Giorno della Memoria Il Giorno della Memoria è una ricorrenza istituita con la legge n. 211 del 20 luglio 2000 dal Parlamento italiano che ha in tal.

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Transcript della presentazione:

Giorno della Memoria Il Giorno della Memoria è una ricorrenza istituita con la legge n. 211 del 20 luglio 2000 dal Parlamento italiano che ha in tal modo aderito alla proposta internazionale di dichiarare il 27 gennaio come giornata in commemorazione delle vittime del nazismo e del fascismo e in onore di coloro che a rischio della propria vita hanno protetto i perseguitati. La data prescelta è quella dell' anniversario della liberazione del campo di sterminio nazista di Auschwitz (vicino a Cracovia in Polonia) avvenuta ad opera delle avanguardie della Armata Rossa (comandata dal maresciallo Koniev) il 27 gennaio 1945.

Il testo dell'articolo 1 della legge così definisce le finalità del Giorno della Memoria: «La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati»

PERCHÉ? Bruno Segre, studioso di storia e cultura ebraica, è intervenuto sulla celebrazione della “Giornata della Memoria”, nel corso dell’incontro con gli studenti del liceo classico ‘Stabili’ di Ascoli Piceno.  Lo studioso, come riferisce l’Ansa, afferma che  “Il Giorno della Memoria è particolarmente difficile da celebrare perché o vale per i giovani che devono rendersi conto di una pagina fondamentale della storia d’Europa del secolo scorso, oppure non vale nulla.” Non servono a nulla, ha proseguito Segre, le celebrazioni in cui ci si limita ad affermare che tragedie del genere (la Shoah) non devono succedere più. Si tratta di un genocidio, ha concluso lo studioso che ha vissuto i tragici eventi avvenuti durante la seconda mondiale, che è ancora in corso oggi, purtroppo. Ci sono situazioni in cui intere popolazioni vengono sacrificate, mandate in tutti i continenti.

Primo Levi, Se questo è un uomo, 1947 Voi che vivete sicuri Nelle vostre tiepide case, Voi che trovate tornando a sera Il cibo caldo e visi amici: Considerate se questo è un uomo Che lavora nel fango Che non conosce pace Che lotta per mezzo pane Che muore per un sì o per un no. Considerate se questa è una donna, Senza capelli e senza nome Senza più forza di ricordare Vuoti gli occhi e freddo il grembo Come una rana d’inverno. Meditate che questo è stato: Vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore Stando in casa andando per via, Coricandovi alzandovi; Ripetetele ai vostri figli. O vi si sfaccia la casa, La malattia vi impedisca, I vostri nati torcano il viso da voi. Primo Levi, Se questo è un uomo, 1947

Il 27 gennaio: “Giorno della memoria” gli ebrei a tavola”

ASSOCIAZIONE CULTURALE RELIGIOSA EBRAICA CASA DI AVRAHAM CASA DI PREGHIERA PER TUTTI I POPOLI Morè (Maestro) CARMINE DAVIDE DELLE DONNE H-YACH MESHCRY EL ZERACH-H םולש ה י א ק מ ע ז ה כ ר י א ל ז ר ח ה ש ל ו מ Gent.ma dott.ssa Montella, nel ringraziarla per il cortese invito rivoltoci a partecipare alla sua lodevole iniziativa, siamo tuttavia costretti a declinare data l’impossibilità di recarci presso il suo Istituto per il giorno e l’ora comunicateci. Volevamo tuttavia congratularci per l’ottimo lavoro che ha svolto in relazione alla alimentazione kasher. E questo sia per l’estesa documentazione che ha prodotto sia per l’evidente slancio di conoscenza e condivisione di culture, non diremmo “altre” dato che Gesù di Nazareth era ebreo, ma certo non così conosciute dalla maggioranza. Siamo noi a ringraziarla infatti per questa attenzione, così puntuale e particolareggiata ai diversi aspetti, non solo strettamente alimentari ma anche cultuali che ha prodotto nella sua bella esposizione, curata e preziosa in un mondo che ha necessità di conoscenza reciproca e confronto rispettoso. Ci auguriamo che nel vedere ed ascoltare il suo lavoro i suoi alunni e le persone che partecipano all’incontro possano sentire lo stesso piacere che lei ha dato a noi. Grazie Shalom

«I piatti sono i mattoni del mondo. Più piatti conosci più è grande la tua casa. Se ne perdi qualcuno è come una crepa sul muro della tua stessa casa» Allan Bay, Le ricette degli altri, Feltrinelli, Milano, 20015, p. 8 giornalista nel settore enogastronomico

