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   Fenomeni recenti dell’economia globale nell’ultimo quarto del 900: - crescente integrazione dell’economia mondiale, - abbattimento delle barriere.

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1   La dimensione locale dello sviluppo. Caratteristiche, attori e processi

2    Fenomeni recenti dell’economia globale nell’ultimo quarto del 900: - crescente integrazione dell’economia mondiale, - abbattimento delle barriere che prima limitavano l’estensione geografica dei mercati - intensificarsi delle interazioni di lunga distanza, - aumento della competizione fra i luoghi hanno portato ad un ripensamento delle teorie e degli schemi operativi con i quali lo sviluppo è concepito e trattato nelle politiche. Elemento principale di tale ripensamento è la riconfigurazione delle scale territoriali considerate rilevanti per interpretare i processi dello sviluppo, così come dei livelli istituzionali che devono promuoverlo.

3 All’interno di un sistema internazionale basato sulle economie nazionali, le dinamiche dello sviluppo sono state tradizionalmente interpretate come dinamiche di livello nazionale. Parallelamente, lo Stato era considerato come attore chiave nella definizione di politiche economiche rivolte a sostenere e promuovere processi di crescita. In queste interpretazioni, il locale era considerato unicamente come destinatario passivo di risorse e interventi decisi alle scale superiori, in una relazione gerarchica fra i diversi livelli.

4 Una simile lettura non permette però di cogliere i processi, spazialmente selettivi e differenziati, indotti dalla transizione verso il post-fordismo e dall’intensificarsi della globalizzazione. La comprensione di tali processi richiede infatti di rivolgere una particolare attenzione verso ciò che accade nei diversi luoghi, anche in relazione alla crisi di legittimità e efficienza del livello centrale di governo e allo spostamento del baricentro decisionale verso i livelli inferiori dell’organizzazione istituzionale dello Stato.

5 La rivalutazione della dimensione locale non implica però solamente un ripensamento delle scale alle quali lo sviluppo è concepito o del ruolo del livello locale nell’elaborazione e attuazione delle politiche. Essa definisce piuttosto un vero e proprio mutamento di approccio alle questioni dello sviluppo, con il passaggio da un approccio funzionale e dall’alto a un approccio locale e dal basso.

6 Lo sviluppo locale è considerato infatti come una vera e propria alternativa strategica alle visioni tradizionali, ma anche alle tendenze omologanti portate dalla globalizzazione (Magnaghi, 1990). All’attenzione verso la dimensione locale nell’interpretazione dei processi dello sviluppo corrisponde un cambiamento anche nelle modalità di azione attraverso cui promuovere lo sviluppo.

7 Ciò porta all’affermarsi di alcune parole chiave: - importanza del territorio e delle sue specificità; - la concezione delle politiche come azioni multidimensionali, integrate e intersettoriali; - il superamento della netta separazione tra conoscenza diffusa e conoscenza esperta, con la rivalutazione della conoscenza tacita e contestuale; - il ruolo degli attori sociali e la necessità di un loro coinvolgimento allargato nei meccanismi decisionali, con la conseguente messa in atto di processi partecipativi e di contrattualizzazione formale degli interessi.

8 Sviluppo locale è però un’espressione ambigua, cui è difficile far corrispondere un significato univoco e condiviso. Essa è infatti utilizzata per indicare una grande varietà di posizioni culturali, scientifiche e politiche; una diversità, spesso contraddittoria, di riferimenti teorici e metodologici; una molteplicità di pratiche e di esperienze. Se guardiamo la varietà di teorie e esperienze che sono ricomprese nell’ambito dello sviluppo locale, sorge il dubbio che il ricorso disinvolto a questa espressione abbia finito per usurarne il senso e che dietro ad essa si celino ormai le attività più diverse di promozione dello sviluppo o, ancora, modalità di azione del tutto tradizionali dei principali attori politici, economici e sociali.

9 Chiariamo il significato e il ruolo della dimensione locale nei processi dello sviluppo. attraverso: - la ricostruzione dei fenomeni che hanno fatto da sfondo, anni Settanta del ‘900, - la crescente attenzione verso la dimensione locale nell’ambito del dibattito sullo sviluppo, - i cambiamenti dell’organizzazione istituzionale e delle forme di azione politica che li hanno sorretti.

10 Quindi definiamo le caratteristiche che permettono di considerare il locale come operatore attivo all’interno dei processi dello sviluppo, concentrandosi anche sul modo in cui l’approccio allo sviluppo locale si traduce nelle politiche messe in atto da diversi attori e da diversi livelli istituzionali e dagli organismi e dalle istituzioni sovranazionali. Tuttavia, benché i processi di sviluppo centrati sulla dimensione locale svolgano un ruolo chiave nell’attuale scenario globale, non bisogna nascondersi i rischi e i limiti che derivano dall’assunzione acritica del locale come ambito privilegiato per concepire e promuovere lo sviluppo.

