Prof Carluccio Bonesso

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Transcript della presentazione:

Prof Carluccio Bonesso VII e VIII lezione di TIMOLOGIA: l’interazione logonica e le relazioni spirituali Prof Carluccio Bonesso

Pensabilità timica Il pensiero come le altre funzioni mentali è dotato delle stesse caratteristiche fondamentali. Binarietà: affermazione / negazione. Specificità: logos: senso, significato, finalità. Tropismo: ricerca, studio, osservazione, riflessione, meditazione. Edonia: certezza, scoperta, illuminazione. Espressione: informazione logonica: visione del mondo e comunicazione. Organo: cortecce cerebrali.

Da questo punto di vista la corteccia cerebrale, titolare della cognizione, è l’organo che ha la funzione sovrasensoriale di integrare e coordinare gli input e le afferenze provenienti dai livelli sottostanti, attraverso la cognizione che esprime la visione del mondo, la costruzione della realtà, la quale diventa comunicazione principalmente verbale, ma anche simbolica, figurativa e/o plastica.

Quindi è la funzione che rende pensabili oggetti che non le appartengono: come pulsioni, sensazioni ed emozioni, a modo di W. R. Bion (1961, 1963). L’accesso alla pensabilità ha inizio molto presto nel rapporto madre/figlio, quando la madre aiuta il piccolo ad affrontare le sue esperienze, il suo dolore e le sue angosce. Come una volta le madri premasticavano il cibo, così fanno elaborando le esperienze del bambino.

Fin tanto che questi elementi non vengono sgrezzati e depurati delle caratteristiche oggettuali non possono accedere alla pensabilità, alla possibilità di costruzione e modificazione della realtà, ma rimangono intrappolati in un campo oscuro, (ignoranza), oppure stazionano nell’inconscio, ove possono anche degradare verso la patologia di sensazioni ed emozioni negative che si impossessano delle vie istintive generando compulsioni ed ossessioni.

Quando invece vengono accolti e posseduti dalla pensabilità, allora le percezioni diventano concetti, categorie e simboli. Possono essere affermati o negati, elaborati e diventare certezza, scoperta o addirittura illuminazione, cioè il piacere della conoscenza. L’accesso alla pensabilità ha inizio molto presto nel rapporto madre/figlio, quando appunto la madre aiuta il piccolo ad affrontare le sue esperienze, il suo dolore e le sue angosce.

Così accade per le esperienze infantili iniziali. Bion direbbe che la madre esercita la funzione a-rêverie rispetto ai vissuti b del bambino. E un elemento b si converte in a quando da inconscio diventa conscio. Quando l’umore, le emozioni, le passioni, gli atteggiamenti e le motivazioni accedono alla coscienza ed alla consapevolezza al punto da poter evolvere in contezza, la funzione che presiede alla comunicazione, allora parliamo di pensabilità timica.

Flusso e metastruttura del logos Quello che è il flusso timico, presieduto dal cervello dell’omeostasi, del movimento e delle emozioni, a livello corticale diventa il circuito autoalimentante di senso, significato e finalità. Infatti le cortecce analizzano la realtà facendo ricorso agli altri sistemi cerebrali, i quali già per conto loro hanno maturato nell’evoluzione le loro strategie, senza le quali il logos si perderebbe nei meandri delle tautologie.

Flusso interattivo parallelo della timia e del logos INPUT SENSO VALUTAZIONE SIGNIFICATO ATTIVAZIONE FINALITÀ OUTPUT

Il momento input-valutazione del flusso timico (circuito nero) nel logos (circuito rosso) è il momento del senso, in cui l’interazione fra input e sistemi di memoria generano l’interpretazione e/o il riconoscimento della realtà. In valutazione-attivazione il logos attribuisce un significato che diventa il valore, cioè il dover fare, che in attivazione-output realizza la finalità, la quale va in feedback a confermare o a modificare il senso.

Quando il flusso del logos subisce l’insulto delle frenesie o delle inibizioni catatoniche provenienti dalle sottostanti regioni cerebrali, allora si aprono i baratri della patologia mentale o le derive ideologiche della distruttività, a riprova che tutto si tiene insieme nell’organismo. Il logos è talmente intimo alle manifestazioni umane al punto che è agevole affermare che innervi in modo infrastrutturale tutte le aree di espressione umana.

Logos:sensosignificatofinalità (flusso logonico-filosofico) Agire: conoscovogliorealizzo (flusso operativo) Atteggiamento:credoamospero (flusso emico-culturale) Credenza: fedecaritàsperanza (flusso teologico) L’agire umano parte dalle conoscenze e dalle abilità possedute, le quali consentono di desiderare, volere, tentare di realizzare, portare a compimento le azioni ed i progetti.

Ciò vale anche per gli atteggiamenti dove le convinzioni generano l’amore e l’atteggiamento positivo butta il cuore oltre l’ostacolo. Nelle credenze, come nelle visioni del mondo e nella religione, la fede apre all’amore, la carità che riempie di speranza la vita.

Relazioni logoniche Si definiscono relazioni logoniche tutte quelle che traggono i loro input motivazionali dai bisogni spirituali, vale a dire il bisogno di senso, il bisogno di significato ed il bisogno teleologico (finalità). Tali relazioni attengono all’interazione logonica. Dal bisogno di senso discende la relazione di conoscenza, la quale trae il suo tropismo dalla curiosità e dal desiderio di conoscenza.

L’uomo ha bisogno di capire come le cose funzionano, come interagiscono fra loro e come gli avvenimenti trovano spiegazione. Rientra in questo ambito la ricerca che è mossa dal bisogno di senso, di intelligibilità e comprensione della realtà e di razionalità, tanto che il dire comune, parla di “buon senso” per indicare la ragionevolezza.

Capire il come, i rapporti logici di causa effetto, tipici della scienza sono nell’ambito della dimostrabilità e della prova e riguardano la particolare relazione con il mondo, che chiamiamo relazione di conoscenza. Il tropismo spirituale teso a rispondere ai bisogni di senso e significato è da intendersi come propensione e disposizione interiore.

Il tropismo conoscitivo è fornito dal bisogno di senso Il tropismo conoscitivo è fornito dal bisogno di senso. Comprendere il senso degli avvenimenti e il funzionamento delle cose determina l’edonia della prevedibilità e della conoscenza, la quale dà sicurezza e toglie dall’incertezza e dalla paura dello sconosciuto e dell’imprevedibile. Inoltre consente di intervenire nei funzionamenti e di impossessarsi dei meccanismi che governano le cose.

Le emozioni conseguenti sono la gioia collegata alla scoperta e alla conquista della conoscenza, e la felicità collegata alla serenità del comprendere, mentre l’origine più profonda è da ricercare nello stupore che attiva il bisogno di conoscenza. Questo ci dice che nella relazione di conoscenza intervengono tanto il sistema dell’azione che della relazione. La relazione di conoscenza ha generato le scienze, la matematica e la tecnologia.

Anche la filosofia prende le mosse dal bisogno di senso, ma è mossa anche dal bisogno di significato e di finalità. Tra i cultori della relazione di conoscenza e coloro che praticano le relazioni che nascono dai significati nell’era moderna si è determinato una confusione di scopi ed ambiti, ed un conflitto insopito. I primi trovano inutile la ricerca di significato e priva di senso. I secondi vedono nei primi un atteggiamento prometeico e di onnipotenza dai contorni pericolosi, soprattutto laddove la scienza e la tecnologia si determinano come dominio e manipolazione.

