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Corso «Sistemi organizzativi complessi nella società dell’innovazione» La trasformazione della società e le classi sociali PhD Ludovica Rossotti e-mail:

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1 Corso «Sistemi organizzativi complessi nella società dell’innovazione» La trasformazione della società e le classi sociali PhD Ludovica Rossotti e-mail: ludovica.rossotti@uniroma1.it

2 Agenda 1.Cambiamenti della struttura produttiva dal 1971 al 2001 2.Sviluppo del terziario 3.L’internazionalizzazione dell’economia italiana. Verso la globalizzazione 4.Le caratteristiche della nuova occupazione 5.Trasformazione della società = l’ampliarsi del ceto medio 6.Una ricerca sul campo: come la crisi impatta sui diversi ceti 11/12/2015Le trasformazioni della società Email: ludovica.rossotti@uniroma1.it Pagina 2

3 11/12/2015Le trasformazioni della società Email: ludovica.rossotti@uniroma1.it Pagina 3 1.Cambiamenti della struttura produttiva dal 1971 al 2001 L’analisi della struttura sociale italiana è un osservatorio privilegiato per capire le dinamiche della formazione economica italiana, il mercato del lavoro e il ruolo dello Stato  Nel decennio 1971 e 1981 si sviluppa soprattutto la piccola e piccolissima impresa, mentre il settore che presenta una bassa crescita, è il commercio.  Anni’80: nascita di nuovi settori produttivi, in particolare nel terziario, dovuta all’introduzione di nuove tecnologie = l’entrata dell’Italia nel post industriale  Tra il 1981–2001 il numero delle imprese fino a 49 addetti registrano un incremento del 101% e un aumento degli addetti del 55%.  Ultimi due decenni del XX secolo esplosione del nuovo terziario denominato “altri servizi”, una categoria residuale nel 1971 dove nel 1981 vengono rilevati il 9,1% degli addetti, che diventeranno il 13,7% nel 1991 e ben il 20,6% nel 2001.  In sintesi si può dire che il decennio 1971–81 è un periodo di forte crescita di tutti i settori extra agricoli, in cui comincia ad avviarsi la terziarizzazione dell’economia e la diversificazione interna del comparto dei servizi  La crescita in quantità e qualità dei servizi è tale da costringere l’ISTAT ad allargare il campo di osservazione, ampliando nel 1981 la categoria “altri servizi”.

4 2.Sviluppo del terziario  Per chiarire lo sviluppo del terziario è utile prendere in esame sinteticamente quanto emerse dalla prima ricerca condotta dall’ISCO nel novembre ’92.  a) il ricorso delle imprese ai servizi avanzati è in relazione alla dimensione di impresa: più grandi sono e più si avvalgono di servizi esterni;  b) la diffusione di nuove tecnologie informatiche e produttive è patrimonio acquisito dalla stragrande maggioranza delle imprese indipendentemente dalla dimensione;  c) il territorio gioca un ruolo rilevante nell’avvalersi o meno di servizi avanzati, al nord è più marcato che al sud;  Altre ricerche (cfr. Bagnasco 1996 ecc.) prendono in esame in modo specifico la dinamica di alcuni settori del terziario: conferma come tra gli anni Settanta e Ottanta la struttura produttiva italiana si stia avviando verso un’omologazione con gli altri paesi più industrializzati, di cui appunto la terziarizzazione sarebbe un indicatore “forte”. 11/12/2015Le trasformazioni della società Email: ludovica.rossotti@uniroma1.it Pagina 4

5 2b. Importanza del territorio Nella struttura economica– produttiva italiana la produzione e i servizi tendono sempre più a localizzarsi territorialmente La scoperta del territorio con il suo tessuto culturale, sociale, politico ed economico diviene una risorsa strategica per lo sviluppo non solo delle piccole e medie imprese, ma del tessuto produttivo nazionale. Si mette in evidenza come le specificità della famiglia caratterizzata da dimensione estesa (padre, madre, figli, nonni ed altri parenti) e del sistema produttivo agricolo mezzadrile, siano le basi strutturali per comprendere come gradualmente si sia formata la piccola e media impresa. Ma in alcune aree territoriali del nordest, vi è anche la presenza di attività commerciali, finanziarie artigianali collocate in aree urbane È questo interscambio, tra urbano e agricolo che permette la nascita della piccola imprenditorialità e l’affermarsi dei distretti industriali In sostanza, la presenza o meno di attività terziarie avanzate (consulenze gestionali, finanziarie, organizzative, informatiche, marketing, ecc.) nel territorio fa di esso una risorsa strategica per le imprese 11/12/2015Le trasformazioni della società Email: ludovica.rossotti@uniroma1.it Pagina 5