11 L’invenzione della dimensione locale, fra dinamismo economico e cambiamento istituzionale Dagli anni Settanta la dimensione locale dello sviluppo ha progressivamente acquisito un’importanza crescente sia in riferimento ai problemi dei Paesi del Sud del mondo, sia in riferimento ai problemi dei Paesi avanzati, in particolare per quanto riguarda le aree e le regioni in ritardo, in crisi, in situazione di marginalità e/o declino.

12 Nei paesi dell’Unione Europea, ad esempio, le politiche regionali comunitarie, che operano nel campo delle politiche finanziate attraverso i Fondi Strutturali, cioè le risorse che l’Unione Europea destina alla promozione dello sviluppo e della coesione dei diversi Paesi, in relazione alle diverse situazioni economico-territoriali che li caratterizzano, hanno ampiamente contribuito all’affermazione della dimensione locale.

13 In effetti, dalla metà degli anni Novanta, e in particolare con il ciclo di programmazione dei Fondi Strutturali per il periodo , le risorse comunitarie sono state in gran parte indirizzate a finanziare iniziative locali, basate sulla mobilitazione “dal basso” di attori, risorse, competenze e saperi. Anche in attuazione del principio di sussidiarietà (cfr. scheda 1), cioè del principio secondo il quale le decisioni devono essere prese al livello più vicino possibile ai cittadini, il locale è quindi individuato come ambito privilegiato di azione politica, in funzione della capacità di tale livello, supposta o reale, di elaborare progetti e strategie.

14 La centralità assunta dalla dimensione locale costituisce una svolta radicale nell’interpretazione dei processi dello sviluppo e nelle politiche rivolte alla sua promozione rispetto al periodo precedente.

15 Tra il dopoguerra e gli anni ’70 del ‘900, la razionalità lineare, funzionale e gerarchica che permeava la cultura di quegli anni e il riferimento ai principi economici di impronta neoclassica portava infatti a privilegiare forme di crescita polarizzata e a considerare la dimensione locale in termini estremamente semplificati: - Il locale era visto unicamente come livello subordinato alle scelte dei livelli superiori; - il territorio era considerato come supporto indifferenziato di funzioni e interventi, - con un ruolo del tutto ininfluente nella definizione delle scelte relative ai processi dello sviluppo, - guidati peraltro dalla fede univoca nell’industrializzazione e nella grande impresa.

16 Dagli anni ’70, la dimensione locale si è invece rivelata essenziale per interpretare le dinamiche dello sviluppo. Un caso paradigmatico è la lettura dell’articolazione territoriale dello sviluppo economico italiano: agglomerazione e radicamento locale di piccole e medie imprese (PMI) nelle regioni della cosiddetta Terza Italia (Bagnasco, 1977) definiscono modalità e percorsi di sviluppo radicalmente diversi rispetto a quelli prodotti dalla concentrazione industriale a grande scala nelle regioni del Triangolo Industriale del Nord-Ovest (Barca, 1997).

17 L’agglomerazione di imprese a livello locale e l’operare delle economie esterne costituiscono i fattori chiave dello sviluppo dei distretti industriali italiani (Becattini, 1987 e 1989; Conti e Sforzi, 1997). I sistemi locali di PMI sono dapprima interpretati in termini di “economia periferica”, a stigmatizzare - sia la perifericità fisica rispetto al centro dello sviluppo industriale italiano, il Nord-Ovest, - sia la perifericità produttiva rispetto ai settori “forti” dell’industrializzazione e alle modalità tradizionali di organizzazione produttiva rappresentate dalla grande impresa. la dimensione locale dello sviluppo è entrata con molta resistenza sia nella teoria economica, sia nella teoria politica, poiché contraddiceva il modello di sviluppo dominante, quello fordista, inteso come una forma specifica di organizzazione della produzione e del lavoro, di struttura macroeconomica e di modalità di regolazione politica delle dinamiche economiche e sociali (Leborgne e Lipietz, 1988).

18 La combinazione di questi aspetti rimanda, fondamentalmente, - al ruolo centrale della grande impresa nello sviluppo industriale e alla tendenziale coincidenza fra spazio dell’economia, - cioè l’organizzazione del capitalismo su scala nazionale, e spazio della politica, - cioè lo Stato-nazione organizzato in maniera gerarchica e piramidale.

19 A partire da alcuni casi di successo – la Silicon Valley, - i distretti industriali del Veneto, - dell’Emilia-Romagna e della Toscana, le regioni del Baden-Württemberger - dell’Île de France le ricerche sui sistemi locali di PMI, così come quelle relative al ruolo delle caratteristiche locali nel favorire, o meno, l’innovazione tecnologica (Camagni e Maillat, 2006), divengono un esempio paradigmatico di alternativa all’organizzazione produttiva e alle forme di regolazione di stampo fordista (Amin e Thrift, 1992).

