1. Dal fordismo al postfordismo Tesi di fondo (controversa): alcuni dei più significativi mutamenti politici e sociali della nostra epoca possono essere spiegati alla luce di una trasformazione epocale dei modelli di organizzazione del lavoro; Questa trasformazione è solitamente descritta come una transizione da un modello Fordista-taylorista (Henry Ford e Frederick Taylor) A uno postfordista-toyotista (Toyota) Così definita anche dai suoi critici (ovvero da coloro che sottolineano gli elementi di continuità tra i due modelli)
2. Il fordismo Eredita parte dei suoi caratteri dal secolo precedente (XIX) ma si sviluppa nella sua forma “classica” in un paese (gli Stati Uniti) e in un settore (l’automobile) che rappresentano i simboli del capitalismo contemporaneo Figlio della Seconda Rivoluzione Industriale, conosce il suo periodo d’oro nella prima metà del Novecento, fino ai primi anni Settanta 1913-1973?
2.1. Dalla prima alla seconda Rivoluzione industriale Inghilterra Vapore Carbone Cotone Industria tessile Ferrovia Stati Uniti Elettricità Petrolio Acciaio Industria chimica Automobile, aereo
3. Il contesto storico del fordismo La “questione sociale” e della rappresentanza politica e sindacale dei lavoratori; Sviluppo tecnologico, miglioramento delle condizioni di vita, urbanesimo, la “rivoluzione alimentare” (seconda metà del XIX secolo) Diritti politici e diritti sociali: diminuzione dell’orario di lavoro, divieto del lavoro minorile, crisi del formalismo giuridico (limiti alla libertà di contratto; 1905) Passaggio dallo Stato liberale (minimo) allo Stato sociale
Un segno “giuridico” di questo passaggio: l’art. 3 Cost. (1948) 1. «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» 2. «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.»
Il fordismo e la storia DAL SECOLO BRITANNICO AL SECOLO AMERICANO Gramsci e i “pensionati della storia economica” (clero, esercito, proprietari terrieri, dipendenti statali, intellettuali): negli Usa, era possibile una razionalizzazione della produzione attraverso la COAZIONE (es. Pinkerton) e CONSENSO (salari e propaganda dell’american way of life)
Il fordismo e la società Rigida separazione tra tempo di vita e tempo di lavoro (8/8/8; Gramsci e il proibizionismo USA) “Totale integrazione del proletariato nel rapporto salariale” (Alain Bihr): Scomparsa della produzione domestica (la famiglia come unità di consumo mercantile) Imposizione di uno standard medio di consumo (diffusione universale di alcuni beni di consumo) Il “salario indiretto” garantito dallo Stato (sicurezza, assistenza, ecc.)
Il fordismo e la società del lavoro Una “mutazione antropologica”: la “società del lavoro” e delle macchine; i lavoratori delle grandi fabbriche come simbolo della “classe operaia” (a dispetto dei numeri) e l’obiettivo della piena occupazione (in economia, KEYNES) la fabbrica come modello per la totalità delle relazioni sociali: dall’organizzazione del lavoro all’organizzazione della società
Highland Park (Michigan), 1913 Catena di montaggio: linea di assemblaggio motorizzata che metteva in serie tutte le fasi del processo produttivo Standardizzazione e ripetitività dei compiti Riduzione delle incertezze e cause di disturbo Enorme aumento della produttività (output per unità di tempo) FORD MODELLO T
Alcuni numeri del modello T 140 assemblatori in una linea lunga 150 piedi (45 metri) Tempo necessario alla produzione di un veicolo: da 12h 30’ a 5h 50’ Operai pagati 5 dollari al giorno (quasi il doppio) per lavorare un’ora in meno, con solo due giorni di formazione! Le prime vetture costavano 850 dollari contro una media di 2/3000 dei concorrenti Prodotti oltre 15 milioni di esemplari fino al 1927 Tra il 1915 e il 1925, metà di tutte le auto in circolazione negli Usa erano Ford modello T
I tre principi di Highland Park Il lavoro deve andare al lavoratore, non viceversa Il lavoro possiede una sequenza ordinata e specifica, tale che ogni attività successiva è la continuazione della precedente Ogni attività può essere scomposta fino alle sue componenti più semplici
