La malattia di Parkinson ed i parkinsonismi

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Transcript della presentazione:

La malattia di Parkinson ed i parkinsonismi

Strutture cerebrali coinvolte nella malattia di Parkinson Corteccia motoria Pallido Talamo Caudato Putamen Sostanza nera Striato Locus coeruleus Nuclei del rafe Troncoencefalo

La malattia di Parkinson è una patologia del Sistema Nervoso Centrale prodotta dalla degenerazione dei neuroni pigmentati della pars compacta della substantia nigra posta nella parte ventrale del mesencefalo. La degenerazione coinvolge inoltre il locus coeruleus ed altri nuclei pigmentati del troncoencefalo. La degenerazione della substantia nigra determina il danno funzionale della via dopaminergica nigro-striatale che è alla base della sintomatologia. In generale la sintomatologia del Parkinson può essere ricondotta ad una riduzione del tono dopaminergico dei gangli della base

La malattia venne descritta per la prima volta nel 1817 da medico inglese James Parkinson (1755-1824) da cui derivò il nome, nel famoso saggio “An essay on shaking palsy”. In questa pubblicazione, l’autore faceva riferimento ad alcuni sintomi della malattia, in particolare al tremore, alla ridotta forza muscolare, alla tendenza a piegare il tronco in avanti, ed alla presenza del danno cognitivo. Venivano tuttavia tralasciate alcune di quelle che sono poi state proposte come espressioni tipiche della malattia, quali la lentezza del movimento e la rigidità.

Parkinson e parkinsonismi La malattia di Parkinson (Parkinson idiopatico)fa parte del più generale capitolo dei parkinsonismi, sindromi caratterizzate dalla presenza di sintomi che riconducono ad un danno del sistema extrapiramidale I parkinsonismi possono infatti derivare da un danno funzionale meno selettivo di quello descritto nella malattia di Parkinson (danno della via dopaminergica nigro-striatale) e presentare pertanto una sintomatologia meno tipica ed una risposta terapeutica meno evidente alle terapie specifiche Va ricordato inoltre che le sindromi parkinsoniane possono essere causate dall’esposizione a sostanze tossiche o dall’uso di farmaci, o derivare da patologie non degenerative (infettive, vascolari, neoplasiche, traumatiche..). In questo caso si parla di “parkinsonismi secondari”

Anatomia patologica della malattia di Parkinson Caratteristica neuropatologica della malattia è l’atrofia della pars compacta della substantia nigra prodota dalla degenerazione dei neuroni pigmentati. Il processo atrofico coinvolge anche il locus coeruleus a altri nuclei del troncoencefalo Microscopicamentesi apprezzano, all’interno dei neuroni pigmentati residui, le tipiche inclusioni citoplasmatiche denominate corpi di Lewy. Queste inclusioni, che verosimilmente rappresentato prodotti della degenerazione neuronale, sono costituite da proteine del citoplasma che al microscopio elettronico acquistano l’aspetto di ammassi filamentosi più densi al centro.

Epidemiologia del Parkinson La prevalenza generale della malattia di Parkinson nella popolazione sopra i 65 anni viene data intorno all’1% con un’incidenza intorno a 20/100.000 Il Parkinson è una malattia frequente. L’età di esordio è tra i 55 ed i 60 anni, ma vanno ricordatii casi di Parkinson giovanile con esordio prima dei 40 anni. La prevalenza della malattia appare lievemente superiore negli uomini rispetto alle donne. Il suo decorso medio è di circa 15 anni (Graham e Sagar, 1999), ma la rapidità dell’evoluzione sarebbe assai variabile e condizionata dalle caratteristiche neuropatologiche del danno. Uno dei primi studi epidemiologici condotti in Italia in una popolazione siciliana di età superiore ai 65 anni indicava una prevalenza pari a 371.5/100.000 abitanti per tutti i parkinsonismi e pari a 257.2/100.000 abitanti per il Parkinson. La prevalenza inoltre aumentava con l’età senza chiara indicazione di differenze tra i due sessi (Morgante et al., 1992).