20 Per interpretare tali dinamiche di sviluppo si elaborano una serie di concetti che definiscono i “modelli di innovazione territoriale” indicati da Moulaert e Sekia (2003) per descrivere le forme di organizzazione territoriale dello sviluppo a base locale. Tali modelli costituiscono il punto di partenza per gli studi sul ruolo dei cosiddetti fattori non-economici (il capitale sociale, la fiducia, la cultura, le tradizioni, ecc.), che caratterizzano il livello locale e che si sono rivelati fondamentali per garantire il maggiore o minore dinamismo di alcuni luoghi, nonché per favorire la messa in atto di politiche efficaci per la promozione o il sostegno dello sviluppo al loro interno. Il ruolo attivo che il locale è in grado di svolgere all’interno dei processi dello sviluppo è così interpretato in relazione alla varietà delle risorse e degli attori che caratterizzano i diversi luoghi, nonché alla capacità di azione collettiva degli attori locali.

21 Non sempre, tuttavia, i fattori locali sono in grado di “territorializzare” le reti globali e, quindi, non sempre il livello locale è in grado di definire il proprio processo di sviluppo mantenendo la propria autonomia in rapporto alle dinamiche globali. Spesso, infatti, queste ultime “usano” il locale in un gioco concorrenziale a somma zero in cui gli attori globali sfruttano le specificità territoriali in un contesto competitivo dato.

22 Tuttavia, le interpretazioni che guardano alle differenze e specificità della dimensione locale permettono di superare le visioni secondo cui globale e locale sono ambiti di significato rigidamente separati e globalizzazione e localismo sono processi che rimandano, anche ideologicamente, a mondi opposti e contrastanti. In particolare, permettono di riconoscere che i processi globali non sono “senza piedi”, ma si “ancorano” al territorio, in una combinazione di deterritorializzazione e riterritorializzazione selettiva (Harvey, 1993).

23 La riscoperta del locale non è però un effetto immediato e diretto della globalizzazione e, soprattutto, non è legata ad essa da un rapporto di causa/effetto. Al contrario. Lo stesso fenomeno che, da un certo punto di vista, rimanda a processi globali, può contemporaneamente, e da un altro punto di vista, essere interpretato in termini di riscoperta della dimensione regionale o locale. Tale ambivalenza deriva dal fatto che i fenomeni e i processi territoriali non avvengono ad un unico livello spaziale, ma sono sempre transcalari, cioè sono sempre inseriti nell’insieme delle relazioni che connettono i diversi livelli territoriali.

24 La transcalarità è particolarmente evidente se consideriamo il cambiamento dell’organizzazione e del ruolo dello Stato-nazione indotto: - dall’azione delle reti globali, - dall’aumento della complessità dei processi economici e sociali, - dalla crescente frammentazione del potere e degli interessi. Tali aspetti danno origine al cosiddetto processo di re-scaling (Brenner, 1999), cioè di ri-organizzazione, riarticolazione e ridefinizione delle scale territoriali implicate nelle trasformazioni e dei relativi livelli di governo. Il livello statale non è più l’unico, o comunque il principale, livello di azione politica, ma ad esso si affiancano altri “luoghi” di potere e altri livelli di azione. Le reti di imprese, ad esempio, definiscono e mettono in atto strategie che travalicano i confini nazionali e che non possono essere “regolate” da politiche nazionali.

25 Contemporaneamente, la crescente influenza di istituzioni e organismi sovra-nazionali e i processi di decentramento politico-amministrativo in atto in molti i paesi dell’Europa occidentale e centro-orientale, ma anche in contesti nazionali extraeuropei, come ad esempio il Brasile o l’Egitto, sottolineano l’importanza politica e istituzionale assunta dai livelli sovra e infra-nazionali (in Italia, comuni, province e regioni).

26 Questi cambiamenti ridefiniscono, di fatto, i ruoli dei diversi livelli istituzionali, rendendo particolarmente evidente il problema delle relazioni fra di essi. Nel passato, i rapporti tra i diversi livelli istituzionali erano improntati a relazioni di tipo gerarchico. Attualmente, la prospettiva aperta dalla governance territoriale (cfr. scheda 1) mette in evidenza l’importanza assunta da relazioni interistituzionali impostate sulla cooperazione e la complementarità, al fine di fare convergere le azioni e le strategie di cui sono portatori i diversi livelli istituzionali verso obiettivi condivisi (Governa et al., 2008).