Dietro ogni discutere di senso però, si cela la ricerca del senso d’ogni senso, cioè la Verità, la quale è il ponte fra senso e significato. Un senso infatti, rimane tale finché è dentro l’orizzonte del Vero, ma anche il Significato per generare Valore deve rispettare il Vero, pena la svuotamento del Valore. Senso e Significato si giustificano solo dentro la Verità. Il bisogno teleologico si distende nel tempo, spiritualmente va oltre e sta alla base della Speranza capace di generare in continuazione orizzonti di senso e di significato.

Piano delle relazioni di conoscenza Proedonia Rsn +y Area dello scetticismo Area del senso incredulità opinione ideologia scoperta conoscenza agnosticismo disincanto stupore intuizione scepsi superficialità interesse curiosità Antitropismo Rsn –x Protropismo Rsn +x Area acritica Area della ricerca disinteresse ignoranza dubbio/ ipotesi nonsenso idiozia prova delirio verifica Antiedonia Rsn –y Rsn = relazione di senso Il piano ha in ascissa il tropismo conoscitivo di senso (Rsn), cioè la disposizione e la propensione al Vero, le quali implementano continuamente la conoscenza e la ricerca, e in ordinata l’edonia conoscitiva Rsn del Vero, cioè il sentirsi dentro un orizzonte di certezza e di verità.

Il quadrante eutimico, con protropismo ed edonia Rsn positivi, è generato dallo stupore, dalla curiosità e dall’interesse, cioè dalla propensione alla conoscenza. Fanno parte degli strumenti da una parte l’intuizione e dall’altra il piacere della scoperta e della novità. La felicità di questa area è data dalla meraviglia connessa all’acquisizione di ogni nuova conoscenza e scoperta che riempiono di nuovo senso la vita.

Nel quadrante liminale la ricerca presenta il conto della fatica del cercare, del dubbio, del far ipotesi, del provare e verificare. Nessun progresso conoscitivo è privo dei costi dell’esperienza, tanto è vero che la stessa è per lo più la somma degli errori fatti nel percorso della vita piuttosto che dei successi.

Nel quadrante cacotimico opposto al primo si distende il disinteresse che sta alla base dell’ignoranza con i suoi gravami del nonsenso e dell’idiozia, che ai livelli più alti di antitropismo e antiedonia Rsn sfocia nel patologico delirio. Rientrano sempre in questa area tutto il malessere delle conoscenze oppressive, della paura dell’ignoto e delle manipolazioni magiche: le vittime dei cultori dell’occulto.

Nel quadrante della distruttività albergano le ideologie e il delirio patologico. Rientrano sempre in questa area la faziosità, lo spirito di parte e l’intolleranza: tutte quelle forme di pensiero che generano ostilità, rancore ed odio. È in questo quadrante che prolificano i modi di pensare che alimentano le distropie (vizi) e le giustificano.

Sta qui anche l’atteggiamento agnostico votato alla scepsi, che non crede si possa mai raggiungere una vera conoscenza o per superficialità o per incredulità o per disincanto. Fanno parte di questa area la superficialità per antitropismo Rsn e scarsa proedonia Rsn, mentre a proedonia maggiore si riscontra il soggettivismo personale dell’opinione individuale, quello che alimenta le intolleranze e il disprezzo.

La relazione di significato Si definiscono relazioni di significato tutte quelle relazioni logoniche che generano Valore, da cui discende il dover essere ed il dover fare teleologici. Timologicamente ciò vuol dire che tutto quello che ha significato, ha corrispondentemente sul piano dell’emotività, per l’assioma della costanza emotiva, una sua valutazione assiologica e di conseguenza un valore.

L’antropologia emotiva ci racconta di un’umanità che da sempre si è data dei valori ai quali ancorare le proprie relazioni personali, sociali e politiche. È a partire dai valori che discendono in ogni cultura gli atteggiamenti, le convinzioni e le regole. Il tropismo valoriale Rvl sta alla base di ogni agire significativo, mentre l’edonia Rvl segnala la coerenza con il Significato e la correttezza degli atteggiamenti e delle azione conseguenti.

La cultura umana procede da sempre sul binario della conoscenza e dei significati: conoscere per significare, conoscere per amare, conoscere per decidere, sapere per essere. Senso e Valore sono la corsia su cui si dipana la storia individuale ed umana. Il Senso alimenta le convinzioni e le convinzioni i valori che poi muovono teleologicamente la storia (finalità). Dentro questo trinomio di senso, valore e finalità, stanno tutte le conquiste culturali, ma anche tutte le angosce e le tragedie della vicenda umana.

Area della persecuzione Area del valore Piano delle relazioni di significato Proedonia Rvl +y Area della persecuzione Area del valore convenienza il Bene persecuzione la Bellezza infatuazione moda il Vero il Giusto Antitropismo Rvl –x Protropismo Rvl +x Area del relativismo Area del dialogo qualunquismo rispetto negazione dubbio/ricerca relativismo adesione e/o conversione Antiedonia Rvl –y Rvl =relazione valoriale La relazione di significato è la più timologica, perché la più assiologica e fondata sulla scelta di valore. Senza valori non c’è cultura, giacché è su di essi che si salda la coesione sociale. L’antropologia emotiva raggiunge in questa relazione il livello più alto e più specificatamente culturale, giacché il valore determina la propensione al significato che è l’anima dello spirito umano.

Il quadrante del valore possiede un protropismo e una proedonia relazionali potentissimi, tanto che molti uomini nel tempo hanno messo in gioco la loro stessa vita per questo e comunque hanno fatte le loro scelte esistenziali più decisive. Sul piano cartesiano tutto sembra “chiaro e distinto”, sennonché quello che è bello sulle passerelle di Milano, per me è ridicolo e per un abitante delle savane incomprensibile.

Quello che è giusto nei tribunali di New York, di Parigi o di Londra, non lo è nei tribunali islamici in Iran; il Bene per una velina o una cortigiana è totalmente differente per una madre di famiglia o per una suora di clausura: tutti cercano Giustizia, Verità, Bellezza e Bene, ma poi ognuno provvede, o ha appreso, a categorizzare e a gerarchizzare i valori secondo una propria coscienza e cioè una personale pensabilità relazionale.

Il quadrante successivo del dialogo indica tutta la propensione alla ricerca dell’incontro, ma anche tutta la fatica del confronto e del rispetto, del dubbio e della ricerca, e dell’adesione e della conversione ai valori. Senza questa area non vi è costruzione della pace, possibilità di sereno rapporto fra uomini e culture, formazione di atteggiamenti comuni in cui ogni cultura si riconosca. Il futuro dell’umanità si gioca soprattutto in questo ambito liminale, il quale rappresenta la volontà protropica di realizzare il Bene per tutti, accettando la fatica antiedonica del dialogo a tutti i costi.

Nel quadrante del relativismo si annidano tutte le sconfitte del valore. Si parte dall’indifferenza, dal disinteresse e menefreghismo per approdare alla ripulsa per ogni valore, che nel quarto quadrante diventa vessazione, repressione e maltrattamento, ma anche angheria, sopruso e tutte le violenze della persecuzione come ancora oggi si assiste in varie forme in tutto il mondo, a dimostrazione che di fronte ai valori non si può non assumere un atteggiamento.

