Per Unione Economica si intende: Un’aggregazione di stati nazionali che, stabiliscono una serie di regole comuni, per favorire e guidare un processo di.

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Per Unione Economica si intende: Un’aggregazione di stati nazionali che, stabiliscono una serie di regole comuni, per favorire e guidare un processo di integrazione economica, nell’ambito dei Paesi stessi. Un’azione politica che si propone di indirizzare un mutamento istituzionale e, con esso, le dinamiche strutturali esistenti all’interno dei Paesi e tra i Paesi. Per cogliere la natura e la direzione dei mutamenti strutturali di un’economia aperta, è necessario analizzare le norme collettive regolatrici delle relazioni interne ed esterne degli Stati che entrano in interazione attraverso il processo economico di apertura.

il capitalismo in Europa si sviluppa all’interno degli Stati nazionali, la cui sovranità nazionale risulta limitata rispetto all’estensione del mercato, che avviene anche al di fuori dello Stato, pertanto ogni espansione economica diviene motivo di conflitto tra le nazioni. La politica a favore dello sviluppo industriale, in Europa, è stata storicamente caratterizzata da una forte presenza dello Stato, nella convinzione che, il sostegno della produzione nazionale, fosse il modo per difendere gli interessi nazionali in un contesto internazionale. Si riteneva che l’azione dello Stato dovesse essere rivolta: alla divisione del lavoro; all’estensione del mercato. Assumendo che l’estensione del mercato rilevante eccedesse l’area di sovranità dello Stato, si riteneva che l’azione dello Stato dovesse essere rivolta a rafforzare i soggetti nazionali.

Le politiche industriali nei trattati istitutivi Trattato della Ceca (1951): il primo Trattato istituente una Comunità Europea in materia economica; era un accordo che definiva un’azione comune in materia industriale. Trattato di Roma (1957): il documento prevede l’unione doganale ed economica tra i Paesi aderenti; nel Trattato non vengono stabilite regole comuni di azione a favore della crescita industriale.

Trattato della Ceca Il documento nasce dall’esigenza di sottoporre i settori del carbone e dell’acciaio a una stretta regolamentazione, per assicurare la sicurezza economica e politica comune agli Stati sottoscrittori. In materia di politica industriale lo Stato adotta un approccio di tipo costruttivistico di derivazione francese: 1. si parte dall’assunto che, lo Stato abbia le capacità tecniche e la legittimazione politica per delineare e gestire, con strumenti regolatori, obiettivi di sviluppo nazionale; 2. quindi lo Stato, tramite un proprio organo tecnico, orienta i comportamenti individuali, riduce la concorrenza interna tra imprese nazionali al fine di rendere queste ultime in grado di competere a livello internazionale. In questo modo lo Stato assicura obiettivi interni di crescita tali da garantire il benessere collettivo.

Trattato di Roma Il Trattato di Roma si pone come riferimento necessario per lo sviluppo industriale comune e, dispone al contempo, norme per evitare che a livello nazionale si attivino interventi pubblici e si permettano comportamenti privati, tali da falsare il funzionamento del mercato comune. La principale azione a supporto della crescita industriale, nel Trattato, è data dalla realizzazione dell’unione doganale ed economica. I governi dei Paesi sottoscrittori potevano intervenire favorendo l’aggiustamento strutturale delle rispettive industrie nazionali, potevano promuovere fusioni e accorpamenti di imprese, per creare campioni nazionali in grado di operare efficientemente sul nuovo mercato comune.

Principali provvedimenti in materia di industria presenti nel Trattato di Roma sono: Processo di apertura del mercato interno, all’unione doganale e alla progressiva unione economica Precise disposizioni in materia di politica di tutela del mercato In entrambi i casi, tuttavia, la normativa comunitaria prevede eccezioni significative che possono essere considerate indicazioni di politica industriale. A titolo esemplificativo si consideri l’art. 85, comma 3 Esso prevede che le disposizioni in materia di divieto di accordo, associazione tra imprese, non siano applicabili a quelle intese che contribuiscono a migliorare la produzione, ecc si tratta di eccezioni non fondate sul miglioramento della concorrenza, ma sul soddisfacimento di altri parametri e prevedono che le disposizioni in materia di divieto di accordo non si applichino alle intese che migliorano la produzione o distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico.