Il fordismo e i lavoratori Meglio gli uomini sposati e con figli che i singles; Licenziamenti ad nutum e alto turn over; Sul lavoro gli operai non potevano parlare tra loro; Non si poteva bere neppure fuori dall’orario di lavoro; Utilizzo di corpi ispettivi aziendali investigatori privati per lottare contro la «depravazione alcolica e sessuale» ed eliminare qualsiasi tentativo di sindacalizzazione;
Henry Ford “Gli americani possono scegliere una Ford del colore che vogliono, purché sia nero” “Gli uomini lavorano per due ragioni: una è la paga, l’altra è la paura di perdere il posto di lavoro” “Tutto ciò che si produce si vende” “Se i prezzi sono abbastanza bassi, si troveranno sempre compratori. Questa è una delle verità elementari del mondo economico” “Lo scopo della politica dei 5 dollari per 8 ore al giorno non è solo assicurarsi un atteggiamento cooperativo dei lavoratori relativamente alla disciplina necessaria per l’efficacia del sistema delle linee continue di assemblaggio, ma è anche fornire ai lavoratori un reddito e un tempo libero sufficiente per consumare i prodotti realizzati dalle grandi imprese in quantità crescenti”
Frederick Taylor e lo scientific management (1911) Selezione scientifica degli operatori Analisi e misurazioni oggettive dei tempi di lavoro (time and motion studies) in cerca dell’ ONE BEST WAY Separazione tra pianificazione, analisi, decisione ed esecuzione Eliminazione di ogni “deviazione” da parte degli operatori rispetto ai compiti prescritti
(segue) Taylor e il “gorilla ammaestrato” “ben difficilmente si trova in uno stabilimento un solo operaio, sia egli impiegato a giornata, a cottimo, a contratto, oppure in base a qualunque altro criterio, che non dedichi gran parte del proprio tempo a studiare fino a qual punto egli può rallentare il ritmo di lavoro, dando pur sempre l'impressione di lavorare a un ritmo soddisfacente” Gli operai sono “pigri per natura”
Il fordismo e la fabbrica Riorganizzazione orientata alla produzione di beni di consumo di massa Scientific management (TAYLOR) + catena di montaggio (FORD) = aumento di produttività Impresa a forte integrazione verticale (controllo diretto da monte a valle della più ampia porzione possibile del processo produttivo) = meno disturbi esterni ma costo elevato
4 caratteri del fordismo La filosofia (ossessione) della CRESCITA: 1. Carattere illimitato del mercato e primato della produzione; 2. ricorso sistematico all'economia di scala; 3. concezione dualistica (conflittuale), della fabbrica e della produzione; 4. Territorializzazione del capitale in una dimensione nazionale;
1. Il mercato “infinito” Nella diffusione di beni di consumo durevoli e nuovi, gli unici limiti sono dettati dalle capacità produttive (tra cui la forza lavoro); L’unico altro limite è dato dal potere d'acquisto (la domanda), ossia è possibile uno squilibrio tra produzione crescente e salari stagnanti (crisi di sovrapproduzione: il grande crollo del 1929) ma è un limite esterno, artificiale, rimuovibile con la diminuzione dei prezzi, aumento dei salari, o politiche pubbliche di sostegno della domanda (Keynes);
1. (segue) Il mercato infinito LA PRODUZIONE PRODUCE IL MERCATO, ovvero: «tutto ciò che si produce si vende», (Ford). Da qui deriva che: è l’impresa che decide quali beni saranno prodotti e venduti fase fondamentale è la progettazione del prodotto (che sarà venduto magari per dieci anni) la fabbrica è un elemento centrale della società: la sua razionalità tecnica e pianificatrice deve essere estesa al sociale, ovvero l’organizzazione della fabbrica può essere estesa e replicata in quell’unità sociale più ampia che è la società (la politica si riduce così a organizzazione efficiente)
Se la quantità è infinita, i costi sono pari a zero! 2. L’economia di scala (ovvero, neutralizzare i costi, dilatando i volumi) Se la quantità è infinita, i costi sono pari a zero! Di qui: il gigantismo degli impianti, la centralizzazione delle operazioni le vaste aree improduttive: scorte e tempi di attesa enormi fino al 20-30% di lavoratori non direttamente impegnati nella produzione (ma nella pianificazione-comunicazione- controllo delle operazioni produttive) FIAT - Mirafiori
