MASSIMILIANO STRAMAGLIA I NUOVI PADRI. PER UNA PEDAGOGIA DELLA TENEREZZA, EUM, MACERATA, 2009 L’EDUCAZIONE ALLA DEMOCRAZIA: RIFLESSIONI PEDAGOGICHE E TEMI EDUCATIVI
CONTENUTI, STILE, METODO DEMOCRATICI L’educazione familiare alla democrazia si attualizza in relazione a: contenuti educativi, come la convivenza democratica o la partecipazione civile e politica (Michele Corsi, Roberto Sani); uno stile educativo ispirato all’autorità democratica o al rispetto delle regole; un metodo, o una procedura, che miri al bene comune (Giuseppe Catalfamo).
LA FAMIGLIA, CAMPO DA CALCIO DI DEMOCRAZIA Se per Pietro Roveda la famiglia è “la prima palestra di apertura alle virtù sociali”, per Daniele Bruzzone la famiglia è “palestra in cui si realizza il tirocinio affettivo della vera capacità d’amare”, della quale il genitore è “battistrada”. La famiglia, pertanto, è palestra d’amore e di democrazia. Se per Norberto Galli i nuovi genitori lasciano “i figli sempre più arbitri di se stessi, per evitare conflitti”, per il sociologo Carmine Ventimiglia “la figura maschile assomiglia all’uomo in panchina, pronto a dare il cambio solo in caso di necessità o di bisogno”.
La metafora del padre in panchina apre alla possibilità della famiglia democratica quale campo da calcio il cui arbitro potrebbe darsi nelle figure di padre e madre. Se arbitri della prole sono, oggi, genitori democratico- permissivi, la famiglia pone valide premesse per lo sviluppo del free-riding, o della deriva dal genitore permissivo-battistrada al figlio battitore libero.
La famiglia democratica, al contrario, è continuamente sollecitata dal “pubblico”: il tifo è parte integrante della partita e “non solo il pubblico incita i giocatori, ma i giocatori stessi incitano il pubblico perché li inciti” (Alessandro Dal Lago). Per la famiglia campo da calcio di democrazia, si tratta di allenarsi ad apprendere il gioco di squadra.
L’autorità democratica di padre e madre, e nuove regole pratiche fondate su interpretazioni arbitrali (o situate), contrastano il fenomeno diffuso del free-riding educando al fair play, al gioco leale, che il Codice Europeo di Etica Sportiva (1992) descrive quale “modo vincente”. La pedagogia familiare “fa il tifo”, da sempre, per la famiglia tradizionale. Ma non intende affatto stilare una classifica tra famiglie di serie A e famiglie di serie B, e pertanto non riprova, sportivamente-democraticamente, le nuove realtà familiari.
IL DIALOGO IN FAMIGLIA EDUCA ALLA CONVIVENZA CIVILE Quando due persone dialogano dialogicamente (quando l’io comprende il tu senza presumere di essere il tu che sta-di-fronte), il comprendere diviene ri-comprendere (Martin Buber). Per ri-comprendere (abbracciare con la mente), la persona umana (l’io) deve com-prendere (contenere con la mente) l’altro (il tu), e innescare quella circolarità dialogica che consente il riconoscimento dell’io e del tu in quanto libertà (incontro interumano nella “parola fondamentale io-tu”).
Il contenere e l’abbracciare sono le funzioni di padre e madre nei riguardi del lattante: il rapporto educativo, in sintesi, è un rapporto asimmetrico genealogicamente orientato alla dialogica della tenerezza. Questa indica agli interlocutori la strada dell’autentico conversare: anche quando il detto non appare condivisibile, il dire della persona umana che mi sta-di-fronte non è mai deprecabile, e il dibattito deve sempre sostanziarsi del rispetto della comune dignità di parlanti.
Le parole sono per essenza relazione, e la relazione fra persone, annota Vanna Boffo, è ciò che permette lo sviluppo di ciascuna democrazia. “Possiamo scendere nell’arena, ma dobbiamo mantenere sempre aperto l’invito all’agorà. Nell’agorà si parla, nell’arena si lotta” (Raimon Panikkar).