IL CIBO Il cibo parla di noi, del nostro essere le donne e gli uomini che siamo, della nostra salute, della nostra cultura, della nostra visione del mondo, del nostro rapporto con gli altri esseri viventi e, eventualmente, anche della nostra fede. Scrive lo storico Massimo Montanari: Esattamente come il linguaggio, la cucina contiene ed esprime la cultura di chi la pratica, è depositaria delle tradizioni e dell’identità di gruppo. Costituisce pertanto uno straordinario veicolo di auto-rappresentazione e di comunicazione: non solo è strumento di identità culturale, ma il primo modo, forse, per entrare in contatto con culture diverse, giacché mangiarei il cibo altrui sembra più facile – anche se solo all’apparenza – che decodificarne la lingua. Più ancora della parola, il cibo si presta a mediare fra culture diverse, aprendo i sistemi di cucina a ogni sorta di invenzioni, incroci e contaminazioni

IL CIBO DURANTE LA SHOAH PRIMO LEVI, Se questo è un uomo Capitolo III, Iniziazione: Il capitolo si concentra su due problemi fondamentali: il cibo e la lingua. Come è difficile procurarsi da mangiare - e pertanto il pane è un fondamentale oggetto di scambio - ugualmente è difficile comprendersi nella babele di linguaggi che affollano il campo, tanto che Monowitz appare agli occhi del protagonista una riedizione moderna e perversa della biblica Torre di Babele. Levi passa poi a descrivere l’igiene del campo, del tutto assente, e l’incontro avuto al lavatoio con un conoscente, che gli ricorda che smettere di lavarsi equivale a cominciare a morire.

Il valore energetico della razione quotidiana di un detenuto in un lager era di circa 1300 - 1700 calorie. A colazione il detenuto riceveva circa mezzo litro di caffè, ovvero un decotto di erbe; a pranzo circa un litro di minestra senza carne, spesso con verdure avariate. La cena consisteva in circa 300 - 350 grammi di pane nero duro come pietra, in quantità irrisorie di un altro alimento e da una bevanda d'erbe. Il lavoro pesante e la fame causavano l'esaurimento totale dell'organismo. La carenza di alimenti sufficienti portava spesso alla morte per fame. Alcune fotografie scattate dopo la liberazione del campo, mostrano detenute divenute quasi cadaveri e con un peso variabile dai 23 ai 35 Kg.42

Dal III Cap. di Se questo è un uomo […] Ed ecco giunge, ahi quanto presto, la sveglia. L’intera baracca si squassa dalle fondamenta, le luci si accendono, tutti intorno a me si agitano in una repentina attività frenetica: scuotono le coperte suscitando nembi di polvere fetida, si vestono con fretta febbrile, corrono fuori nel gelo dell’aria esterna vestiti a mezzo, si precipitano verso le latrine e il lavatoio; molti, bestialmente, orinano correndo per ri- sparmiare tempo, perché entro cinque minuti inizia la distribuzione del pane, del pane-Brot-Broit-chleb-pain- lechem-kenyér, del sacro blocchetto grigio che sembra gigantesco in mano del tuo vicino, e piccolo da piangere in mano tua. È una allucinazione quotidiana, a cui si finisce col fare l’abitudine: ma nei primi tempi è così irresistibile che molti fra noi, dopo lungo discutere a coppie sulla propria palese e costante sfortuna, e sfacciata for tuna altrui, si scambiano infine le razioni, al che l’illusione si ripristina invertita lasciando tutti scontenti e frustrati. Il pane è anche la nostra sola moneta: nei pochi minuti che intercorrono fra la distribuzione e la consumazione, il Block risuona di richiami, di liti e di fughe. Sono i creditori di ieri che pretendono il pagamento, nei brevi istanti in cui il debitore è solvibile. Dopo di che, subentra una relativa quiete, e molti ne approfittano per recarsi nuovamente alle latrine a fumare mezza sigaretta, o al lavatoio per lavarsi veramente.

La normativa ebraica sul cibo è detta kascherùt. L’aggettivo kashèr, che significa adatto, conforme, opportuno, indica quei cibi che si possono consumare appunto perché conformi alle regole (koshèr è usato nella pronuncia ashkenazita (origine germanica))

Koshèr è la pronuncia ashenazita mentre kashèr è la pronuncia sefardita. Gli ebrei sefarditi sono quelli che nel medioevo risiedevano nella penisola iberica, ossia in Spagna, e che provenivano da colonie ebree del vicino oriente. In seguito alle azioni dell’Inquisizione Spagnola e alla cacciata degli ebrei dalla Spagna alla fine del ‘400, molti ebrei sefarditi giunsero a Roma.  Gli aschenaziti, invece, sono gli ebrei che derivano dalle comunità ebraiche medioevali della valle del Reno, dunque del Nord Europa. Gli ebrei aschenaziti sono di gran lunga più numerosi degli ebrei sefarditi e rappresentano la maggior parte della popolazione ebraica mondiale. Inoltre, negli anni ’30 e ’40 del ‘900, molti ebrei aschenaziti scapparono dalle persecuzioni rifugiandosi negli USA, ma anche in Sud America, in Canada e in Australia, dove costituiscono la maggior parte della popolazione ebraica di quei paesi. Solo in Israele esiste una rappresentatività di pressoché tutti i gruppi ebraici.  La maggioranza numerica degli ebrei aschenaziti ha fatto sì che si imponesse la loro pronuncia più gutturale del termine, koshèr appunto, anche se a Roma viene molto usato anche la pronuncia kashèr.

