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Il soldato ignoto, il Piave ed altre Canzoni

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Presentazione sul tema: "Il soldato ignoto, il Piave ed altre Canzoni"— Transcript della presentazione:

1 Il soldato ignoto, il Piave ed altre Canzoni
Università degli Studi di Firenze Corso di Storia Militare Anno acc Lezione del 20 maggio 2008

2 La Basilica di Aquileia
Quel giorno, il 28 ottobre 1921, Aquileia visse una giornata particolare. Nella Basilica dell’antica colonia romana si concludeva la prima parte di un complesso cerimoniale che avrebbe portato ad onorare una salma sconosciuta in nome degli oltre seicentocinquantamila soldati italiani caduti durante la guerra L’Italia era stato uno dei primi paesi belligeranti a sentire la necessità di ricordare i suoi caduti, anche se poi era stata preceduta da altri paesi, come la Francia.

3 L’idea era stata lanciata nel 1920 da Giulio Douhet, un colonnello che, uscito dall’Accademia Militare di Modena nel 1889 con i gradi tenente dei bersaglieri, divenne in seguito il massimo esperto italiano di aeronautica da guerra. Nel 1912, dopo aver partecipato alla guerra italo-turca per il controllo della Libia, a Douhet venne assegnato il comando del Battaglione Aviatori genio a Torino. Le sue critiche agli alti comandi, in particolare un memoriale anti Cadorna, gli valsero la corte marziale e un anno di carcere militare. Riproposto da Armando Diaz ad un posto di comando dopo il 9 novembre 1917, Giulio Douhet si misedi nuovo in contrasto, questa volta con i Perrone dell’Ansaldo per una faccenda di commesse.

4 Nel 1919 lo ritroviamo presidente della «A. N. U
Nel 1919 lo ritroviamo presidente della «A.N.U.S», Associazione Nazionale Ufficiali e Soldati, e Direttore di un settimanale, Il Dovere. Già dal primo numero di questo periodico, il 27 aprile 1919, Douhet scrive un breve articolo nel quale richiama l’attenzione dei lettori sulla necessità che la Nazione ricordi i suoi caduti. Il progetto prende la sua forma definitiva nell’agosto del 1920, quando dalle colonne della rivista l’ex ufficiale dei bersaglieri propone che «dal piccolo cimitero alpino di frontiera fino a Roma, la salma dell’ignoto soldato deve attraversare gran parte d’Italia e lungo tutto il suo percorso deve passare tra le reverente commozione del popolo.» A Roma, si specifica, il corteo dovrà trasportare la salma al Pantheon. L’apoteosi del Soldato, continuava rivolgendosi a chi era stato contrario alla guerra,«non significa affatto l’apoteosi della guerra. Significa l’esaltazione del cittadino che ha compiuto il suo dovere fino alla morte, perché tale era il suo dovere. Qualunque sia l’assetto sociale cui un partito può aspirare vi saranno sempre dei doveri che esigono di essere compiuti fino alla morte». E concludeva affermando che «l’apoteosi del Soldato non è l’esaltazione di un ceto, di una classe, di una categoria, è l’esaltazione di tutto un popolo nei suoi figli più devoti.”[1] [1] Giulio Douhet, Per la tomba del Soldato ignoto al Pantheo, Il Dovere, 24 agosto 1920

5 Avanti! I destinatari di queste considerazioni erano i socialisti, e il quotidiano socialista Avanti! aveva risposto:«il Milite ignoto è certamente un figlio del popolo, che appartiene al proletariato, alla classe che più si è sacrificata, a quella che ha subito le maggiori perdite». Per questo i proletari dovevano rendergli omaggio senza enfatizzazioni. Onoratelo, concludeva il giornale socialista, maledicendo la guerra. Il disegno di legge fu presentato dal Governo nel Il 30 luglio venne distribuita alla Camera la Relazione della Commissione Esercito e Marina, preparata dall’on. De Vecchi, e il senato l’11 agosto 1921 discusse e approvò la legge «Sepoltura in Roma, sull’Altare della Patria, della salma di un soldato ignoto caduto in guerra» che indicava nel 4 novembre 1921, terzo anniversario della Vittoria, il giorno della solenne sepoltura.