27 In realtà, ad eccezione dei Paesi in cui è avvenuto un cambiamento radicale, (Europa orientale) il ruolo del governo centrale non sembra essere cambiato così profondamente come ci si potrebbe aspettare o, almeno, si sta modificando con estrema lentezza. Viceversa, i livelli sovranazionali (ad esempio, l’Unione europea) e quelli infranazionali (le scale locale e/o regionale) manifestano significativi, e rapidi, cambiamenti. Relazioni cooperative sono anche ricercate nei rapporti fra enti istituzionali dello stesso livello (come, ad esempio, gli accordi sovracomunali per la gestione associata di servizi o per la messa in atto di azioni strategiche), così come nelle relazioni negoziali fra pubblico e privato (ad esempio, nei partenariati rivolti ad attivare le risorse non solo finanziarie, ma anche conoscitive e di consenso, degli attori privati).

28 Questi aspetti, - tendenza verso una nuova organizzazione e un nuovo ruolo dello Stato, - emergere dei livelli sovra e infranazionale di azione politica e - superamento della netta dicotomia fra pubblico e privato, sono confermati e testimoniati dai cambiamenti dell’organizzazione istituzionale di molti Paesi europei negli ultimi 20 anni. cambiamenti hanno portato ad una diversa ripartizione delle competenze fra livello centrale e livelli locali, determinando inoltre l’adozione di forme di cooperazione fra enti pubblici (in verticale e orizzontale) e fra amministrazioni pubbliche e soggetti privati.

29 In molti Paesi, il ridisegno della distribuzione del potere e delle funzioni fra Stato, Regioni e enti locali è inoltre da collegarsi all’influenza dell’Unione Europea, - sia per “adeguamento” ai principi chiave delle politiche comunitarie (autonomia delle autorità locali, sussidiarietà, responsabilità, appropriatezza delle strutture pubbliche, flessibilità nelle relazioni interistituzionali, partecipazione diretta dei cittadini alle scelte collettive, snellimento e semplificazione della burocrazia), - sia per l’azione esercitata da alcune iniziative comunitarie (come lo Schema di sviluppo dello spazio europeo del 1999, i programmi Interreg, Leader e Urban, le procedure relative ai fondi strutturali e alla “nuova politica di coesione” per il periodo , l’Agenda territoriale del 2007).

30 Il livello locale come attore dei processi di sviluppo 1
Il livello locale come attore dei processi di sviluppo Nel mondo globale, i fattori e le componenti dello sviluppo presentano mobilità differenziali. Per molti elementi (informazione codificata, innovazione tecnologica standardizzata, capitali, prodotti intermedi e di consumo finale, lavoro molto qualificato, domanda di servizi specializzati, ecc) è fortemente aumentata la mobilità transnazionale.

31 2. Altri elementi, invece, come ad esempio i servizi pubblici e privati, gran parte del lavoro e delle piccole imprese, continuano a interessare, in modo più o meno residuale, i circuiti nazionali o regionali; 3. altri ancora, infine, si possono considerare immobili, poiché sono strettamente legati alle caratteristiche locali e derivano dalle condizioni e dalle risorse specifiche dei territori. Sono fattori immobili non solo perché incorporati a certi luoghi, e quindi non trasferibili altrove, ma anche perché in molti casi non fungibili, in quanto difficilmente o per nulla reperibili altrove con le stesse qualità.

32 Nella società e nell’economia globalizzata, caratterizzata da competizione basata più sulla flessibilità, la varietà, la qualità e l’innovazione che non sui costi, sono proprio le risorse e i fattori immobili, e quindi i territori locali che li ospitano, a presentare una crescente importanza.

33 L’interpretazione della dimensione locale come dimensione attiva nei processi dello sviluppo richiede però un ripensamento radicale del modo di considerare il territorio: non più visto come semplice spazio in cui i processi esogeni localizzano funzioni e attività, ma come entità complessa e differenziata. Le differenze e le specificità territoriali derivano dalla storia (il territorio come eredità del passato, patrimonio di differenze e identità) e dalle relazioni sociali specifiche che connotano i diversi luoghi (il territorio come costruzione sociale definito dalle intenzionalità e dalle azioni dei soggetti locali).

34 La dimensione locale è quindi in grado di porsi come operatore attivo dei processi dello sviluppo solo se e quando gli attori locali definiscono azioni collettive rivolte alla valorizzazione delle specificità territoriali dei diversi luoghi. Nell’ambito del dibattito sullo sviluppo locale, questi aspetti sono riassunti nell’interpretazione delle specificità territoriali patrimonio territoriale, sottolineando in particolare i valori di cui il territorio è portatore (Magnaghi, 2000), e come capitale territoriale, riconoscendo principalmente le risorse di cui il territorio è dotato (Dematteis e Governa, 2005).

35 L’insieme dei valori e delle risorse territoriali comprende cose molto diverse tra loro, le quali hanno però in comune alcune caratteristiche sostanziali. a. sono un insieme localizzato di beni comuni, che producono vantaggi collettivi non divisibili e non appropriabili privatamente, ma solo in maniera condivisa. b. sono inoltre immobili, cioè stabilmente incorporati a certi luoghi; c. specifici, cioè difficilmente reperibili altrove con le stesse qualità; d. patrimoniali, non sono cioè producibili a piacere nel breve-medio periodo poiché si accumulano e si sedimentano solo nel lungo periodo.