Un cibo è kashèr quando è adatto a esser consumato, quando è stato preparato nel rispetto delle norme alimentari ebraiche. Il contrario di kashèr è tarèf. In origine questa parola indicava la carne degli animali uccisi da bestie predatrici; in seguito è passata ad indicare tutti quegli animali che, non macellati secondo le regole alimentari ebraiche, restano proibiti. Per estensione, nel linguaggio comune è definito tarèf qualsiasi cibo che non sia kashèr.

Tante regole. Perché? Semplicemente perché la tavola è vista dagli ebrei come un altare e le regole della preparazione di un pasto servono, insieme a quelle della quotidianità, a costruire una guida per l’esistenza con modelli di comportamento. Se seguiti alla lettera, questi modelli di comportamento porteranno alla perfezione e alla santità ed ogni membro della comunità può aspirare a raggiungerla. Le regole alimentari sono la chiave per leggere il rapporto che lega il popolo ebraico a Dio e al mondo creato, nel segno della dignità dell’uomo che è fatto di polvere della terra e del cielo, e che, come tale, può sprofondare nella carnalità terrestre o elevarsi, anima e corpo verso l’alto Ogni ebreo considera la propria casa una personalissima “sinagoga”, poiché il tavolo può essere considerato un altare e la cucina un tabernacolo La kascherùt è una sorta di dieta per l’anima

Nell’ebraismo ha una grande importanza l’applicazione delle norme della kascherùt, che possiamo definire «alimentazione ritualmente corretta». Mangiando cibi kashèr e seguendo le rigide regole della kascherùt, Israele si distingue dagli altri popoli. In questo modo, secondo l’interpretazione rabbinica, la kascherùt è il caposaldo per la sopravvivenza del popolo ebraico. I cibi non kashèr hanno un effetto negativo sulla purezza dell’anima: quando si mangia del cibo impuro l’impurità inizia a farsi strada nella mente e nel cuore, compromettendo nel profondo la spiritualità dell’ebreo, allontanandolo dal Signore e indebolendo l’adempimento delle mitzwoth (benedizioni). I cibi kashèr esercitano un effetto positivo, purificando il cuore e rafforzando il desiderio dell’uomo di elevarsi spiritualmente. Il cibo non è semplicemente un mezzo di sostentamento fisico, esso è una fonte di sacralità in grado di elevare coloro che lo consumano a un livello superiore di santità. Questo concetto può essere ulteriormente compreso leggendo il commento di rav Shimshon Rafael Hirsh a Esodo 34,26: “Le prime primizie della tua terra porterai alla casa del S. tuo Dio, non cucinerai il capretto nel latte di sua madre”. Il rav Hirsh così spiega: “Ogni spiga di grano nel campo, ogni frutto sull’albero matura nella tua terra per il santuario della Torah del tuo Dio ed anche nel mangiare lo spirito divino che è in te non deve abbassarsi alla natura animale che è in te, ma ogni aspetto della tua natura animale dev’essere allontanato da te, così che tu possa diventare umano, un vero essere umano con tutta la virtù che ne comporta. La natura non è l’intermediario tra te e Dio, tu sei l’intermediario tra la natura e Dio”.

VARIE INTERPRETAZIONI: Motivi igienici Santità Intenti pedagogici Cosa vuol dire mangiare kashèr? 1) Mangiare kashèr vuol dire mangiare cibi che sono perfettamente sani. 2) Vuol dire che un ebreo, poiché è obbligato a mangiare in una determinata maniera, si dovrà trovare sempre con altri ebrei perché altrimenti un’alimentazione kashèr non può sussistere. E quindi è anche una forma di aggregazione. Rabbino Elio Toaff

La maggior parte delle leggi fondamentali della kascherùt (adeguatezza) deriva dalla Torah. La kascherùt è sostanzialmente fondata sulla Torah (l’insegnamento fondamentale della tradizione religiosa ebraica), nei libri di Levitico e Deuteronomio, e sull’interpretazione che di essa i rabbini hanno fornito.  La kashrizzazione è il procedimento che rende utensili, pentolame, piatti, forni, piani di cottura e lavabi kashèr. Essa deve essere effettuata sotto la scrupolosa osservazione di un rabbino esperto, poiché la sua esecuzione varia in base al genere di oggetto o utensile.

