Fra il Settecento e l’Ottocento

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Transcript della presentazione:

Fra il Settecento e l’Ottocento Ugo Foscolo Alla Sera, A Zacinto, In morte del fratello Giovanni

Ugo Foscolo: 1778-1827 Nasce a Zacinto, isola greca sotto il dominio della Repubblica di Venezia. Di padre veneziano e di madre greca. Nel 1792 muore il padre e la famiglia si trasferisce a Venezia. Aderisce alle idee della Rivoluzione francese

Ugo Foscolo: la vita Fervente sostenitore di Napoleone, rimane però profondamente deluso quando Bonaparte cede Venezia agli austriaci con il trattato di Campoformio (1797). Abbandona Venezia e si reca prima a Milano e poi a Bologna e a Firenze. Nel 1814, dopo l’esilio di Napoleone all’isola d’Elba e la caduta del Regno d’Italia, lascia Milano, ormai sotto gli austriaci e si rifugia prima in Svizzera e poi in Inghilterra.

Ugo Foscolo: la vita Muore in una località nei pressi di Londra, nel 1827, povero e malato, fra le sole cure della figlia Floriana. Nel 1871 il suo corpo verrà condotto a Firenze e oggi si trova nella chiesa di Santa Croce.

Ugo Foscolo: le opere Ultime lettere di Jacopo Ortis (1802) Si tratta di un romanzo epistolare nel cui protagonista, Jacopo, è possibile individuare tanti aspetti dello stesso Foscolo. Jacopo, scrive lettere ad un amico e descrive il suo dramma sentimentale e politico. Politico perché è stato deluso dalle istanze iniziali di rinnovamento di Napoleone; Sentimentale perché Jacopo si innamora di una fanciulla già legata ad un altro uomo. L’unica via d’uscita sarà quella del suicidio.

Ugo Foscolo: le opere Le Odi (1803) «A Luigia Pallavicini caduta da cavallo» «All’amica risanata» Si tratta di due componimenti in versi dedicati a due figure femminili, all’interno dei quali Foscolo esalta la bellezza femminile e il grande valore della poesia che rende eterno tutto ciò che canta.

Ugo Foscolo: le opere I Sonetti (1803) In tutto 12 brevi componimenti poetici dei quali i più famosi sono: «Alla sera, A Zacinto, In morte del fratello Giovanni»

Ugo Foscolo: le opere Dei Sepolcri (1806) Si tratta di un breve poema in cui Foscolo celebra l’importanza delle tombe, luogo di memoria e di riunione familiare. I monumenti funebri rappresentano così la continuità fra una generazione e l’altra e consentono di mantenere vive le relazioni affettive fra i vivi e i morti.

Ugo Foscolo: il pensiero Nella poetica di Ugo Foscolo si intrecciano in modo originale: elementi illuministici, elementi preromantici, elementi neoclassici.

Ugo Foscolo: il pensiero Elementi illuministici: fiducia nella ragione; metodo scientifico (causa-effetto); visione materialistica e atea della realtà (ogni uomo è pura materia destinata ad annullarsi completamente con la morte); la ragione però ha dei limiti, non è in grado di spiegare il senso della vita.

Ugo Foscolo: il pensiero Elementi preromantici: l’importanza dei sentimenti e delle passioni, quello che lui chiamerà il «forte sentire» cioè la capacità di provare sentimenti intensi e grandi entusiasmi; inquietudini interiori (aspirazione all’immortalità); gli ideali della bellezza, della patria, dell’amore, egli avverte l’importanza di questi valori che dal punto di vista razionale appaiono come delle illusioni, ma senza le quali l’uomo non potrebbe vivere.

Ugo Foscolo: il pensiero Elementi neoclassici: ripresa dei principi del mondo classico, bellezza, equilibrio, armonia, perfezione formale. dal Neoclassicismo Foscolo riprende quindi il gusto per una poesia equilibrata ed armoniosa.

In morte del Fratello Giovanni Ugo Foscolo dedica il sonetto al fratello morto suicida in seguito a grossi debiti di gioco. Nel sonetto si possono individuare alcuni motivi fondamentali della poetica di Foscolo: l’esilio; l’amore per la patria; il significato simbolico delle tombe; la morte come liberazione dalle angosce della vita.

In morte del fratello Giovanni La poesia è nella forma metrica del sonetto, composto da due quartine e da due terzine. Lo schema delle rime è ABAB, ABAB, CDC, DCD.