6 In quell’occasione prese la parola anche il senatore Armando Diaz, affermando che si trattava di un «progetto che santifica la Patria nel più umile dei suoi figli» Anche il Ministro della Guerra, Luigi Gasparotto (nella foto), ribadiva che la salma dell’ignoto veniva scelta in modo che ogni madre italiana potesse sperare di trovare in essa le spoglie del figlio perduto. «Quando dalla vecchia Basilica dei Patriarchi muoverà verso Roma»aveva concluso il Ministro parlando del trasporto del feretro «tutta l’Italia verrà ad inchinarsi lungo i margini della via che sarà percorsa dal convoglio della morte e della gloria»[1]. Vedremo che Gasparotto era stato buon profeta. Dopo l’approvazione della legge lo stesso Ministero dette incarico ad una commissione di esplorare le zone del fronte e cercare le salme anonime di caduti. De Vecchi, come del resto Douhet, pensava che la traslazione del soldato ignoto avrebbe contribuito a riportare un po’ di serenità all’interno del Paese, travagliato da odii e contrapposizioni. Entrambi favorevoli al fascismo, si dichiaravano entrambi contrari alle violenze, anche se nel Piemonte di De Vecchi non mancarono i morti negli scontri tra socialisti e fascisti. [1] ibidem

7 la commissione Il 1921 è un anno decisivo per la storia italiana: nel gennaio, a Livorno, c’è stata la scissione del Partito Socialista Italiano e la nascita del Partito Comunista Italiano. A novembre, tre giorni dopo il passaggio dell’immenso corteo che ha accompagnato all’estrema dimora la salma del milite ignoto, si riunisce nella capitale il movimento dei fasci, che si scioglie per dar vita al Partito Nazionale Fascista, e tra meno di un anno ci sarà la marcia su Roma. Nella stessa giornata del 4 novembre ci sono scontri tra fascisti e antifascisti e sette di quest’ultimi sono colpiti a morte. La Commissione governativa per la scelta delle salme era composta dal generale Giuseppe Paoloni, dal colonnello Vincenzo Paladini, dal tenente Augusto Tognasso, dal sergente Ivanoe Vaccarini, dal caporal maggiore Giuseppe Sartori e dal soldato Massimo Moro. I resti di undici salme senza nome, una per ogni Corpo delle Forze Armate, furono raccolti nelle zone di Rovereto, Dolomiti, Altipiani, Grappa, Montello, Basso Piave, Cadore, Gorizia, Basso Isonzo, San Michele, Castagnevizza fino al mare, là dove le battaglie erano state più cruente.

8 Il Castello di Udine Le operazioni erano regolate da una circolare del Ministero della Guerra del 30 settembre 1921 che aveva per oggetto «Onoranze alla Salma del Soldato Ignoto», ed era esplicativa della legge approvata dal Parlamento in agosto. La circolare dettava le tutte le norme per disciplinare la cerimonia della scelta della bara del soldato ignoto e il suo trasporto da Aquileia a Roma Le prime sei salme furono portate a Trento, Schio, Bassano, Udine dove, in una chiesa vicino a Castello, coperte di bandiere e fiori, furono vegliate da una rappresentanza di tutti i reparti combattenti, e visitate da 14mila persone.

9 Il Castello di Gorizia e S.Spirito
Queste bare, dopo che se ne era aggiunta una settima, proveniente dal Cadore, furono trasferite a Gorizia, in una chiesa sottostante il Castello. Qui si aggiunsero le ultime quattro salme, provenienti dal Carso e dall’Isonzo. Il corteo che le aveva scortate per Gorizia era composto da carabinieri, scolaresche, collegi con le bandiere, gruppi di madri e di vedove, autorità civili e militari. Durante la benedizione la banda cittadina aveva suonato La canzone del Piave. Era l’unica musica permessa al passaggio del corteo,ed erano vietati i discorsi ufficiali.

10 Il generale Luigi Cadorna
Nel frattempo il ministro Gasparotto aveva inviato una lettera al generale Luigi Cadorna con la quale invitava l’ex capo di Stato Maggiore dell’Esercito a partecipare alla manifestazione del trasporto a Roma della salma del soldato ignoto. «E’ desiderio del Governo»scriveva«che i comandanti delle grandi unità che dettero il loro nome alla grande guerra siano presenti al rito solenne». Cadorna aveva ringraziato per l’invito di partecipare alla «grandiosa cerimonia», ma aveva risposto che non poteva essere messo nella non facile situazione di entrare nel seguito di ufficiali che erano stati ai suoi ordini, e che ora avevano un grado più elevato del suo. Era pertanto addolorato di non poter intervenire di persona alla glorificazione del soldato ignoto.