Sempre nel quarto quadrante si situano gli estremismi, il settarismo e l’intransigenza: atteggiamenti prepotentemente e quotidianamente presenti sulla scena mondiale con lutti e tragedie interminabili. È dal relativismo, che rappresenta la chiusura antitropica al valore condiviso, che si approda ai lidi del fai da te morale e valoriale, dove tutto si muove dentro convinzioni ed opinioni non condivise e minimamente verificate, ma costituite molto spesso solamente da mode e infatuazioni.

La relazione teleologica Tanto il senso, quanto il valore rimandano ad un dover essere, cioè al bisogno di finalità, senza il quale decadono nel nonsenso e nel disvalore. È nello spirito umano ed in ogni antropologia vivere nella speranza. Senza speranza non si fa e non si va da nessuna parte, perché la speranza annida la fiducia, la filia, la gioia e la felicità, le quali stanno alla base dei sistemi timici dell’interazione.

Il bisogno teleologico si nasconde dietro ogni fare ed interagire. È assiomatico che dietro ogni fare e relazionare ci sia sempre una motivazione. Disattendere questo bisogno è condannarsi alla derive della disperazione. Chi avesse sperimentato nella propria vita la depressione, anche la più breve, sa che la mente vacilla ed è tentata dalla fuga, anche la più estrema del suicidio, pur di sfuggire a tale sofferenza.

Senso, significato e speranza sono le dimensioni, le linee di forza su cui si distende il pensiero e si disseta lo spirito umano. Altra cosa è poi dare un nome alla speranza. Che si chiami sopravvivenza, soddisfazione, successo, amore, bellezza, eternità o altro, qui poco importa. Di fatto ognuna di queste scelte più o meno felici, fa parte del fondamentale bisogno di darsi speranza, senza la quale viene messa in discussione la stessa sopravvivenza.

Piano delle relazioni teleologiche Proedonia Rtl +y Area del disinteresse Area della speranza edonismo affidamento indifferenza entusiasmo/intraprendenza diffidenza aspettativa o lusinga Antitropismo Rtl –x Protropismo Rtl +x Area della disperazione Area della ricerca pessimismo/ abbattimento dubbio / ricerca paura/ scoramento perseveranza depressione/ avvilimento resistenza Antiedonia Rtl –y Rtl = relazione teleologica La relazione teleologica Rtl sta alla base del senso e significato che si attribuiscono al tempo nella sua dimensione precipuamente futura e alla risposta che si dà al bisogno di finalità. Alla base della speranza vi è un’aspettativa positiva. In tal senso riguarda ogni essere animale, che ogni giorno si avventura nella direzione di qualcosa che si aspetta di trovare o incontrare, perciò la speranza è una estensione della fiducia non in qualcosa, ma in un evento atteso.

La fiducia normalmente è rivolta a qualcosa di concreto, fisico che occupa uno spazio, ma anche in qualcosa che sta in un tempo atteso, per l’appunto teleologico. La prima col tempo diventa un atteggiamento di fede, mentre la seconda si configura come speranza. Noi viviamo continuamente di fede, giacché ci fidiamo per forza delle cose con cui normalmente interagiamo. Nessuno di noi si sogna al mattino di fare le analisi di laboratorio del caffè per assicurarsi che non sia avvelenato: ci fidiamo!

Altrettanto valga per l’amore, senza il quale chi affronterebbe la fatica delle relazioni intime, famigliari, di lavoro: si ama e basta! Anche perché è troppo dispendioso odiare. Non voler bene ai propri e a ciò che si fa, porta alla nevrosi e alla patologia. Ed inoltre sta nell’ovvietà più banale che ogni mattina speriamo che le cose funzionino, altrimenti vivremmo nella continua insicurezza o peggio nella disperazione. Senza speranza non si va per l’appunto da nessuna parte, perché è l’aspettativa positiva che mette le ali ai piedi.

Nel quadrante eutimico, si ha l’area della speranza Nel quadrante eutimico, si ha l’area della speranza. La base protropica è l’aspettativa, ma potrebbe annidare tanto la lusinga che l’illusione. Salendo nei valori si ha l’intraprendenza e l’entusiasmo. Più in su c’è l’affidamento, l’abbandonarsi totalmente fiducioso nelle braccia della speranza. Può essere il bambino che corre incontro all’abbraccio del genitore, l’innamoramento o l’affidamento mistico alla divinità salvifica. Tutto ha il sapore della felicità, perché senza speranza non c’è serenità e pace che sono gli annidamenti necessari perché si dia la felicità.

Nel quadrante liminale, protropico e antiedonico Rtl, si situa tutta la fatica del coltivare la speranza, cioè la ricerca. Qui ci si confronta con il dubbio, ma in modo costruttivo, cioè alla ricerca d’un fine, un motivo che dia senso e significato al ricercare. Qui si incontra la notte dello spirito dei mistici, la perseveranza dei ricercatori, dei pellegrini della verità e la resistenza dei giusti.

Nel quadrante cacotimico, antitropico Rtl per la rinuncia alla ricerca e antiedonico Rtl per l’abbattimento, si incontra la disperazione. Si va in discesa verso la depressione e l’avvilimento spirituale in compagnia della paura e della perdita di ogni senso e significato. È stato chiamato per l’appunto “il male oscuro”. Da un punto di vista strettamente timologico è il rubare il sogno.

Rubare futuro è un peccato imperdonabile e la nostra cultura dovrebbe farne oggetto di attenta riflessione, perché è ciò che sta accadendo per le giovani generazioni. La depressione annida rabbia, paura, invidia e tristezza, ed è una matryoshka emotiva imprevedibile e distruttiva. La politica, l’educazione, la società ne prendano atto prima che sia troppo tardi!

Nel quadrante del ritiro, proedonico e antitropico Rtl, si situa il disinteresse, meglio detto menefreghismo e anche qualunquismo o l’edonismo per l’edonismo. Diffidenza e indifferenza consentono di tirarsi fuori dal gioco, esimersi dalla comune responsabilità in nome di una propria egoistica tranquillità o distacco disilluso.

Il problema del futuro è nel cuore della responsabilità, in quel scegliere che determina il dover fare. Perché se non si sceglie, si demanda, ma non per questo non si è responsabili. Il futuro riguarda tutti, perché è un bisogno, non un accessorio o un optional. Ogni cultura ed ogni società degne di questo nome non possono vivere senza speranza.

ricerca di significato definitivo relazione motivazione tropismo edonia di significato estetico bisogno di bellezza propensione al bello stupore grato etico di giustizia alla giustizia i frutti della giustizia religioso numinoso o del divino alla Verità assoluta fede, speranza e carità mistico del divino personale ricerca di significato definitivo incontro Per completezza si riportano altre importanti relazioni secondo il flusso, rimandando ad altro impegno il posizionamento secondo piano cartesiano.

Pensabilità timica Gli oggetti fondamentali della timologia sono quelli che le funzioni emotive generano e cioè la relazione e l’azione, tutte descrivibili dentro i confini dello spazio-tempo. L’emergere della relazione alla pensabilità, è la coscienza, mentre la consapevolezza è l’emergere dell’azione, il tradurre in linguaggio e comunicazione la due pensabilità timiche è invece la contezza.

separare la coscienza dalla consapevolezza è un po’ grossolano. Meglio pensare ad un’ellisse, i cui due fuochi abbiano da una parte la coscienza e dall’altra la consapevolezza. Fra le due vi è un rapporto quantico, per cui quando si osserva una l’altra pare che scompaia e viceversa. In realtà è probabile (cioè quantico) che ambedue siano la manifestazione d’un unico fatto: l’interazione.

