiche di lotta alla povertà
Tale problema ha come conseguenza un altro tipo di errore di carattere più generale: l’eccessiva enfatizzazione dell’approccio “bottom-up”. Adottando quest’ottica, nel migliore dei casi, si sono state realizzate best practices dello sviluppo, che hanno avuto una scarsa rilevanza, oltre ad essere state talvolta compromesse da politiche nazionali o internazionali di tipo “macro”. Invece, in altri casi, si è andati incontro a clamorosi fallimenti perché, a livello locale non esistevano, di fatto, le risorse umane o le tecniche necessarie.

49 Le politiche di lotta alla povertà
La soluzione per tale situazione non risiede in un ritorno all’approccio “top-down” nella implementazione delle politiche economiche e sociali; è necessario ribadire l’importanza dei soggetti residenti sul territorio, che ne conoscono i reali problemi e che possono individuare e perseguire soluzioni ma a condizione di erogare la dovuta assistenza tecnica e di collocarsi all’interno di un quadro sistemico di rilievo per lo meno nazionale, se non globale.

50 Le politiche di lotta alla povertà
L’esclusione sociale è un processo prodotto dall’accumulazione ed interazione tra loro di fattori di rischi sociali, i quali tendono a spingere i soggetti che vi sono esposti verso una condizione di povertà; si tratta, dunque, di un processo di impoverimento. I fattori di rischio sociale che possono essere all’origine dell’esclusione sociale sono molteplici ed, in parte, variano da un contesto socio-economico all’altro.

51 Le politiche di lotta alla povertà
Vengono colpiti dal processo di esclusione sociale soprattutto soggetti quali i lavoratori salariati a basso livello, i disoccupati, i gruppi situati al limite inferiore del ceto medio, nonchè altri settori non poveri della popolazione sui quali si accumulano più fattori di rischio sociale. Per chi prende le decisioni è necessario individuare i modi e gli strumenti per combattere i rischi sociali prima che sia troppo tardi, vale a dire prima che si attivi un processo di esclusione sociale in grado di produrre nuovi poveri.

52 Le politiche di lotta alla povertà
Le politiche di lotta all’esclusione sociale devono essere orientate a rimuovere i fattori di rischio sociale in chiave di prevenzione; a titolo meramente esemplificativo, tali politiche possono includere il potenziamento del sistema dei trasporti al fine di ridurre il fattore di rischio rappresentato dalla marginalità geografica, oppure provvedimenti normativi volti a rimuovere le forme di discriminazione di genere o ancora all’empowerment di gruppi di produttori e la diffusione di piccole attività generatrici di reddito. A differenza dei poveri gli esclusi possono essere i primi protagonisti delle politiche che li concernono, i poveri non ce la possono fare da soli e necessitano di un forte appoggio dall’esterno.

53 I risultati raggiunti e l’esperienza acquisita
L’esperienza maturata nel corso degli anni ’90 ha permesso di fissare alcuni punti fermi per le politiche di lotta alla povertà: appare ormai acquisito che la povertà non è un fenomeno omogeneo ma che esistono molteplici situazioni di povertà, anche molto diverse tra loro; si è compreso che nei processi di impoverimento è coinvolta, o rischia di esserlo, una pluralità di soggetti: dai poverissimi delle aree informali delle grandi città ai lavoratori salariati;

54 I risultati raggiunti e l’esperienza acquisita
l’approccio multidimensionale alla povertà; non tutta la sofferenza sociale corrisponde alla povertà; è in questa prospettiva che la maggior parte dei policy makers e degli studiosi internazionali distingue, per lo meno, tra povertà ed esclusione sociale;

55 I risultati raggiunti e l’esperienza acquisita
si è compreso che la povertà si combatte attraverso politiche integrate: politiche sociali settoriali (salute, istruzione, previdenza, ecc.); politiche di sostegno alla capacità produttiva, inclusa la formazione professionale; politiche di appoggio all’organizzazione sociale; politiche di sostegno ai consumi; politiche di sostegno al reddito e di incentivazione del lavoro e miglioramento della sua qualità, ecc. si è preso definitivamente atto dei notevoli limiti di risorse pubbliche disponibili per la lotta contro la povertà.

56 La cooperazione internazionale
La storia della cooperazione internazionale è stata guidata dal paradigma dello sviluppo, fino al termine degli anni ’80. Nel decennio successivo si è invece affermato quello della povertà. Quattro eventi di portata ben differente tra loro hanno contribuito a mutare il modo di operare della cooperazione internazionale:

57 La cooperazione internazionale
Il crollo del Muro di Berlino del 1989 La pubblicazione da parte della Banca Mondiale del Rapporto sullo sviluppo mondiale del 1990 dedicato alla povertà Il lancio dell’UNDP del primo rapporto sulla povertà nei Programmi di Sviluppo Umano La celebrazione di un insieme di conferenze internazionali, detto “ciclo dei Summit” dove il tema della povertà nel mondo è stato al centro dei dibattiti e delle deliberazioni finali.