La politica industriale degli anni settanta: era ritenuta materia di competenza nazionale, tuttavia definita nell’ambito di precisi limiti posti a livello comunitario L’unione doganale prevedeva che la progressiva apertura tariffaria, nell’ambito dell’Unione, dovesse essere accompagnata, a livello nazionale, da un’azione che favorisse l’adeguamento strutturale, delle imprese dei singoli Paesi, al nuovo contesto competitivo. Negli anni settanta la Comunità dovette fare i conti con la crisi economica e pertanto si propose come: supervisore e controllore delle politiche nazionali; garante di azioni esplicitamente costruttivistiche. Il commissario Davignon predispose un piano di ristrutturazione nel settore dell’acciaio, basato su quote concordate a prezzi minimi prefissati. L’intervento del commissario ebbe grande rilevanza nello specificare il modello di policy- making comunitario in materia di industria: i funzionari della Commissione che dovevano vigilare contro la creazione di intese, erano chiamati a garantire intese promosse dalla stessa Commissione.

Punti essenziali della politica industriale europea degli anni settanta La Commissione estese a livello comunitario la tradizionale azione dei governi nazionali: di fronte alla crisi economica, l’autorità di governo reagiva proteggendo la propria organizzazione e bloccando l’aggiustamento strutturale. Ogni Paese enfatizzò al massimo le proprie difese nazionali, ritrovando un patriottismo che si identificava con la difesa dei propri produttori attraverso: comportamenti amministrativi che creavano barriere non tariffarie; un’azione di lobby a livello comunitario per favorire la propria industria nazionale. La cartellizzazione e i sussidi: hanno generato ritardi nel mutamento; hanno coinvolto la Comunità in un processo di congelamento della concorrenza, definito “eurosclerosi”.

La politica industriale degli anni ottanta: l’Atto Unico Europeo La visione costruttivista della politica industriale viene sostituita negli anni ottanta, con l’Atto Unico Europeo, da un approccio evoluzionistico. La politica industriale, coerente con l’Atto Unico, prevede di stabilire un chiaro contesto competitivo attraverso l’applicazione degli accordi sul mercato unico, rimuovendo ogni ostacolo al commercio sia interno che mondiale. Ciò significa: piena attuazione delle condizioni richieste per la realizzazione il mercato unico; severa applicazione della normativa comunitaria in materia di concorrenza; rimozione di ogni restrizione al commercio tra Unione Europea e resto del mondo.

La politica industriale degli anni novanta: il Trattato di Maastricht Il Trattato riprende l’impostazione evoluzionistica dell’Atto Unico e prevede l’opportunità di attuare politiche per lo sviluppo della competitività industriale. L’impostazione di politica industriale emerge dall’ articolo 130 : la politica industriale è intesa come, un insieme di azioni per ampliare l’estensione del mercato e per accelerare il mutamento organizzativo e tecnologico delle imprese. L’art. 130 combina due approcci: 1) Azione pubblica volta a favorire lo sviluppo di un ambiente favorevole alla crescita di soggetti imprenditoriali INTERVENTI CHE AGISCONO SULLE ESTERNALITA’ POSITIVE 2) Azioni per accelerare l’adattamento delle imprese e un miglior sfruttamento delle loro potenzialità tecnologiche ACCELERAZIONE DELLE CAPACITÀ D’ INNOVAZIONE DELLE IMPRESE PER SOSTENERE L’ADATTABILITÀ AD EVENTI ESTERNI

L’azione comunitaria degli anni novanta, alla luce del Tue (Trattato di Maastricht), si basa: sulla rimozione di ogni barriera tra mercati nazionali; sull’attuazione di una politica di tutela del mercato, contro monopoli e contro interventi delle autorità nazionali per favorire illecitamente i propri operatori; sull’opportunità di ricerca per mutare le tecnologie; sulla possibilità di ricerca e collaborazione tra imprese; sulle collaborazioni tra imprese di diversi Paesi così da permettere l’entrata sui mercati locali utilizzando reciproche conoscenze.