11 Arlinghton, Virginia. Nei pressi di Washinghton, la località ospita il Cimitero Nazionale dove vengono sepolti gli eroi militari statunitensi, l’aereoporto della capitale e il Pentagono. Lo stesso giornale che riportava queste notizie, il Corriere della Sera, scriveva lo stesso giorno, 26 ottobre 1921, che anche le autorità americane avevano proceduto alla scelta del soldato ignoto che sarebbe stato tumulato a Washington, nel cimitero di Arlinghton. La scelta era stato compiuta da un sergente tra quattro bare. La salma era giunta a Parigi, da dove sarebbe proseguita per Le Havre, e da qui imbarcata per gli Stati Uniti.

12 Intanto le undici salme, dopo una messa solenne a Gorizia, erano state mandate ad Aquileia, nel pomeriggio del 27 ottobre. Il triste compito di scegliere la bara del soldato ignoto era stato assegnato ad una donna triestina, Maria Bergamas, nata a Gradisca d’Isonzo, località che fino allo scoppio della guerra era parte integrante dell’Impero austro-ungarico. Maria Bergamas, Per questo il figlio Antonio era stato arruolato nell’esercito austriaco, ma nel 1916 aveva disertato, era fuggito in Italia, e aveva indossato l’uniforme italiana. Fu ucciso durante un combattimento del giugno di quello stesso anno, e il corpo non fu mai ritrovato[1]. La mattina del 28 ottobre ci fu dunque la cerimonia del riconoscimento, che concludeva la prima parte delle cerimonie. Seguiamo la cronaca che ne fece Il Corriere della Sera. [1] Edgardo Bartoli, Il Milite Ignoto che riunificò l' Italia nel 1921 , Corriere della Sera del 17 novembre 2003

13 Cesare Maria De Vecchi, in Somalia nel 1924 Insieme a Maria Bergamas c’erano tre donne friulane, sei istriane e una abruzzese. Il corteo delle donne era accompagnato dal capitano Cesare Maria De Vecchi, il deputato che aveva presentato la Relazione sulla Legge in Parlamento. Erano presenti il Duca d’Aosta, cugino del re e comandante della lll Armata, il ministro e il sottosegretario alla Guerra, rappresentanti di Camera e Senato, i sindaci di Roma e Aquileia. Nell’aria si odono le musiche dell’organo della Basilica, la voce del vescovo di Trieste che recita la messa, il coro che ripete le veglie dei morti, c’è un fante che getta incenso nell’urna del fuoco elevata sopra il catafalco nel centro delle bare. Da fuori, poi, giunge il suono delle campane, il sibilo degli aeroplani giunti sulla Basilica, le preghiere della folla. Tutti questi suoni formano come un’unica sinfonia.

14 Ad un tratto, un silenzio impressionante. I prelati si ritirano.
Quattro ufficiali decorati di medaglia d’oro, il generale Paolini, il colonnello Martinetti, l’onorevole Paolucci e il tenente Baruzzi accompagnano Maria Bergamas dal suo scanno al centro della cappella. La donna procede tremante e curva, sorretta dai quattro. Pare che le forze stiano per venirle meno. Giunta al cospetto delle undici bare si inginocchia, porta le mani al volto, piega il capo e piange. Le migliaia e migliaia di persone presenti si inginocchiano come una persona sola. Trascorrono alcuni istanti di intensa commozione, non v’è chi sia senza lacrime, dal Principe della lll Armata al più umile soldato. Ogni tanto un colpo di cannone scandisce il religioso prolungato silenzio. Ora la madre si alza: deve salire tre gradini e sembra come esitante. Si dirige al catafalco di destra dove sono allineate sei bare avvolte nel tricolore e si inginocchia davanti alla seconda, cominciando da destra. Non depone un fiore, ma un velo nero, con le mani tese sulla bara quasi affermando un muto giuramento. La scelta è avvenuta, mancano pochi minuti a mezzogiorno Una illustrazione del Corriere della Sera

