Classificazione degli alimenti Gli alimenti apportano agli animali le sostanze nutritive di cui questi hanno bisogno. Di solito, però, un unico alimento è incapace di apportare, da solo, tutto ciò di cui l’animale ha bisogno. E’ per questa ragione che le razioni sono composte da vari alimenti. Esempio di razione per bovine da latte: 4 kg di fieno di medica 4kg di insilato di medica 18 kg di silomais 4kg di farina di mais 2kg di nucleo proteico
Gli alimenti vengono classificati in: - alimenti semplici, costituiti da una sola materia prima (fieno di medica; silomais; farina di mais) - alimenti composti, preparati di solito da un mangimificio che mescola diverse materie prime per produrre un alimento più complesso, normalmente in forma di pellet (mangimi e nuclei). Gli alimenti vengono suddivisi in alcune grandi categorie: foraggi concentrati prodotti complementari
Foraggi I foraggi sono formati da piante o parti di piante spontanee o coltivate, utilizzate soltanto per l’alimentazione del bestiame. Possono appartenere a diverse famiglie botaniche: graminacee, leguminose, crucifere. Ne vengono usate foglie e steli. Se vengono raccolte dopo la fioritura, si potrà trovare anche una certa parte – di solito molto bassa – di semi, immaturi o maturi.
La pianta è costituita da tessuti diversi, ognuno dei quali ha un differente valore alimentare. Questi tessuti sono parenchimi: presenti nelle foglie, hanno cellule con citoplasma abbondante e ricco di sostanze nutritive, facilmente utilizzabili dall’animale tessuti di sostegno, o sclerenchimi, e vasi conduttori: sono formati da cellule a pareti spesse che servono ad assicurano la posizione eretta del vegetale. Con l’invecchiamento della pianta, le pareti vegetali si ispessiscono e s’impregnano di lignina, mentre il contenuto cellulare sparisce poco per volta. Poiché la lignina è indigeribile, l’invecchiamento della pianta causa anche una diminuzione della sua digeribilità per l’animale tessuti di protezione: sulla superficie della pianta, formano un rivestimento impermeabile e resistente: la cuticola. La cuticola copre e protegge l’epidermide fogliare.
In conclusione, la foglia è la parte più interessante del foraggio. Contiene una grande quantità di citoplasma, in cui si trovano sostanze molto digeribili per gli animali. Anche i giovani steli sono molto nutrienti, ma il loro invecchiamento si accompagna alla lignificazione, responsabile del peggioramento della loro digeribilità. Un foraggio è tanto più interessante quanto più è giovane e ricco di foglie. Un discorso a parte deve essere fatto per le varietà di mais da insilato: qui la selezione genetica ha prodotto piante con molta foglia, ancora verde quando già la spiga è in fase avanzata di maturazione (carattere “stay green”).
A seconda della modalità di conservazione e della quantità d’acqua contenuta nei foraggi, distinguiamo: foraggi verdi, contenenti dal 70 al 90% di acqua (10 - 30% di sostanza secca, s.s.) 2. insilati, contenenti dal 60 all’85% di acqua (15 - 40% di s.s.) 3. foraggi secchi (fieni e foraggi disidratati) contenenti dal 5 al 15 % di acqua (85 - 95% di s.s.) 4. radici e tuberi Con qualsiasi metodo di conservazione, il valore alimentare del foraggio conservato è inferiore o uguale a quello del foraggio verde.
prati (l’erba viene sfalciata) 1. Foraggi verdi: vengono utilizzati immediatamente dopo lo sfalcio, oppure vengono consumati “sul posto” dall’animale. Distinguiamo perciò prati (l’erba viene sfalciata) pascoli(l’erba viene mangiata sul posto). I prati possono essere: a) permanenti, se hanno una durata oltre i 10 anni e non entrano nella rotazione agraria; b) alterni, se durano 2-3 anni come la medica; c) erbai se sono formati da colture annuali, sia usate come principali sia come colture intercalari. Infine, distinguiamo: prati polifiti (composti da molte specie di piante) prati monofiti, nei quali è presente una sola specie foraggiera
I foraggi verdi attualmente sono usati molto poco. Presentano infatti numerosi inconvenienti: è necessaria molta manodopera: occorre andare ogni giorno (o ogni due) a sfalciare per avere il cibo necessario agli animali l’erba matura giorno dopo giorno, cambiando continuamente le proprie caratteristiche l’erba verde contiene moltissima acqua, perciò per assumere le sostanze nutrienti necessarie ad una discreta produzione, una bovina dovrebbe mangiare ogni giorno circa 100 kg di erba tanta più erba viene mangiata dalla bovina, tanto più liquide diventano le sue feci. Una bovina che mangia più di 30 kg al giorno di erba va incontro alla diarrea, ed ha una mammella (e perciò, molto probabilmente, un latte) molto sporca.