LA TAVOLA Attorno alla tavola imbandita e nel cibo, come insegna il Talmud, si compie quel miracolo che consente all’uomo di avere un solo cuore, rivolto esclusivamente al Signore e pronto a vivere le sfide della vita

Quando Dio creò l’uomo, lo concepì originariamente come un essere vegetariano, pur se sovrano di tutti gli animali. In effetti, la normativa ebraica sul cibo è centrata sulla questione dell’alimentazione carnivora: se non fosse per il consumo di carni, in pratica non esisterebbe. La carne entra a far parte dei cibi concessi all’uomo solo dopo il Diluvio, con Noè. La normativa ebraica sul cibo è centrata sulla questione dell’alimentazione della carne. 

Le leggi relative al cibo kashèr sono numerose e riguardano gli animali permessi e proibiti: gli animali permessi sono quelli che hanno lo zoccolo fesso, cioè spaccato in due parti (come la mucca, il vitello, la pecora, la capra…) e che sono ruminanti; fra i pesci, sono permessi tutti quelli provvisti di pinne e squame (come la trota, il salmone, il tonno, il merluzzo, le acciughe, la sogliola, la cernia, la platessa…) la macellazione: il rito prevede di macellare animali del tutto sani e di privarli subito del loro sangue che non può essere consumato (poiché contiene la vitalità dell’animale) shechitàh il divieto di bere il sangue la proibizione di mangiare membra tolte ad animali viventi il divieto di mangiare il nervo sciatico il divieto di mescolare le carni con latticini il divieto di consumo di vino non ebraico (cioè prodotto senza rispettare i precetti indicati dalla Torah) l’uso delle stoviglie e la cottura dei cibi il divieto di consumare sostanze che mettono in pericolo la salute e la vita

Ecco le principali regole della kascherùt Distinzione tra animali permessi e proibiti. Sono lecite le carni di quei quadrupedi che hanno l’unghia fessa e che ruminino (come il vitello, ma non il maiale o il coniglio). I volatili sono quasi tutti leciti, salvo i rapaci, proibiti probabilmente per il loro contatto con il sangue delle prede. Sono illeciti tutti quegli animali che strisciano o hanno contatto stretto con il suolo, come il topo, il serpente, le lucertole e gli insetti, tranne alcuni tipi di cavallette permessi in particolari zone. Per quanto riguarda gli animali acquatici, si possono mangiare tutti quelli che hanno pinne e squame: sono quindi proibiti i molluschi, i crostacei, i frutti di mare e i pesci di dubbia conformazione, come la coda di rospo, che non presenta squame, o l’anguilla. Macellazione rituale degli animali permessi. La cosiddetta shechitah. Colui che esercita il mestiere di macellaio rituale, lo schochet, deve avere la competenza per farlo, deve cioè conoscere approfonditamente le regole ed essere dotato della licenza fornita dai rabbini. La macellazione ebraica prevede uccisione dell’animale con un solo taglio alla gola eseguito con un coltello affilatissimo, in modo da provocarne l’immediata morte e il completo dissanguamento. Successivamente vengono esaminati gli organi interni dell’animale per controllare che non ci siano difetti o tracce di malattia che lo rendano impuro: questa operazione si chiama bediqat, controllo. Ogni animale non macellato secondo le regole è automaticamente impuro, illecito. Divieto di consumare il sangue. Oltre che testimone attraverso il sacrificio del patto tra Dio e il popolo d’Israele, il sangue contiene il segreto della vita ed è quindi patrimonio esclusiva del Creatore. Affinchè venga spurgato tutto il sangue rimasto dopo la macellazione rituale, sono prescritte la salatura delle carni, per non meno di venti minuti e non più di un’ora, e la scottatura del fegato. Divieto di consumare alcune parti di grasso. Un tempo queste parti erano riservate al culto al Tempio di Gerusalemme. Divieto di mangiare il nervo sciatico. Si vuole in questo modo ricordare l’episodio biblico di Giacobbe che uscì azzoppato dalla lotta con l’angelo. Dopo questo evento Giacobbe fu chiamato Israele, ovvero “colui che lotta con Dio”. Divieto di mangiare parti tratte da animali vivi. Divieto di mangiare un animale permesso e macellato ritualmente qualora presenti malattie o difetti fisici. Divieto di mescolare carne e latticini nello stesso pasto. La Torah in ben tre passi raccomanda di non cuocere “il capretto nel latte di sua madre”. Partendo da questa norma, la tradizione rabbinica ha proibito la commistione nello stesso pasto di latte (o dei suoi derivati) e carne di qualunque animale; per questo gli ebrei osservanti hanno due servizi di piatti e stoviglie diversi, scomparti distinti in frigorifero, addirittura lavelli, spugne e lavastoviglie separati. Per quanto riguarda i latticini, ricordiamo che anche il formaggio deve essere kashèr, e cioè sottoposto a controllo rabbinico per accertarsi che sia prodotto da caglio vegetale oppure di animale macellato secondo le regole. Il vino kashèr non richiede particolari procedure di preparazione o di invecchiamento, ma è stato semplicemente sorvegliato nel corso delle varie fasi di lavorazione, dalla spremitura all’imbottigliamento, per evitare il contatto con sostanze considerate impure.