In morte del fratello Giovanni 1 Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo A di gente in gente, me vedrai seduto B su la tua pietra, o fratel mio, gemendo A il fior de’ tuoi gentili anni caduto. B « Un giorno, se io non sarò sempre costretto a fuggire, tra popoli diversi, mi vedrai seduto sulla tua tomba, o fratello mio, piangendo la tua giovinezza spezzata».

In morte del fratello Giovanni 5 La madre or sol, suo dì tardo traendo, A parla di me col tuo cenere muto, B ma io deluse a voi le palme tendo; A e se da lunge i miei tetti saluto, B «Ora solo la madre, trascinando la sua vecchiaia, parla di me con le tue mute spoglie, ma io inutilmente tendo le mani verso di voi; e se da lontano saluto la mia patria»

In morte del fratello Giovanni Sento gli avversi Numi, e le secrete C 10 Cure che al viver tuo furon tempesta, D E prego anch’io nel tuo porto quiete. C «Avverto le avversità del destino, e le segrete preoccupazioni che tormentarono la tua vita, e invoco anch’io la pace nella morte»

In morte del fratello Giovanni Questo di tanta speme oggi mi resta! D Straniere genti, l’ossa mie rendete C Allora al petto della madre mesta. D «Questo di tanta speranza oggi mi rimane! Popoli stranieri, le ossa mie restituite, quando morirò, al petto della madre triste»

In morte del fratello Giovanni Analisi retorica Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo Enjambement di gente in gente, me vedrai seduto su la tua pietra, o fratel mio, gemendo Metonimia il fior de’ tuoi gentili anni caduto. Metafora La madre or sol, suo dì tardo traendo, Allitterazione parla di me col tuo cenere muto: Metonimia ma io deluse a voi le palme tendo; e se da lunge i miei tetti saluto, Sineddoche sento gli avversi Numi, e le secrete Enjambement cure che al viver tuo furon tempesta, e prego anch’io nel tuo porto quiete. Metafora Questo di tanta speme oggi mi resta! Straniere genti, l’ossa mia rendete allora al petto della madre mesta. Allitterazione

A Zacinto Ugo Foscolo dedica questo sonetto alla terra natale, l’isola di Zacinto o Zante. Si tratta di una delle isole greche del mar Ionio, all’epoca di Foscolo sotto il dominio politico di Venezia. La poesia affronta il tema dell’esilio e può essere considerata come un inno d’amore alla terra d’origine alla quale il poeta non farà più ritorno.

A Zacinto Foscolo si rivolge a Zante, per cantarne la bellezza. Infatti ricorda che dalle acque del mar Ionio nacque Venere, dea della bellezza e dell’amore, e loda il clima mite e la rigogliosa vegetazione dell’isola, celebrati anche da Omero che aveva narrato le gesta di Ulisse. Foscolo si paragona all’eroe omerico, sottolineando però che mentre Ulisse fece ritorno alla sua amata Itaca, egli invece non ritornerà a Zante e sarà sepolto in terra straniera.

A Zacinto La poesia è nella forma metrica del sonetto composto da due quartine e da due terzine. Lo schema delle rime è ABAB ABAB CDE CED

A Zacinto Né mai più toccherò le sacre sponde A Ove il mio corpo fanciulletto giacque, B Zacinto mia, che te specchi nell’onde A Del greco mar da cui vergine nacque B « Non toccherò mai più le rive sacre (perché in quelle acque era nata Venere e perché sacro è il legame del poeta con la sua terra) dove il mio corpo di bambino riposò, o Zacinto mia, che ti specchi nelle acque del mare Ionio da cui pura nacque»

A Zacinto Venere, e fea quelle isole feconde A Col suo primo sorriso, onde non tacque B Le tue limpide nubi e le tue fronde A L’inclito verso di colui che l’acque A «Venere e rese quelle isole fertili con il suo primo sorriso, per cui celebrò le tue limpide nubi e la tua vegetazione, la celebre poesia di colui (Omero) che cantò i viaggi per mare (di Ulisse)»

A Zacinto Cantò fatali, ed il diverso esiglio C Per cui bello di fama e di sventura D Baciò la sua petrosa Itaca Ulisse E « voluti dal destino e l’esilio in diversi luoghi in seguito al quale, Ulisse, ammirato per la fama e per le sofferenze, potè baciare la sua pietrosa Itaca»