6 2c Variabili che hanno inciso sullo sviluppo del terziario 1.crisi della grande industria e del modello di organizzazione taylor–fordista che si ispirava ad una visione dei mercati in espansione illimitata, impegnando le imprese nella produzione di beni di massa, standardizzati, che richiedevano una manodopera scarsamente qualificata, applicata a mansioni semplici ripetitive e parcellizzate. 2.crisi petrolifera agli inizi degli anni Settanta, il conseguente aumento dei prezzi delle materie prime, 3.saturazione dei mercati dei beni di massa, la crescita di una domanda sempre più diversificata e “personalizzata, effetto di un aumento della disponibilità di reddito, ma soprattutto di un innalzamento della scolarità di massa (spesso i due aspetti vanno di pari passo) e conseguentemente del costituirsi di gruppi sociali che manifestano nuovi e più articolati stili di vita e modelli consumistici rendono obsolete strutture organizzative rigide con produzioni standardizzate. 4.crisi dovuta all’accresciuta concorrenza verso i prodotti tipici della produzione della grande impresa fordista, da parte dei paesi di nuova industrializzazione che possono usufruire di un costo del lavoro molto più basso, anche se spesso con produzione di scarsa qualità. 11/12/2015Le trasformazioni della società Email: ludovica.rossotti@uniroma1.it Pagina 6

7 2c Variabili che hanno inciso sullo sviluppo del terziario 5. Espansione della spesa sociale (malattie, disoccupazione, infortuni, vecchiaia) producendo un innalzamento inflattivo senza precedenti. L’insieme di questi fattori produce una situazione di rallentamento se non di stagnazione della produzione e di aumento dei prezzi, che viene battezzata “stagflazione” (stagnazione + inflazione) che in Italia assume livelli particolarmente elevati. Conseguenza di tutto ciò è la caduta dei profitti. La risposta a questa diminuzione dei profitti, come è stato evidenziato nella lezione precedente fu la dirompente rivoluzione tecnico scientifica. 11/12/2015Le trasformazioni della società Email: ludovica.rossotti@uniroma1.it Pagina 7

8 3. Le caratteristiche della nuova occupazione Non è solo la struttura produttiva a cambiare molto nel periodo considerato, ma anche le caratteristiche socio demografiche: livello d’istruzione e genere di chi entra nel mercato del lavoro. Anni’70 forte crescita di dipendenti statali (+25% dei nuovi posti di lavoro) soprattutto per la componente femminile Lo Stato, in tali anni, ha contribuito all’occupazione femminile: con l’incremento di posti di lavoro pubblico e ampliando il welfare state (es: asili nido) Per capire i cambiamenti dell’offerta di lavoro di entrambi i generi va tenuto conto anche della crescita delle credenziali educative. Il tasso di scolarità femminile è cresciuto di più, tanto da superare, a partire dagli anni Novanta, quello maschile. L’impatto dell’innalzamento complessivo dei livelli di istruzione, sul mercato del lavoro è immediato. La presenza dei laureati e dei diplomati sul totale degli occupati, nel ventennio 1971/91, passa rispettivamente, per i primi dal 3,2% al 7,6% del ’91, mentre per i diplomati dall’8,4% del 1971 al 27,0% del 1991 Alti livelli di scolarizzazione presenti nel mercato del lavoro + presenza di quote crescenti della componente femminile = difficile la distribuzione di lavori tipici della fabbrica fordista. (Le mansioni svolte dai padri o dai fratelli maggiori all’interno dell’organizzazione del lavoro della fabbrica fordista non erano proponibili a questa nuova generazione scolarizzata). 11/12/2015Le trasformazioni della società Email: ludovica.rossotti@uniroma1.it Pagina 8

