La pittura gotica in Italia CIMABUE: fra tradizione e innovazione Il Vasari dice di lui che per primo si allontanò dalla “maniera greca” (cioè bizantina), sviluppando il suo percorso artistico verso un tipo di pittura più vicina alla realtà, aprendo così la strada rinnovamento del Trecento. La più antica opera attribuita a Cimabue è la Croce eseguita per la Chiesa di San Domenico ad Arezzo, nella quale è evidente il rapporto strettissimo con le croci di Giunta Pisano. Anche in Cimabue, infatti, il Cristo sofferente è reso come una figura sinuosa, elegante e slanciata, pur nella sua robustezza (si noti l'espansione nella cassa toracica). Permane la definizione anatomica tipicamente bizantina: il ventre è tripartito, i muscoli sono stilizzati, gli angoli degli occhi e della bocca sono allungati a sottolineare la sofferenza. Come nella tradizione bizantina il perizoma presenta ancora preziose dorature. Ma non c’è solo il disegno estremamente nitido e incisivo, poiché nell'incarnato di Cristo il pittore ha dosato un sapiente effetto di chiaroscuro attraverso filamenti di sottilissime pennellate parallele, che conferiscono una vibrazione quasi naturale all'epidermide. La stessa doratura del perizoma di Cristo non irrigidisce la figura ma ne esalta la morbidezza del panneggio e la raffinatezza del nodo. Cimabue, Crocifisso, 1260-70 ca, tempera e oro su tavola, 341 x 264 cm, Arezzo, Chiesa di San Domenico
La ricerca avviata ad Arezzo prosegue nell'altra grande croce attribuita a Cimabue (1275-85 circa), eseguita per la Chiesa francescana di Santa Croce e purtroppo deturpata dall'alluvione che nel 1966 devastò Firenze. In questa grande tavola il pittore fonde in modo personalissimo le componenti bizantine e le suggestioni della classicità. Rispetto al crocifisso di Arezzo scompaiono i duri grafismi anatomici bizantini, per un maggior naturalismo: i muscoli del braccio e dell'avambraccio, ad esempio, non sono più stilizzati con due linee nette semi-circolari che li separano a distanza del gomito; allo stesso modo il ventre non è più geometricamente tripartito, ma dipinto con un tentativo di veridicità anatomica. Si raffina inoltre la ricerca chiaroscurale, sconosciuta alla tradizione bizantina: il morbido incarnato è un intreccio ancor più accurato di sottili velature di colore che scompongono una tonalità nelle sue diverse gradazioni luminose. Il perizoma di Cristo, non più trattato a lumeggiature ma con raffinati effetti di trasparenza, diventa una stoffa serica e leggerissima, che lascia intravedere la volumetria della coscia aggettante. Il Cristo di Santa Croce non è più un'icona astratta, ma colpisce con la sua verità immediata, con la morbidezza del modellato e con l'acutezza delle osservazioni realisti-che, che rendono particolarmente veritiera l'immagine del corpo privo di vita pendente dalla croce. La strada del rinnovamento verso un linguaggio più attento alla realtà era stata tracciata. Cimabue, Crocifisso (prima dell'alluvione del 19661, 1280 ca, tempera e oro su tavola, 448 x 390 cm, Firenze, Museo dell'Opera Croce.
LA MADONNA IN TRONO O MAESTÀ La tensione verso un nuovo modo di dipingere, più attento al dato naturale, mostrata da Cimabue nell'affrontare la tipologia della croce lignea si ritrova anche nell'altro soggetto tipico della pittura duecentesca, la Madonna in trono o Maestà. Attraverso alcuni esempi significativi è possibile comprendere il percorso evolutivo di un genere, i cui risultati verranno più tardi raccolti da Giotto. La fedeltà alla tradizione bizantina Alcuni elementi di novità A metà del Duecento l'iconografia della Madonna in trono è ancora fedele alla tradizione bizantina, come si può vedere nella Madonna di Montelungo. Madre e figlio sono seduti su un trono sontuosamente decorato, in posa frontale e bidimensionali. I volti e le mani sono resi con gli stilemi tipici della tradizione bizantina, il panneggio è sofisticato ma bidimensionale. Il Bambino è raffigurato come un dio-infante, la mano destra nell'atteggiamento benedicente di tradizione bizantina, lo scettro del potere nella sinistra. La sua fissità non è scalfita dall’unico gesto umano: la mano della Madonna che gli solletica il piedino. La Madonna con il Bambino eseguita da Coppo di Marcovaldo, presenta ancora i tradizionali schemi della composizione bizantina: il trono dalla spalliera a forma di lira, il cuscino rosso stretto, i panneggi rigidi e geometrici, ravvivati da lumeggiature dorate. Tuttavia Coppo introduce una significativa variante: le figure non sono più frontali, ma di tre quarti, rivolte una verso l'altra in un muto, umanissimo dialogo. Anche Coppo forza così gli schemi bizantini, contribuendo a preparare la strada il nuovo.
