L’ASCESA DI CESARE Caio Giulio Cesare, nato nel 100 a.C., apparteneva all’antica, nobile famiglia degli Iulii, che si vantava di discendere da Enea, figlio di Venere. Durante la guerra civile, aveva sostenuto i populares, salvandosi dalle proscrizioni solo grazie alle numerose amicizie aristocratiche. Pur essendo nobile, tuttavia, la sua famiglia si trovava in disastrose condizioni economiche, per risollevare le quali, con grande abilità, Cesare si alleò con Crasso, che non solo finanziava le sue campagne politiche, ma pagava i debitori che lo perseguitavano. Crasso, a sua volta, era un uomo di scarsa abilità politica e di ancor più scarsa popolarità, il quale doveva il suo potere unicamente alle ingenti ricchezze personali, che gli permettevano di controllare le elezioni.
Pompeo, una volta rientrato dalla guerra contro Mitridate, era rimasto profondamente deluso dal comportamento del senato che aveva respinto le sue richieste (terre ai veterani; ratifica dei provvedimenti da lui presi in Asia Minore), limitandosi a tributargli il trionfo. Nel 60 a.C., Cesare (che aspirava al consolato), Crasso e Pompeo si resero conto che, alleandosi tra di loro, avrebbero potuto raggiungere i loro obiettivi, superando l’ostilità del senato. In quell’anno, dunque, i tre strinsero a Lucca un accordo noto come primo triumvirato. In realtà, si trattava di un puro e semplice accordo personale, secondo cui Pompeo avrebbe appoggiato la candidatura di Cesare al consolato per l’anno 59 a.C., Cesare avrebbe fatto approvare i provvedimenti di Pompeo, Crasso avrebbe sostenuto presso gli esponenti della classe finanziaria la distribuzione delle terre ai veterani di Pompeo.
Eletto console nel 59 a.C., Cesare onorò gli impegni presi con Pompeo e con Crasso. Oltre alla distribuzione di terre ai veterani di Pompeo, Cesare ottenne che si distribuissero terreni anche alla plebe. Cesare inoltre stabilì che i verbali delle sedute delle assemblee e del senato venissero resi pubblici ed abolì la pratica di prendere gli auspici prima delle assemblee legislative. Durante il consolato, Cesare si era assicurato il comando proconsolare nella Gallia Cisalpina e nell’Illirico. In seguito, ottenne il governo della Gallia Narbonense (l’attuale Provenza), una regione assai turbolenta, ma proprio per questo interessante agli occhi di Cesare. Egli sognava di portare i confini di Roma sempre più a nord e ad ovest nella Gallia libera, oltre i confini della Narbonense. Prima di lasciare Roma, però, pensò di allontanare dalla città i suoi nemici optimates, Cicerone e Marco Porcio Catone (il pronipote del celebre Catone il Censore).
L’occasione che Cesare aspettava per muovere guerra contro le popolazioni galliche giunse quando gli Elvezi, che occupavano l’attuale Svizzera occidentale, incalzati dalle popolazioni germaniche degli Svevi e dei Sequani, iniziarono a premere sui confini degli Edui, una tribù gallica libera, stanziata ad occidente del territorio elvetico. Di fronte al pericolo, gli Edui, alleati dei Romani, chiesero aiuto a Cesare e la risposta di questi fu immediata: nel 58 a.C., ancora prima che il senato lo autorizzasse, affrontò gli Elvezi a Bibracte (oggi Autun) e li sconfisse. Assunta la veste di difensore dei Galli liberi, egli sconfisse poi Ariovisto, re dei Germani, giungendo ai confini della Gallia del Nord. Le popolazioni locali si unirono in una coalizione antiromana, che, però, fu rapidamente sgominata da Cesare, il quale, nel 57 a.C., raggiunse le coste della Manica.
LA GALLIA PRE- ROMANA
LE SPEDIZIONI DI CESARE IN GALLIA
A Roma, durante l’assenza di Cesare, i populares erano impegnati in continui scontri con le bande armate di un certo Milone, di cui gli aristocratici si servivano per contrastare la loro politica. Inoltre, Pompeo, allarmato dal potere crescente di Cesare, aveva ripreso i contatti con l’oligarchia senatoria, incoraggiandola a richiamare Cicerone dall’esilio (come poi avvenne). Deciso ad impedire che queste manovre cambiassero gli equilibri di potere, nel 56 a.C., Cesare tornò in Italia e a Lucca strinse con Pompeo e Crasso un nuovo accordo, in cui, di nuovo, le cariche pubbliche venivano “lottizzate” a fini di potere personale: Cesare sarebbe stato di nuovo proconsole in Gallia, Pompeo e Crasso sarebbero divenuti consoli nel 55 a.C. e quindi avrebbero avuto a loro volta un proconsolato.
Tuttavia l’accordo non durò a lungo; Pompeo si schierò ben presto dalla parte dell’aristocrazia senatoria, presentandosi come il difensore delle istituzioni repubblicane e come il più feroce avversario di chi a queste attentava (vale a dire Cesare). Nel 53 a.C. Crasso morì combattendo contro i Parti e nel 52 a.C. Pompeo, per volere del senato, fu nominato console senza collega, con potere assoluto di guerra e incaricato di reclutare un esercito per controllare la città. Del tutto al di fuori delle regole istituzionali che il senato sosteneva di difendere, per volere di questo stesso organo, egli aveva in mano il potere assoluto di governo ed era giunto a disporre di una forza militare notevole.