Un confronto… POLITICA INDUSTRIALE ANNI ‘70 erogazione di aiuti di stato alle singole imprese affinché queste riorganizzassero la propria attività in maniera più efficiente; accettazione di cartelli di crisi, cioè accordi tra imprese per ridurre la sovracapacità; la Comunità vigilava in maniera blanda sulle azioni nazionali, lasciando agli Stati membri libertà di azione. POLITICA INDUSTRIALE ANNI ‘90 azione pubblica che coinvolge l’intera varietà di soggetti istituzionali, per definire opportunità di sviluppo; politiche di apertura del mercato, di tutela del mercato e del consumatore, politiche di promozione di nuove iniziative la principale azione comunitaria: adozione di un programma quadro per lo sviluppo della ricerca e l’adozione di nuove tecnologie. VS

Politica industriale europea all’inizio del nuovo secolo: Nel 2002 si apre un dibattito sulla politica industriale in merito alla preoccupazione dei Paesi membri circa la deindustrializzazione dell’Unione NE CONSEGUONO La creazione di una Direzione delle politiche industriali nella Direzione Generale impresa e industria della Commissione europea. La creazione di una Direzione delle politiche industriali nella Direzione Generale impresa e industria della Commissione europea. Due comunicazioni, nel 2003 e nel 2004, della Commissione europea volte smentire una minaccia di deindustrializzazione per l’Unione. Due comunicazioni, nel 2003 e nel 2004, della Commissione europea volte smentire una minaccia di deindustrializzazione per l’Unione. La comunicazione del 2004 sottolinea che il problema principale per l’industria europea è il gap di produttività soprattutto con gli Stati Uniti e la performance insoddisfacente dei settori nuovi e high tech.

Dati statistici relativi al 2007 raccolti dall’Office for National Statistics britannico

L’ufficio statistico inglese ha stilato una classifica delle imprese europee più produttive, di cui si prendono in considerazione le prime 500. Globalmente il valore aggiunto prodotto dal settore manifatturiero dell’Unione è superiore a quello degli Stati Uniti, denotando una buona performance. Tuttavia, questo valore aggiunto è prodotto soprattutto dai settori medium- high tech e il contributo dei settori high tech è basso. La tabella 1 mostra la distribuzione geografica delle 500 imprese europee con maggior valore aggiunto nel 2007: il Regno Unito è il Paese con maggior numero di imprese a più alta produttività, poiché più di un quarto delle imprese considerate è insediato in questo territorio; seguono la Francia e la Germania, con rispettivamente il 15% e il 14% delle imprese che producono maggior valore aggiunto in Europa; l’Italia fa parte di un terzo gruppo di Paesi che produce il 5- 6% del valore aggiunto.

Dati statistici relativi al 2007 raccolti dall’Office for National Statistics britannico

La tabella 2 mostra la distribuzione settoriale delle 500 imprese europee con maggiore valore aggiunto: le imprese a più alta produttività fanno parte dei settori medium tech (trasporto, chimico, elettronico ecc.); solo il 6,5 % delle imprese in esame, fa parte dei settori ad alto contenuto tecnologico; in particolare, in Italia, i settori high tech sono poveri e, ricerca, sviluppo e innovazione, sono relativamente bassi.

Inoltre… Uno studio della Direzione generale impresa e industria mostra: che in Europa mancano soprattutto le grandi imprese nei settori high tech; le più grosse imprese europee operano nei settori medium tech da oltre 100 anni; mancano quindi nuove grandi imprese nei settori high tech che costituirebbero nuovi key players per i nuovi settori. In parte per questi motivi, la produttività delle grandi imprese europee è in media più bassa della produttività delle grandi imprese americane. N.B.---> La specializzazione nei nuovi settori high tech è importante per due ragioni: 1. si tratta di settori in forte crescita che hanno un impatto diretto e indiretto sulla crescita economica; 2.lo sviluppo dei settori ad alto contenuto tecnologico contribuisce alla competitività dei Paesi, soprattutto nei confronti degli Stati emergenti che beneficiano di un costo del lavoro basso e di vantaggi comparati anche nei settori high tech.