Il rinnovamento di Cimabue Nella Maestà dipinta da Cimabue per la Chiesa fiorentina di Santa Trinita è evidente la capacità dell'artista di rinnovare la tradizione dal punto di vista formale e iconografico, aprendo così la strada alle novità giottesche. Il trono è una struttura tridimensionale, solida e imponente come un’architettura, con i fianchi che si aprono a libro lasciando intravedere le facce interne, scorciate. I gradini presentano un profilo incavato che suggerisce l'idea di spazialità e serve per creare le nicchie nel basamento da cui si affacciano i due profeti Geremia e Isaia, il patriarca Abramo e re David, che discutono animatamente tra loro attraverso il gioco di mani e di sguardi. Gli angeli sono disposti secondo lo schema bizantino ai lati del trono (come le figure dell'angelo e dei santi nella tavola di Montelungo) ma non appaiono più l'uno sopra l'altro, bensì scalati in profondità, uno dietro l'altro. Il viso sorridente della Vergine, rompendo la tradizionale fissità espressiva, dialoga con l'osservatore e il rapporto fra la Madre e il Figlio è tratteggiato con tenerezza e umanità. Anche il volume dei corpi è reso con maggiore realismo, grazie ai panneggi che cadono mollemente in pieghe ampie, senza l'effetto astratto che si aveva in precedenza.
Cimabue Duccio di Buoninsegna Scuola Fiorentina Scuola Senese Elegante linearismo Volume e austera solennità Il trono è più leggero e goticheggiante anche negli intagli; si notino per esempio le bifore che si aprono sui fianchi, che fanno pensare a un'opera di oreficeria, mentre la parte superiore sembra dissolversi in un semplice velo di stoffe preziose. Anche in questo caso la parte anteriore del trono è vista frontalmente, mentre il fianco è scorciato, per accennare alla profondità spaziale. Il trono è una struttura massiccia di dimensioni colossali; sembra sospeso in basso in un vuoto vertiginoso, ed è arricchito da intagli fitti e ageminature. La parte anteriore è vista frontalmente, parallela alla superficie del dipinto, mentre il fianco è scorciato, per dare l'impressione di profondità. I personaggi: il volto di Maria e del Bambino sono solenni, austeri e velati di malinconia. I personaggi: La Madonna ha un'espressione dolce e uno sguardo tenero, mentre il volume del suo corpo sembra farsi astratto, scomparendo sotto la superficie del manto, appena delineato da pieghe morbide e dalla continua e sinuosa bordura dorata, un tremulo arabesco di sapore ormai decisamente gotico. Gli angeli, quasi fluttuanti nell'aria, sono sovrapposti e perfettamente simmetrici. Il colore Duccio predilige colori chiari e luminosi. La veste trasparente del bambino è appena coperta da un prezioso mantello rosso con sottili e fitte lumeggiature dorate, raffinatissimo come il tessuto che fa da fondale al trono. I corpi acquistano volume grazie al panneggio, realizzato con fitte pieghe secche, che ricordano la scultura coeva. Anche gli angeli hanno solidità e volume. Il colore è steso sulla superficie con pennellate brevi e ravvicinate, ottenendo l'effetto di una pelle iridescente e trasparente. Prevalgono i toni scuri, nelle ali degli angeli, nello schienale del trono e nel manto della Madonna. Per tutto il dipinto i colori si richiamano similmente: il grigio-acciaio trasparente del mantello dei due angeli in basso ritorna nel mantello di Gesù, mentre la tunichetta trasparente e ambrata ricorda il bordo del manto di Maria. Duccio di Buoninsegna, Madonna Rucellai, 1285, tempera e oro su tavola, 450 x 290 cm, Firenze, Galleria degli Uffizi. Cimabue, Maestà, 1280 ca, tempera su tavola, cm 424 x 276, Parigi, Musée du Louvre.
Cimabue, Maestà, 1280 ca, tempera su tavola, cm 424 x 276, Parigi, Musée du Louvre. Duccio di Buoninsegna, Madonna Rucellai, 1285, tempera e oro su tavola, 450 x 290 cm, Firenze, Galleria degli Uffizi.
Duccio di Buoninsegna – Maestà – tempera e oro su tavola, parte anteriore 211x426 cm Museo dell’Opera del Duomo di Siena questa parte era dedicata alla visione dei fedeli in origine la pala era inserita in una cornice dorata con cimasa recante cuspidi e pinnacoli era poggiata su una predella anch’essa dipinta con storie dell’infanzia di Gesù rappresenta la Vergine in trono sovrastata da busti di apostoli e circondata da angeli e santi profusione di oro e di tessuti preziosi, le linee sono morbide e sinuose influenza di Giotto nei bracci scorciati del trono nel coronamento vi erano storie della Madonna
questa parte era pensata per la contemplazione del clero narra in 26 riquadri la Passione di Cristo l’astrazione bizantina si è trasformata in raffinatezza gotica (uso della linea sinuosa) più che il realismo e la proporzione interessa maggiormente la simmetria delle forme e l’accostamento dei colori (armoniosi accordi cromatici) nella predella vi erano narrate storie della vita pubblica di Gesù nel coronamento vi erano narrati episodi della vita di Cristo dopo la Resurrezione Accedi al video sulla TECNICA della pittura su tavola https://youtu.be/CDmSSRnoHCw