2. Economia di scala (segue) 1. Tempi lunghi dalla progettazione del prodotto alla sua realizzazione (e corrispondenti cicli lunghi di vita del prodotto) anche per questo gli interventi di processo erano in parte sottratti al controllo di produttività 2. Il principio organizzativo della fabbrica fordista era di tipo burocratico-militare: gerarchie aziendali e gerarchie militari erano del tutto simili: strutture rigide e piani immodificabili nel breve periodo, programmazione precisa e insensibile ai disturbi; modello di decisione autoritario (top-down)
3. Concezione dualistica (conflittuale) della produzione Nella fabbrica si confrontano due entità portatrici di interessi naturalmente contrapposti ("spremere" vs. "resistere") Gli uomini lavorano per due ragioni… (Ford) Rivelare le potenzialità produttive “consapevolmente occultate dall’operaio” (pigro per natura: Taylor) L’atto produttivo è l’esito di una lotta (tra il potere di direzione dell’imprenditore e la legittima resistenza del lavoratore)
3. Concezione dualistica della produzione L’analisi di Gramsci in Americanismo e fordismo (22° quaderno dal carcere, 1934) La stessa volontà di creare un “gorilla ammaestrato” può indurre a un corso di pensieri poco conformisti Il fordismo non è solo un modo di produzione di merci, ma il tentativo di creare “un tipo nuovo di lavoratore e di uomo” (vedi il proibizionismo, l’incoraggiamento alla monogamia, il controllo pervasivo di ogni aspetto della vita, incoraggiato da Ford) Fascismo e fordismo come due diverse reazioni (una regressiva, la seconda razionale) delle classi dominanti alla “crisi organica” del capitalismo nel Novecento
4. La territorializzazione del capitale Il grande stabilimento è vincolato allo spazio, (e dunque il capitale al territorio) >>> Nazionalismo economico Il presidente della GM, Wilson (e Valletta per la Fiat): “Ciò che è bene per la GM, è bene per gli Usa” lo spazio dell'economia e lo spazio della politica coincidono Industrie nazionali «strategiche» e mercati stranieri da conquistare Di qui l'importanza delle politiche economiche, la dimensione immediatamente politica del conflitto tra capitale e lavoro (mediato dallo Stato, attraverso la c.d. concertazione)
Un passaggio di paradigma? Dalla metà degli anni Settanta, alla filosofia della crescita viene contrapposta la consapevolezza del limite (evento simbolo: la crisi petrolifera del 1973) Netta separazione tra sviluppo e crescita: il capitale deve imparare a svilupparsi SENZA crescere Dal 5% annuo di crescita mondiale (50-70), al 3,4% (80), allo 0,9% (90) nonostante la produttività abbia continuato a crescere al 4% (e alcune realtà come la Cina sono cresciute per anni a un tasso dell’8-10%) Dagli anni ’80: aumento della competizione internazionale: libera circolazione delle merci e dei capitali (globalizzazione commerciale, produttiva, finanziaria)
Il postfordismo (toyotismo) I quattro punti del paradigma fordista vengono esattamente rovesciati: Saturazione dei mercati Produzione snella (o flessibile) Concezione monistica (egemonica) della produzione Deterritorializzazione del capitale
1. Saturazione dei mercati In Italia, 1.500 telefonini, oltre 600 auto per 1000 abitanti Qual è il tetto fisico? Mercato di sostituzione dei principali beni di consumo Esaurimento delle risorse fisiche, energetiche Ma il modello occidentale non è universalizzabile, anzi esso si mantiene CONTRO il resto del mondo (produttori ma non consumatori) Competizione globale tra i produttori ma mercati limitati (in espansione solo in aree limitate) Forte spinta all’innovazione (rapida obsolescenza) LIMITE INTERNO? (non rimuovibile)
1. Il mercato dell’auto 20 milioni di auto circolanti prima della Seconda Guerra; (incremento medio annuo del 10%; raddoppio ogni decennio) 53 mln nel 1950; 98 mln nel 1960; 195 mln nel 1970; MA SOLO 400 nel 1990 (non 800) (di cui l'81% in Europa, Usa, Canada e Giappone: mercato "saturo", di sostituzione) Oltre l’80% dell’umanità è appiedato (un terzo dell’umanità non ha accesso all’elettricità, due terzi non hanno mai fatto una telefonata)
(segue) La produzione mondiale di auto Auto+VC (in migliaia) 1999 2007 2008 2010 2014 Usa 13.024 10.780 8.693 7.761 11.660 Giappone 9.895 11.596 11.575 9.625 9.774 Germania 5.687 6.213 6.045 5.905 5.907 Cina 1.829 8.882 9.299 18.264 23.722 ITALIA 1.701 1.284 1.023 857 697
"Motor Vehicle Production 1950 2013" by Masaqui - Own work.