9 3. Le caratteristiche della nuova occupazione (b) L’innalzamento della scolarità ha contribuito da un lato al superamento del fordismo dell’offerta, e dall’altro nell’influenzare la produzione, esprimendo i soggetti maggiormente scolarizzati a stili di vita e di consumo molto articolati che male si addicevano ad un’organizzazione del lavoro standardizzata e di massa, incapace di rispondere, almeno nell’immediato a quella flessibilità ed articolazione produttiva che ormai il mercato richiedeva Quindi: il lavoro cambia perché con l’avvento delle nuove tecnologie chi lavora si emancipa dalla fatica fisica, dalla ripetitività, dalla parcellizzazione e standardizzazione delle mansioni, per sostituirle con ruoli più creativi Nella società post–industriale e post–fordista la conoscenza (e quindi il capitale intellettuale) è il mezzo di produzione basilare. In questa fase si ignora ciò che sarà evidente successivamente: che i lavori di alta qualità si accompagnano a lavori di bassa o infima qualità come quelli che solo gli immigrati accettano. Dunque il mercato del lavoro si è radicalmente trasformato. Tuttavia solo una parte di soggetti con alte credenziali educative ha trovato uno sbocco lavorativo, come si è visto nello sviluppo del terziario, mentre un’altra parte si è adattata al lavoro sommerso o è andata ad ingrossare le fila della disoccupazione, specie giovanile (Paci 1994) 11/12/2015Le trasformazioni della società Email: ludovica.rossotti@uniroma1.it Pagina 9

10 3. L’internazionalizzazione dell’economia italiana. Verso la globalizzazione La fase storica della globalizzazione diviene di difficile comprensione se non si prende in considerazione anche il dispiegarsi delle strategie delle multinazionali e del capitale finanziario sulla scacchiera economica internazionale, tese alla costituzione di nuove imprese o all’acquisizione del controllo di quelle esistenti in vari paesi del mondo. La consistenza dell’internazionalizzazione dell’economia italiana può essere colta osservando soprattutto gli investimenti diretti esteri (IDE) in Italia.  Crescono invece le imprese che vanno via dal nostro Paese che dal 1992 superano quelle in entrata: in sostanza le imprese italiane vanno a localizzarsi nei Paesi (in particolare dell’Europa orientale) dove possono sfruttare manodopera a basso costo. Dunque è innegabile che anche l’Italia è coinvolta nella fase di internazionalizzazione dell’economia nel periodo analizzato  Per meglio comprendere il senso di questa penetrazione estera nell’industria italiana è necessario capire quali macro settori siano stati interessati dagli investimenti diretti esteri.  Osservando l’andamento dell’occupazione emerge subito un dato interessante: in generale, nei settori dove è più massiccia la partecipazione estera più elevato è stato il tasso di crescita degli occupati. Così per esempio si è verificato nei settori con forte economie di scala, dove l’occupazione è cresciuta nel decennio 1990/2000 del 23,1% e nei settori specialistici del 16,5%. Una contrazione ragguardevole si è invece verificata nei settori tradizionali (–16,5%) e ad elevata intensità tecnologica (–11,4%). 11/12/2015Le trasformazioni della società Email: ludovica.rossotti@uniroma1.it Pagina 10

11 3. L’internazionalizzazione dell’economia italiana. Verso la globalizzazione (b) Dal 1986 al 2000 le partecipazioni estere hanno accelerato l’ingresso delle imprese italiane dentro l’economia globalizzata, in particolare nei settori con forti economie di scala. Il Mezzogiorno e le Isole apparentemente con il 45,9% mostrano una certa attrattività, ma va ricordato che rimangono il territorio con meno imprese partecipate dall’estero. In secondo luogo queste tendenze mettono in luce come vi sia un intreccio tra localismo e globalità, tra aree, come per esempio i distretti, e il processo di commercializzazione mondiale. => questa diade, “globale vs locale” e viceversa, diventa cruciale nell’evoluzione delle società. Dopo un decennio troviamo che le multinazionali estere in Italia giocano un ruolo sempre più cruciale non più solo nell’industria, ma anche nei servizi: sono nettamente più grandi delle imprese italiane e hanno raddoppiato la loro presenza in termini di addetti. Il post–industrialismo non è più delimitabile entro gli ambiti nazionali; gli stati–nazione non sono più i veicoli privilegiati dei processi integrativi. Insomma il post–industriale accelera la crisi (iniziata alcuni anni prima) degli stati nazionali e altera profondamente anche gli assetti locali, mutando il tradizionale ruolo delle città e la loro struttura sociale. 11/12/2015Le trasformazioni della società Email: ludovica.rossotti@uniroma1.it Pagina 11