36 In maniera schematica, i valori e le risorse territoriali possono essere suddivise in quattro grandi classi: 1. condizioni e risorse dell’ambiente naturale, compresa la posizione geografica; 2. “patrimonio” storico-culturale, sia materiale (monumenti, paesaggi, ecc.), sia immateriale (lingue e dialetti, saperi tradizionali, ecc.); 3. capitale fisso accumulato in infrastrutture e impianti, considerato nel suo insieme e nelle esternalità che ne derivano; 4. beni relazionali incorporati nel capitale umano locale, come capitale cognitivo locale, capitale sociale, varietà culturale, capacità istituzionale.

37 4. Le politiche di sviluppo locale: un quadro di riferimento   Nel percorso di cambiamento indotto dalla ridefinizione delle scale analitiche e operative alle quali concepire lo sviluppo, con il più volte ricordato “salto” verso la dimensione locale, si intersecano due aspetti, diversi anche se strettamente interrelati. Il primo aspetto riguarda il riconoscimento del ruolo svolto dai valori e dalle risorse territoriali, incorporati nei diversi luoghi e specifici degli stessi; il secondo aspetto concerne gli attori locali e, in specifico, la loro capacità di azione e di autoorganizzazione.

38 due cambiamenti che ridefiniscono anche le politiche rivolte alla promozione dello sviluppo rispetto a quelle che hanno guidato l’intervento del soggetto pubblico negli anni ’60-’80. Tale ridefinizione è schematizzabile nel passaggio da un approccio top-down a un approccio bottom-up, con un cambiamento nei presupposti, negli attori, negli approcci, nelle metodologie e negli obiettivi rispetto alle politiche tradizionali di sostegno allo sviluppo.  

39 Fig. 1: Dalle politiche top-down alle politiche bottom-up

40 Se ci soffermiamo sugli obiettivi, possiamo vedere come essi siano mutati delineando un più generale cambiamento dell’approccio allo sviluppo e delle politiche rivolte alla sua promozione. Mentre le politiche top-down sono rivolte a erogare incentivi e sussidi diretti, secondo procedure centralizzate e standard, le politiche bottom-up mirano a “supportare” le condizioni di contesto in grado di sostenere e promuovere lo sviluppo delle imprese. Se, infatti, la competizione fra di esse è sempre più influenzata dalla ricerca dei vantaggi competitivi derivanti dalle economie esterne di contesto, il principale compito delle azioni di governance delle economie locali è fornire quei local collective competition goods, cioè le risorse immobili locali che procurano vantaggi competitivi alle imprese localizzate in una certa area.

41 Per conseguire questo obiettivo, è però necessario un più generale mutamento di approccio. * Le politiche bottom-up, infatti, superano l’approccio settoriale e adottano un approccio territoriale. * Lo sviluppo non è più unicamente considerato come dinamismo economico di un aggregato di imprese, * assume un contenuto multidimensionale che può essere raggiunto solo attraverso la valorizzazione e l’incremento delle capacità (economiche, sociali, culturali, istituzionali) radicate nel territorio. In questa prospettiva, le politiche di sviluppo locale, possono essere definite come: politiche rivolte a costruire territori capaci (Amartya Sen e Donolo, 2007), in specifico per quanto riguarda la capacità di azione autonoma.

42 Qualche dubbio 1 Livello nazionale e sovranazionale
Questi aspetti costituiscono il quadro teorico di riferimento delle politiche di sviluppo locale. Resta da chiedersi quanto di questo ampio e variegato dibattito si sia trasferito nelle politiche per la promozione dello sviluppo messe in atto dai diversi attori (in particolare di livello nazionale e sovra-nazionale). Il livello nazionale: benché abbia modificato il proprio ruolo, continua a rappresentare un referente necessario per le politiche di promozione dello sviluppo poiché le politiche locali possono ben poco se non sono sostenute da un quadro di riferimento nazionale coerente o se, addirittura, sono in contrasto con le politiche nazionali.

43 A titolo d’esempio, le politiche per la promozione dello sviluppo locale che sono state elaborate e sperimentate in Italia a partire dagli anni Novanta, anche in relazione alle sollecitazioni dell’Unione Europea. pur nella diversità dell’oggetto, della finalità, dei soggetti coinvolti, dell’ambito territoriale dell’intervento) le politiche europee presentano come elemento comune il loro esplicito riferimento all’approccio territoriale allo sviluppo locale, visto come modalità attraverso cui ripensare gli strumenti e le forme dell’intervento del soggetto pubblico in economia, soprattutto nelle aree deboli del nostro paese (il Mezzogiorno), e poi applicato in tutto il territorio nazionale. Nelle politiche italiane, sviluppo locale diventa fondamentalmente sinonimo di politica integrata, da attuarsi attraverso la valorizzazione delle specificità del territorio, il rapporto tra diversi settori d’intervento, il coordinamento tra differenti livelli istituzionali, la cooperazione tra attori pubblici e privati e la partecipazione diretta dei cittadini ai processi decisionali.