A partire dal modello timologico di flusso, che vede in interazione da una parte i bisogni e dall’altra l’ambiente, il corpo, l’omeostasi e la memoria, la coscienza ha competenza soprattutto sul versante dei bisogni e delle motivazioni, mentre la consapevolezza copre l’area delle afferenze ambientali, corporee, mestiche ed omeostatiche, come lo è la relazione e l’azione rispetto all’interazione.

Ogni qualvolta il pensiero si occupa delle motivazioni e dei bisogni che intervengono nella relazione fa coscienza, mentre quando il pensiero è presente e attento alle emozioni, alle passioni, agli atteggiamenti e alle azioni allora fa consapevolezza. È cosa ben diversa sapere perché si fa una certa cosa dal come la si percepisce e la si fa.

Il racconto che segue ed anche l’attuale mio riflettere, lo scrivere, il leggere e l’ascoltare è il far contezza, senza la quale tutto sprofonderebbe nel silenzio della incomunicabilità. La comunicazione è l’atto del dar conto e mettere in comune l’informazione.

“la coscienza è l’organo del bene” (R.Guardini) La coscienza è il sovrasistema invisibile e resistente alla ricerca, che tira i fili di tutti i sistemi secondo criteri lontani dai semplici schemi di causa ed effetto, ma secondo criteri assiologici che chiamano in campo i valori, variabili non scientifiche e inquantificabili. Nella coscienza interagiscono contemporaneamente tutte le funzioni del campo timico in vista del bene del soggetto, segnalando anche ciò che va a detrimento attraverso le emozioni negative.

Poiché la coscienza è l’emergere della relazione e delle motivazioni al pensiero, illuminate dal logos, allora può anch’essa essere descritta secondo il sistema di flusso: input relazionali e motivazionali  valutazione logonica  attivazione  output  (azioni secondo coscienza)

Per identificare gli input relazionali basta ricordare la funzione del sistema tropico della relazione, il cui compito è di decidere se esser “per e con”, cioè favorevoli, bendisposti, dalla parte di (essere filiaci), o “contro”, cioè contrari, maldisposti, ostili nella relazione (alimentando la rabbia). Il logos nella valutazione relazionale esercita la sua funzione sul senso, sulla validità e sulla finalità della relazione e della motivazione che la genera. È da qui che si ricava la nuova terminologia di valutazione logonica.

Nel primo caso il logos si configura come pensabilità relazionale che aderisce al senso, al significato e alla finalità positiva, la quale si manifesta a livello logonico-timico col sentire di “essere in buona coscienza”: cioè “Ho fatto bene! Ho fatto il mio dovere! Mi sento in coerenza con me stesso!”

Nel caso contrario, in cui si disattende il logos, si determina un pensare ed un sentire di “essere in cattiva coscienza”: “Non ho fatto bene! Non ho fatto il mio dovere! Non mi sento in coerenza con me stesso!” E tutto questo è sempre in parallelo con il flusso emotivo, cioè inevitabile, perché dalla relazione non si esce.

Perciò la coscienza non ha il puro compito notarile di prendere atto di come stanno le cose, per cui si ricadrebbe nella conclusione che tutto è mosso dalla materia. Biologia e pensiero non sono due cose diverse, ma la manifestazione di due dimensioni diverse di un’unica realtà. Non è così, perché l’atto di prendere coscienza non è solitario, ma include la timia connessa con le sue assiologie, le quali interpellano i giudizi di senso, di significato e di finalità, cioè il logos.

Non si può spiegare tutto con l’istinto e gli apprendimenti, anche perché la biologia non lo consente più. Infatti ad ogni gene non corrisponde una sola proteina che informi il comportamento conseguente, ma molte più d’una, a volte centinaia, per cui è nell’interazione con l’ambiente che la proteina prevalente trova la sua spiegazione e non nel gene. Inoltre l’interazione logonica non è mai completamente silente e la coscienza con i suoi correlati timici riesce a far la differenza.

L’esempio semplice del suicidio dice poco d’un livello genetico, ma piuttosto di un livello timico e logonico di disperazione e perdita di senso in una coscienza distrutta. L’istinto è per la vita, non per la morte! Il logos ha il potere di attivare quel giudizio (output) di bene o male che fa la differenza fra retta e cattiva coscienza, la quale fissa insindacabilmente il grado di autostima che può determinare la felicità o la condanna di se stessi.

Definita così la coscienza, viene conseguentemente più facile vedere la connessione fra libertà e responsabilità. La libertà è la capacità attiva della coscienza di scegliere fra le esigenze presenti nel campo timico e conseguentemente la responsabilità è la capacità di far fronte alle scelte: “scelgo (libertà), quindi so che devo (consapevolezza e responsabilità).

Le azioni che seguono cadono sotto il controllo della consapevolezza la quale fornisce alla coscienza gli input per la valutazione, attingendo ai criteri assiologici emotivi e alle categorizzazioni fissate negli atteggiamenti appresi o codificati dalle leggi; in tal modo si crea un rapporto di circolarità fra coscienza e consapevolezza: l’ellisse succitata!

Tutto questo determina dei livelli di coerenza fra libertà e responsabilità che definiscono la buona o la cattiva coscienza, verificabile nel grado di autostima. La coscienza valuta ciò che è bene, opportuno, valido, giusto e significativo in ogni situazione, sia in rapporto al soggetto stesso, che in rapporto alla comunità o all’ambiente.

L’azione di valutare sé stessi come l’insieme di determinate caratteristiche, origina l’autostima o la disistima, la quale è la risultante del continuo processo di autovalutazione assiologica. La coscienza interviene in ogni relazione: di coscienza ecologica nella relazione con l’ambiente, di coscienza sociale nella relazione con gli altri, di coscienza professionale nelle responsabilità di lavoro, ecc. Tanto più si è coscienti e consapevoli e tanto più si è liberi e responsabili.

Il livello di autostima emerge dal rapporto tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere: maggiore è la discrepanza fra questi due poli e più bassa è la stima che si ha di sé. Utilizzando lo schema che Bandura applica alla "self-efficacy", si può attribuire anche all’autostima un’ampiezza, una forza ed una generalizzabilità.

L’ampiezza dell’autostima è data dal livello di coscienza/incoscienza delle variabili interagenti ogni momento nel campo timico, di modo che la valutazione assiologica risulti più o meno coerente con i valori del soggetto. Dentro l’arena del campo timico la coscienza confronta le gerarchie e le priorità del soggetto con i valori maturati ed appresi nel tempo. Spetta poi alla libertà prendere le decisioni del caso.

Quando si determina una coerenza positiva fra le esigenze del soggetto ed i suoi valori, si ha ciò che comunemente viene chiamata serietà o autenticità. Un altro nome è anche la correttezza interiore, determinata dalla lucidità di coscienza, riferita sia al pensare che all’agire. Sentirsi più o meno corretti ed autentici determina il livello di ampiezza dell’autostima.