Epidemiologia del Parkinson Uno studio più recente indica un’incidenza media annuale per la popolazione di età superiore ai 65 anni pari a 529.7/100.000 abitanti per tutti i parkinsonismi e pari a 326.3/100.000 abitanti per il Parkinson. Il rischio relativo dell’uomo rispetto alla donna è stato indicato a 1.66 per i parkinsonismi ed a 2.13 per il Parkinson (Badereschi et al., 2000) Un’ampia review pubblicata nel 1993 indica che la prevalenza in Europa oscilla tra 56 e 234 casi per 100.000 abitanti (Zhang e Roman, 1993); sarebbe omogenea nei vari paesi esaminati, crescerebbe con l’aumento dell’età senza chiare differenze nei due sessi (de Rijk et al., 1997;) dati più recenti indicano una prevalenza pari a 1.8 ogni 100 soggetti di età pari o superiore ai 65 anni con un incremento pari a 0.6 per l’età tra i 65 ed i 69 anni e di 2.6 per l’età compresa tra 85 ed 89 anni (de Rijk et al, 2000) Il rischio di mortalità viene indicato pari a 2 - 5 volte superiore a quello di una popolazione non demente appartenente alla stessa comunità (Lous et al., 1997).

Sintomatologia del Parkinson Perché l’potesi di malattia di Parkinson possa essere formulata deve essere rispettato il seguente criterio: -presenza di bradicinesia (o acinesia) associata ad almeno uno dei seguenti sintomi (sintomi maggiori): -rigidità muscolare -tremore a riposo -Instabilità posturale La sintomatologia è tipicamente asimmetrica, prevalendo in un emilato

Sintomatologia del Parkinson: acinesia/bradicinesia viene definita acinesia la difficoltà ad iniziare il movimento, mentre la bradicinesia si riferisce alla lentezza nell’esecuzione del movimento; devono essere considerate espressioni della bradi/acinesia sintomi quali l’amimia facciale e la rarità dell’ammiccamento delle palpebre che conferiscono al paziente l’aspetto tipico, per l’appunto amimico, del viso; la scialorrea, causata dalla lentezza dell’atto della deglutizione (non dall’aumento della salivazione), la voce monotona, la palilalia (ripetizione stereotipica di sillabe o brevi parole). A livello di deambulazione l’acinesia e la bradicinesia si esprimono con riduzione dei normali movimenti pendolari delle braccia; con difficoltà a intraprendere la marcia, a sollevare i piedi dal suolo, a cambiare rapidamente direzione, con il procedere a piccoli passi, con il blocco della marcia quando i percorsi si restringono; a livello degli arti superiori con l’impaccio ad eseguire movimenti alternati o complessi, come allacciare i bottoni o scrivere (micrografia).

Sintomatologia del Parkinson: tremore il tremore parkinsoniano è tipicamente un tremore a riposo, che tende ad attenuarsi durante i movimenti e a scomparire durante il sonno; nel corso della malattia può complicarsi con una componente posturale ma è generalmente ben differenziabile dal tremore intenzionale. E’ facilmente rilevabile alle dita delle mani quando il paziente mantiene la stazione eretta con le braccia rilassate lungo il tronco; ha frequenza 4-7/Htz e coinvolge le dita degli arti superiori (tipico movimento di chi “conta soldi”) e successivamente inferiori; solo in fasi avanzate di malattia può coinvolgere altri distretti. Non raramente il paziente lamenta un tremore “interno”, non rilevabile obiettivamente.

Sintomatologia del Parkinson: la rigidità o ipertonia plastica La rigidità del parkinsoniano viene definita plastica, in opposizione alla rigidità spastica, e a differenza di quest’ultima coinvolge sia i muscoli gravitari che gli antigravitari. Durante il movimento passivo degli arti la rigidità muscolare plastica cede a scatti, simulando l’attività di una ruota dentata (fenomeno della troclea o appunto, della ruota dentata). La rigidità è responsabile della postura tipica del parkinsoniano, caratterizzata dalla flessione in avanti del tronco, capo ed arti (camptocormia); tipica è anche a livello della mano, la flessione della prima falange sul metacarpo accompagnata dell’iperestensione delle altre falangi.