Fieni E’ perciò più conveniente fare il fieno durante la stagione primaverile – estiva, e conservarlo per tutto l’anno. Per conservare senza rischi il fieno, occorre che esso sia stabile, non fermenti e non si alteri. Per assicurare la stabilità di un alimento da conservare occorre ottenere una umidità massima del 16%. Il processo con cui l’erba verde passa dal 75 – 80% di acqua al 16%, diventando conservabile, si chiama fienagione. La perdita di umidità nell’erba tagliata, con la fienagione tradizionale, si ottiene grazie a fattori naturali di disseccamento: calore, sole, vento.
La qualità del fieno dipende da alcune variabili: tipo di pianta sfalciata più o meno giovane; di una specie più ricca di sostanze nutritive; cresciuta con un clima piovoso o con l’irrigazione, oppure in un clima arido… condizioni meteorologiche e tecnica di fienagione. A seconda di queste due variabili si possono avere perdite di sostanza organica più o meno grandi, ma di solito abbastanza importanti. Malgrado gli attuali miglioramenti nelle tecniche di fienagione, occorre sempre, per questo tipo di attività, un certo numero di giorni di buon tempo. Nelle nostre zone, possono essere necessari dai 2 ai 4 giorni.
Le perdite avvengono: nella fase successiva al taglio, per respirazione. La pianta sfalciata continua a respirare consumando i suoi zuccheri solubili, fino alla morte che interviene ad una umidità prossima al 30-35%; durante l’essiccazione, per lavorazione meccanica. Le foglie si staccano dagli steli durante le lavorazioni della fienagione e durante la raccolta. Le leguminose perdono più facilmente le foglie; durante la permanenza sul terreno, per lisciviazione. I componenti citoplasmatici solubili possono essere cioè dilavati per l’azione della pioggia, che li asporta da un foraggio già morto; durante lo stoccaggio in fienile. Alcuni agenti di fermentazione utilizzano le componenti solubili, soprattutto gli zuccheri, impoverendo ancora l’alimento. Possono anche svilupparsi muffe
Per limitare queste perdite, si cerca di accelerare l’essiccazione lacerando gli steli o le guaine con l’aiuto di una falciacondizionatrice. Si può anche effettuare una fienagione in due tempi, raccogliendo un foraggio al 50-55% di s.s. e completando la fienagione in strutture apposite con ventilazione di aria a temperatura ambiente o riscaldata. Quest’ultima soluzione è però costosa. Attualmente la modalità più diffusa di raccolta del fieno prevede l’uso della rotoimballatrice. Ogni rotoballa può pesare, a seconda della compressione attuata al momento della raccolta, dai 3 agli 8-10 quintali.
Un’alternativa alla fienagione è rappresentata dalla Ü DISIDRATAZIONE Questa tecnica va applicata a foraggi eccellenti, in particolare alla medica, e ad alimenti molto acquosi come le polpe di bietola. Il foraggio verde va prima ammassato e poi rapidamente essiccato sottoponendolo ad elevate temperature (circa 1000°C) per un tempo variabile da 30 secondi a 3 minuti. Dopo la disidratazione, il prodotto viene pellettato. Questo trattamento permette di limitare le perdite e di facilitare la conservazione del prodotto. Tenuto conto del costo energetico, questa pratica risulta dispendiosa. E’ molto adatto alle leguminose, perché permette di mantenere la qualità iniziale del foraggio verde, soprattutto perché conserva la gran parte delle foglie
La disidratazione correttamente realizzata non modifica la composizione chimica del prodotto e limita le perdite che intervengono tra pianta in piedi ed assunzione da parte dell’animale. Il riscaldamento comporta minore digeribilità della sostanza organica, soprattutto delle proteine, e aumento della quota di proteina by pass.
