Linguaggio, comunicazione e cultura. Si stima che oggi esistano nel mondo oltre cinquemila lingue e almeno altrettante culture di riferimento.
Siamo così abituati a vivere nel nostro mezzo culturale che lo riteniamo “naturale”, ovvio e scontato, come se fosse universale. Ogni cultura, infatti, tende a porsi al centro del mondo e a pensarsi come metro di valutazione e di misurazione di tutte le altre culture. Inoltre, è proprio la cultura che ci guida nell’attribuzione del significato alla realtà. Secondo Geertz (1983), l’ essere umano “è un animale sospeso nella ragnatela dei significati che egli stesso ha tessuto” e la cultura è questa ragnatela. La cultura è comunicazione, è un prodotto dell’interazione umana, per esistere o sopravvivere deve essere trasmessa da una generazione all’altra: essa è pubblica e non è unicamente nascosta nella mente degli individui. Insomma l’uomo crea la cultura ma, allo stesso tempo, deve essere capace di interpretarla. E qual è il mezzo privilegiato dell’interazione (ed interpretazione) umana? È certamente il linguaggio.
Fra il linguaggio e la cultura esiste un rapporto molto stretto, al punto tale che si può affermare che la lingua incarna la cultura. (L.Anolli, Psicologia della cultura, Mulino, Bologna, 2004) Imparare a parlare una lingua significa anche imparare a usare le categorie mentali, le forme del pensiero, certe espressioni caratteristiche per una certa cultura. I termini in questione sono tre: la lingua, il pensiero, la cultura. In psicologia abbiamo due filoni di ricerca che si sono occupati del complesso rapporto fra lingua e cultura, cercando di individuare le connessioni intrinseche e reciproche di questo rapporto. Si sono realizzati aspri dibattiti scientifici fra la posizione innatista di Chomsky, da un lato, e la teoria della relatività linguistica di Sapir-Worf, dall’altro.
Come impara a parlare il bambino? La prospettiva innatista di Chomsky La posizione innatista e anticulturalista di Chomsky presuppone la presenza di una proprietà della mente umana che consente a una persona di acquisire una lingua in condizioni di semplice esperienza e che può spiegare l’omogeneità dei processi linguistici in tutti gli esseri umani. Egli parla di un “organo del linguaggio” definito geneticamente, il cosiddetto LAD – dispositivo di acquisizione linguistica. Egli suddivide ogni lingua in due strutture: superficiale e profonda. La prima riguarda l’articolazione e la seconda spiega la capacità di ogni bambino di imparare una lingua nell’arco di due o tre anni e la capacità di produrre e comprendere un’infinità di espressioni nuove mai incontrate prima. Senza questo dispositivo innato il bambino non avrebbe né tempo sufficiente né stimoli per poter imparare una lingua. In questa prospettiva Chomsky presuppone che il pensiero dia forma al linguaggio.
Opposta è la visione di Whorf, fondatore della teoria della relatività linguistica: “Gli esseri umani segmentano la natura secondo le linee indicate dalla loro lingua materna, il mondo si presenta come un flusso caleidoscopico di impressioni che devono essere organizzate dalle nostre menti e ciò avviene attraverso i sistemi linguistici. I parlanti delle lingue diverse sono orientati dalla loro lingua verso differenti tipi di osservazione e differenti valutazioni di eventi esterni simili, di conseguenza essi giungono, in qualche modo, a una differente visione del mondo.“ Ne consegue: 1) il mondo è concepito in modo diverso da coloro che si servono di linguaggi dalla struttura dissimile; 2) la struttura del linguaggio è causa di queste diverse concezioni del mondo.
Oggi molti studiosi si pongono questo tipo di domanda, è sostenibile l’ipotesi lingue diverse pensieri diversi ? Una delle più autorevoli figure in questo campo è Anna Wierzbicka. In uno dei suoi ultimi lavori “ Capire le culture attraverso le loro parole-chiave. Inglese, Russa, Polacca, Tedesca e Giapponese” [Understanding Cultures Throught Their Key Words], edito dalla Oxford University, esamina come alcune parole universali amicizia, libertà, verità, giustizia, potere, patria ecc., assumano significati assai diversi nelle varie culture. Vediamo la parola libertà. Nella cultura latina libertas, denota lo stato giuridico, in altre parole, una persona non è schiava e le sue decisioni dipendono da lei stessa e non da altri o dalle forze esterne, e infine, libertas significa anche avere il controllo della propria vita. Al termine inglese freedom, oltre al significato latino di libertà in senso positivo, si aggiunge il significato di libertà in negativo, cioè non fare le cose che non desidero fare.
Il termine russo svoboda, oltre a significare libertà in positivo che in negativo, implica anche il concetto di rilassamento, di benessere, di facilità, di essere a proprio agio. È potersi muovere in uno spazio infinito, di “estendersi ovunque”, senza restrizioni né vincoli di qualsiasi tipo. Questa particolarità di significato nella lingua russa, tra l’altro, richiama il famoso concetto dell’anima russa, della russianità, spesso citato nei lavori dell’ importante filosofo Nicolaj Berdiaev: “ …gli spazi infiniti russi si trovano all’interno dell’anima russa e hanno su questa un potere enorme”. E poi: ”L’uomo russo è vasto, vasto come la terra russa, come i campi russi”. E ancora: “Il russo non conosce la strettezza dell’europeo, il quale concentra la sua energia nello spazio limitato della sua anima, il russo non sa che cos’è la parsimonia, l’economia del tempo e dello spazio, l’intensità della cultura. Il potere della vastità sull’anima russa fa nascere una serie di qualità e difetti tipicamente russi. La pigrizia russa, la spensieratezza, la mancanza di iniziativa, lo scarso senso di responsabilità sono collegati proprio a questo.” Infine, nella cultura polacca il temine wolność, oltre a indicare la libertà personale, come nelle culture appena citate, significa indipendenza nazionale e libertà politica.
A sua volta anche il lessico emotivo è molto differente da una lingua all’altra e da una cultura all’altra. Le parole tristezza in italiano e tristesse in francese rappresentano un sentimento più che un’emozione vera e propria, la stessa cosa in russo per il termine grust’. In inglese, invece, sadness è un’emozione a tutti gli effetti. (Rispetto ai sentimenti le emozioni, infatti, sono meno durature e la loro attivazione dipende da un evento. I sentimenti, invece, non sono dipendenti dagli eventi, per questo motivo possiamo soffrire di non poterci rallegrare quando un evento è gioioso, o viceversa.) Un’altra ipotesi che conferma la teoria di lingue diverse pensieri diversi è che la lingua coincide con il mondo dell’esperienza in quella data cultura. Cioè, i limiti del linguaggio sono i limiti del mondo. Un esempio classico è rappresentato dal grande numero di termini che la lingua eschimese possiede per descrivere la neve.
E anche se si può affermare che non tutto il pensiero si manifesti attraverso il linguaggio, che il pensiero sia qualcosa di assai più complesso di quanto il linguaggio possa esprimere e che alcuni processi come percezione, rappresentazioni senso-motorie, immaginazione, esperienze emotive costituiscano forme di pensiero che rimangono, almeno in parte, indipendenti dal linguaggio, nonostante ciò, si può sostenere che i parlanti elaborino dei modi di pensare differenti fra loro (L.Anolli, op.cit). Perciò diventa evidente che imparare una lingua straniera significa anche acquisire un nuovo punto di vista sulle cose, essere più ricchi di risorse e potenzialmente capaci di interpretare e comprendere diverse situazioni ed eventi della vita.