Sintomatologia del Parkinson: instabilità posturale Il paziente presenta frequentemente disturbi dell’equilibrio, verosimilmente generati dalla ridotta efficienza dei riflessi fisiologici dell’aggiustamento posturale, dalla rigidità e dalla lentezza del movimento. Fenomeni di anteropulsione e retropulsione sono facilmente rilevabili.

Sintomatologia del Parkinson: altri sintomi Oltre la corredo sintomatologico descritto, nella malattia di Parkinson possono essere presenti altri sintomi: Ipotensione ortostatica, che può manifestarsi nelle fasi avanzate della malattia, mentre la comparsa precoce deve suggerire altre patologie (sindrome multisistemica); Disturbi vescicali (minzione imperiosa ed incontinenza) e sessuali (disturbi dell’erezione e dell’eiaculazione) Livedo reticularis ed edemi declivi Iperidrosi, seborrea L’aumentata salivazione deve essere piuttosto ricondotta a difficoltà nella deglutizione; i disturbi gastrici, intestinali ed i dolori osteoarticolare sono in larga parte conseguenza dell’ipomobilità

Sintomatologia del Parkinson: disturbi cognitivi La presenza di deficit cognitivi nella malattia di Parkinson è un problema ancora discusso. Nel Parkinson idiopatico, soprattutto in fase iniziale, i deficit cognitivi, seppure presenti sono minori. In fasi più avanzate si può manifestare il quadro di una sindrome disesecutiva, legata ad una ipofunzionalità frontale, o di un danno “sottocorticale”. In altri casi la sindrome extrapiramidale può essere accompagnata anche in fase iniziale da deficit cognitivi marcati che configurano un vero e proprio quadro di demenza. La diagnosi stessa di Parkinson idiopatico deve allora essere messa in discussione a favore di quella di Parkinson-demenza (in cui sono dimostrabili elementi neuropatologici tipici della malattia di Alzheimer) o di malattia da corpi di Lewy diffusi. Vanno inoltre distinte dal Parkinson le forme di demenza frontotemporale che soprattutto nel sottotipo “frontale” possono essere accompagnate da chiari segni extrapiramidali.

Sintomatologia del Parkinson: disturbi comportamentali La depressione può talora precedere di anni la comparsa della malattia. Spesso è parte del corredo sintomatologico della malattia di Parkinson assumendo le caratteristiche di una depressione “inibita” a cui può associarsi un disturbo d’ansia. Tra i farmaci più indicati per il trattamento della sindrome depressiva del parkinsoniano ricordiamo gli inibitori del re-uptake della serotonina o i triciclici, dotati tuttavia questi ultimi, di maggiori effetti collaterali. Disturbi psicotici, soprattutto allucinazioni visive, ma anche uditive, sono stati messi in relazione alla terapia con l-dopa e dopaminoagonisti. Sono osservabili soprattutto in soggetti anziani e generalmente possono essere controllati riducendo il dosaggio dei farmaci antiparkinsoniani, o ricorrendo a terapie con psicofarmaci quali la clozapina o la quetiapina

Eziologia del Parkinson Ipotesi tossica Così come per molte patologie neurodegenerative, non si conosce con certezza la causa della malattia di Parkinson. Nonostante alcune sostanze tossiche , siano in grado di produrre condizioni simili al Parkinson (Parkinson sperimentale) non sembra che l’esposizione a tossici ambientali rivesta un ruolo determinante nella genesi della malattia. Tra le sostanze tossiche,è noto l’effetto della MPTP (1-metil-4fenil—1,2,5,6-tetra-idropiridina) che

Eziologia del Parkinson Ipotesi genetica Per una piccola percentuale di casi l’ipotesi genetica appare valida. Studi genetici sono stati condotti a partire dagli anni 90 sulla base di osservazioni riportate su una famiglia italo-americana (una famiglia originaria del paese di Contursi che presentava un numero molto alto di soggetti affetti da malattia di Parkinson ad esordio precoce) nella quale è stato possibile identificare sul cromosoma 4 il gene responsabile della malattia nei casi a trasmissione autosomica dominante. In casi di Parkinson a trasmissione autosomica recessiva è stato individuato un gene sul cromosoma 6 correlato alla produzione della parkina, proteina che svolgerebbe un ruolo nei meccanismi di degradazione cellulare. Per i casi di Parkinson sporadico è stato ipotizzato un processo di inibizione mitocondriale intracellulare