15 Fuori le musiche squillano la Canzone del Piave.
Fin qui il Corriere della Sera. La salma, in una cassa di zingo, venne messa dentro una cassa di quercia rinforzata con scudi di trincea. I sostegni ai quattro angoli della cassa erano costituiti da autentiche bombe a mano trovate nel materiale di recupero. Sul coperchio della cassa vennero messi un fucile, una bandiera e un elmetto. Il treno, giunto da Trieste, era in attesa sul binario vicino alla Basilica. Era composto da diciassette carrozza, due delle quali per le autorità e la scorta d’onore, le altre per raccogliere omaggi floreali o di altra natura. Il vagone sul quale fu posta la salma del soldato ignoto era costruito in modo che la bara fosse visibile alla folla da ogni parte la si guardasse. La bara viene issata sul treno che da Aquileia la porterà a Roma

16 Il giorno seguente, 29 ottobre, alle 8 del mattino
come da programma, il treno si mosse da Aquileia. Tutto il personale in servizio era composto da decorati. Accompagnato dalle note dell’Inno del Piave, il treno partiva per Roma. La prima tappa era Venezia, raggiunta dopo aver sostato nelle stazioni di Udine, Conegliano, e Treviso. Nella stessa Aquileia, il 4 novembre, si celebrerà la cerimonia per le dieci salme rimaste, che saranno inumate nel cimitero di guerra vicino alla Basilica. Il tragitto del convoglio si volse tra due ali ininterrotte di folla. Tutto il popolo partecipò commosso al passaggio della salma. Le cronache di allora raccontano che chi abitava distante dalla ferrovia si era messo presto in cammino per non perdere l’avvenimento. La gente si muoveva dai paesi vicini,le donne con il capo coperto. A Montegrotto,nei pressi di Padova,il treno passa tra due ali di gente in ginocchio, con i fascisti in giubba nera, i cattolici col nastrino tricolore,le vedove con le medaglie dei loro cari, i socialisti coi distintivi di falce a martello. In altre località ci sono i Canottieri che salutano dalle imbarcazioni mostrando il remo, oppure , nel piccolo campo d’aviazione, gli apparecchi sono schierati lungo la ferrovia.

17 Il transito del convoglio è molto seguito anche in Toscana.
A Pistoia il treno è accolto da uno scrosciante applauso, mentre a Montale si assiste ad un frenetico sventolio di fazzoletti e cappelli. A Calenzano La Canzone del Piave viene cantata dai bambini. A Sesto Fiorentino il suono delle campane si mescola a quello delle sirene delle fabbriche. A Firenze , allineate sui binari ci sono file di carabinieri e di truppe in alta uniforme. Nel mezzo della stazione campeggia una scritta: “Omaggio dei ferrovieri fiorentini”. Per due ore il popolo di Firenze sfila davanti alla bara. In testa, tra uno stuolo di ufficiali c’è, in borghese, Luigi Cadorna, che abita in città. A Sant’Ellero la gente ha acceso dei fuochi sulle alture, mentre a Rignano e Figline una folla enorme assiste al passaggio del treno e si odono i rintocchi di tutte le campane della zona. A San Giovanni Valdarno i duemila operai della ferriera hanno chiesto di uscire durante il passaggio del convoglio. Il convoglio, dopo una sosta notturna ad Arezzo, e un’ultima sosta alla stazione di Portaccio, il 2 novembre arriverà finalmente a Roma, dove ci sono ad attendere il feretro Vittorio Emanale lll e le più alte cariche dello Stato.

18 Su un affusto di cannone la bara viene trasportata al tempio
di Santa Maria degli Angeli, dove rimarrà esposta due giorni prima di essere tumulata sull’Altare della Patria. Durante il trasporto del feretro la folla è in silenzio, si ode solo il rombo del cannone che spara da Monte Mario. La mattina del 4 novembre, sull’Altare della Patria, alla presenza del re e di tutte le autorità, al momento della tumulazione , la banda dei Carabinieri intonò La leggenda del Piave Mentre stava salendo la grande scalinata del monumento, Vittorio Emanuele lll domandò a chi gli stava vicino: «Di chi è quest’aria?».