1. La saturazione dei mercati Il limite alla produzione è oggi INTERNO per ragioni sia sociali, sia “tecniche” La produzione si muove in un ambiente anelastico (non produce più il mercato) Il mercato è ora la vera VARIABILE INDIPENDENTE colla quale la produzione deve misurarsi (non è più vero che tutto ciò che si produce prima o poi si vende)
1. La saturazione dei mercati Impone una dimensione temporale ridotta: la produzione non può dunque più essere pianificata sul lungo periodo Deve invece procedere per prove ed errori (razionalità processuale), ovvero rispondere in maniera elastica ai rapidi aumenti e cadute della domanda Porta a una ipercompetizione: richiede imprevedibilità, irrazionalità (logica della guerriglia anziché guerra di posizione; anche chi sta vincendo deve saper cambiare le regole)
2. La produzione snella (lean production) o “doing more with less” Taiichi OHNO, Lo spirito Toyota, 1988, e il Toyota production system (dagli anni Cinquanta) Una rivoluzione organizzativa per “sopravvivere un'epoca di crescita lenta”, in cui «un sistema produttivo basato sulla quantità [...] non è più funzionale» (soprattutto in Giappone) L'unica soluzione è una feroce riduzione degli sprechi: tempi morti, semilavorati fermi, sfasature tra commissione e produzione, tra produzione e consegna
8 tipi di sprechi (muda) sovra-lavorazione, compiere più lavorazioni di quelle richieste dal cliente sovra-produzione, produrre più unita' di quelle richieste dal cliente ri-lavorazione, compiere più volte un processo o parte di esso per eliminare errori a monte giacenza, in generale lo stock puo' essere definito come spreco intelletto, non utilizzare/esprimere idee migliorative/capacita' degli operatori trasporto, spostamento di materiale inutile movimento, spostamento/movimento inutile compiuto dall' operatore attesa (tempi morti)
La produzione snella secondo Ohno Produzione accorciata e sincronizzata: meno passaggi, meno tempi morti Produzione senza scorte, i pezzi arrivano solo dove e quando servono (JUST IN TIME) Per la forza lavoro: da mansioni puramente esecutive a controllo + risoluzione dei problemi
2. La produzione snella (segue) Revelli: Il sistema Toyota sottopone l'organizzazione aziendale, il corpo dell'impresa allo stesso trattamento cui Taylor aveva sottoposto il corpo del singolo operaio: la razionalizzazione del tempo di lavoro è estesa a tutta la fabbrica (un “tubo di cristallo”) Mettendo la fabbrica “in trazione” vengono a galla le “sacche di grasso” (aree improduttive) Estremizza il concetto di INTEGRAZIONE tra le varie fasi, effettuato non attraverso un controllo esterno (il cronometrista) ma attraverso lo stesso funzionamento produttivo (è nella “forza delle cose”)
2. Le conseguenze della produzione snella sull’occupazione Una parte considerevole dell’antico apparato burocratico diventa inutile (magazzinieri, controllori, gestori del personale); Si rompe definitivamente il rapporto (già prima non direttamente proporzionale, grazie alla continua crescità della produttività) tra produzione e occupazione; nel nuovo modello produzione e disoccupazione crescono insieme! (“jobless recovery”) La qualità totale adottata dalla Fiat nel 1989, provocò il licenziamento di quadri e funzionari, accorciando la catena gerarchica, assottigliando la struttura burocratica, incaricata della programmazione logistica