Fisiopatologia della malattia di Parkinson La perdita progressiva di neuroni dopaminergici con l’età è un evento fisiologico. Si ritiene che una morte cellulare superiore al 60-80% sia seguita dalla comparsa della malattia Si ritiene che la riduzione del rilascio di dopamina nello striato sia responsabile di una relativa iperattivita colinergica. Il mancato equilibrio dopaminergico-colinergico sarabbe alla base della comparsa del disturbo del movimento

Azione dei vari farmaci nella malattia di Parkinson tirosina Azione dei vari farmaci nella malattia di Parkinson tirosina Apporto esterno di Levodopa L-dopa dopamina Inibitori delle MAO-B degradazione rilascio Amantadina Effetto antiglutamatergico neuroprotettivo re-uptake degradazione Inibitori delle COMPT Dopamino Agonisti legame Recettore dopaminergico Anticolinergici Azione anticolinergica sullo striato

Terapia della malattia di Parkinson: principi farmacologici utilizzati L-dopa Dopaminoagonisti e apomorfina Inibitori delle catecol-O-metiltransferasi (COMT) Inibitori delle monoaminoossidasi-B Amantadina Anticolinergici

L-dopa La L-dopa è il precursore della dopamina, mediatore carente nel sistema nigrostriatale del paziente parkinsoniano; la l-dopa è in grado di attraversare la barriera ematoencefalica; raggiunge quindi il cervello dove viene trasformata in dopamina. Nonostante la l-dopa rappresenti il farmaco più efficace nel trattamento della sintomatologia del Parkinson il suo uso non è esente da rischi. Non è escluso infatti che essa stessa possa essere la causa di una ulteriore degenerazione di neuroni dopaminergici attraverso il meccanismo dello stress ossidativo. Inoltre, può facilitare la comparsa di complicanze motorie legate alla stimolazione intermittente dei recettori dopaminergici. Infatti, essendo la l-dopa dotata di emivita breve (non superiore ai 60 minuti) richiede somministrazioni multiple e ravvicinate con conseguente stimolazione “fasica”dei recettori dopaminergici, diversa pertanto dalla stimolazione dopaminergica “tonica” tipica della condizione normale. I preparati “ritardo” di l-dopa tenderebbero a riprodurre il fisiologico meccanismo della stimolazione tonica, ritardando pertanto le complicazioni motorie generate dalla stimolazione fasica.

L-dopa La l-dopa viene somministrata per via orale in associazione ad altre sostanze (la carbidopa o la benserazide) che riducono gli effetti collaterali dopaminergici a livello periferico. La l-dopa infatti può essere trasformata in dopamina prima di passare la barriera ematoencefalica producendo tipici effetti dopaminergici a livello periferico (calo pressorio, disturbi gastroenterici). La l-dopa pertanto viene associata a tali sostanze definite inibitori della dopa-decarbossilasi, l’enzima che trasforma la l-dopa in dopamina. La l-dopa pertanto avrà maggiori possibilità di passare la barriera ematoencefalica come tale e di essere trasformata in dopamina solo all’interno del cervello.

Complicazioni a lungo termine della terapia con l-dopa (e dei dopaminoagonisti) Nonostante la l-dopa rappresenti il farmaco più efficace nel controllo della sintomatologia del Parkinson, dopo alcuni anni il paziente va generalmente incontro alle cosiddette complicanze a lungo termine del trattamento con l-dopa. La riduzione dell’efficiacia può essere ricondotta sia alla ridotta capacità dei neuroni di immagazzinare dopamina che alla probabile perdita di sensibilità dei recettori dopaminergici. Anche i dopamonoagonisti non sono esenti da complicanze di questo tipo. Le compicanze a lungo termine sono sia di tipo motorio che di tipo non-motorio.