Il livello di forza dell’autostima è dato dalla capacità di assunzione di responsabilità di fronte ai compiti e dopo gli errori commessi, connessa alla coscienza dei propri pregi, dei punti di forza e dei limiti personali. La forza dell’autostima è direttamente correlata e proporzionale alla capacità di assumersi la responsabilità. Non c’è paura di affrontare errore e conseguente, perché il giudizio su di sé non dipende dai possibili sbagli, ma dalla capacità di affrontarli. Si intravede quella fiducia in sé che non teme di affrontare le responsabilità nel gioco della vita.

Il livello di generalizzabilità dell’autostima è dato dalla costanza di rettitudine e di coerenza che si espande in ogni ambito. Si tratta dello stile interiore che si applica e si conferma in ogni campo. La doppia morale, l’atteggiamento opportunista, il dissimile impegno in ambiti diversi non è funzionale all’autostima e quando ciò si verificasse si tratterebbe di cattiva coscienza o di amoralità o di vera e propria psicopatia.

L’autostima, quando è buona, sta al centro di quel sentirsi in pace, innocenti, utili ed autoefficaci nei riguardi di se stessi e del mondo. È direttamente proporzionale alla felicità ed indirettamente al senso di colpa. È correlata all’entusiasmo e scompare nella condizione depressiva, mentre è inibita dal pessimismo. Il pensar di sé bene genera un rapporto filiaco con se stessi e origina uno stare al mondo sereni.

Piano della relazione e di coscienza Proedonia R +y Quadrante della persecuzione Quadrante eutimico Coscienza giudicante Coscienza innocente Antitropismo R -x Protropismo R +x Quadrante cacotimico Quadrante liminale Coscienza tormentosa Coscienza contrita Antiedonia R –y

Sulla verticale del piano della relazione si sviluppa la pensabilità relazionale, poiché la coscienza è l’emergere della relazione al pensiero. Sopra il piano si sviluppa la coscienza, mentre sotto si va verso l’incoscienza con le sue inerzie e più in basso i suoi sequestri emotivi. Tropismi ed edonie (le variabili x e y) affondano le loro origini nell’evoluzione e nella biologia, la coscienza e la consapevolezza affondano le radici nella neurobiologia, ma necessitano dell’educazione e della cultura per stabilire i valori e le loro gerarchie.

Sopra il primo quadrante cresce e si evolve la coscienza innocente, fatta di genuinità e scevra d’ogni cattiveria e rifiuto. È la coscienza serena, felice e fiduciosa che si nutre dei valori della filia e dell’amore. Ai livelli più alti si trova la rivelazione e l’illuminazione dei grandi dello spirito umano. (Gesù Cristo, San Francesco, Buddha, Gandhi). I livelli più vicini all’origine corrispondono alla normale buona coscienza alla portata di tutti coloro che fanno della rettitudine e dell’onestà la loro regola di vita.

Sotto lo stesso quadrante si va verso l’innocenza, così come normalmente la si intende, cioè quella fatta di ingenuità, candore, semplicità, inesperienza, spontaneità e buonafede. Ai livelli più bassi si riscontrano l’immaturità, la semplicioneria, la credulità, la bambinaggine e la dabbenaggine.

Sopra il quadrante liminale insiste la coscienza contrita, senza la quale non è possibile alcuna reintegrazione. È la coscienza capace di compunzione e pentimento, la quale sa dare ascolto al rimorso ed intraprendere un percorso di ravvedimento. È la coscienza del cambiamento e della responsabilità, la quale fa del rincrescimento e del rammarico il punto di partenza del mutamento e del miglioramento.

Al livello inferiore del quadrante trovano posto gli atteggiamenti contrari alla reintegrazione come l’indifferenza, la noncuranza e il menefreghismo, che ai livelli più bassi diventano l’impenitenza e la pervicacia senza possibilità di resipiscenza e resistenti alla correzione, dovute all’incoscienza del limite e dell’errore.

La coscienza tormentosa del quadrante dell’ostilità è caratterizzata d’un sentire e volere rancoroso ed odioso. L’aspetto più riconoscibile è un ruminare malevole, ossessivo, fatto di cattiveria o di invidia. Ai livelli sottostanti si riscontra l’intrattabilità reattiva, con uno stile di comportamento definibile “ringhioso”. Si tratta di coscienza sopraffatta e triste che ormai vede ovunque minacce e pericoli (homo homini lupus) e si materializza nelle persecuzioni.

Questa è la condizione in cui si scatena la distruttività brutale e crudele del IV quadrante. Uccidere i profeti è un evento sempre attuale nella storia umana. I perseguitati a causa della giustizia non hanno solo il nome di Gesù, ma anche di Falcone e Borsellino. La coscienza giudicante nasconde le dinamiche proiettive con tutte le tragiche azioni connesse.

Sopra il quadrante della persecuzione prospera quella coscienza giudicante, ma anche opportunista, che si autogiustifica, proietta sugli altri le proprie colpe e responsabilità o quantomeno le minimizza. Al livello inferiore tesse le sue trame l’egotismo intento a celebrare “i suoi successi”, a rimuovere ogni minima ombra e a ripulire l’immagine. Ai livelli più fondi si intravede la psicopatia dell’amoralità, con l’incapacità di vedere i propri limiti o addirittura con il delirante favoleggiare la propria grandezza.

Consapevolezza e autoefficacia La consapevolezza è l’emergere dei sentimenti e dell’azione alla pensabilità timica. Per essere consapevoli bisogna essere attenti e presenti al proprio sentire e agli avvenimenti. Senza attenzione i fatti, i sentimenti e le azioni non accedono alla pensabilità. Ma senza pensabilità non si ha neppure responsabilità, perché ciò che accade nell’inconsapevolezza sottostà ai meccanismi dell’abitudine e della istintività.

Spesso si confonde la percezione dei fatti con la consapevolezza. La consapevolezza invece è il livello successivo della percezione, si potrebbe dire il livello metapercettivo, quello in cui la percezione degli stimoli, dei fatti e delle azioni diventa oggetto del pensiero, cioè pensabilità (livello parallelo). È a questo livello che accade di incontrare la responsabilità cioè la consapevolezza dei nessi tra gli input, le emozioni e l’azione.

Anche la consapevolezza può essere descritta con il modello di flusso: input di azioni e sentimenti  valutazione logonica  attivazione  output . La consapevolezza tiene presente al pensiero quanto accade. Siamo consapevoli di pensare, di sentire, di sperimentare i sentimenti che proviamo e le azioni che compiamo. Tutti i contenuti della cenestesia, della dinamicità, della memoria e della timia possono emergere al pensiero e diventare consapevolezza.

Ma per essere consapevoli bisogna essere attenti e presenti al proprio sentire e agli avvenimenti. Senza attenzione i fatti, i sentimenti e le azioni non accedono alla pensabilità. Nella consapevolezza la valutazione logonica esercita la sua funzione di leggere il senso e la finalità dei sentimenti e delle azioni,

dove per senso si intende l’attribuire una razionalità, una coerenza all’azione e ai sentimenti, e per finalità il rilevare ed il prevedere le conseguenze dell’agire e del sentire, mentre l’attribuzione di significato consegue alla lettura del senso e delle conseguenze implicite alle azioni e ai sentimenti connessi, non senza il contributo della coscienza, la quale ovviamente non è assente giacché è sempre parte integrante dell’interazione logonica fra realtà e pensiero.