2. La produzione snella come rovesciamento del modello fordista? Pensare all’inverso (rovesciare il punto di osservazione) La comunicazione da valle a monte: il flusso informativo va controcorrente rispetto a quello produttivo, permettendo di adeguare quest’ultimo alla domanda Di qui il KANBAN (cartellino con cui una squadra ordina al reparto a monte i pezzi che le saranno necessari nelle ore successive): la produzione si autoregola, non si pianifica La comunicazione non è più sovrapposta al processo di lavoro ma è parte integrante di essa Decisioni decentrate e in tempo reale (contro la separazione taylorista tra pianificazione ed esecuzione)
La sovrapposizione tra comunicazione e produzione La produzione richiede la comunicazione, lì dove il modello fordista tendeva ad eliminare qualsiasi rumore di fondo, considerato un disturbo; La comunicazione del lavoratore è una risorsa La comunicazione da valle a monte comprende la distribuzione dei prodotti (cfr. i lettori ottici nei supermercati)
2. Produzione snella (riassunto) Spostamento del focus dalla produzione alla distribuzione (in maniera diversa per settori merceologici) La produzione non produce il mercato, ma l’offerta deve inseguire ed adattarsi in tempo reale alla domanda (anche in fabbrica) Questo impone di strutturare il processo produttivo nel modo più flessibile possibile, evitando qualsiasi rigidità (dai macchinari alla forza lavoro) Non più “gorilla ammaestrati” ma una forza lavoro che sappia leggere il flusso di informazioni, adattarsi ai cambiamenti, lavorare comunicando
3. Concezione monistica (egemonica) della produzione La produzione non è più vista come l’esito di un conflitto ma come il risultato di un processo organico ed unitario Il principio dell’autoattivazione e quello del lavoro di squadra (teamwork): distribuzione delle responsabilità ma anche del controllo; Non c'è più il dogma della continuità assoluta del ciclo lavorativo; i lavoratori hanno margini di decisione e possibilità di intervento: possono arrestare la catena di montaggio, segnalare eventuali innovazioni. Parole d'ordine (ambigue) “Decentramento del controllo”; “avvicinare la discrezionalità al luogo dell’incertezza”
3. Conseguenze sulla forza lavoro Le linee a U della Toyota + Unità tecnologiche elementari (Ute), strutture polimorfe (guidate da un “capo”) che possono mutare le mansioni in base alle esigenze (>>> assegnate al team!) Rotazione e ampliamento mansioni ma anche disponibilità alla mobilitazione totale, senza schemi rigidi: la forza lavoro deve interpretare i segnali provenienti dall'esterno e sapersi adattare ad essi; L'informalità domina, ma essa richiede un alto grado di adesione spontanea del lavoratore nell'impresa come comunità
Es. Le UMI alla Olivetti (1971)
Es. Le UMI alla Olivetti (1971)
MAGGIORE AUTONOMIA DEL LAVORO? Le nuove condizioni di lavoro riportano "la persona" al centro delle rivendicazioni? Migliorano le condizioni di lavoro? CONTRO: Le decisioni “delegate” sono solo quelle NON strategiche; la struttura può permettersi di essere democratica soltanto perché (e finché) i fini sono ampiamente condivisi L'orizzonte dell'autonomia si riduce a quello della fabbrica; Il rapporto di lavoro si personalizza, incentrandosi sulla fedeltà personale.