L-dopa: dosaggio: da 200 a 1000 mg al giorno in 3 – 8 somministrazioni Nomi commerciali Madopar (l-dopa-benserazide) 125 mg compresse Madopar 250 mg compresse Madopar HBS 25/100 compresse Madopar 125 compresse dispersibili Sinemet (l-dopa-carbidopa) compresse 250 + 25mg Sinemet compresse 100 + 25 mg Sinemet compresse 100 + 25 compresse a rilascio modificato Sinemet compresse CR 200 + 50 compresse a rilascio modificato Levomet (levodopa metile cloridrato)granulato per soluzione orale estemporanea

dopaminoagonisti I dopaminoagonisti agiscono attraverso la stimolazione diretta del recettore dopaminergico post-sinaptico (soprattutto il recettore D2); essi possono essere utilizzati in monoterapia o soprattutt, in associazione a l-dopa nei vari stadi della malattia. L’associazione con la l-dopa permette di ridurre il dosaggio di quest’ultima limitando pertanto la comparsa delle complicazioni motorie. Esistono diversi dopamioagonisti a diversa emivita, variabile delle 6 alle 27 ore; richiedono generalmente 3 somministrazioni al giorno; la cabergolina, ad emivita molto lunga (oltre le 60 ore) va somministrata una volta al giorno. Il dosaggio dei dopaminoagonisti va titolato fino ad ottenere l’ effetto ottimale in assenza di disturbi collaterali (nausea, vertigini, sonnolenza e, nei soggetti anziani, allucinazioni e stati confusionali)

dopaminoagonisti Dopaminoagonisti disponibili e ralativi nomi commerciali: Lisuride (Dopergyn) 0.2mg; 0.5mg; 1 mg Pergolide (Nopar): 0.25mg; 0.5mg; 1mg Bromocriptina (Parlodel); 5mg; 10mg; 2.5mg Pramipexolo (Mirapexin): 0.18mg; 0.7mg Ropirinolo (Requip): 0.25mg; 0.5 mg; 1mg; 2mg; 5mg Diidroergocriptina (Daverium): 5mg; 20mg Cabergolina (Cabaser): 1mg; 2 mg; (Dostinex): 0.5 mg:

dopaminoagonisti Apomorfina (Apofin; Apofin stylo; Ixense; Taluvian; Uprimal) è un dopaminoagonista con affinità recettoriale sia per i recettori D1 che D2; la sua efficacia è pertanto la più paragonabile a quella della dopamina Il suo impiego è limitato al trattamento di forme che non rispondono alla terapia per os, soprattutto in presenza di gravi fluttuazioni motorie Può richiedere la contemporanea somministrazione di sostanze quali il domperidone per contrastare i suoi effetti collaterali sull’apparato gastroenterico. Viene somministrata in dose unica (30 mg) per via sottocutanea o attraverso minipompe che ne consentono l’infusione permanente

Inibitori delle monoaminossidasi (inibitori delle MAO-B) ed Inibitori delle catecol-O-metiltransferasi (inibitori delle COMT) La L-dopa che ha superato la barriera ematoencefalica viene trasformata in dopamina. Nel cervello la dopamina viene inattivata da due tipi di enzimi, le MAO e le COMT L’inibizione di questi enzimi pertanto aumenta indirettamente la disponibilità di dopamina nel cervello. L’uso di sostanze in grado di inibire le MAO (in particolare l’inibizione selettiva delle MAO-B) e le COMT rappresenta un ulteriore strumento terapeutico nel Parkinson. Inibitori delle MAO-B: selegilina (Egibren, Yumex, Seledat) Inibitori delle COMT (sempre in associazione a L-dopa): entacapone (Comtan) tolcapone (Tasmar)(non disponibile in Italia) Una possibile azione neuropriotettiva della selegilina non è stata confermata da studi recenti; per quanto riguarda il tolcapone, si stanno ancora valutando eventuali effetti epatotossici

amantadina L’amantadina è stato uno dei primi farmaci a trovare impiego nella terapia del Parkinson; si ritiene che essa agisca inibendo il recettore NMDA per il glutamato, sostanza che interviene nei meccanismi di danno cellunalre. Viene pertanto attribuito all’amantadina un effetto neuroprotettivo Mantadan (amantadina) compresse 100 mg

anticolinergici Gli aticolinergici sono stati tra i primi farmaci ad essere utilizzati nella malattia di Parkinson. Il loro meccanismo di azione consiste nell’inibire l’eccessiva azione colinergica sullo striato, derivante dalla relativa prevalenza del sistema colinergico a seguito del ridotto tono dopaminergico Il loro uso è attualmente limitato al controllo di sintomi specifici, quali ad esempio il tremore. Il loro uso è tuttavia sconsigliato soprattutto nei pazienti anziani, per le negative conseguenze sul sistema cognitivo Alcuni anticolinergici biperidene (Akineton) orfenadrina (Disipal) triesifenidile (Artane) metissene (Tremaril) )