Ebraismo: divieti alimentari Tra l’assunzione di latte e carne devono passare almeno 6 ore 23

Se, come abbiamo detto, la  kascherùt  riguarda essenzialmente il consumo di carne, vi sono però alcune norme relative anche ai vegetali; così, ad esempio, in base all’idea che ogni primogenito appartenga al Signore, è proibito cibarsi del primo frutto di un nuovo albero. Vi è un’altra regola assai complessa. Secondo la Torah l’uomo non possiede nulla definitivamente e la terra non è suo esclusivo patrimonio; proprio per ribadire questo, il corso degli anni, a immagine del ciclo settimanale composto di sei giorni lavorativi ed uno di riposo, prevede un anno sabbatico, in cui avviene la remissione dei debiti e la terra viene lasciata a riposo. Durante questo anno, detto di shemittah, gli ebrei osservanti badano a non far uso di vegetali coltivati da ebrei che non seguono questa regola; resta invece lecito ciò che viene prodotto su campi di proprietà non ebraica. Bisogna infine rimarcare come agli ebrei sia fatto assoluto divieto di consumare sostanze che mettano in pericolo la salute e la vita.

CARNE Per essere considerato un animale kashèr, l’animale preso in considerazione, se bovino, deve essere provvisto di zoccolo fesso ed essere un ruminante. Quindi, seguendo questo ragionamento, sono animali kashèr: la mucca, capra e pecora. Non sono kashèr: il maiale, il coniglio, il cammello, il cavallo. Una parentesi per la carne di cervo: tale animale è permesso, tuttavia, avendo come “condizioni” l’uccisione con un colpo di pistola in un campo aperto, è stata in qualche modo abbandonata la sua consumazione poiché non era concessa l’uccisione in mattatoio. Tutti gli animali e volatili carnivori, il loro sangue e altre sostanze da loro derivati non sono permessi, e quindi non sono kashèr. Anche gli insetti e i rettili non sono kashèr.

VOLATILI I volatili come il pollo, il tacchino e alcuni palmipedi sono kashèr. La Torah elenca i cibi vietati, tra cui: l’avvoltoio, lo struzzo, il gufo. Tuttavia è difficile identificare tutte le identità delle specie. Il pollame è consumato, così come il fagiano, la pernice e il piccione. Secondo tradizione ebraica tedesca anche il passero sarebbe permesso.  

La Shekhità – Macellazione: la carne e il pollame kashèr deve essere preparata in base al metodo della shekhità, ossia un taglio rapido alla gola dell’animale con un coltello affilatissimo privo di qualsiasi imperfezione sulla lama. Si tratta di un metodo indolore, nel rispetto della sofferenza dell’animale. Dopo la shekhità, l’animale deve essere sottoposto ad un accurato controllo, detto bedikà, per verificare che non abbia difetti che lo renderebbero non kashèr in base alla legge ebraica. I polmoni di bovini e ovini e gli intestini del pollame vengono sempre controllati. È qui che entra in gioco l’espressione glatt kashèr. Nel caso del bestiame, se il polmone è privo di fori o mucose cicatrici, viene definito “glatt”, liscio. Se invece ve ne sono, l’animale può comunque essere kashèr anche se non glatt, purché quando vengono rimosse, tali mucose cicatrici non lascino buchi nei polmoni.   La Melikhà – Salatura: per essere finalmente portata in tavola, la carne deve essere privata dei resti di sangue, la cui consumazione è strettamente vietata dalla Torà. Essa deve perciò essere messa a bagno per un’ora e poi sotto sale grosso e risciacquata tre volte prima di essere cucinata. Oggi, la maggior parte della carne viene kasherizzata dal macellaio, risparmiando la fatica al consumatore. Il fegato è un caso particolare: essendo imbevuto di sangue, non può essere kasherizzato con il normale processo illustrato sopra, ma deve essere preparato “alla griglia”, ossia a diretto contatto con una fiamma. Il Nikùr – Purificazione: prima di raggiungere gli scaffali della macelleria, la carne deve essere sottoposta ad alcuni procedimenti, detti nikùr, che comportano la rimozione di alcune vene e di grassi vietati. Poiché il nikùr dei quarti posteriori dell’animale è notevolmente complesso, nella maggior parte delle comunità della Diaspora non viene effettuato del tutto in queste parti della bestia, che vengono vendute al mercato non ebraico. I quarti posteriori contengono tra l’altro il nervo sciatico, che non può essere mangiato dagli ebrei poiché fu dove Giacobbe rimase ferito nel suo scontro con l’angelo.

UOVA A causa dei divieti sul sangue, si devono controllare anche le uova aperte prima di essere cucinate, per eliminare quelle che contengono macchie di sangue. (N.B. Non ogni piccola macchia di colore rende vietato l’uovo). Non è però necessario controllare le uova prima di prepararle sode. Le uova bianche hanno in genere meno macchie di quelle marroni, forse per motivi biologici, è quindi più difficile trovare qualche macchia di sangue rosso vivo o simile nelle uova bianche.