3. Insilati L’insilamento è un metodo di conservazione che sfrutta la fermentazione degli zuccheri solubili da parte di batteri anaerobi, soprattutto lattici. L’acido lattico prodotto dai batteri fa abbassare il pH, e ciò impedisce qualsiasi altro sviluppo di batteri, assicurando così la stabilità dell’alimento; una buona conservazione è assicurata quando il pH assume un valore inferiore o uguale a 4. Una volta realizzato il cumulo, l’ossigeno presente nella massa continua a consentire la respirazione delle piante. Intanto batteri aerobi coliformi presenti sulle piante trasformano gli zuccheri solubili in acido acetico. Durante questa prima fase aerobia, si assiste dunque ad una perdita di sostanza organica.
Il progressivo consumo dell’ossigeno permette lo sviluppo di una flora anaerobia. I batteri lattici apportati dalle piante stesse trasformano gli zuccheri solubili in acido lattico e provocano la caduta del pH. Se la produzione di acido lattico è insufficiente, o se l’umidità delle piante è eccessiva, si sviluppa una popolazione sporigena che degrada l’acido lattico ad acido butirrico e che provoca una notevole degradazione delle proteine, con produzione di ammoniaca, e un innalzamento del pH. Ciò compromette la conservazione del foraggio.
INSILAMENTO La realizzazione di un insilato di buona qualità dipende dall’avvio rapido e intenso della fermentazione lattica. Ciò si verifica spontaneamente quando si hanno in contemporanea le seguenti condizioni: Si instaurano rapidamente condizioni di anaerobiosi. Per questo: occorre esercitare una forte compressione dell’alimento nel silo; questa compressione è facilitata dalla trinciatura del foraggio; le pareti e la copertura del silo devono ostacolare il più possibile la penetrazione dell’aria all’interno dell’insilato.
Il pH della massa insilata si abbassa rapidamente. Per questo: l’alimento deve contenere una quantità sufficiente di zuccheri solubili, utilizzabili dalla flora lattica. Anche la trinciatura accelera la degradazione dei componenti solubili da parte della flora lattica; i vegetali insilati devono permettere un rapido abbassamento del pH; non devono perciò presentare un forte potere - tampone. Il potere - tampone è dovuto a determinati sali minerali ed alle proteine; queste sostanze si oppongono alle brusche variazioni di acidità. Sostanze del genere esistono in maggior quantità nelle leguminose che nelle graminacee foraggiere; il mais ne ha poche.
QUALITÀ DEGLI INSILATI Nonostante le precauzioni prese nel corso delle diverse operazioni, si hanno sempre delle perdite. Ciò si verifica da un canto durante la fase aerobia, nel corso della quale si perdono zuccheri e proteine, dall’altro durante la fase anaerobia, quando si sviluppano gas e liquidi: CO2, H2, NH3 e succhi ricchi di sostanze solubili. Perdite si hanno anche nelle parti più superficiali del silo, là dove la tenuta non è perfettamente stagna. Per valutare la qualità degli insilati, si può fare riferimento alla quantità di sostanze indesiderate che si sono comunque prodotte: acido acetico, acido butirrico, ammoniaca, N solubile.