Complicazioni a lungo termine della terapia con l-dopa (e con dopaminoagonisti) Complicanze motorie: va ricordata in primo luogo la perdita dell’efficacia del trattamento che abbrevia progressivamente la durata del beneficio conseguente ad ogni singola dose, con ricomparsa pertanto dell’acinesia. Questa fenomeno si verifica inizialmente per la dose assunta al mattino (acinesia mattutina) e successivamente per tutte le assunzioni della giornata (deterioramento di fine dose- wearing-off). La sintomatologia ipocinetica può manifestarsi improvvisamente senza chiara relazione con l’assunzione della l-dopa. Questa complicazione viene definita freezing (congelamento). Il freezing comporta l’improvviso blocco della mobilità che può venire scatenato dalla presenza di qualunque ostacolo durante la realizzazione del movimento; può provocare l’improvviso arresto della deambulazione e la caduta a terra. Per fenomeno on-off si intende la fluttuazione motoria improvvisa non prevedibile, non associabile chiaramente all’assunzione della dose di l-dopa. Il paziente passa bruscamente da una condizione di movimento volontario conservato (fase “on”) ad una fase di marcata ipocinesia con rigidità (fase “off”). Le discinesie (combinazione di movimenti coreici, distonici ed atetosici, sono movimenti involontari che coinvolgono il capo ed il collo e compaiono generalmente nella fase di maggior concentrazione di l-dopa nel sangue (discinesie di picco); possono tuttavia coincidere con le fasi di afflusso e deflusso della l-dopa (discinesie bifasiche). Le distonie (movimenti lenti e rotatori) sono generalmente in relazione alle fasi di afflusso e deflusso della l-dopa; possono coinvolgere sia gli arti che il tronco ed essere dolorose. Le discinesie e le distonie possono accompagnare le fluttuazioni motorie.

Complicazioni a lungo termine della terapia con l-dopa (e con dopaminoagonisti) Vanno ricordate inoltre le complicanze non-motorie, quali stati sognanti, disturbi del sonno ed irrequietezza, alterazione dell’umore, fino alla comparsa di allucinazioni ed episodi confusionali Le complicanze motorie sono più frequenti nei pazienti più giovani, le non motorie in quelli più anziani

Pianificazione della terapia nella malattia di Parkinson La pianificazione della terapia è rivolta al controllo ottimale dei sintomi del paziente tenendo conto della sua richiesta funzionale, evitando gli effetti collaterali e ritardando il più possibile la comparsa delle complicazioni di lungo termine. E’ utile a tal fine, distinguere il paziente in fase iniziale dal paziente già in trattamento che presenta le complicazioni motorie della terapia

Pianificazione della terapia nella malattia di Parkinson Nel paziente in fase iniziale va in primo luogo considerata l’età. L’età relativamente giovanile (inferiore ai 65 anni) consiglia infatti di dilazionare la somministrazione di l-dopa, in considerazione del potenzialmente lungo decorso della sintomatologia che lo espone alla comparsa delle complicazioni di lungo termine; si ricorrerà pertanto ai dopaminoagonisti, agli inibitori delle MAO-B, all’amantadina. Solo in un secondo tempo, quando l’esigenza funzionale del paziente lo richiederà, si penserà ad introdurre la l-dopa, in associazione ai suddetti farmaci. Nel paziente più anziano (età superiore ai 65-70 anni) la l-dopa può rappresentare il farmaco d’elezione sin dall’inizio. Nel paziente anziano le complicazioni motorie sono infatti meno frequenti; più frequente invece sono le complicazioni non motorie, in primo luogo i deficit cognitivi e psichiatrici la cui comparsa sarebbe favorita dagli altri farmaci antiparkinsoniani. Va comunque ricordato che in soggetti in fase iniziale con buon compenso funzionale l’inizio della terapia farmacologica può essere dilazionato.

