Il regno merovingio.

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Il regno merovingio

Eginardo, Vita di Carlomagno, § 1 La dinastia Merovingia si considera durare fino al re Childerico, che per volontà del papa Stefano fu deposto, tonsurato e rinchiuso in monastero. Tuttavia sebbene questa fosse la fine vera e propria, già da prima si trattava di una dinastia senza potere, e anzi non disponeva di nulla di illustre se non del vano titolo di re; infatti tutte le risorse e la potenza del regno erano nelle mani dei prefetti di palazzo, detti maggiordomi, ai quali spettava di reggere il potere. Non restava loro nulla di regio, se non che accontentandosi del titolo di re, con i capelli fluenti e la lunga barba, si mostravano sul trono con l’attitudine del sovrano, ascoltavano gli ambasciatori e rispondevano loro quello che in realtà era loro suggerito se non imposto. Con l’inutile nome di re ricevevano dal prefetto di palazzo una sorta di sostentamento, e non possedevano nulla di proprio se non una modesta residenza, dove tenevano una piccola schiera di servitori e cortigiani. Quando dovevano spostarsi, lo facevano come fanno i villani, su un carro tirato da buoi. In questo modo si recavano a palazzo, o alla riunione del popolo che veniva celebrata ogni anno per le necessità del regno, per poi ritirarsi nella loro residenza. L’amministrazione del regno, e tutte le faccende di stato sia interne che esterne erano gestite dal prefetto del palazzo.

Carlo Magno (768-814)

Lettera di Carlo Magno al papa Leone III (796) Questo in particolare si rivela come il nostro compito: aiutati dalla divina pietà dobbiamo difendere ovunque la Santa Chiesa di Cristo; all’esterno con le armi, contro gli assalti dei pagani e le devastazioni degli infedeli, all’interno dobbiamo consolidarla diffondendo la conoscenza della dottrina cattolica. Altro è il vostro compito, beatissimo padre: proteggere i nostri eserciti, tenendo levate, come Mosè, le braccia, sicché, con la vostra intercessione, il popolo cristiano, guidato da Dio e quasi suo dono, riporti sempre ed ovunque la vittoria contro i nemici del suo nome e il nome divino di nostro Signore Gesù Cristo brilli in tutto il mondo.

Carlomagno imperatore - 800

Capitolare italico di Carlo Magno (801) Nel nome del nostro Signore Gesù Cristo. Carlo, incoronato per segno divino detentore dell’autorità di Roma, serenissimo augusto, a tutti i duchi, conti, gastaldi e a tutti i preposti alla cosa pubblica delle province d’Italia dalla nostra benevolenza. Sebbene noi fossimo venuti in Italia nell’interesse della santa Chiesa di Dio e per mettere ordine nelle province, e molte e differenti questioni in ogni città siano state discusse al nostro cospetto tanto di cose ecclesiastiche che pubbliche e private, e la maggior parte sono state risolte subito con sentenza adeguata emessa dalla legge romana o longobarda, ma ve ne sono alcune rinviate nel tempo al giudizio del nostro esame, la cui sentenza giudiziaria è stata o profondamente trascurata dai legislatori o abbandonata dai successori alla dimenticanza. Di conseguenza noi, considerando l’interesse nostro e del popolo a noi affidato da Dio, abbiamo avuto cura di aggiungere, secondo la considerazione delle cose e del tempo, quelle questioni che sono state trascurate dai re d’Italia nostri predecessori negli editti della legge longobarda dagli stessi emanati, appunto perché quelle necessarie che mancarono alla legge vengano aggiunte, e nelle cose incerte non prevalga l’arbitrio di qualsiasi giudice, ma la sanzione della nostra regia autorità. Quindi i capitoli che a noi piacque aggiungere sono questi: […]

L’ordinamento dell’Impero Aquisgrana – cappella Palatina Comites (conti) – Comitatus (contea) Marchiones (marchesi) – Marca Missi dominici Capitolari Placito Vassus - Beneficium

Le scritture dei documenti nell’Europa Carolingia

La moneta nell’Europa carolingia 1 lira = 1 libbra d’argento 20 soldi 12 denari

La disgregazione dell’impero Annali del regno franco 808. Un inverno umido e malsano. L’imperatore, recatosi a Noyon all’inizio della primavera, vi passò la Quaresima e vi celebrò la Pasqua, tornando poi ad Aquisgrana. E poiché era giunta la notizia che Göttrik, re dei Danesi, era passato con l’esercito nel territorio degli Abodriti, l’imperatore inviò suo figlio Carlo all’Elba con una forte schiera di Franchi e di Sassoni, con l’ordine di opporsi a quel re forsennato qualora avesse osato sferrare un attacco ai confini della Sassonia. Annali di S. Vaast Anno del Signore 882. I Franchi orientali radunarono un esercito contro i Normanni ma si diedero alla fuga, e lì cadde il vescovo Wala di Metz. I Danesi bruciarono il famosissimo palazzo e i monasteri di Aquisgrana, bruciarono le nobilissime città di Treviri e Colonia, i palazzi regi e le residenze di campagna, sterminando gli abitanti della zona. Contro di loro l’imperatore Carlo radunò uno sterminato esercito e assediò Elsloo, ma il re Goffredo gli si fece incontro e l’imperatore gli assegnò i territori frisoni che erano stati in possesso del re danese Rorik. Gli diede anche in moglie Gisella, figlia del re Lotario e così fece allontanare i Normanni dal suo regno. I Normanni nel mese di ottobre si accamparono a Condè e presero a devastare atrocemente il regno di Carlomanno. Anno del Signore 884. I Normanni non cessano di catturare ed uccidere il popolo cristiano, distruggere chiese, abbattere mura, incendiare città. Nelle piazze giacevano cadaveri di chierici, di laici, nobili o plebei, di donne, di giovani, di lattanti. Non c’era una via, non un posto dove non fossero morti; tutti erano in preda alla disperazione assistendo all’annientamento del popolo cristiano.

Il Giuramento di Strasburgo (842) “Pro Deo amur et pro christian poblo et nostro commun salvament, d’ist di in avant, in quant Deus savir et podir me dunat, si salvarai eo cist meon fradre Karlo et in aiudha et in cadhuna cosa, si cum om per dreit son fradra salvar dift, in o quid il mi altresi fazet et ab Ludher nul plaid nunquam prindrai, qui, meon vol, cist meon fradre Karle in damno sit.” “In Godes minna ind in thes christianes folches ind unser bedhero gehaltnissi, fon thesemo dage frammordes, so fram so mir Got gewizci indi mahd furgibit, so haldih thesan minan bruodher, soso man mit rehtu sinan bruher scal, in thiu thaz er mig so sama duo, indi mit Ludheren in nohheiniu thing ne gegango, the minan willon, imo ce scadhen werdhen.”

L’accordo di Verdun (843)