A Zacinto Tu non altro che il canto avrai del figlio, C O materna mia terra; a noi prescrisse E Il fato illacrimata sepoltura. D «Tu avrai solo il canto del figlio (e non il suo bacio o le sue spoglie), o materna mia terra; a me e agli uomini simili a me, il destino ha riservato una sepoltura senza lacrime»

A Zacinto: analisi critica di M.Pagnini 1 Nè più mai toccherò le sacre sponde Ove il mio corpo fanciulletto giacque, Zacinto mia, che te specchi nell’onde Del greco mar, da cui vergine nacque 5 Venere, e fea quelle isole feconde Col suo primo sorriso, onde non tacque Le tue limpide nubi e le tue fronde L’inclito verso di Colui che l’acque 9 Cantò fatali, ed il diverso esiglio Per cui bello di fama e di sventura Baciò la sua petrosa Itaca Ulisse. 12 Tu non altro che il canto avrai del figlio, O materna mia terra; a noi prescrisse Il fato illacrimata sepoltura. INCIPIT CHIUSA

A Zacinto: analisi sintattica (Pagnini) Il Critico Marcello Pagnini ha notato che nel sonetto non c’è coincidenza fra struttura sintattica e struttura metrica. Infatti il sonetto metricamente è composto da due quartine e da due terzine ma sintatticamente è composto da due periodi. incipit e chiusa Primi 11 versi ultimi 3 versi «Né più mai…» «Tu non altro…»

A Zacinto: analisi critica Né più mai toccherò le sacre sponde ove il mio corpo fanciulletto giacque, Zacinto mia, che te specchi nell'onde del greco mar da cui vergine nacque Venere, e fea quelle isole feconde col suo primo sorriso, onde non tacque le tue limpide nubi e le tue fronde l'inclito verso di colui che l'acque cantò fatali, ed il diverso esiglio per cui bello di fama e di sventura baciò la sua petrosa Itaca Ulisse. Tu non altro che il canto avrai del figlio, o materna mia terra; a noi prescrisse il fato illacrimata sepoltura. L’ultimo verso spiega l’affermazione del primo: il poeta non toccherà più le sponde di Zacinto perché verrà sepolto lontano dalla terra natale, da esule. Al ricordo dell’infanzia dell’inizio «fanciulletto» si oppone il presagio della morte nella conclusione «sepoltura» in qualche modo preannunciato dal «giacque» del v.2

A Zacinto: analisi critica Né più mai toccherò le sacre sponde ove il mio corpo fanciulletto giacque, Zacinto mia, che te specchi nell'onde del greco mar da cui vergine nacque Venere, e fea quelle isole feconde col suo primo sorriso, onde non tacque le tue limpide nubi e le tue fronde l'inclito verso di colui che l'acque cantò fatali, ed il diverso esiglio per cui bello di fama e di sventura baciò la sua petrosa Itaca Ulisse. Tu non altro che il canto avrai del figlio, o materna mia terra; a noi prescrisse il fato illacrimata sepoltura. C’è infine una corrispondenza grammaticale , dato che gli unici due futuri del sonetto si trovano al principio della prima quartina e al principio dell’ultima terzina

A Zacinto: «l’idea dell’acqua» di M. Pagnini «L’dea dell’acqua» è centrale nella simbologia del sonetto. Infatti il poeta presenta Zacinto dentro le acque del greco mar rese feconde dalla dea Venere. Zacinto e Venere sono legati dal tema della fecondità. Le acque di Zacinto sono così come quelle del grembo materno: Zacinto è la terra madre ( O materna mia terra v.13) e le sue acque sono il simbolo della vita

A Zacinto: «l’idea dell’acqua» di M. Pagnini Né più mai toccherò le sacre sponde ove il mio corpo fanciulletto giacque, Zacinto mia, che te specchi nell'onde del greco mar da cui vergine nacque Venere, e fea quelle isole feconde col suo primo sorriso, onde non tacque le tue limpide nubi e le tue fronde l'inclito verso di colui che l'acque cantò fatali, ed il diverso esiglio per cui bello di fama e di sventura baciò la sua petrosa Itaca Ulisse. Tu non altro che il canto avrai del figlio, o materna mia terra; a noi prescrisse il fato illacrimata sepoltura. L’idea dell’acqua può essere individuata anche dal punto di vista fonico considerando le due parole «onde» e «acque» contenute dentro altre parole