Tornato in Gallia, Cesare aveva continuato la sua irresistibile marcia di conquista, raggiungendo la Britannia, ancora sconosciuta, dove, nel 54 a.C., aveva stretto alleanza con alcune tribù locali, giungendo fino al Tamigi. Ma nel 53 a.C. fu di nuovo impegnato in Gallia, per combattere Vercingetorìge, giovane capo degli Arverni, al comando di numerose tribù decise a riconquistare la libertà perduta. Dopo aver tenuto eroicamente fronte per 2 anni alle legioni romane, nel 52 a.C., asserragliato nella città di Alesia, Vercingetorìge fu costretto ad arrendersi al nemico nettamente più forte. Ridotta a provincia, la Gallia venne definitivamente incorporata nel mondo romano.
LA SECONDA GUERRA CIVILE Forte delle vittorie militari, Cesare intendeva proporre la propria candidatura al consolato, ma il senato, temendo che egli intendesse conquistare il potere con la forza, decise di contrastare le sue aspirazioni. Per essere eletto, Cesare avrebbe dovuto lasciare le sue legioni e presentarsi a Roma come privato cittadino. Egli chiese allora che anche Pompeo sciogliesse il suo esercito, ma il senato respinse la richiesta. Pertanto, la notte del 10 gennaio del 49 a.C., Cesare attraversò con le legioni il fiume Rubicone, presso Rimini (che segnava i confini fra la Gallia Cisalpina e l’Italia centro-meridionale), pronunciando la storica frase “Alea iacta est”. Secondo la legge, chiunque avesse condotto un esercito oltre il Rubicone sarebbe divenuto nemico di Roma.
Cesare avanzò verso la capitale senza incontrare pressoché alcuna resistenza. Incapace di organizzare una difesa, Pompeo fuggì allora in Macedonia. Cesare, conquistata la penisola italica e sgominate in Spagna le legioni fedeli a Pompeo, nel 48 a.C. sconfisse lo stesso Pompeo in Grecia, nella battaglia di Farsàlo, in Tessaglia. Pompeo si spostò a quel punto in Egitto, dove regnavano Tolomeo XIII e la sorella e sposa Cleopatra. Tolomeo ordinò che Pompeo venisse ucciso, senza ottenere alcuna ricompensa da Cesare per il suo gesto. Quest'ultimo, infatti, nel contrasto che opponeva Cleopatra al fratello, sostenne con decisione le parti della ventiduenne regina, della quale, ormai cinquantaduenne, si era perdutamente innamorato.
Nel frattempo, in Asia Minore si era ribellato il re del Ponto Farnace ( figlio di Mitridate). Cesare, costretto a lasciare l’Egitto, nel 47 a.C. lo sconfisse a Zela con tale rapidità che la notizia venne comunicata al senato con un’altra delle sue frasi diventate storiche: “Veni, vidi, vici”. Recatosi quindi in Africa, nel 46 a.C. sconfisse a Tapso i seguaci di Pompeo superstiti (tra cui Catone il Giovane), che avevano trovato rifugio alla corte di Giuba, re di Numidia. Ad Utica Catone il Giovane preferì uccidersi piuttosto che assistere alla fine della libertà repubblicana (per questo verrà soprannominato Catone l’Uticense). Gli ultimi seguaci di Pompeo furono definitivamente battuti nel 45 a.C. a Munda, nel sud della Spagna. Cesare era ormai padrone di Roma.
CAIO GIULIO CESARE Di Cesare fu scritto: "Così egli operò e creò, come mai nessun altro mortale prima e dopo di lui, e come operatore e creatore Cesare vive ancora, dopo tanti secoli, nel pensiero delle nazioni; il primo e veramente unico imperatore" (Th. Mommsen, Storia di Roma antica - Libro V - Cap. XI)
IL GOVERNO DI CESARE Assunto il titolo di imperator (generale vittorioso) e di padre della patria, Cesare si fece nominare dittatore a vita. Le istituzioni repubblicane erano formalmente ancora in vigore, ma nella sostanza tutti i poteri erano concentrati nelle mani di Cesare. Questi non ne abusò e con magnanimità e senso dello stato diede inizio ad un’organica politica riformatrice, i cui atti principali furono i seguenti: Fece rientrare a Roma gli esiliati. Concesse la cittadinanza romana agli abitanti della Gallia Cisalpina. Emanò nuove leggi per lo sviluppo dell’agricoltura, dell’artigianato e del commercio. Migliorò il governo delle province. Razionalizzò il sistema delle distribuzioni gratuite di grano. Diede inizio ad una campagna di grandi opere pubbliche per diminuire la disoccupazione (sistemazione del Foro, arginamento del Tevere, prosciugamento delle Paludi Pontine). Fondò colonie per garantire una decorosa sistemazione ai proletari.
All’aristocrazia senatoria nulla importava di tutte queste iniziative All’aristocrazia senatoria nulla importava di tutte queste iniziative. Essa voleva riconquistare il potere perduto e dava credito alle voci secondo le quali Cesare avrebbe voluto instaurare una monarchia di tipo orientale, in questo influenzato da Cleopatra, dalla quale, tra l’altro, aveva avuto un figlio, Cesarione. Inoltre, Cesare era odiato anche da alcuni repubblicani, convinti che egli avesse privato Roma della libertà. In questo clima maturò la congiura che portò alla sua morte. Il 15 marzo del 44 a.C. (le Idi di marzo) Cesare si recò in senato, nonostante fosse stato avvertito dell’esistenza del complotto. Qui si trovò il passo sbarrato dai congiurati, capeggiati da Cassio e da Marco Giunio Bruto, suo figlio adottivo. Dopo aver pronunciato una delle frasi più celebri che la storia romana ricordi (Tu quoque, Brute, fili mi!), Cesare si tirò la toga sul capo, offrendo simbolicamente la vita agli dei, e cadde sotto 23 colpi di pugnale.