44 Accanto alle politiche nazionali, che influenzano direttamente l’azione dei livelli regionali e locali, lo sviluppo locale è anche al centro di molte politiche di promozione dello sviluppo messe in atto dalle organizzazioni internazionali. Quache dubbio 2 - Sviluppo locale e politiche internazionali

45 I programmi della Banca Mondiale, dell’OECD (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), dell’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) o dell’UNDP (United Nations Development Programme), in particolare: (a vario titolo e con diverse accezioni) presentano un riferimento chiaro ed esplicito allo sviluppo locale. sui quali possiamo mettere in evidenza alcuni aspetti e sottolineare alcuni problemi.

46 Partiamo da un problema generale, quello relativo alla riproducibilità dello sviluppo locale, cioè alla possibilità di riprodurre altrove un processo di sviluppo che ha funzionato in alcuni luoghi e che, essendo locale, è per definizione specifico e differenziato. Se questo è l’obiettivo, le organizzazioni internazionali si trovano di fronte un compito apparentemente impossibile: trasferire, attraverso reti globali, processi fortemente radicati nelle specificità (territoriali e sociali) dei diversi contesti. Tale compito diventa affrontabile solo grazie ad una netta semplificazione dell’approccio, quasi una sua banalizzazione.

47 La riproduzione dello sviluppo locale porta infatti a trasferire unicamente gli aspetti procedurali, a riprodurre “riti” e parole d’ordine, a utilizzare in maniera solo rituale i dettami teorici (sia per quanto riguarda la costruzione di partenariati e la messa in atto di meccanismi di partecipazione, sia per quanto riguarda la valorizzazione delle specificità endogene).

48 L’ampio e variegato dibattito sulle teorie e le pratiche dello sviluppo locale si riduce pertanto ad una procedura per finanziare iniziative e interventi che, spesso, risultano essere del tutto avulsi dal territorio in cui e su cui agiscono. Nel contempo, l’ingresso dello sviluppo locale nell’agenda delle organizzazioni internazionali fa sì che esso sia sempre meno identificabile come un processo, e un approccio, “diverso” e “alternativo”, ma si configuri sempre più come una nuova ortodossia.

49 Lo sviluppo locale promosso dagli organismi internazionali opera quindi come “riduttore” della diversità, reintroducendo, in forme e modi nuovi, schemi interpretativi e di azione del tutto tradizionali e riproducendo così i consueti meccanismi di dipendenza e dominio che si intendeva superare attraverso l’attenzione ai luoghi e alle loro specificità. In questo modo, lo sviluppo locale non è più interpretabile come una strategia alternativa rispetto ai processi dominanti o alle tendenze omologanti della globalizzazione, ma diviene piuttosto un processo funzionale alle, o almeno altamente compatibile con le, attuali ideologie neo-liberali (Harvey, 2007).

50 L’operare congiunto di questi aspetti porta a chiederci se e quanto lo sviluppo locale sia ormai determinato da stimoli e risorse (finanziarie, conoscitive e di consenso) fondamentalmente globali, più che da dinamiche locali rivolte alla valorizzazione delle specificità dei luoghi.

51 Scheda 1 – Lessico dello sviluppo locale: alcuni termini chiave
  Sussidiarietà (1) Secondo il principio di sussidiarietà «ogni funzione deve essere attribuita al livello decisionale efficiente più basso all'interno del sistema gerarchico regioni - stati nazionali - comunità sovranazionali considerato. Pertanto, non devono essere trasferite ad un livello superiore funzioni che possono essere gestite in modo efficiente ad un livello inferiore» (Cappellin, 1994, p. 220). Il principio di sussidiarietà valorizza quindi l'autonoma capacità decisionale e gestionale dell'ente di livello inferiore (sussidiarietà verticale) e riorganizza i rapporti fra i poteri pubblici e tra potere pubblico e società civile (sussidiarietà orizzontale).

52 Scheda 1 – Lessico dello sviluppo locale: alcuni termini chiave
Sussidiarietà (2) In ambito europeo, il principio di sussidiarietà è stato proposto da Jacques Delors, quando era Presidente della Commissione europea ( ), per delineare i poteri degli organismi sovranazionali distinguendoli da quelli dei governi nazionali. L’articolo 5 del Trattato istitutivo della Unione europea definisce il principio di sussidiarietà come principio guida nella distribuzione delle funzioni e delle competenze fra i diversi livelli di governo: quando un determinato livello di governo non può efficacemente raggiungere gli obiettivi proposti, e questi sono raggiungibili in modo più soddisfacente dal livello di governo sovraordinato (lo Stato nei confronti della regione, o l’Unione europea nei confronti degli stati nazionali) è a quest’ultimo che spetta la responsabilità e la competenza dell’azione.  