Per quanto riguarda il pH, occorre notare che il valore ottimale (quello a cui è garantita la conservazione stabile del foraggio) dipende dal tenore in s.s. dell’insilato. Quanto maggiore è la s.s. dell’insilato, tanto più aumenta il pH ottimale; i valori principali sono i seguenti: In questo modo, un insilato il cui tenore di s.s. sia di 21% ed il pH di 4.1 può essere considerato stabile. Invece un insilato col 16% di s.s. ed un pH di 4.1 è instabile: presenta infatti dei rischi di ripresa delle fermentazioni aerobie, con conseguenze negative sulla qualità dell’alimento s.s. % pH 15-20 <4 20-25 <4.2 25-30 <4.4 30-35 <4.6 35-40 <4.8
B) Concentrati Base dell’alimentazione dei monogastrici, gli alimenti concentrati sono caratterizzati dall’elevato tenore della loro sostanza secca in energia utilizzabile dall’animale, ed in alcuni casi, come ad esempio per i semi di proteaginose e per i panelli, dalla ricchezza in sostanze azotate. Distinguiamo: alimenti concentrati semplici come i semi di cereali, i semi di oleaginose o proteaginose, i frutti, gli alimenti di origine animale; alimenti concentrati composti. La loro fabbricazione si effettua dopo macinazione e miscela di alimenti semplici. Possono anche contenere foraggi trinciati. Vengono presentati in forme diverse: polvere, granuli, “pellet”.
I CEREALI Rappresentano la principale materia prima degli alimenti composti e, di conseguenza, la principale fonte alimentare per i monogastrici. Morfologia Il seme dei cereali è costituito da una cariosside nuda o vestita delle sue glumelle. Frumento, mais, sorgo, segale e triticale appartengono al primo gruppo; orzo ed avena fanno parte del secondo. L’endosperma costituisce la parte principale del seme dei cereali. Il valore energetico più elevato è raggiunto dai semi nudi, che hanno una debole quantità di involucri ed una maggiore proporzione di endosperma.
Componenti chimiche. I semi dei cereali vengono raccolti ad un elevato contenuto di s.s., salvo casi particolari di raccolta e conservazione di semi “umidi”, come ad esempio il mais. I cereali contengono scarse quantità di zuccheri solubili; l’amido ha invece un ruolo importante: dal 44 al 72% della s.s. rispettivamente per l’avena ed il mais. Questo polisaccaride di riserva, molto digeribile, si presenta sotto forma di granelli, di struttura diversa a seconda della specie botanica. Questa struttura comporta anche una diversa degradabilità ruminale dei diversi cereali. I cereali contengono pochi glucidi parietali, ma le pareti sono ricche di emicellulose poco digeribili.
Germe e zona aleuronica sono le parti più ricche di proteine. In generale, i semi vengono macinati più o meno finemente oppure vengono schiacciati; questa operazione spezza il pericarpo e migliora l’accessibilità delle componenti agli enzimi digestivi e batterici. Vi sono altre tecnologie applicate per migliorare la digeribilità; si rifanno a trattamenti idrotermici come la fioccatura e l’estrusione. Germe e zona aleuronica sono le parti più ricche di proteine. Le sostanze azotate rappresentano circa il 10% della s.s. dei semi. Si tratta soprattutto di proteine di riserva insolubili. Sono inoltre povere di alcuni aminoacidi, in particolare di lisina.
I semi contengono dal 2 al 6% di lipidi, localizzati soprattutto nel germe. Acido linoleico ed oleico sono i principali acidi grassi insaturi essenziali dei cereali. I cereali vengono generalmente raccolti od acquistati ad una umidità che ne permette la conservazione in magazzino anche per lungo tempo. Quando il contenuto d’acqua è troppo elevato, soprattutto nel caso della cariosside di mais, è necessario praticare l’essiccazione o metodi alternativi di conservazione, come l’insilamento
Semi di proteaginose e di oleaginose I semi di proteaginose provengono da leguminose: favetta, pisello, lupino, veccia, fagiolo. La loro utilizzazione è legata alla ricchezza di proteine ben provviste di lisina, deficitarie invece in aminoacidi solforati. Questi semi contengono anche in proporzioni variabili lipidi, amido e glucidi parietali generalmente ben digeriti. Hanno un buon valore energetico. La loro incorporazione nelle razioni è limitata da ragioni fisiche (difficoltà di granulazione) o nutrizionali (presenza di alcaloidi).
Alcuni trattamenti tecnologici consentono di ridurre questi svantaggi. Oleaginose. I semi di soia, colza e girasole sono semi oleaginosi caratterizzati dalla ricchezza in sostanze grasse che varia tra il 20 ed il 40% della s.s. Ad un forte valore energetico uniscono un buon valore proteico: di qui il nome di oleoproteaginose. La loro utilizzazione è limitata dal ruolo dell’involucro intorno al seme o della presenza di sostanze nocive. Alcuni trattamenti tecnologici consentono di ridurre questi svantaggi. La decorticazione consente di eliminare gli involucri; i trattamenti idrotermici invece hanno un doppio effetto: da un canto distruggono le sostanze nocive, dall’altro migliorano la qualità della frazione proteica. Le proteine dei semi trattati sono meno degradabili da parte della flora microbica e più digeribili da parte degli enzimi digestivi.