12 4. Sviluppo terziario = nuova struttura sociale L’espansione del settore dei servizi è rilevante non solo dal lato economico–produttivo, ma nel ridisegnare la struttura sociale italiana Imprese industriali ed il sistema economico in generale, se pure indirettamente, spingono verso l’espansione dei servizi privati (l’istruzione n’è un esempio, con master e corsi di specializzazione) La spinta maggiore all’espansione dei servizi è dovuta alla crescita dei redditi nelle società avanzate. Ciò si traduce in un aumento della domanda di servizi finali dove nella gerarchia dei consumi ai primi posti si hanno quelli legati alle nuove tecnologie della comunicazione e dell’informatica, espressione di quella società postmaterialista Crisi dello Stato: Dal versante pubblico, la crisi fiscale dello Stato rende sempre più difficile garantire i servizi pubblici di massa: sanità, scuola, trasporti, assistenza agli anziani, ai bambini. Questo deficit pubblico apre indirettamente spazi di mercato ai privati (per fare un esempio le badanti, le assicurazioni sanitarie). Ma lo apre anche direttamente rivolgendosi per una serie di servizi alle imprese private e ai singoli privati. In conclusione la ritirata dello Stato nel fornire servizi pubblici ha come conseguenza che nella sua grande maggioranza, il terziario si espande tramite bassi salari ed elevati profitti. L’insieme di questi fattori spingono verso una crescita esponenziale dei servizi privati alle persone e alle famiglie (parrucchieri, ristoratori, baristi, commercianti, albergatori, ecc.) e alle imprese (servizi ICT, pubblicità, consulenze varie). 11/12/2015Le trasformazioni della società Email: ludovica.rossotti@uniroma1.it Pagina 12

13 4. Sviluppo terziario = nuova struttura sociale (b) Conseguenza di questa articolazione del terziario dei servizi è il prodursi di almeno tre effetti concomitanti: 1.Molti lavoratori vengono licenziati per essere sostituiti dal lavoro gratis degli utenti attraverso il self–service, 2.Si assume personale sempre più dequalificato e a bassissimi salari (addetti alla pulizia del locale, spesso immigrati), 3.Viene ampliata l’offerta di consulenti, tecnici, liberi professionisti esperti in ICT e Hi–Tech (alta tecnologia). Quale impatto sulla struttura sociale? 11/12/2015Le trasformazioni della società Email: ludovica.rossotti@uniroma1.it Pagina 13

14 Quale impatto sulla struttura sociale? A.POLARIZZAZIONE STRUTTURA SOCIALE La dilatazione della società dei servizi delinea una tendenza alla polarizzazione della struttura sociale, divisa tra un ceto sociale a basso reddito che aumenta ed un altro con redditi elevati che può usufruire di alti e sofisticati consumi e servizi. Questa polarizzazione ed ancor più il malessere del ceto medio, non possono essere imputabili alla crescita del terziario; ben altre e più consistenti cause sono all’origine di questi processi di rimescolamento della struttura sociale, anche se la terziarizzazione ha comunque giocato un ruolo rilevante nel ridefinire la struttura sociale. B. FURORIUSCITA DAL FORDISMO La fuoriuscita dal fordismo e le trasformazioni organizzative e produttive segnano una discontinuità rispetto al modello organizzativo precedente: cresce la piccola e media impresa e il terziario dei servizi finali e intermedi avanzati, legati a nuove “produzioni di beni e servizi immateriali. Ciò ha comportato, altresì la diffusione di attività professionali direttamente o indirettamente legate al capitalismo immateriale che caratterizza le società post–moderne e post–industriali. C. NUOVA CULTURA DEL LAVORO L’affermarsi di una cultura del lavoro che pone al centro l’autorealizzazione, l’autonomia dei tempi di vita e di lavoro, sviluppando quella che Boltanski e Chiappello chiamano “vita a progetto” (Boltanski, Chiappello 1999) in cui l’individuo è chiamato esso stesso a farsi attore principale e unico delle proprie aspirazioni (Sennet 1999). In ogni modo, la presenza di “ceti e classi di mezzo” è legata allo sviluppo della piccola e media impresa industriale, all’espansione dei servizi intermedi e finali, alla crescita del ceto medio impiegatizio pubblico, al perseguimento di lavori autorealizzativi. L’impatto che questi processi producono sulla struttura sociale è dirompente. 11/12/2015Le trasformazioni della società Email: ludovica.rossotti@uniroma1.it Pagina 14