19 E qui la grande regia che, con l’appoggio
di una organizzazione capillare, aveva fatto del trasporto della salma del Soldato ignoto dai confini nord orientali fino al cuore di Roma forse il più grande avvenimento popolare del ventesimo secolo, ebbe una battuta d’arresto. Tutti conoscevano l’ «aria», ma nessuno dei presenti ne conosceva l’autore! Chi era sulla scalinata vicino al re chiese permesso, si allontanò ed entrò nel gruppo delle autorità nel corteo. Finalmente il capo del personale delle Poste si avvicinò al ministro Giuffrida e gli mormorò qualcosa sottovoce. Il ministro riuscì ad arrivare a fianco del re e gli disse: «Maestà, questa musica è di un nostro impiegato». E il re : «Vorrei conoscerlo». Un momento della tumulazione al Vittoriano

20 E.A.Mario Probabilmente questo breve scambio di battute
tra il re e il suo Ministro delle Poste fu riferito dallo stesso Vittorio Emanuele lll a Giovanni Gaeta tre settimane dopo la grande manifestazione a Roma quando, il 25 novembre, l’autore de La Canzone del Piave venne presentato al sovrano che lo insignì, al termine dell’incontro, del titolo di Commendatore della Corona d’Italia. L’aneddoto, insieme alle altre notizie sulla vita di Gaeta, è riferito dalla stessa figlia dell’autore,[1] che del padre ne è stata biografa e collaboratrice artistica. Se all’anagrafe del Comune di Napoli il musicista era registrato come Giovanni Gaeta, in quella più vasta del mondo della canzone napoletana era conosciuto come E.A.Mario, ed anche in famiglia, tra le mura domestiche, veniva chiamato Mario. Nato a Napoli, nel rione Vicaria, nel 1884, Giovanni Ermete Gaeta, chiamiamolo ancora così per un pò, fu un autodidatta. Studiava lingue e si fece la sua cultura leggendo di tutto in una edicola in Corso Garibaldi il cui proprietario, «don» Michele Capuozzo,diventò per Giovanni un secondo padre. [ E.A.Mario [1] Bruna Catalano Gaeta, E.A.Mario. Leggenda e Storia. Prefazione di Max Vajro, Liquori Editore, Napoli, 1989.

21 Appassionato di storia e di lingua italiana,
il giovane Gaeta aveva una predilezione per Giuseppe Mazzini e con un saggio sul grande genovese, in occasione del centenario della nascita nel 1905, iniziò la sua collaborazione a Il Lavoro di Genova, diretto allora da Alessandro Sacheri, firmandosi Hermes, da Ermete, suo secondo nome. Qualche tempo prima aveva vinto un concorso alle Poste, era stato mandato a Bergamo dove, tra gli altri, aveva conosciuto una giornalista di origine polacca che dirigeva una rivista letteraria e si firmava con lo pseudonimo di Mario Clarvy. In un modo che gli stessi amici di Gaeta non esitavano a definire affettuosamente «stravagante» ed anche «bislacco», l’autore napoletano era arrivato così a definire il suo nome d’arte: “E” da Ermete, “A” da Alessandro, direttore del Il Lavoro di Genova, “Mario” da questa giornalista polacca. D’Altra parte a Giovanni Gaeta non mancò mai né la vena poetica né la fantasia musicale.

22 Autore di canzoni di successo che fanno parte del
patrimonio musicale napoletano e italiano, come Santa Lucia lontana, di cui ricordiamo i primi versi, Parteno ‘e bastimente pe’ terre assaje luntane cantano a bordo e so’ napuletane cantano pè tramente ‘o golfo già scumpare, e ‘a luna ‘mmiez’’o mare ‘nu poco ‘e Napule, e fa vede… Santa Lucia luntana ‘a te Quanta malinconia diventata l’inno degli emigranti, Mario scriveva sia in italiano sia in napoletano, e cantava lui stesso, accompagnandosi con un vecchio mandolino che aveva trovato da giovanissimo nella bottega da barbiere del padre. Mentre era allo sportello alle poste centrali di Napoli, nel Palazzo Gravina, ebbe l’occasione di conoscere un autore napoletano, Raffaello Segrè con il quale, dopo uno screzio iniziale, prese il via una collaborazione che doveva durare fino al 1911, quando Mario iniziò a scrivere personalmente testo e musica delle sue canzoni. Il testo di quella prima fatica era di ambiente militare: un ragazzo di leva (in realtà si trattava di suo fratello) che chiedeva soldi alla mamma! Una“copiella”