Una visione “critica” del postfordismo Dal controllo esercitato al controllo esercitabile (Foucault e l’analisi del Panopticon) Management by stress (vedi il metodo andon – fabbrica GM- Toyota in Usa, e la velocizzazione progressiva della linea) Il cronometro passa nelle mani del lavoratore La peer-pressure (pressione sociale tra pari): vedi la scelta di non sostituire i lavoratori assenti
Il metodo andon Un tabellone luminoso e facilmente visibile da tutti indica i pezzi lavorati e (su segnalazione degli operai) eventuali ritardi di lavorazione (VERDE, GIALLO, ROSSO) Se il segnale resta acceso per più di un determinato periodo (es. un minuto) tutta la linea si ferma N.B. l’ideale NON è la completa assenza di segnalazioni (perché ciò indicherebbe un ritmo inferiore a quello possibile) Consente aggiustamenti continui e una progressiva velocizzazione della linea MA anche una precisa taratura dei compiti (SENZA cronometrista) Si basa anche su una notevole PRESSIONE TRA PARI (e sul caposquadra, che ha il compito di rimediare)
«Tutto si muoveva in maniera liscia sulla nostra linea quando arrivo Mr. Ohno e gli ho fatto vedere la produzione. Nessun andon si è acceso per indicare problemi, e la linea non si è mai fermata. Stavo iniziando a preoccuparmi. E, naturalmente, anche Mr. Ohno sembrava irritato quando siamo arrivati più o meno a metà della linea. “Avete troppe persone sulla linea. Dovete sempre mettere tante persone sulla linea fino al livello in cui essa si ferma intorno a 10% del tempo. Quello è l’unico modo per assicurarsi che i problemi saltano fuori. Le persone pensano che tutto è perfetto se la linea si sta muovendo. Ma ciò è profondamente sbagliato. Anche se state operando al 98%, avete troppe persone sulla linea. Non potete permettervi di essere orgogliosi di una linea che continua a muoversi».
Alcune contraddizioni del nuovo modello / La soggettività La nuova "fabbrica integrata" ha un inedito bisogno della soggettività della forza lavoro: la vecchia logica burocratica in fondo serviva proprio a escluderla Cosa fare di fronte ad un'infedeltà, ad una caduta di motivazione? Al potere legale si sostituisce quello carismatico, e la maggiore instabilità è aggravata dal fatto che un sistema così perfettamente sincronizzato è particolarmente vulnerabile Ma è difficile “capitalizzare” questo potere, data la frammentazione della forza lavoro
Alcune contraddizioni del nuovo modello Aumenta la forbice tra aspettative sollecitate (autonomia, creatività) e aspettative soddisfatte (controllo concreto e impersonale) Aumenta il divario tra esigenze produttive e quelle occupazionali (tutta la competitività acquistata dal capitale va a spese del lavoro)
4. Deterritorializzazione del capitale Globalizzazione commerciale (aumenta l’importanza dei mercati esteri rispetto a quello nazionale) Globalizzazione produttiva (aumentano le parti del ciclo produttivo dislocate all’estero) Globalizzazione finanziaria (aumenta la circolazione dei capitali con i quali le imprese finanziano i propri investimenti) – diversa è invece la finanziarizzazione: aumento del capitale finanziario rispetto al capitale produttivo
4. Deterritorializzazione 5 fasi nell’integrazione globale dell’impresa (OHMAE 1990) Export attraverso commercianti o distributori locali Distribuzione in proprio all’estero Produzione, marketing e vendite in alcuni mercati esteri Trasferimento all’estero dei settori chiave (R&D) Scioglimento orizzontale dell’impresa-network
Un esempio di “merce globale” (Robert Reich, ministro Lavoro Clinton) “Il cittadino americano che, ad esempio, compera dalla General Motors una Pontiac Le Mans si impegna inconsapevolmente in una transazione internazionale. Dei 10.000 dollari pagati alla GM, circa 3000 vanno alla Corea del Sud per montaggi e lavori eseguiti da operai generici, 1750 dollari vanno al Giappone per componenti avanzati (motori, alberi di trasmissione ed elettronica), 750 dollari alla Germania occidentale per la progettazione stilistica e tecnica, 400 dollari a Taiwan, a Singapore e ancora al Giappone per l'acquisto di piccoli componenti, 250 dollari alla Gran Bretagna per servizi pubblicitari e di marketing e circa 50 dollari all'Irlanda e alle Barbados per l'elaborazione dati”