Nella consapevolezza la valutazione logonica ha la funzione di attivare il giudizio (output) di efficienza, efficacia e di valutare con lucidità la differenza fra un agire ed un sentire positivi ed uno inconcludente, il che determina il grado di autoefficacia che sta alla base della soddisfazione e della gioia o dell’insoddisfazione e della tristezza.

In assenza di consapevolezza si è lasciati fuori dai rapporti che legano l’intenzione e la motivazione alle conseguenti azioni: si è cioè nella inconsapevolezza, trascinati dalle abitudini, dall’inerzia emotiva e dentro un agire che non lascia spazio alla riflessione e alla modificazione, se non a quella imposta dagli eventi e dalla necessità.

Secondo Bandura la “self-efficacy”, l’autoefficacia è la valutazione che l’individuo fa delle proprie capacità. Di fronte ad un qualunque compito normalmente ognuno fa un autoesame circa le possibilità e le probabilità che ha di riuscire a portarlo a compimento. Più alta è l’autoefficacia e più forte è la convinzione e la fiducia nella riuscita.

Nel sistema di flusso dell’azione è la fiducia che genera il tropismo positivo, la propulsione al fare e l’entusiasmo attivo. A livello individuale l’efficacia del tropismo soggettivo è misurata dall’autoefficacia. Bandura evidenzia tre dimensioni fondamentali che la determinano: l’ampiezza, la forza e la generalizzabilità.

L’ampiezza misura quanto si è competenti ed abili in un particolare ambito: la bravura vera e propria. È ciò che fanno gli insegnanti quando danno un voto: giudicano il livello di competenza raggiunto dall’allievo nel particolare ambito di conoscenza in esame assegnando un punteggio.

La forza è la personale capacità di resistere (resilienza) agli insuccessi risollevandosi dopo un fallimento o un cattivo risultato. Chi ne è privo si scoraggia facilmente dopo le prime prove poco favorevoli e tende ad evitare il compito. La persona dotata di forte autoefficacia non “molla” il compito, se non di fronte all’evidente impossibilità.

La generalizzabilità è la capacità di trasferire la competenza acquisita in un ambito in altri con altrettanta fiduciosa convinzione ed efficacia. In psicologia del comportamento la generalizzazione è considerata la capacità di applicare un apprendimento a tutti gli ambiti analoghi. Qui non solo è la conoscenza, ma anche la competenza a trasferirsi. Si tratta della versatilità che consente all’individuo di non bloccarsi di fronte al nuovo, ma di reagire adattivamente facendo ricorso alle abilità acquisite.

Nella determinazione dell’autoefficacia intervengono anche gli stili di attribuzione individuali, cioè la tendenza dominante che interviene nei processi di identificazione delle cause che intervengono negli eventi che più ci riguardano. Fondamentalmente sono due: uno che vede in se stessi, nelle proprie capacità, nel proprio impegno, nella propria intelligenza la causa principale dell’andamento degli eventi che si incontrano, e l’altra che attribuisce a circostanze esterne, come la fortuna, il caso e le persone la ragione degli accadimenti personali.

Nel caso in cui si attribuisca a se stessi sia i successi che gli insuccessi, si ha la positiva conseguenza di riconoscere i propri meriti senza insuperbirsi e quindi affrontare gli insuccessi senza abbattersi, perché dipende dal soggetto individuare gli errori e tentare di correggerli. Nel caso in cui si attribuisca a se stessi gli insuccessi e alle circostanze esterne i successi, si produce il vittimismo, il quale può essere sincero o strategico, come lo è spesso l’ostentazione dell’umiltà per attrarre l’attenzione degli altri.

Una terza modalità si ha con l’attribuire a se stessi i successi e alle circostanze gli insuccessi. È uno stile largamente praticato in politica, dove l’errore è sempre dell’opposizione e i meriti del governo o viceversa. Questo stile produce arroganza, tracotanza, delirio di onnipotenza e attribuzione di meriti infondati.

Un’ulteriore modalità d’attribuzione si ha nel vedere nelle circostanze sia i successi che gli insuccessi. La persona che ha adottato un simile stile attributivo, si sente in balia degli eventi, si rassegna passivamente a tutto quello che accade, matura un senso d’impotenza che può sfociare nella depressione.

Piano dell’azione e di consapevolezza Proedonia A +y Quadrante del rifugio Quadrante eutimico Consapevolezza compiaciuta Consapevolezza gioiosa Antitropismo A -x Protropismo A +x Quadrante cacotimico Quadrante liminale Consapevolezza ansiosa Consapevolezza responsabile Antiedonia A –y

Sulla verticale del piano dell’azione si sviluppa la consapevolezza che è l’emergere dell’azione al pensiero. Sopra il piano si sviluppa la consapevolezza, la quale vicino all’origine è la semplice attenzione, mentre ai livelli alti si configura come lucidità ed acutezza. Sotto si va verso l’inconsapevolezza della confusione con le sue inerzie e suoi sequestri compulsivi. Qui regna sotto i vari quadranti l’incertezza del fare, la nebulosità delle idee, il disorientamento, l’ebbrezza degli stati alterati ed il delirio.

Sopra il quadrante eutimico si espande la consapevolezza gioiosa del fare piacevole, significativo e finalizzato, potenziato da un’autoefficacia dallo stile attributivo realistico, positivo e fiducioso nei propri mezzi. Il quadrante liminale è caratterizzato dal fare responsabile che comprende la fatica e la riparazione ed è funzionale al primo. Mentre sotto si ritrova la costrizione e la malavoglia.

Sul quadrante cacotimico insiste la consapevolezza ansiosa della paura del fare e di sbagliare indice di autoefficacia incerta. È caratterizzato da uno stile attributivo fatalistico che vede in circostanze esterne la causa degli accadimenti personali. È il mondo delle manzie e delle pratiche apotropaiche.

Mentre sul quadrante del rifugio un’autoefficacia, che poggia sullo stile che attribuisce a sé i meriti e agli altri i fallimenti e gli insuccessi, determina una consapevolezza compiaciuta, appagata e improntata a sufficienza. Appartengono a questa modalità la presunzione, la boria, la superbia, la saccenteria, la spocchia, il sussiego, la degnazione ed il compatimento.

Contezza e comunicazione La contezza possiede in più della coscienza e della consapevolezza, un aspetto di espressività non necessariamente incluso nella pensabilità relazionale e nell’attività, infatti richiede la capacità di riferire con competenza il vissuto coscienziale e comportamentale. Sentimenti e motivazioni diventano oggetto di comunicazione e di riflessione. Nella contezza infatti entra in campo un elemento nuovo: la parola.

Con la scoperta dei neuroni specchio le azioni degli altri vengono rispecchiate e rivissute dall’osservatore e con i neuroni specchio-eco la parola non solo ha un veicolo sensoriale, l’udito, ma anche un area cerebrale specifica, che riempie la comunicazione di senso e significato, ma anche, di novità, soprattutto di tropismo ed edonia: ecco perché la contezza è timica.

Il livello di competenza timica più elevato comporta questa competenza, perché in essa s’avvera il massimo della corticalizzazione della timia, poiché la sua forza è profondamente mediata dal pensiero ed è passibile di modificazione, di apprendimento e d’educazione. Più la timia pesca nella contezza e più la coscienza si fa lucida e la consapevolezza attenta, fino alle soglie del carisma, dove la parola diventa storia perché cambia, motiva, trasforma e determina gli eventi.