LATTE Il latte e i suoi derivati (latticini) sono kashèr se derivati da animali kashèr, tuttavia non possono essere consumati insieme a carne e pollame. Dato che, una volta che latte e latticini arrivano in tavola, è impossibile stabilire se sono derivati da animali kashèr o meno, i rabbini hanno deciso che la loro produzione debba essere controllata dalla mungitura fino al suo confezionamento. Oggigiorno il latte kashèr controllato è il Chalav Israel e si può reperire facilmente nei centri di vita ebraica, quindi non vi è bisogno di ulteriori controlli.

FORMAGGIO Il formaggio ha un controllo più rigoroso, dal momento che il caglio è di origine animale e, quindi, in genere proveniente dallo stomaco di vitello. I saggi del Talmud hanno quindi deciso e decretato che tutti i formaggi debbano provenire da fonti controllate, anche quando il caglio è vegetale, chimico o microbico. Altra regola è che il formaggio deve essere cagliato da un ebreo che segue la regola kashrùt, così come tutti gli alimenti che hanno bisogno di cottura.

BURRO La questione del burro è molto più complicata, poiché dato che il burro è un derivato del latte e necessita di molti “cambi”, è necessario che sia controllato e certificato. Per questo il problema del kashèr si pone nel burro classico e anche nel burro extrafine ormai visto che nei burrifici si alternano le due produzioni. Così, gli ebrei si sono abituati a consumare solo burro certificato nella sua kashrùt che, quindi, certifica anche il controllo della sua mungitura. Margarina: la margarina contiene grassi ed emulsionanti che possono essere di origine animale. Anche i produttori di margarine dette vegetali non sono in grado di garantire che l’origine dei loro emulsionanti sia tale. Di conseguenza, si può impiegare solo la margarina controllata da un rabbino. Nelle margarine in commercio si addizionano spesso aromi a base di latte o derivati.

PESCE Gli ebrei hanno sempre avuto un debole per il pesce. I loro antenati si lamentarono per la sua carenza nel deserto, ricordandosi del pesce mangiato in Egitto! Mentre vi sono poche varietà di carne e pollame kashèr, ciò non vale per quelle di pesce, che sono numerosissime. Oggi, grazie alla gran varietà di specie esotiche d’importazione, viene offerto al consumatore un vero arcobaleno di scelte. Per essere kashèr, il pesce deve avere pinne e squame facili da rimuovere. Ad esempio, quelle dello storione sono difficilissime da togliere, fatto che lo rende non kashèr, come lo sono automaticamente le sue preziose uova, ossia il caviale. Pesci kashèr possono essere il salmone, la trota, la cernia, il nasello, la sogliola. Pesci non kashèr: l’anguilla, il pesce spada, il pesce gatto, lo squalo. Tutti i crostacei, i frutti di mare ed i mammiferi acquatici non sono kashèr. Il pesce, sia fresco che surgelato, dovrebbe essere acquistato con la pelle, in modo da verificarne le squame per riconoscerlo con certezza.

Carne e pesce: la carne e il pesce non vanno consumati assieme. Il motivo è molto semplice: è una sorta di tradizione, poiché i saggi consideravano tale mescolanza nociva alla salute. Così, anche se nello stesso pasto si mangia sia carne che pesce, si usa non mangiare carne con sugo di pesce ma, piuttosto, mangiare la carne e, dopo aver mangiato un tozzo di pane o bevendo qualcosa, si può passare al piatto successivo.

VERDURA Mentre la consumazione di carne di maiale implica una sola trasgressione, quella di un insetto ne comporta diverse. La Toràh è molto esplicita nei divieti concernenti tali creature e quindi la frutta e la verdura potenzialmente esposte a infestazioni devono essere controllate e pulite accuratamente. Quella che può sembrare una bella foglia di lattuga, osservata più da vicino può apparire come un albergo per insetti. Altre “dimore” molto apprezzate da queste bestioline sono ad esempio il prezzemolo, l’asparago, le verdure di primavera, i broccoli e i cavolfiori. Tutti gli insetti o vermi visibili a occhio nudo devono essere “sfrattati”, immergendo la verdure in acqua salata o in aceto, oppure mettendo particolari prodotti esistenti sul mercato su un panno e strofinando delicatamente la foglia, il tutto seguito da un accurato controllo visivo. Anche la frutta e la verdura in scatola possono essere problematiche. Gli insetti vi si presentano come granelli neri, ma fortunatamente possono essere rimossi con un panno di mussola.