Il seme di cotone Il seme integrale di cotone trova largo impiego nell’alimentazione dei ruminanti. Viene commercializzato come residuo dell’industria tessile, ed è formato dal seme intero circondato da un leggero strato di cellulosa. Contiene inoltre amido, proteine, olio: presenta perciò caratteristiche particolarmente interessanti per i ruminanti, in quanto apporta contemporaneamente proteina, energia, fibra. Viene somministrato alle bovine in lattazione in dosi giornaliere fino a 2 – 3 kg, mescolato agli altri alimenti nel carro unifeed.
4. Residui delle lavorazioni industriali 4.1 Residui dell’industria olearia L’estrazione di olio da moltissimi tipi di semi (arachidi, lino, colza, soia…) lascia come residuo materiali contenenti ancora sostanze utili per l’alimentazione animale. Questi materiali vengono normalmente lavorati per ottenere prodotti facilmente commerciabili, come farine e pellet, sia da soli che miscelandoli con altri alimenti (mangimi composti). Il residuo dell’estrazione dell’olio, a seconda del tipo di seme, contiene quantità variabili di proteina e viene perciò usato soprattutto come integratore proteico.
4.2 Residui dell’industria molitoria La produzione di farina, a partire dal frumento e dal mais, è un processo che prevede tappe successive di macinazione e separazione dei residui del tegumento esterno, che contiene fibra, proteine e minerali, dalla parte interna di natura soprattutto amilacea.
4.3 – Residui degli zuccherifici Anche la lavorazione della bietola da zucchero, che subisce un lungo processo di estrazione e raffinazione, dà origine a molti sottoprodotti. Diversi di essi possono essere utilizzati per l’alimentazione animale.
Tra i più diffusi, è opportuno ricordare 4.4 Altri sottoprodotti Numerosi altri alimenti possono derivare da varie lavorazioni industriali. Tra i più diffusi, è opportuno ricordare sottoprodotti di distilleria (distillers), residui di varia origine (cereali, patate, manioca…) ottenuti per separazione della parte liquida da quella solida nel corso della produzione industriale di alcool a partire da fermentazioni su substrati zuccherini; trebbie di birra, ricche di proteina e fibra, ottenute per filtrazione dei residui di cereali utilizzati per ricavare il malto; residui della produzione di succhi e sidro come il marcomele; glutine di mais, ricavato dall’estrazione di amido dalla granella di mais; siero, ottenuto durante il processo di caseificazione, ottimo alimento tradizionale per la produzione del suino pesante da salumificio.
– Schema riassuntivo dei diversi tipi di concentrati.
Prodotti complementari: le paglie Le paglie, sottoprodotto della raccolta della granella di cereali, sono costituite essenzialmente dagli steli e, in quantità assai piccola, da lembi fogliari e da rachidi. Poiché la raccolta interviene ad uno stadio in cui l’essiccazione della pianta e la lignificazione dei tessuti di sostegno sono assai rilevanti, le paglie sono caratterizzate dal loro elevato tenore in pareti lignificate, e da un basso contenuto in sostanze azotate ed in zuccheri.
Sono foraggi poveri, e la loro utilizzazione richiede una integrazione energetica, azotata, minerale e vitaminica. Per migliorare il valore del prodotto, si può trattare la paglia con ammoniaca; questo trattamento rompe i legami tra emicellulose e lignina, arricchisce il foraggio in protidi grezzi e lo rende più digeribile. Utilizzate talvolta come integrazione nel caso di penuria di foraggi, le paglie possono d’altra parte costituire la base alimentare per animali dai fabbisogni limitati, o apportare la frazione fibrosa in razioni per animali alimentati con cereali, come nel caso di vitelloni che ricevano a volontà cereali spezzati