La coscienza e la consapevolezza non necessariamente necessitano della parola, mentre nella contezza coscienza e consapevolezza si fanno parola e diventano comunicazione, cioè comunione di sentimenti, di motivazioni e di progetti. A questo livello la pensabilità timica diventa la parola che agisce, la capacità di esercitare una forte influenza su altre persone, cioè il carisma.

Anche al carisma possiamo applicare le tre dimensioni previste per l’autoefficacia da Bandura. L’ampiezza misura quanto è estesa la capacità di coinvolgere gli altri, radunando attorno a sé un numero di persone capaci di determinare un cambiamento, sia esso spirituale o politico o culturale. Ciò comporta una capacità comunicativa immediata, chiara e convincente, verbale e non verbale.

La forza è il perdurare della qualità del carisma nel tempo resistendo agli eventi contrari, risollevandosi dopo i rovesci e le contrarietà. Non ha carisma chi si scoraggia e dopo le prime avversità tende ad abbandonare il progetto: ciò è indice di debolezza timica per carenza di motivazione. La forza del carismatico sta nel non abbattersi mai, nel credere fortemente in ciò che propugna, al punto che spesso sconfini nel fanatismo o nella paranoia.

La storia è piena di paranoici dal carisma distruttivo, i quali erano così presi nel delirio di potenza da trascinare tragicamente nella loro sconfitta seguaci e popoli. Il novecento gronda del sangue di milioni di sventurati ammaliati dai loro capi. Ma anche nelle attuali democrazie si infilano leader dal fascino tutt’altro che funzionale al bene dei cittadini.

Per fortuna la storia oppone al carisma del malvagio il carisma del leader positivo, sia esso chiamato santo, oppure eroe, o giusto o con tutti gli altri aggettivi che descrivono i cambiamenti positivi nella politica, nella cultura, nella spiritualità di un popolo o dell’intera umanità.

La forza che si attribuisce al leader sostanzialmente è di tre tipi. La prima è di tipo magico e riconosce al leader o al santo, nonostante la sua umiltà, una qualità particolare, che genera venerazione. La seconda è di tipo morale, legata alla coerenza e alla statura morale, che muove all’ammirazione e al rispetto. La terza è la forza tipica della leadership che induce timore e riverenza.

La generalizzabilità del carisma sta tutta nella capacità del leader di trasferire il proprio entusiasmo agli altri al punto che facciano propri i suoi sentimenti, le sue motivazioni ed i suoi progetti. Infatti il carismatico ha bisogno di una massa critica per determinare il cambiamento o sconvolgere il corso degli eventi.

Il livello di contezza normalmente si verifica nella comunicazione Il livello di contezza normalmente si verifica nella comunicazione. Ne deriva quindi che l’isolamento e l’estraniarsi, che in alcune situazioni diventa patologico, sia segno di bassa contezza. In questo le donne mostrano mediamente una capacità superiore agli uomini. Un motivo sicuramente è di tipo evolutivo, giacché è la donna che trasmette fin dall’inizio la parola, è la donna che esprime le emozioni, mentre l’uomo tende ad agirle.

Timologia della comunicazione Già la Scuola di Palo Alto e molti altri studi e ricerche hanno sviscerato ogni aspetto più recondito della comunicazione. La timologia propone semplicemente la propria descrizione secondo cui la comunicazione non è nient’altro che una particolare interazione, che similmente a tutte le altre é dotata di un aspetto di relazione ed uno d’azione, di binarietà e di specificità (chiralità).

La specificità della relazione comunicativa è la comprensione, la quale vede nel polo filiaco e favorevole il “ti-comprendo-mi-comprendi” opposto all’ostilità, alla contrarietà e alla rabbia del “non-ti-comprendo-non-mi-comprendi”. La relazione comunicativa vive quindi, tutta la sua tensione fra gli opposti della comprensione/incomprensione, le quali conseguentemente conferiscono all’azione comunicativa significati diversi.

La specificità dell’azione comunicativa è la trasmissione del messaggio: l’informazione. Paura e fiducia rallentano e annullano o promuovono la trasmissione, mentre di suo il messaggio può essere e manifestarsi chiaro o oscuro. Considerando la comunicazione come un flusso interattivo, la si può quindi disporre su di un piano cartesiano, avendo in ordinata il dato specifico relazionale della comprensione ed in ascisse il dato azionale specifico della trasmissione.

Piano dell’interazione comunicativa Comprensione +y Area della distruttività Area della comunicazione manipolazione dialogo, convivialità falsità, oscuramento ascolto colloquio Non trasmissione - x Trasmissione +x Area della indisponibilità Area dell’informazione incomunicabilità ricerca del dialogo impenetrabilità dare attenzione comunicazione ostile confronto Incomprensione -y

Nel quadrante eutimico si ha la vera e propria comunicazione, l’atto del mettere in comune, che avviene attraverso il colloquio, il dialogo e l’ascolto, perché solo quando l’informazione si esplica dentro la comprensione si ha l’autentica comunicazione. Ciò si avvera in modo più concretamente visibile nelle situazioni conviviali, nell’amicizia, nell’amore ed in tutte le relazioni filiache.

Nella contezza è essenziale che ognuno dei comunicanti sappia leggere il punto di vista dell’altro attraverso la percezione interpersonale (ascolto), e sia quindi dentro una relazione di comprensione, certificata dal dialogo rispettoso, simpatico e/o empatico. “Tu-mi-comprendi-io-ti-comprendo!” (accoglienza), “Tu-mi-ascolti-io-ti-ascolto!” (disponibilità) e “Tu-mi-capsci-io-ti-capisco!” (accettazione)

Nel quadrante liminale è prevalente l’aspetto azionale del trasmissione del messaggio, l’informazione, mentre in carenza dell’edonia della comprensione si deve far attenzione all’altro, ricorrere alla tolleranza, alla ricerca del dialogo a costo del confronto o della franchezza nell’intento d’arrivare alla comprensione reciproca. “Io-cerco-di-comprenderti-tu-cerca-di-comprendermi!” (fatica), “Io-provo-ad-ascoltarti-tu-prova-ad-ascoltarmi!” (dar attenzione) e “Io-voglio-capirti-tu-cerca-di-capirmi!” (tolleranza)

Contemporaneamente è presente la comprensione, e si hanno le precondizioni della comunicazione cioè la disponibilità e l’apertura, senza le quali il parlare avviene fra sordi e la comunicazione è fallimentare. “Io-sono-tu-sei-disposto-a-comprendere!” (disponibilità), “Io-sono-tu-sei-disposto-a-capire!” (apertura), “Io-sono-tu-sei-attento!” (attenzione)

Nel quadrante cacotimico la carenza di percezione interpersonale, di comprensione determina l’incomunicabilità ben descritta dall’impenetrabilità. Nelle famiglie con un componente schizofrenico accade spesso di rilevare modelli comunicativi affetti da impenetrabilità e conseguente disconferma del Sé, i quali risultano devastanti per il destinatario che sul piano della relazione viene relegato di fatto alla condizione del “tu non esisti” dell’ignorare o del silenzio.

Ai livelli alti del quadrante si configura la comunicazione ostile, rancorosa ed odiosa o peggio ancora la comunicazione distruttiva, fatta di disprezzo, umiliazione e negazione della dignità dell’interlocutore. Questa situazione è più frequente di quanto si immagini, vive nelle relazioni prossimali ed intime ed è preludio spesso a comportamenti persecutori e violenti, come lo stalking.