VINO Vino e succo d’uva devono essere esclusivamente di origine approvata dai rabbini, ma non per lo stesso motivo del formaggio. I saggi bandirono il vino di produzione non ebraica essenzialmente per evitare i matrimoni misti, poiché il bere può portare poi all’incontrarsi e così via. Anche prodotti come il brandy e l’aceto di vino devono portare il sigillo di un rabbino. Esso è kashèr solo se la sua produzione viene effettuata da un ebreo osservante. La produzione di vino kashèr può richiedere un notevole dispendio di tempo e denaro, poiché richiede la scrupolosa kasherizzazione dell’attrezzatura precedentemente impiegata per la produzione di vino non kashèr e la presenza di un’intera équipe di personale osservante debitamente addestrato. Come spesso accade, ingredienti non kashèr possono infiltrarsi nella produzione di vini non kashèr, ad es. si usava aggiungere sangue di toro per la colorazione o più comunemente un agente di raffinamento proveniente dallo storione. Si tratta di motivazioni fondamentali che sottolineano l’importanza di un controllo rabbinico molto accurato.

PANE I rabbini sconsigliano la consumazione di pane non prodotto da ebrei, benché laddove non sia disponibile pane di produzione ebraica, o se esso è di qualità inferiore, si può acquistare pane di produzione commerciale (non fatto intenzionalmente per un consumatore specifico), ma tenendo conto di quanto segue: esso in genere contiene grassi o emulsionanti di origine animale o non identificata. Vi è anche la possibilità che emulsioni o gelatine vengano spalmati sulla crosta o che le teglie vengano oliate con grassi non kashèr, i quali per legge non comportano l’obbligo di essere riportati e dichiarati sulla lista degli ingredienti. Il pane è inoltre esposto al rischio che venga cotto negli stessi forni di pane o dolci non kashèr, il che lo renderebbe automaticamente non kashèr. Di fatto, alcun pane non controllato può essere considerato kashèr.

BISCOTTI Sono in genere prodotti con margarina non kashèr. Anche quelli fatti con il burro possono non essere kashèr poiché, come detto sopra, le teglie possono essere ingrassate con ingredienti vietati, senza che ciò debba essere segnalato al cliente. Ciò vale anche per le torte. Riguardo ai forni, è valido lo stesso principio del pane.

Le feste religiose sono fondamentali per la vita ebraica e comportano la preparazione e il consumo di determinati piatti, rispettando sia la festa che la stagionalità. Due sono le feste più importanti: lo shabbat, ovvero il sabato, e la Pesach, la Pasqua SHABBAT È tradizione ebraica ricordare il sabato e santificarlo, proprio come per noi la domenica. Lo shabbat inizia il venerdì circa un’ora prima del tramonto e si conclude il sabato sera al momento dell’apparizione delle prime tre stelle. Il riposo deve essere totale, ecco perché le donne dovettero inventarsi dei piatti che potessero essere preparati prima e che fossero buoni per essere consumati freddi o che avessero lunghe cottura, in modo da terminare proprio nel pranzo del sabato. La cena del venerdì sera è la più ricca e carica di simboli. Si apre con lo spezzare la challah, un pane intrecciato, e durante la sua preparazione la donna deve ricordarsi di bruciare un pezzetto di impasto a ricordo delle offerte fatte al Tempio.

Crescenzo Del Monte, Sonetti, O pranzo d’ ‘oo Sciabbàdde

PESACH Si celebra il 14 del mese (marzo o aprile) e dura circa 8 giorni. Per gli ebrei indica il passaggio di Dio oltre le loro case segnate dal sangue dell’agnello sacrificale. La Pasqua ebraica commemora anche il passaggio dalla schiavitù alla libertà ed era anche la festività che celebrava la raccolta dell’orzo. Durante tutti i giorni di festa è assolutamente vietato consumare cibo lievitato e, addirittura, nei giorni precedenti viene pulita tutta la casa alla ricerca di qualsiasi cibo che possa contenere lievito. La cena pasquale si svolge rispettando rigorosamente la tradizione, e quindi apparecchiando la tavola con un servizio di stoviglie speciale che deve raccogliere i sei cibi simbolici, fra cui rientra il pane azzimo. Inoltre sulla tavola non dovrà mai mancare un bicchiere per il vino bianco e un bicchiere per il vino rosso, di cui ogni commensale dovrà berne almeno 4, corrispondenti ai 4 verbi pronunciati da Dio al popolo schiavo (farò, libererò, salverò e sceglierò).