53 Scheda 1 – Lessico dello sviluppo locale: alcuni termini chiave
Governance territoriale (1) Il termine governance urbana e territoriale è utilizzato nel dibattito internazionale per indicare un cambiamento sia degli obiettivi delle politiche e degli interventi (dal controllo della crescita alla promozione dello sviluppo locale), sia delle forme dell’azione (dalla imposizione autoritativa delle scelte alla costruzione negoziale del consenso attorno a specifici progetti). Essa definisce una modalità di coordinamento delle dinamiche economiche, sociali e territoriali che si basa sul coinvolgimento e sulla partecipazione volontaria di una molteplicità di attori. Il termine governance è molto diffuso, nonostante sia ambiguo e controverso. Alla sua diffusione hanno contribuito in maniera non marginale le organizzazioni internazionali. Negli anni ’80, la Banca Mondiale ha introdotto il termine di good governance per identificare i propri obiettivi e le proprie modalità di intervento nei paesi terzi. La good governance è così stata assunta come metodologia guida delle politiche della Banca Mondiale, legittimandone l’intervento nei paesi in via di sviluppo e portando alla diffusa applicazione di alcuni principi di ispirazione imprenditoriale e neo-liberista.

54 Governance territoriale (2) Nel luglio del 2001, l’Unione Europea ha promulgato il “Libro bianco sulla governance europea” in cui sono definiti i principi generali relativi all’uso del termine e alle possibilità di applicazioni di tale modello di azione in ambito comunitario. La good governance comunitaria è indicata e assunta come strategia generale per il rafforzamento dei principi basilari di proporzionalità e di sussidiarietà posti alla base del processo di integrazione europea. Nelle indicazioni del Libro bianco, governance diviene sinonimo di cambiamento, con particolare enfasi sui seguenti aspetti: partecipazione dei cittadini alle tematiche europee; riforma del processo di elaborazione e di attuazione delle politiche; miglioramento dell’esercizio delle responsabilità esecutive dell’Ue, attraverso la decentralizzazione delle competenze e l’applicazione del principio di sussidiarietà; promozione della coesione territoriale; costruzione di una world governance; rafforzamento dell’integrazione e della dimensione strategica delle politiche comunitarie.

55 Scheda 1 – Lessico dello sviluppo locale: alcuni termini chiave
Patrimonio territoriale e capitale territoriale (1) Il patrimonio territoriale interpreta il territorio, nel suo insieme, come eredità del passato, un insieme di beni che legano la società attuale alle sue radici, alla sua tradizione. Il territorio è quindi considerato come un deposito di memoria e identità rispetto al quale è necessario giustificare la legittimità delle trasformazioni che facciamo subire a ciò che abbiamo ereditato. Il patrimonio territoriale è composto non solo dai beni culturali che, normalmente, assumono un valore patrimoniale, ma da tutti gli elementi territoriali che possono acquisire un valore – storico, culturale, sociale, ambientale, identitario o simbolico – in relazione ai contesti sociali in cui sono inseriti.

56 Patrimonio territoriale e capitale territoriale (2) Il capitale territoriale interpreta il territorio come depositario di un insieme di ricchezze che si è prodotto nel passato, ma che può essere impiegato nella produzione di beni nel presente. Fondamentalmente, il capitale territoriale indica l’insieme delle risorse immobili locali che producono valori d’uso e di mercato nei rapporti intersoggettivi attuali. L’espressione capitale territoriale è stata introdotta nel corso dell’elaborazione del 3° Rapporto sulla coesione economica e sociale della Commissione europea e, quasi contemporaneamente, nel Territorial Outlook 2001 dell’OCSE.

57 Scheda 2 – Lo sviluppo locale nelle organizzazioni internazionali
L’affermarsi e la diffusione dello sviluppo locale nelle azioni (teoriche e pratiche) delle organizzazioni internazionali avviene fondamentalmente negli ultimi venti anni. In questo periodo, molti dei programmi e dei progetti sostenuti dalle principali organizzazioni internazionali (come l’Ocse, la Banca Mondiale, l’ILO, l’UNDP o la FAO) si richiamano, in maniera esplicita, alla centralità della dimensione locale per promuovere lo sviluppo, sottolineando variamente gli aspetti più propriamente economico-imprenditoriale (il sostegno al lavoro e alle imprese), gli aspetti sociali (la riduzione della povertà, l’equità di genere, lo sviluppo umano) o politici (il ruolo della decentralizzazione politica, fiscale e amministrative, l’importanza delle pratiche partecipative e della governance).