PREVENIRE LA DEVIANZA È EDUCARE ALLA LEGALITÀ Il temine “deprivazione” deriva dal latino de-privare: togliere qualcosa di naturale o di dovuto (Donald Woods Winnicott). La deprivazione paterna, illustra Maurizio Quilici, può essere: totale (decesso del genitore, distacco totale o misconoscimento della paternità da parte del padre), parziale (separazione, divorzio o assenze protratte a causa dell’impiego paterno), o simbolica (terza e più diffusa forma di deprivazione, che si verifica quando il padre è presente solo “sullo sfondo”).
La prevenzione del comportamento deviante, spiega Luisa Santelli Beccegato, si divide in: primaria (rivolta ai cittadini tutti); secondaria (rivolta ai soggetti “a rischio”); terziaria (rivolta ai soggetti devianti).
L’educazione alla legalità, la prevenzione del comportamento deviante, il rispetto delle norme, sono prodotti dell’educazione familiare, e, in ispecie, dell’educazione paterna: negli Stati Uniti, di recente, Giovanna Lo Sapio rileva come il 63% dei suicidi, il 90% dei bambini di strada, l’85% dei bambini affetti da turbe comportamentali, l’80% degli stupratori, il 71% dei casi di dispersione scolastica, il 75% degli adolescenti tossicomani, l’80% dei giovani assistiti presso riformatori e l’85% dei giovani detenuti, abbiano sofferto della deprivazione totale della figura paterna.
Secondo David B. Lynn, la tenerezza del padre, se corroborata dall’educazione alla disciplina, facilita lo sviluppo morale della prole; l’anaffettività del padre, al contrario, ingenera aggressività, condotte delinquenziali o bisogno disperato di contenimento.
“Tenerezza” deriva da “teneo” e “tenax”: indica l’azione del contenere e lo statuto morale della tenacia (Teresa Ciccolini). La tenerezza paterna non è evitamento della necessaria fermezza educativa, ma coraggio dell’oltrepassamento: si educa alla tenerezza con fermezza e coerenza; in caso contrario, il tenerume – altro nome dell’indifferenza – rimuove l’onere della prescrizione, riduce il senso di colpa genitoriale, ma alimenta un senso di inadeguatezza filiale destinato a perpetuarsi quale infelicità, trasgressione o vana ribellione verso un fantasma genitoriale individuato nelle norme imposte dal convivere civile.
LE PARI OPPORTUNITÀ IN FAMIGLIA EDUCANO ALLA CITTADINANZA La dimensione della casalinghità è elusa dall’ambito delle modalità relazionali paterne. “Se nel vissuto maschile il prezzo dell’ideale abbandono dell’immagine del proprio padre è quello di una sovrapposizione col genere femminile (è la madre il riferimento in quanto a dimensione affettiva ed emotiva nella relazione con i figli), il prezzo per recuperare al sé maschile una percezione di originalità rassicurante è quello di ratificare nella quotidianità dei compiti e nella organizzazione della vita in famiglia la diversità delle competenze femminili che ne giustificano la maggiore pregnanza e presenza in termini di impegno e di responsabilità” (Carmine Ventimiglia).
Alessandro Rosina e Linda Laura Sabbadini rilevano, tuttavia, come a una maggiore parità coniugale – nel linguaggio sociologico, simmetria – sia correlata una maggiore generatività di coppia. La pedagogia familiare, pertanto, deve operare a monte del problema. La riflessione intorno a nuove modalità di relazione paritarie non può che emanare dai nuovi padri.
La tenerezza dei nuovi padri è chiamata ad autolegittimarsi così come, storicamente, ha assunto potere l’autoritarismo del padre. I nuovi padri non testimoniano la logica del dominio, ma quella dell’incontro, della disponibilità, della relazione feconda, della tenerezza maschile, del crescente desiderio di conciliazione tra sfera familiare e dimensione professionale (Suzanne Braun Levine). Il superamento degli stereotipi di genere è lo scenario per una possibile parità coniugale, familiare, comunitaria, e per una nuova cultura della domiciliarità.
PROGETTARE LA LIBERTÀ L’essenza della paternità è la libertà. L’idea di “libertà” apre al “futuro” in senso astratto. La pratica del paternage, nel rispetto dell’essenza della paternità, è educazione alla progettualità liberante. Questa si attualizza contestualmente come “libertà per un futuro”. L’impegno sociale è nemico dell’eterna adolescenza, e la funzione educativa del padre è essenziale per il figlio e per la figlia adolescenti.