15 5. Trasformazione della società-l’ampliarsi del ceto medio tra il 1971 e il 1983 l’incidenza della borghesia passa da 2,5% al 3,3%, la classe media urbana dal 38,5% al 46,4%, i coltivatori diretti dall’11,9 al 7,6%, la classe operaia dal 47,1% al 42,7% (da notare che in questa classe gli occupati nelle attività dei servizi passano dal 9,9% al 12,6%), (Sylos Labini 1988). Tali andamenti ridefiniscono la composizione socioprofessionale interna di queste classi e ceti. Se presi in questo ordine di grandezza, i dati farebbero pensare ad un rimescolamento delle classi e dei ceti in termini ascendenti. Ovvero ad una mobilità ascendente dei soggetti da una classe sociale inferiore ad una superiore? In realtà molti studi hanno mostrato come questa ascesa sociale sia più “virtuale” che reale. In sostanza si è verificato nella stragrande maggioranza uno spostamento dei figli in posizioni sociali immediatamente contigue a quelle dei padri, mentre il passaggio, tra una classe ad un’altra relativamente distante, ha interessato una minoranza di soggetti. La crescita dei ceti e delle classi sociali medie, non è una esclusiva italiana, in tutti i paesi occidentali lo sviluppo capitalistico industriale si è assistito, in particolare dal secondo dopoguerra in poi, ad una sua esplosione. Ma in Italia questo fenomeno presenta delle sue specificità Lo studio della struttura sociale rimanda alle disuguaglianze sociali che, in tempi di post fordismo, di globalizzazione e di ridimensionamento dell’intervento del Welfare, alcune coordinate delle disuguaglianze sociali sono profondamente cambiate. 11/12/2015Le trasformazioni della società Email: ludovica.rossotti@uniroma1.it Pagina 15

16 Diseguaglianze sociali Fa riferimento a tre sfere che la specificano; a)la posizione–ruolo nella produzione e riproduzione sociale (chi fa che cosa), b)l’accesso alle risorse materiali e simboliche (chi accede a cosa), c)il differente status sociale (chi riceve cosa). per cogliere le disuguaglianze sociali e mettere a fuoco il problema delle dinamiche nel mercato del lavoro distribuzione dei redditi tra il 1991 e il 2010, la Banca d’Italia ci informa che il reddito da lavoro indipendente è aumentato del 15,7%. Situazione ben diversa invece per i lavoratori dipendenti che tra il 1991–2010 hanno visto il loro reddito aumentare solo del 3,3%. La rivoluzione tecnologica ed in particolare l’avvento della società dell’informatizzazione come la definisce Manuel Castells (2008), ed il consumismo narcisistico, hanno contribuito a ridefinire le diseguaglianze sociali, costituendo i pilastri ove si è eretta «la costruzione di una cultura populista neoliberista, basata sul mercato, fatta di consumismo differenziato e libertarismo individuale. Sotto l’incessante trasformazione dell’organizzazione sociale del lavoro, il lavoro dipendente quanto quello autonomo, le posizioni sociali di vertice quanto quelle di “centro” (le classi medie) ed inferiori, hanno subìto un processo di frammentazione e di polverizzazione che ha reso sempre più complessa la realtà sociale economica culturale e politica delle città. 11/12/2015Le trasformazioni della società Email: ludovica.rossotti@uniroma1.it Pagina 16

17 Se si vuole trarre dai risultati fin qui conseguiti delle prime parziali conclusioni possiamo dire che tra gli anni Ottanta-Novanta si è venuta affermando una piccola e media borghesia indipendente, che ha spostato non solo l’asse della geografia economica dell’Italia, ma ha rafforzato quella classe e ceto medio e trasformato anche alcuni dei suoi tratti identitari 11/12/2015Le trasformazioni della società Email: ludovica.rossotti@uniroma1.it Pagina 17