58 La cooperazione internazionale
Si assiste quindi ad un cambiamento di paradigma della cooperazione internazionale: da “sviluppo” a “lotta alla povertà”. Durante questi anni è mutata anche l’ottica di analisi del fenomeno povertà nel senso che attualmente si è acquisita la consapevolezza di considerare la privazione da un punto di vista globale. Ciò rappresenta un cambiamento nel modo di fronteggiare la risoluzione del problema che interessa soprattutto le strategie adottate dai governi nazionali, e trova una giustificazione alla luce del processo di globalizzazione. In questo scenario le organizzazioni internazionali hanno un ruolo cruciale.

59 La cooperazione internazionale
Le Nazioni Unite e la Banca Mondiale rientrano tra le organizzazioni internazionali che maggiormente nei Summit e soprattutto nei loro Report, considerano la riduzione della povertà, globale e nazionale, come un obiettivo principale che assume rilevanza a sé, necessitando di opportune politiche a prescindere da quelle macroeconomiche di carattere generale. La Banca Mondiale ha deciso di dedicare ogni dieci anni il suo Rapporto annuale sullo sviluppo mondiale al tema della povertà. L’organizzazione ha lanciato con il World Development Report del 1990 una strategia di lotta alla povertà basata su tre principi: 1) la crescita economica diffusa; 2) lo sviluppo del capitale umano; 3) la creazione di reti di sicurezza sociale per i gruppi più vulnerabili.

60 La cooperazione internazionale
La Banca Mondiale ammette nei suoi lavori l’esistenza di serie limitazioni, che possono influire negativamente sulla prospettiva di riduzione della povertà elaborata. Tali limitazioni riguardano soprattutto le tecniche di misurazione della povertà ed il fatto che il database a disposizione ha delle notevoli debolezze, per cui sarebbero necessari maggiori sforzi per misurare e studiare più accuratamente le tante altre dimensioni della povertà. Tuttavia, la regola che oggi si segue per stimare la povertà a livello mondiale, consiste nell’utilizzo di un’unica linea della povertà ed implica l’espressione della stessa in una unità di conto comune a tutti i paesi.

61 La cooperazione internazionale
Nel WDR del 2001 la Banca ha cercato di sviluppare nuovi indicatori per studiare fattori come il rischio, la vulnerabilità, l’esclusione sociale, l’accesso al capitale sociale, e di trovare metodi per paragonare le tante dimensioni della povertà senza necessariamente aggregarle in un unico indice. L’UNDP propone una strategia di riduzione della povertà articolata in sei punti: 1) empowerment dei cittadini; 2) uguaglianza tra i sessi; 3) crescita economica sostenuta e favorevole per i poveri; 4) governo dell’economia globalizzata; 5) rafforzamento dello Stato; 6) azioni politiche decise a livello internazionale sul tema del debito estero.

62 La povertà nel mondo la situazione attuale
Un aspetto reale del fenomeno della povertà nei Paesi in via di sviluppo (PVS) è che questa è fondamentalmente rurale perché in termini di estensione e profondità del fenomeno - soprattutto in Africa ed in Asia - è nelle campagne che si localizza il problema della “povertà”. La stima che se ne può fare sulla base dei redditi - certamente più bassi nelle campagne - è largamente imprecisa, però resta vero che i servizi pubblici e privati sono molto più accessibili nelle città anche se è altrettanto vero che nelle città i poveri vivono le peggiori condizioni.

63 La povertà nel mondo la situazione attuale
1,3 miliardi di persone vivono con meno di un dollaro al giorno 4,3 miliardi di persone vivono con meno di due dollari al giorno 160 milioni di bambini sono denutriti e 110 non vanno a scuola i conflitti armati in molte regioni e le crisi economiche aggravano il fenomeno della povertà di massa 1 miliardo di persone è analfabeta (i 2/3 sono donne) oltre un miliardo di persone non ha ancora accesso all’acqua potabile

64 La povertà nel mondo la situazione attuale
800 milioni di persone non hanno accesso ai servizi sanitari oltre il 93% dei 23 milioni di persone contagiate da HIV vivono nei Paesi in Via di Sviluppo; 840 milioni di persone soffrono la fame la speranza di vita delle persone che vivono nei paesi meno avanzati è inferiore ai 40 anni i paesi meno avanzati spiegano solo lo 0,3% del commercio mondiale; il consumo energetico del sud del mondo è circa un ottavo di quello del nord.

65 La povertà nel mondo la situazione attuale
A livello mondiale il dato sulla disparità di reddito è sconcertante, la forbice distributiva cresce anziché attenuarsi. La povertà sta assumendo una tendenza chiara: crescono le ineguaglianze sia tra i due blocchi di Paesi ricchi e quelli poveri sia all’interno dei PVS. Relativamente al Nord e Sud del mondo, sono diminuiti gli scarti in termini di “sopravvivenza umana” ma sono cresciute le differenze in termini di variabili del “progresso umano”, quali il numero di anni di scolarità media, la percentuale di popolazione che va oltre la scuola dell’obbligo o è in possesso di professionalità tecnica o scientifica. Inoltre, sul piano dei redditi le differenze tra Paesi ricchi e quelli poveri accelerano la loro crescita.


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