Pianificazione della terapia nella malattia di Parkinson Il paziente già in trattamento richiede un continuo aggiustamento della terapia. Questo aggiustamento è in funzione sia della riduzione dell’autonomia funzionale legata alla progressione della malattia che richiede un incremento dei dosaggi, sia della comparsa di complicazioni motorie. La comparsa delle fluttuazioni motorie richiede il frazionamento ulteriore della terapia (riduzione del dosaggio nella singola dose ma incremento del numero di somministrazioni), oppure l’uso di preparati a lento rilascio che stabilizzino la disponibilità nel tempo della l-dopa. Questo può essere ottenuto anche con l’introduzione degli inibitori delle MAO-B o delle COMT. La riduzione delle proteine nella dieta può incrementare la disponibilità di l-dopa. Il paziente per esempio può limitarne l’assunzione al pasto serale. Possono anche essere introdotti in terapia i dopaminoagonisti, soprattutto quelli con lunga emivita, per giungere infine alla somministrazione di apomorfina in dose unica per via cutanea o attraverso l’uso di minipompe. Nei pazienti con gravi complicanze motorie che non rispondono alla terapia medica va considerata la terapia chirurgica.

Terapia chirurgica della malattia di Parkinson Risale agli anni ’50 la dimostrazione che determinate lesioni nelle strutture cerebrali profonde erano in grado di produrre un miglioramento dei sintomi del Parkinson. La terapia chirurgica va limitata esclusivamente a pazienti con malattia di Parkinson idiopatica che non rispondano più adeguatamente alla terapia farmacologica e che abbiano una storia di malattia di almeno 5 anni Non sono suscettibili di trattamento chirurgico i pazienti affetti da altre sindromi extrapiramidali (es: malattia multisistemica) La terapia chirurgica non è indicata per soggetti che abbiano superato i 70 anni di età La chirurgia avviene in stereotassi, dopo avere individuato le sedi dell’intervento attraverso sofisticate metodiche neuroradiologiche Lesioni chirurgiche (elettrocoagulazione) praticate: talamotomia; pallidotomia; subtalamotomia.

Terapia chirurgica della malattia di Parkinson L’irreversibilità dell’intervento e le non rare complicanze emorragiche costituiscono le limitazioni più serie alla chirurgia del Parkinson Negli ultimi anni si tende a sostituire gli interventi lesionali con interventi di stimolazione attraverso l’applicazione in stereotassi di elettrodi il cui effetto di stimolazione dura fino a 5 anni, con possibilità di ulteriore sostituzione. Il significato della stimolazione ad alta frequenza è l’inibizione funzionale della struttura stimolata. Sedi dell’elettrostimolazione: nucleo ventrale del talamo; globo pallido; nucleo subtalamico La validità delle tecniche di impianto intrastriatatale di cellule di midollare del surrene e di cellule mesencefaliche fetali è ancora in discussione. In ogni caso si tratta di tecniche ancora sperimentali per le quali non si prevede l’applicazione clinica in tempi brevi.

Diagnosi della malattia di Parkinson La diagnosi della malattia di Parkinson rimane fondamentalmente una diagnosi clinica, basata sul rilevamento di segni tipici del Parkinson e sull’esclusione di altri segni indicativi di parkinsonismo. Indagini neuroradiologiche quali la TAC si utilizzano prevalentemente per escludere patologie in grado di produrre secondariamente danni extrapiramidali. La RMN sembra di qualche utilità nell’individuare nelle sequenze T2-pesate l’assottigliamento della pars compacta della sostanza nera. Esami funzionali quali la PET consentono di confermare la ridotta captazione del tracciante (18Fdopamina) indicativa del ridotto numero di cellule nella sostanza nera. La PET potrebbe rilevare la riduzione della captazione anche in fase preclinica; la comparsa di manifestazioni cliniche richiederebbe invece una riduzione della captazione di almeno il 50%. La PET ha comunque scarsa rilevanza ai fini clinici in considerazione degli alti costi. Maggiore applicabilità riveste la SPECT che utilizza traccianti in grado di legarsi selettivamente al trasportatore della dopamina (DAT) presente nello striato.