Riflessioni conclusive in merito ai Trattati sin ora analizzati I Trattati non conferiscono alla Commissione europea alcuna responsabilità in termini di micropolitiche industriali europee ( a parte la politica tecnologica). Gli Stati membri decidono quindi sulle azioni da intraprendere per favorire lo sviluppo dei nuovi settori e la competitività degli altri settori. Le misure di politica industriale sono meglio prese a livello nazionale o locale/regionale. Il livello centrale, europeo, definisce un sentiero di sviluppo industriale e di crescita economica per indirizzare tutti i Paesi verso l’integrazione economica e politica.

La Strategia di Lisbona (2000) …“ fare dell’ Unione, entro il 2010, l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e più dinamica al mondo, capace di una crescita economica sostenibile con la creazione di maggiori posti di lavoro e con una coesione sociale più elevata”. N.B.---> Si tratta di una strategia di lungo periodo

La strategia di Lisbona propone sei misure a livello europeo: 1) PIANO D’AZIONE E- EUROPE: mira a sviluppare la società dell’informazione; 2)AREA EUROPEA DELLA RICERCA E DELL’INNOVAZIONE: per un maggiore coordinamento tra le attività di ricerca a livello nazionale e quelle a livello europeo; 3)PROGRAMMA PER L’IMPRESA E L’IMPRENDITORIALITÀ: volto a ridurre i costi di creazione d’impresa per le Pmi; 4)COMPLETAMENTO DEL MERCATO INTERNO: soprattutto del mercato finanziario e dei servizi; 5)MISURE SPECIFICHE PER FACILITARE L’ACCESSO DELLE IMPRESE AL CAPITALE (soprattutto per le Pmi); 6)COORDINAMENTO DELLE POLITICHE MACROECONOMICHE

La Strategia di Lisbona La Commissione europea deve: favorire il coordinamento delle politiche nazionali monitorare i progressi attraverso il raggiungimento degli obiettivi La Commissione inoltre definisce il “metodo aperto di coordinamento” in cui: invita i Paesi membri a perseguire alcuni obiettivi; confronta e scambia le informazioni sulle esperienze nazionali affinché le best practises si diffondano nell’Unione. Il rischio è che i Paesi europei siano messi in concorrenza tra di loro

Critica alla Strategia di Lisbona La Strategia appare incoerente, in quanto i suoi obiettivi risultano spesso incompatibili tra di loro; l’azione a livello europeo definisce obiettivi generali validi per tutti e monitora risultati parziali, senza un’effettivo coordinamento di un intervento comune. La Strategia appare incoerente, in quanto i suoi obiettivi risultano spesso incompatibili tra di loro; l’azione a livello europeo definisce obiettivi generali validi per tutti e monitora risultati parziali, senza un’effettivo coordinamento di un intervento comune. Nel 2005 sono state riviste le priorità della strategia; gli obiettivi principali sono: 1.rendere l’Europa più capace di attrarre investimento e lavoro; 2.fare della conoscenza e dell’innovazione il fulcro della crescita europea; 3.elaborare politiche che consentano alle imprese di creare nuovi e migliori posti di lavoro. Si parla di una nuova impostazione di politica industriale: attraverso la convergenza in un’unica iniziativa di diverse dimensioni politiche d’importanza fondamentale per l’industria, si garantisce maggiore coerenza e integrazione tra le politiche e una spinta più accentuata alla competitività

In Conclusione LA POLITICA INDUSTRIALE EUROPEA È: POLITICA DI PARTENARIATO STRUMENTO D’ INTEGRAZIONE EUROPEA Politica di collaborazione per raggiungere un obiettivo comune nell’interesse di tutti i Paesi dell’Unione. La politica industriale europea è una tappa di un percorso evolutivo verso maggiore integrazione e maggiori poteri a livello europeo per orientare le politiche nazionali.