4. Deterritorializzazione Sciogliere il legame tra capitale e territorio Make or buy? BUY! Race to the bottom e dumping fiscale Delocalizzazione alla ricerca delle condizioni migliori? non necessariamente all’estero (Melfi) Non più economie nazionali più o meno integrate ma “a single world-wide capitalist system”
Una svolta epocale? Si rompe un nesso storico tra economia capitalista e stato nazionale: fino alla seconda metà del XX secolo: lo stato favoriva la formazione di un mercato nazionale, svolgeva i compiti non redditizi, redistribuiva la ricchezza attraverso la leva fiscale La burocrazia dell’impresa era modellata su quella statale “Il potere economico detta ora le regole all’antico sovrano” I vecchi “campioni nazionali” non hanno più bisogno di un mercato di riferimento; ma la politica resta ineluttabilmente legata “al territorio” (alle regole della rappresentanza) Scelte politiche soggette al “voto” dei mercati / gli investitori possono chiedere e ottenere un cambiamento delle regole (cfr. gli accordi sulla protezione degli investimenti e il TTIP)
Cause ed effetti “visibili” del postfordismo Segmentazione, precarizzazione, deregolazione del mercato del lavoro (anche qui in contrasto con la logica “universalista” del modello fordista) Scomparsa del confine interno/esterno (all’impresa) Crisi (irreversibile?) del modello tradizionale di relazioni industriali (la c.d. concertazione triangolare, Stato-imprese-sindacati) Crisi fiscale dello «Stato del benessere»
Una lettura alternativa La finanziarizzazione delle imprese come chiave di lettura delle trasformazioni organizzative avvenute negli ultimi trent’anni Spostamento dell’attenzione dalla sfera della produzione alla sfera dell’accumulazione: D-M-D / D-D TESI: la grande impresa non risponde più allo schema classico della separazione tra proprietà e controllo (Berle e Means, The Modern Corporation and Private Property, 1932), che prevedeva il “dominio dei manager” I mercati finanziari hanno invece imposto un prepotente “protagonismo degli azionisti” (o dei mercati)
Un altro postfordismo? Non una risposta “razionale” ed “efficiente” alla globalizzazione e alla saturazione dei mercati; l’impresa da soggetto produttore di merci a portafoglio di investimenti Effetti “collaterali” delle trasformazioni in corso: accentramento del coordinamento e del controllo (non decentramento), dismissione di risorse produttive, declino della capacità di innovazione Le trasformazioni organizzative sono state provocate dall’esigenza di sostenere il valore dell’impresa e delle sue unità di business sul mercato finanziario; Cause storiche: il declino dei profitti nei paesi occidentali a partire dagli anni 70 ha spostato masse crescenti di capitale dalla produzione all’investimento finanziario
Il “finance-based model” Il modello dei paesi anglosassoni e delle grandi imprese transnazionali va adattato all’Italia (capitalismo familiare / centrato sulle banche e non sul mercato) Finanziarizzazione: dell’economia e dell’impresa Dalla “rivoluzione tecnocratica” di Berle e Means (1932), fondata sulla separazione tra proprietà e controllo, al “capitalismo degli investitori” (Useem 1996) anche attraverso il nuovo ruolo dei CDA L’impresa da oggetto di proprietà privata a nesso di contratti per la gestione di fattori della produzione: i manager come “agenti” degli azionisti Il profitto non come differenza tra ricavi e costi ma come differenza di valore azionario nel tempo
I dilemmi delle imprese finanziarizzate Breve/lungo periodo Creazione di valore/produttività La necessità di “rispondere” ai mercati influenza i metodi di gestione della contabilità, la scelta del management, ma soprattutto le scelte strategiche: la segmentazione del processo produttivo / l’abbattimento delle dimensioni occupazionali / la focalizzazione sul core business (sulle attività ritenute attraenti dagli investitori)
Gli effetti sulle “risorse umane” Contro la retorica dell’appartenenza “organica” dei lavoratori al contesto produttivo, la tendenza è di adattare le “risorse umane” ai bisogni; Trasformare i costi fissi in variabili: il lavoratore deve essere “indefinitamente sostituibile”; le unità di impresa non indispensabili devono essere dismesse per generare liquidità investibile sui mercati L’esternalizzazione finisce per estendere alle imprese medie e piccole il processo di finanziarizzazione (attraverso il controllo inter- imprenditoriale, più efficace di quello gerarchico “interno”)