Diagnosi della malattia di Parkinson Un criterio importante per la diagnosi di malattia di Parkinson idopatica è la responsività alla l-dopa attraverso test farmacologici in acuto. Questi test quantificano il miglioramento della sintomatologia dopo somministrazione di l-dopa o apomorfina. La diagnosi differenziale tra Parkinson ed atrofia multisistemica si avvale inoltre di metodiche rivolte alla valutazione della funzionalità del sistema neurovegetativo; ad es, il tilt-test che verifica la modificazione della pressione sistolica nel passaggio dalla posizione supina alla posizione eretta; nell’atrofia multisistemcia la pressione sistolica è generalmente alta nella posizione supina e subisce un brusco abbassamento nel passaggio alla posizione eretta L’EMG del piano perineale può essere di qualche utilità nella distinzione tra Parkinson ed atrofia multisistemica

Stadiazione della malattia di Parkinson secondo Hoehn e Yahr Stadio 1 Malattia unilaterale, minima limitazione funzionale Stadio 1,5 Malattia unilaterale con coinvolgimento assiale Stadio 2 Malattia bilaterale senza disturbo di equilibrio Stadio 2,5 Malattia bilaterale; iniziali disturbi posturali con possibilità di compenso Stadio 3 Malattia bilaterale da lieve a moderata; qualche instabilità di equilibrio; paziente ancora indipendente Stadio 4 Disabilità marcata; paziente ancora in grado di mantenere la stazione eretta e di deambulare autonomamente Stadio 5 Grave limitazione funzionale; paziente costretto sulla sedia a rotelle o a letto se non è aiutato Più complessa e la valutazione attraverso la scala UPDRS

Parkinsonismi: tra i parkinsonismi ricordiamo le seguenti forme La paralisi sopranucleare progressiva (malattia di Steele Richardson Olszewski) E’ caratterizzata dalla presenza di sintomi di tipo parkinsoniano associati ad una progressiva paralisi del movimento coniugato degli occhi sul piano verticale, inizialmente verso l’alto e successivamente verso il basso. In fasi avanzate anche il movimento sul piano orizzontale viene limitato. E’ più frequente nell’uomo. I sintomi parkinsoniani consistono in primo luogo nella rigidità, prevalentemente assiale, nell’ipocinesia e nella instabilità della marcia con frequenti cadute a terra. A differenza che nel Parkinson la sintomatologia è simmetrica e generalmente manca il tremore a riposo. La malattia si manifesta tra i 50 ed i 65 anni, è rapidamente progressiva e risponde solo marginalmente alle terapie per la malattia di Parkinson.

Parkinsonismi: tra i parkinsonismi ricordiamo le seguenti forme L’atrofia multisistemica consiste nella degenerazione di diversi sistemi funzionali neuronali. In particolare, mentre la malattia di Parkinson è caratterizzata dalla degenerazione dei neuroni della substantia nigra, nell’atrofia multisistemica anche lo striato è coinvolto. Nell’ambito dell’atrofia multisistemica si distinguono: la degenerazione striato-nigrica con prevalenti sintomi parkinsoniani La degenerazione olivo-ponto-cerebellare con prevalente sintomatologia cerebellare (atassia) Accanto ai sopraddetti sintomi fanno parte del quadro sintomatologico manifestazioni indicative della compromissione del sistema neurovegentativo: -l’ipotensione ortostatica e le sincopi -l’incontinenza urinaria e l’impotenza L’atrofia multisistemica è ugualmente frequente negli uomini e nelle donne; si manifesta tra i 45 ed i 70 anni e non risponde alle terapie per la malattia di Parkinson

Parkinsonismi: tra i parkinsonismi ricordiamo le seguenti forme La degenerazione corticobasale è una malattia piuttosto rara che associa sintomi parkinsoniani a segni di danno “corticale” in primo luogo parietale. Oltre alla sindrome acinetico-rigida si apprezza un tipico disturbo di tipo aprassico (più frequente a sinistra) con difficoltà a coordinare movimenti finalizzati ed una anomala percezione corticale degli arti di un lato (sia del braccio che della gamba) che portano al tipico fenomeno “dell’arto alieno”, con mancanza di controllo dell’arto e a sensazione dinon appartenenza La sintomatologia non è controllabile con la terapia farmacologica