58 Scheda 2 – Lo sviluppo locale nelle organizzazioni internazionali
L’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) svolge un’importante azione nella diffusione dello sviluppo locale, principalmente per quanto riguarda il miglioramento delle condizioni di lavoro e delle opportunità occupazionali. Questa impostazione è alla base dei programmi che l’ILO, in collaborazione con altri organismi internazionali, ha messo in atto negli anni Novanta per intervenire in alcune aree del mondo uscite da situazioni di conflitto. In particolare, il programma Prodere, nel periodo , ha riguardato alcuni paesi dell’America Centrale (Nicaragua, Honduras, Belize, Costa Rica, Guatemale, El Salvador); i Local Human Development Programmes (LHDPS) hanno interessato la Bosnia Herzegovina, la Croazia, l’Albania, la Macedonia, il Mozambico, il Sud-Africa, l’Angola e la Repubblica Domenica e il programma Small enterprise and informal sector promotion (SEISP) la Cambogia.

59 Scheda 2 – Lo sviluppo locale nelle organizzazioni internazionali
In tutti questi programmi, l’ILO ha fondamentalmente promosso la costituzione di Local Economic Development Agencies (LEDA), cioè di agenzie di sviluppo, costituite da attori pubblici e privati, rivolte alla fornitura di servizi per le PMI e il lavoro (credito, formazione, consulenza, promozione imprenditoriale e territoriale).

60 Scheda 2 – Lo sviluppo locale nelle organizzazioni internazionali
L’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha da tempo impostato programmi per la promozione dello sviluppo locale. Il programma Local Economic and Employment Development (LEED), che fa parte del Centre for Entrepreneurship, SMEs and Local Development, è, infatti, del 1982.

61 Scheda 2 – Lo sviluppo locale nelle organizzazioni internazionali
Nell’approccio del LEED, lo sviluppo locale assume una esplicita dimensione economica, di matrice distrettualista, rivolta alla promozione delle PMI, all’apertura internazionale dei mercati, alla competitività territoriale, cui si aggiunge, in anni recenti, l’attenzione verso il Terzo settore e la responsabilità sociale delle imprese (sia dal punto di vista sociale, per quanto riguarda il lavoro minorile, i diritti dei lavoratori, ecc.; sia da quello ambientale, per quanto attiene alla riduzione delle emissioni, all’efficienza energetica, ecc.). Accanto al LEED, opera, fin dal 1961, un altro programma, il Public Management Commettee (divenuto dal 2004 Public Governance Commettee), che fa parte della direzione Public Governance and Territorial Development. In questo programma, l’attenzione alla dimensione locale appare fondamentalmente centrata sulla riforma della pubblica amministrazione e sulla promozione delle azioni di governance.

62 Scheda 2 – Lo sviluppo locale nelle organizzazioni internazionali
Nei programmi dell’UNDP (United Nations Development Programme), lo sviluppo locale assume una connotazione differente rispetto a quanto si evince dalle pratiche dell’ILO e dell’OEDC. In questo caso, infatti, lo sviluppo locale è soprattutto orientato verso la dimensione sociale e politica. In particolare, il programma Local Iniziative Facility for urban Environment (LIFE), attuato fra il 1992 e il 1997, riguarda il miglioramento dell’ambiente urbano e la riduzione dell’esclusione sociale attraverso l’adozione di pratiche partecipative. Il programma ha operato in più di 60 città, in 12 paesi (Bangladesh, Brasile, Colombia, Egitto, Giamaica, Kirghizistam Libano, Pakistam Senegal, Sud Africa, Tanzania e Thainlandia). In anni più recenti, l’UNDP ha definito e attuato un approccio allo sviluppo, denominato Decentralised Governance for development (DGD), in cui si combinano i processi di decentralizzazione, la promozione di azioni di governance, lo sviluppo urbano e rurale.

63 Scheda 2 – Lo sviluppo locale nelle organizzazioni internazionali
La Banca Mondiale suddivide la propria azione sullo sviluppo locale in due filoni. Il primo filone è quello del Local Economic Development (LED) i cui obiettivi, che possono essere riassunti in tre diverse fasi, vedono una progressiva articolazione a partire dagli anni Sessanta (all’attrazione di investimenti si affiancano progressivamente azioni rivolte all’imprenditoria locale e alla promozione della competitività). Il secondo filone è quello del Local Development (LD) rivolto prevalentemente alla riduzione della povertà attraverso l’adozione di approcci partecipativi e decentralizzati (Community Driver Development – CDD). Dalla fine degli anni Novanta, questi due filoni sono riuniti nell’approccio integrato, formula con cui la Banca Mondiale intende collegare le diverse dimensioni dello sviluppo locale e le diverse logiche di intervento attraverso cui promuoverlo (governance, empowerment, fornitura di infrastrutture collettive e di servizi pubblici).


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