23 I suoi biografi dicono che E.A.Mario abbia scritto più di
duemila canzoni, oltre a molte poesia. E’ stato uno dei grandi esponenti della canzone napoletana nella prima metà del Novecento e uno dei protagonisti della canzone italiana fino agli anni Cinquanta. Sulla nascita della canzone che gli dette maggiore notorietà, e anche molte preoccupazioni, la Leggenda del Piave, Mario tornò più volte. L’autore napoletano aveva già scritto canzoni di contenuto patriottico militare all’indomani dello scoppio della grande guerra, come Canzone di trincea, scritta nel 1915, o Serenata all’Imperatore, sempre del 1915. Era innato in lui, scrive ancora la figlia, esprimere in musica tutti gli avvenimenti che leggeva sui giornali, che sentiva in giro, che venivano dai bollettini di guerra. Gli stessi amici soldati al fronte gli richiedevano l’invio di canzoni da cantare per sopportare la durezza di quella vita. Ed egli pubblicava quelle lettere nei suoi fascicoli piedigrotteschi, con i quali divulgava quelle canzoni che avrebbero partecipato alla festa della Madonna di Piedigrotta, un “festival” canoro tutto napoletano.

24 Esonerato dal servizio militare per motivi di famiglia,
spesso richiedeva alla direzione delle Poste il permesso di viaggiare negli “ambulanti”, vagoni postali attaccati alle tradotte, e raggiungere in questo modo la «prima linea» per portare la posta: con questo espediente fin dal 1915 Mario andava tra i fanti e diffondeva, accolto con simpatia, la sua musica. Tra le prime canzoni di quell’anno troviamo Marcia ‘e notte, che partecipò alla Piedigrotta Bideri del 1915. Bruna Catalano Gaeta racconta che La Leggenda del Piave nacque nella notte tra il 23 e il 24 giugno 1918, e fu scritta su moduli dei telegramma. Il testo conteneva tre argomenti specifici: la marcia dei soldati verso il fronte, la ritirata di Caporetto, la difesa del fronte sulle sponde del Piave,mentre il quarto sarà aggiunto in seguito. Il giorno dopo Mario chiese alla direzione delle Poste il permesso di raggiungere il fronte,ma questo gli fu negato. Allora si sostituì a un collega che ci doveva andare per servizio. Scene dal fronte

25 La canzone del Piave Giunse tra i soldati e con l’aiuto di un amico bersagliere che da civile faceva il cantante con il nome di Enrico Demma, fece ascoltare la sua canzone e distribuì le copielle, volantini di carta stampata con i versi e la musica della canzone. La canzone andò a far parte della Piedigrotta Mario 1918 e fu cantata in forma ufficiale il 20 agosto dello stesso anno al Teatro Rossini di Napoli da Cina De Chammery. Quando dal palco si diffusero le prime note, i molti spettatori in grigio verde, giovani in licenza breve che assiepavano la sala, cominciarono a fare il coro. Conoscevano già La Canzone del Piave, Mario gliela aveva portata in trincea.

26 compose tra le altre, Le Rose rosse, canzone antimilitarista,
La De Chammery concesse un numero impressionante di bis, e da quella sera tutti gli artisti inclusero la canzone nel loro repertorio. Dopo la prima guerra mondiale, oltre al già ricordato Santa Lucia lontana, compose tra le altre, Le Rose rosse, canzone antimilitarista, Balocchi e profumi storia di una madre egoista e, nel 1946, Tammurriata nera, che raccontava la storia di una ragazza napoletana che aveva dato alla luce un bimbo di colore . La sua notorietà gli costò il licenziamento dalle Poste per scarso rendimento, mentre il suo Piave non fu mai dichiarato inno nazionale, per cui E.A.Mario non ricevette compensi dallo Stato. Durante il fascismo la canzone fu modificata perché se alcuni versi erano stati accettati durante le giornate che avevano portato a Vittorio Veneto,la situazione era cambiata dopo il trattato di alleanza con la Germania Concerto di Piedigrotta a Napoli

27 La Canzone del Piave non fu, naturalmente, l’unico motivo cantato
durante la prima guerra mondiale. La musica aiutava i soldati nelle lunghe ore in trincea, durante le poche notti di quiete trascorse nel fango, con la paura del fuoco nemico, e aiutava e sollecitava il pensiero alla casa lont27ana, agli affetti familiari, alla mamma, all’ amata. Molti uomini scoprirono la loro vena lirica in trincea, tra un assalto all’altro, e affidarono a poche note la paura della guerra e la grande voglia di vivere in un mondo in pace. I titoli delle canzoni più conosciute spesso rispecchiano località dove più dura fu la lotta e maggiori le emozioni. Così La canzone del Grappa Monte Grappa tu sei la mia Patria, sopra a te il nostro sole risplende, a te mira chi spera ed attende, i fratelli che a guardia vi stan.. o il Testamento del capitano Il Capitano della compagnia l’è ferito e sta per morir. Manda a dire ai suoi alpini perche lo vengano a ritrovà.. una canzone bella e triste, che ci riporta alla guerra combattuta in alta montagna. Il Monte Grappa