18 Seconda decade del 2000 Lo scenario che si apre nella seconda decade del 2000 vede un ulteriore rimescolamento delle carte. La lunga crisi che avvolge l’economia mondiale in Italia sta procurando solchi profondi: L’avvento della globalizzazione, il perdurare della crisi, la liberalizzazione dei mercati nonché le trasformazioni dei sistemi locali (il nuovo ruolo assunto dalle donne, la presenza di immigrati) e l’impossibilità del sistema politico di garantire vecchie e nuove protezioni (privilegi) sono aspetti che cambiano il contesto esterno del lavoro indipendente. Sotto i colpi della crisi il lavoro indipendente è entrato in fibrillazione tende a divaricarsi tra coloro che slittano verso il ristagno o la crisi irreversibile e coloro che crescono e si collocano sui mercati internazionali. Le informazioni statistiche ormai da tempo segnalano come alcune categorie socioeconomiche e culturali in particolare sono colpite più delle altre dalla crisi: i piccoli e medi imprenditori, i lavoratori dipendenti ed in particolare i giovani precari e in cerca di lavoro. In sostanza settori consistenti delle classi medie e del ceto medio che si ritenevano in qualche modo protetti da eventuali slittamenti in “basso” o che avevano investito in risorse culturali come canali privilegiati per un ulteriore mobilità inter e intra generazionale, sperimenterebbero direttamente o indirettamente situazioni di emarginazione sociale e/o lavorativa, di instabilità permanente della propria realtà esistenziale, di incertezza del proprio futuro. Nel tracciare le coordinate generali delle trasformazioni dei ceti e delle classi sociali è emerso a più riprese come questi si stiano impoverendo non solo sotto l’aspetto economico, ma soprattutto perché stanno perdendo la ricchezza a cui tengono forse di più: la fiducia nelle prospettive lavorative dei propri figli. 11/12/2015Le trasformazioni della società Email: ludovica.rossotti@uniroma1.it Pagina 18

19 6. “L’epoca delle passioni tristi”: una ricerca sul campo Per analizzare come la crisi abbia impattato sulla fiducia nelle prospettive di lavoro dei giovani, si riportano i risultati di un ricerca da noi svolta nel 2012 su «La rappresentazione sociale dell’università e del lavoro: differenze di genere, generazione e ceto sociale a Roma in tempi di crisi», rivolta agli studenti dell’ultimo anno della scuola secondaria superiore.  L’indagine mette in evidenza come la grave crisi in cui è precipitato il capitalismo globalizzato ha colpito tutti i ceti sociali, e spinto molti giovani del ceto basso a posticipare il prosieguo degli studi o di non continuarli affatto, alla ricerca immediata del posto di lavoro.  Se per il ceto alto l’università è la scelta prevalente, per quello basso l’università è un lusso e va fatta solo se da risultati, ai figli del ceto medio si dice di lavorare e se vogliono studiare è forse meglio una laurea meno impegnativa.  In una società che ha fatto della crisi il suo portato culturale di fondo, gli intervistati sperimentano soprattutto incertezza per la loro vita di cittadini, di uomini e donne del futuro. Il futuro appare incerto, minaccioso: è l’epoca delle passioni tristi (Galimberti 2009, 2014), in cui già da giovani le passioni sono al servizio dell’esigenze dettate dalla società (come il caso delle lauree con più alte speranze di occupazione) e dalle risorse economiche e culturali delle famiglia, mettendo da parte il valore, la forza e il coraggio che contraddistinguono le scelte fatte con passione.  I giovani intervistati restituiscono una rappresentazione sociale pessimista del proprio futuro in quanto lavoratori. Il ceto è una variabile condizionante: studenti di ceto alto scelgono di proseguire gli studi, molto più di quelli del ceto basso,  Con il ceto medio in posizione intermedia che manifesta la sua incertezza “scegliendo” di fare entrambe le cose.  Il problema del lavoro, come emerge dalla ricerca preoccupa i giovani e condiziona le scelte di studio non solo di coloro che hanno famiglie più povere e vulnerabili, ma anche di chi appartiene al ceto medio. 11/12/2015Le trasformazioni della società Email: ludovica.rossotti@uniroma1.it Pagina 19


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