CIBO e MEMORIA La matzah (o matzà, in ebraico מַצָּה, pronuncia mazzà, plurale matzot), nota anche come matzo, matzah, matzos in ebraico aschenazita e, in maniera "italianizzata", mazzot è il nome dato al pane non lievitato (o azzimo) ottenuto utilizzando solo farina e acqua e utilizzato come alimento rituale ebraico della festa di Pesach (Pasqua ebraica). L'uso tradizionale come  kascherùt  durante Pesach è in ricordo del frettoloso abbandono delle case in occasione dell'uscita dall'Egitto durante il quale, secondo il libro biblico dell'Esodo e la tradizione orale, gli ebrei non ebbero il tempo di lasciar lievitare il pane prima di cuocerlo. Vige l'obbligo di cibarsi di Matzah anche a Pesach shenì, il 14 del mese di Iyar. Viene preparata miscelando la farina con l'acqua, senza l'aggiunta di lievito o altri ingredienti come il sale e mettendo l'impasto in forno. Un tipo particolare di matzah è la matzah shemura in cui il controllo dell'assenza di lievitazione si estende anche alla fase di conservazione del grano, prima e dopo la macinazione. Secondo la Halakhah (la tradizione "normativa" religiosa dell'Ebraismo) si possono utilizzare solo cinque cereali per produrre la farina della matzah: frumento, orzo, avena, segale e spelta (granfarro). Solitamente preparata in sottili fogli di forma quadrata, nella tradizione della cucina ebraica italiana esiste anche in forma di "panetti" relativamente spessi.

SEDER di Rosh haShanà La cena della prima sera di Rosh haShana (il capodanno religioso, uno dei tre previsti nel calendario ebraico; Rosh haShana è il capodanno cui fanno riferimento i contratti legali, per la cura degli animali e per il popolo ebraicoo) è detta Seder di Rosh haShanà; durante questa cena, assieme alla recitazione di piccole formule di preghiera, si usa consumare sia qualcosa di dolce (tipica la mela intinta nel miele), sia cibi che diano l'idea di molteplicità, come il melograno, per augurarsi un anno dolce e prospero. Tra i vari piatti che si servono durante questa cena, differenti nelle varie tradizioni, è una costante la presenza di qualche parte di animale che faccia parte della testa, a simboleggiare il capo dell'anno. Solitamente viene portata in tavola anche una forma di pane (challa) tonda, a simboleggiare la circolarità dell'anno. Nel pasto della seconda sera, col secondo Seder come il primo, vengono servite più varietà possibili di frutta, perché vengano incluse nella benedizione di shehecheyanu (la benedizione che si recita la prima volta che si assaggia qualcosa nell'anno).

CLASSE 5^ A ENO SERALE CASAMASSIMA MENÙ CLASSE 5^ A ENO SERALE CASAMASSIMA FALAFEL: una pietanza mediorientale costituita da polpette di legumi speziate e fritte. Tra i legumi più utilizzati le fave, i ceci e i fagioli tritati e conditi con sommacco, cipolla, aglio, cumino e coriandolo HUMMUS di FAVE : salsa a base di pasta di ceci e pasta di semi di sesamo, aromatizzata con olio di oliva, aglio, succo di limone e paprica, semi di cumino (in polvere e prezzemolo finemente tritato. MELANZANE IN SALSA TAHINA (crema a base di semi di sesamo e olio) CHOLENT :tradizionale stufato della cucina ebraica; viene cotto durante tutta la notte per 12 ore e mangiato a pranzo durante lo Shabbat. AMARETTI di GABMIC ricette_ebraiche.pdf

I CARCIOFI ALLA GIUDìA

Ricetta del poeta futurista Luciano Folgore (1888-1966)

Crescenzo Del Monte, ‘O ‘nvitato a pranzo

BIBLIOGRAFIA e SITOGRAFIA MINIMA Gianpaolo Anderlini, Il cibo nella Bibbia e nella tradizione ebraica, Wingsbert House, 2015 Abraham Cohen, Il Talmud, Editori Laterza, 2011 Stefania Danzetti, Le regole alimentari nella tradizione ebraica, in Cibo e religione: diritto e diritti, a cura di A. G. Chizzoniti, M. Tallacchini, Quaderni del dipartimento di scienze giuridiche – Università Cattolica del Sacro Cuore, Piacenza (9, 2010), pp. 87-110. Ines De Benedetti, Poesia nascosta. Le ricette della cucina tradizionale ebraica italiana Primo Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, 1989 http://www.romaebraica.it/kasherut-approfondimento/ http://ucei.it/kasherut/kasherut/

LA MEMORIA RENDE LIBERI “Le nostre lacrime e le nostre sofferenze annegate in un oceano di parole” (Hilberg, XI): è il lamento di un sopravvissuto dinanzi al profluvio interminabile di memoriali, di narrazioni e di studi che hanno al loro centro la Shoah, la distruzione degli ebrei d’Europa. Con l’imminente fine dei testimoni diretti di quegli eventi resteranno solo le parole, gli oggetti, i luoghi della memoria di quanto è accaduto. Ma proprio per questo occorre garantire un futuro alla Shoah, il che è possibile se RICORDARE equivarrà veramente a CONOSCERE. La Shoah è un segmento incancellabile della storia europea, anzi paradossalmente è il suo “cuore di tenebra”. Senza continuare a interrogarla e a interrogarci sul suo significato non comprenderemo neppure il senso del nostro appartenere all’Europa e alla sua storia.