28 Gli italiani lo chiamavano ta-pum, per il rumore
Venti giorni sull’Ortigara Senza il cambio per dismontà Ta-pum, ta-pum, ta-pum non fu solo il titolo di una canzone cantata da tutti i soldati italiani, dal Tonale a Castagnevizza. Era il sibilo della morte, il colpo di un fucile speciale. Il fucile Mannlicher 95 Gli italiani lo chiamavano ta-pum, per il rumore che si udiva nelle trincee: prima lo schianto della pallottola (ta), poi il rumore della detonazione (pum).

29 come canzone goliardica
Giovinezza !, che diventerà l’Inno del Partito Nazionale fascista, era in origine un canto goliardico. La canzone era stata musicata nel 1909 da Giuseppe Blanc su testo di Nino Oxilia ed aveva per titolo Il commiato dei goliardi. Nino Oxilia, scrittore e commediografo, morì al fronte nei giorni di Caporetto. I primi versi erano: Son finiti i tempi lieti degli studi e degli amori; o compagni in alto i cuori, il passato salutiam… il ritornello: Giovinezza, giovinezza Primavera di bellezza, della vita nell’asprezza il tuo canto squilla e va. A Bardonecchia, nel 1910, durante un corso di addestramento per sciatori riservato agli ufficiali degli alpini, Giuseppe Blanc, che partecipava a quel corso, cantò la sua canzone accompagnandosi al pianoforte. Commiato, questo ancora il titolo, fece breccia tra i presenti che lo elessero immediatamente Inno degli sciatori e tornati ai reggimenti a fine corso, la diffusero tra i commilitoni. Come Inno degli Alpini fu cantata ancora in Libia nel 1911. Nel 1917, sempre con la musica di Blanc, ma con le parole di Marcello Manni, un ufficiale degli Arditi,diventò l’ Inno degli Arditi. Nel 1922, ancora con la musica di Blanc e testo di Salvator Gotta, Commiato diventò l’Inno ufficiale fascista. Giovinezza era nata come canzone goliardica

30 Prendiamo in esame infine, tra le tante, un’ultima canzone cantata
dai soldati nel periodo della Grande Guerra. . Monte Nero, Slovenia Il Monte Nero, Krn in sloveno, fu conquistato poco dopo l’inizio della prima guerra mondiale dal 3° Reggimento alpini con un’azione che suscitò ammirazione da parte degli stessi austriaci. Monte Nero è la storia di quell’impresa. Ecco le sue parole: Spunta l’alba del quindici giugno Comincia il fuoco d’artiglieria il Terzo Alpini è sulla via Monte Nero a conquistar Monte Nero Monte Nero Traditore della vita mia Ho lasciato la casa mia Per venirti a conquistar… Il canto prosegue descrivendo la battaglia sostenuta e le fatiche per difendere le posizioni conquistate Monte Nero, Slovenia

31 Posto di osservazione verso il Monte Nero Lungo il percorso.
Oggi, la zona di Caporetto è diventata una meta storico-culturale-turistica, che attira persone di ogni nazionalità Dal Ponte di Napoleone, ricostruito dopo l’attacco del 24 ottobre 1917, inizia un itinerario per visitare, tra l’altro, gli osservatori da dove gli italiani controllavano il Monte Nero e le rive dell’ Isonzo Posto di osservazione verso il Monte Nero Lungo il percorso.

32 Ingresso di un posto di osservazione

33 Scala esterna

34 Scala interna

35 Ingresso di una grotta dove alloggiavano i soldati

36 Il complesso del punto di osservazione visto da fuori

37 Il fiume Isonzo (Soça in sloveno)

38 L’ossario italiano - Vista

39 Altra veduta dell’Ossario

40 Un’ultima immagine del fiume Isonzo….

41 ………e un arrivederci al Vittoriano


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