A Zacinto: analisi retorica Né più mai toccherò le sacre sponde Allitterazione ove il mio corpo fanciulletto giacque, Zacinto mia, che te specchi nell'onde Enjambement del greco mar da cui vergine nacque Venere, e fea quelle isole feconde col suo primo sorriso, onde non tacque Litote le tue limpide nubi e le tue fronde Sineddoche l'inclito verso di colui che l'acque Allitterazione / Enjambement cantò fatali, ed il diverso esiglio per cui bello di fama e di sventura baciò la sua petrosa Itaca Ulisse. Tu non altro che il canto avrai del figlio, o materna mia terra; a noi prescrisse Allitterazione / Enjambement il fato illacrimata sepoltura.

Alla Sera Il sonetto, composto nel 1803, è dedicato alla sera che il poeta ama in modo particolare perché vede in essa il simbolo della pace eterna, cioè della morte. In ogni stagione il poeta aspetta la fine del giorno e l’arrivo della sera, unico momento di tranquillità e di pace in cui le profonde inquietudini che agitano il suo animo, si placano. C’è quindi un’analogia fra la sera e la morte che viene intesa dal poeta in senso positivo, rasserenante, come una tregua agli affanni dell’esistenza.

Alla Sera La poesia è nella forma metrica del sonetto, composto da due quartine e da due terzine. Lo schema delle rime è: ABAB, ABAB, CDC, DCD

Alla Sera Forse perchè della fatal quïete A Tu sei l’immago a me sì cara, vieni, B O Sera! E quando ti corteggian liete A Le nubi estive e i zeffiri sereni, B E quando dal nevoso aere inquiete A Tenebre, e lunghe, all’universo meni, B Sempre scendi invocata, e le secrete A Vie del mio cor soavemente tieni. B Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme C Che vanno al nulla eterno; e intanto fugge D Questo reo tempo, e van con lui le torme C Delle cure, onde meco egli si strugge; D E mentre io guardo la tua pace, dorme C Quello spirto guerrier ch’entro mi rugge. D

Alla Sera: parafrasi Forse perchè della fatal quïete Tu sei l’immago a me sì cara, vieni, O Sera! E quando ti corteggian liete Le nubi estive e i zeffiri sereni «Forse perché tu sei l’immagine della morte (fatale perché destinata dal Fato a tutti gli uomini) viene a me così gradita, o Sera! Sia quando ti accompagnano liete le nuvole estive e i venticelli sereni (cioè in primavera)»

Alla Sera: parafrasi E quando dal nevoso aere inquiete Tenebre, e lunghe, all’universo meni, Sempre scendi invocata, e le secrete Vie del mio cor soavemente tieni. «Sia quando conduci al mondo inquietanti e profonde tenebre dal cielo invernale (cioè d’inverno), sempre vieni desiderata e possiedi dolcemente i segreti del mio cuore»

Alla Sera: parafrasi Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme Che vanno al nulla eterno; e intanto fugge Questo reo tempo, e van con lui le torme «mi fai vagare con i miei pensieri lungo le tracce che conducono alla morte (visione materialistica della vita. Secondo il poeta oltre la vita non esiste un’altra dimensione e morire significa tornare al nulla da cui proveniamo); e intanto scorre questo tempo colpevole e vanno con lui le moltitudini»

Alla Sera: parafrasi Delle cure, onde meco egli si strugge; E mentre io guardo la tua pace, dorme Quello spirto guerrier ch’entro mi rugge. «delle preoccupazioni, in mezzo alle quali con me egli (il tempo colpevole) si consuma, e mentre io osservo la tua pace, tace quell’animo impetuoso che dentro di me ruggisce (si agita)»

Alla Sera: analisi retorica Forse perchè della fatal quïete Metafora Tu sei l’immago a me sì cara, vieni, Enjambement O Sera! E quando ti corteggian liete Le nubi estive e i zeffiri sereni, Enjambement E quando dal nevoso aere inquiete Tenebre, e lunghe, all’universo meni, Sempre scendi invocata, e le secrete Allitterazione Vie del mio cor soavemente tieni. Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme Che vanno al nulla eterno; e intanto fugge Metafora Questo reo tempo, e van con lui le torme Enjambement Delle cure, onde meco egli si strugge; Allitterazione E mentre io guardo la tua pace, dorme Enjambement Quello spirto guerrier ch’entro mi rugge. Onomatopea