“Tu-non-mi-comprendi-io-non-ti-comprendo!” (incomunicabilità) “Tu-non-mi-ascolti-io-non-ti-ascolto!” (ignoramento), “Tu-non-mi-capsci-io-non-ti-capisco!” (impenetrabilità) e “Tu-non-vuoi-capirmi-ascoltarmi-e-neppure-io!” (ostilità)

Nel quarto quadrante si assiste alla distruzione della comunicazione per dar spazio ad ogni forma di manipolazione, falsità, occultamento e mistificazione della realtà. Noam Chomsky, padre della creatività del linguaggio, evidenzia 10 modalità attraverso cui i più grandi mezzi di comunicazione filtrano i messaggi per manipolare l’opinione pubblica.

1) La strategia della distrazione 1) La strategia della distrazione. Concentrare l’attenzione del pubblico su argomenti poco importanti, così da portare il comune cittadino ad interessarsi a fatti in realtà insignificanti. 2) Il principio del problema-soluzione-problema Si inventa a tavolino un problema, per causare una certa reazione da parte del pubblico, con lo scopo che sia questo il mandante delle misure che si desiderano far accettare.

3) La strategia della gradualità 3) La strategia della gradualità. Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, a contagocce, per anni consecutivi. E’ in questo modo che condizioni socio-economiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte durante i decenni degli anni 80 e 90: stato minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione in massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero stati applicati in una sola volta.

4) La strategia del differimento 4) La strategia del differimento. Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria”, ottenendo l’accettazione pubblica, al momento, per un’applicazione futura. Parlare continuamente dello spread per far accettare le “necessarie” misure di austerità come se non esistesse una politica economica diversa.

5) Rivolgersi al pubblico come se si parlasse ad un bambino 5) Rivolgersi al pubblico come se si parlasse ad un bambino. Più si cerca di ingannare lo spettatore, più si tende ad usare un tono infantile. Per esempio, diversi programmi delle trasmissioni generaliste. Il motivo? Se qualcuno si rivolge ad una persona come se avesse 12 anni, in base alla suggestionabilità, lei tenderà ad una risposta probabilmente sprovvista di senso critico, come un bambino di 12 anni appunto.

6) Puntare sull’aspetto emotivo molto più che sulla riflessione 6) Puntare sull’aspetto emotivo molto più che sulla riflessione. L’emozione, infatti, spesso manda in tilt la parte razionale dell’individuo, rendendolo più facilmente influenzabile. Questa modalità è largamente applicata nella pubblicità, Ma anche nella propaganda politica (vedi il parlare alla pancia del popolo!)

7) Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità 7) Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità. Pochi, per esempio, conoscono cosa sia il gruppo di Bilderberg e la Commissione Trilaterale. E molti continueranno ad ignorarlo, a meno che non si rivolgano direttamente ad Internet. 8) Imporre modelli di comportamento. Controllare individui omologati è molto più facile che gestire individui pensanti. I modelli imposti dalla pubblicità sono funzionali a questo progetto.

9) L’auto colpevolizzazione 9) L’auto colpevolizzazione. Si tende, in pratica, a far credere all’individuo che egli stesso sia l’unica causa dei propri insuccessi e della propria disgrazia. Così invece di suscitare la ribellione contro un sistema economico che l’ha ridotto ai margini, l’individuo si sottostima, si svaluta e addirittura, si autoflagella. I giovani, per esempio, che non trovano lavoro sono stati definiti di volta in volta, “sfigati”, choosy”, bamboccioni”. In pratica, è colpa loro se non trovano lavoro, non del sistema.

10) I media puntano a conoscere gli individui (mediante sondaggi, studi comportamentali, operazioni di feedback scientificamente programmate senza che l’utente-lettore-spettatore ne sappia nulla) più di quanto essi stessi si conoscano, e questo significa che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un gran potere sul pubblico, maggiore di quello che lo stesso cittadino esercita su sé stesso.

Il Sé Il problema della definizione dell’autocoscienza, la coscienza del Sé, attraversa tutta la storia del pensiero umano a partire da Socrate, è una di quelle questioni che cambiano l’orizzonte della pensabilità soggettiva. Ultimamente Jonas e Habermas con la filosofia del dialogo e della responsabilità, promuovono un’autocoscienza che vada verso un rinnovato impegno per la costruzione dell’uomo della globalità e della consapevolezza ecologica.

Jung si è posto il problema dal punto di vista psicologico ed ha definito il Sé, il “Selbst”, come la totalità psichica rispetto alla quale l’Io, la parte cosciente, non è che una piccola parte. Qualcuno ha definito l’Io come la funzione che sta alla finestra, quella che fa da cerniera fra il Sé ed il mondo esterno. Il Sé, secondo Jung, rappresenta l’unità e la totalità della personalità nella sua parte conscia e in quella inconscia.

“Poiché in pratica esistono fenomeni della coscienza e dell’inconscio, il Sé, in quanto totalità psichica, possiede tanto un aspetto cosciente quanto un aspetto inconscio” (Jung). È stato giustamente scritto che il Sé non è solo un costrutto psicologico a cui si attribuisce la funzione centrale ed unificante della psiche umana, ma qualcosa che ha le sue propaggini nella biologia evolutivamente più antica.

Ogni essere vivente animale dotato di sistema immunitario sa distinguere sé da altro da sé come condizione precipua della propria sopravvivenza. Sicché il Sé è scritto nella unicità biologica di ogni organismo animale vivente. Nell’homo sapiens sapiens diventa con la consapevolezza e la coscienza, la dimensione che dà conto della propria unicità ed irripetibilità.

La timologia pur condividendo l’idea junghiana del Sé, ne vuole dare un’ulteriore descrizione. Dal punto di vista timologico il Sé è “il nido ed il contenuto del nido”, giacché include la coscienza, la consapevolezza e la contezza. Inoltre al Sé afferiscono le vie sensoriali, la via omeostatica e la via mnestica, ed anche la motivazione portatrice dei bisogni, per cui il Sé si appropria contemporaneamente sia del campo ed anche del continuum timici, cioè la pellicola, il fotogramma ed il film.

Il Sé come funzione unificante interagisce con la cenestesia, la memoria, la timia ed il logos, che peraltro gli appartengono. La cenestesi fa da ponte fra l’omeostasi ed il Sé, mentre la memoria ha la funzione d’accesso sincronica legata al momento e quella diacronica che riguarda il sottosuolo e la struttura proprie delle memorie forti cellulari ed epigenetiche.

La timia interviene con le sue edonie emotive e passionali e con le assiologie degli atteggiamenti e delle motivazioni, mentre il logos distende le trame del senso con l’intelligibilità, colora la realtà di significato con i valori e la finalità conferisce la prospettiva che disegna il senso storico.

Competenza spirituale Schema riassuntivo del Sé interazione pensabilità funzione operazione competenza RELAZIONE  COSCIENZA LIBERTÀ Scelta  DECISIONE AUTOSTIMA Competenza spirituale AZIONE CONSAPEVO LEZZA RESPONSABI LITÀ dovere  ATTUAZIONE AUTOEFFICACIA Abilità, comp. fattuale ESPRESSIONE CONTEZZA CONSEGU ENZE FEED BACK CARISMA Comp. comunicativa