LA TENEREZZA EDUCA ALLA MATURITÀ E ALLA PACE La tenerezza familiare è premessa ineludibile per un’educazione alla pace: per Edgar Morin, agli antipodi della violenza vi è la tenerezza; per Lilia Sebastiani, la cultura della tenerezza è una cultura mite, pacata, pacifica, operatrice di pace; per David B. Lynn, la cultura della tenerezza, così come la cultura della violenza, si apprendono originariamente in famiglia; educare alla tenerezza è educare alla pace.
IL CROLLO DEGLI ATTEGGIAMENTI MATERNI Secondo David B. Lynn, in uno stadio precoce dello sviluppo, il bambino interiorizza l’amore materno fino a identificare se stesso alla madre. Se la madre è anaffettiva o inadeguata al ruolo, il bambino si identificherà, con grande probabilità, all’aggressività piuttosto che alla tenerezza materna, e, da adulto, si dimostrerà probabilmente inabile alla tenerezza nei confronti del proprio bambino. Questo processo, definito “crollo degli atteggiamenti materni”, è evolutivo e ricorsivo in molti soggetti violenti, i quali, spesso, fraternizzano nell’illusione di un reciproco risarcimento affettivo, e danno luogo a nuclei coniugali patogeni in cui la violenza fisica o psicologica nei riguardi della prole è comunemente tollerata.
La prospettiva pedagogica, nondimeno, apre alla possibilità di una paternità compensativa che possa sanare, pur solo in parte, le incompetenze affettive materne. Secondo lo psicologo e psichiatra americano Stanley I. Greenspan, se la tenerezza è parte integrante della comunità domestica, e se è percepita in quanto tale dal bambino, l’avvenire del figlio sarà denotato da maturità affettiva e sociale.
Nel 1975, il neurofisiologo James W. Prescott diffonde i risultati di uno studio comparativo teso ad analizzare le relazioni educative presenti in 49 diverse culture nel mondo. Le culture orientate a educare i bambini con tenerezza vedono ridotte al minimo “l’ostentazione offensiva della ricchezza, il furto, l’uccisione e la tortura del nemico”; le culture caratterizzate da un’educazione rigida sono, al contrario, correlate positivamente alla pratica della “schiavitù”, al soggiogamento del genere femminile e alla descrizione delle divinità come “entità aggressive”. La tenerezza, annota Piero Ferrucci interpretando il pensiero di Prescott, “educa” la civiltà alla pace.
SALUTE, INTELLIGENZA, RESPONSABILITÀ L’aggettivo “tender” indica qualità incarnate di tenerezza, morbidezza, delicatezza, sensibilità, ma non solo: “tender” è sinonimo di “dolorante”, “sofferente”. La tenerezza, pertanto, è, in prima battuta, disponibilità a comprendere le fragilità proprie e altrui. Il verbo “tender” indica il trattare con tenerezza, ma anche l’offrire: la tenerezza, in secondo luogo, è un offrire, e un offrirsi. Nell’offerta, la persona umana trascende la propria finitudine.
“Quando l’ostilità, il risentimento, la delusione e il rancore hanno la meglio, noi ritiriamo per prima cosa la tenerezza”: in altri termini, sottraendo noi stessi dalla relazione, sottraiamo al prossimo la tenerezza, “forse la verità più profonda di quel che si è” (Lucia Pelamatti). La tenerezza, secondo Jean-Pierre Pourtois, è una “proteina fondamentale di cui ci si nutre in famiglia: il disagio personale e sociale indica una fame insaziata di questa proteina”.
Le ricerche psicologiche e pedagogiche pongono in risalto: una correlazione tra cure primarie tenere e sollecite e un’infanzia caratterizzata da salute fisica e sviluppo intellettivo, con pieno riverbero nelle età successive (Piero Ferrucci); un dinamismo evolutivo tra ricezione primaria di tenerezza e sviluppo di atteggiamenti teneri in età adulta, altrimenti non rinvenibile (Marcello Bernardi-Pina Tromellini); una correlazione tra carenze affettive in età infantile e sviluppo di disagi psichici e comportamentali nelle età susseguenti (Luigi Secco); una correlazione tra tenerezza e sviluppo di comportamenti responsabili (Rosangela Vegetti).