La giurisprudenza più recente in materia 231

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Transcript della presentazione:

La giurisprudenza più recente in materia 231   TAVOLI 231 – 28 NOVEMBRE 2017 La giurisprudenza più recente in materia 231 Whistleblowing tra 231, diritto del lavoro e privacy Avv. Luca Antonetto – SASPI FIELDIFISHER

  ,   “… la Camera dei deputati ha approvato, il 15 novembre 2017, la seguente proposta di legge …, già approvata dalla Camera dei deputati il 21 gennaio 2016 e modificata dal Senato della Repubblica il 18 ottobre 2017: Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato

Art. 2. (Tutela del dipendente o collaboratore che segnala illeciti nel settore privato) 1. All’articolo 6 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, dopo il comma 2 sono inseriti i seguenti:

«2-bis. I modelli di cui alla lettera a) del comma 1 prevedono: uno o più canali che consentano ai soggetti indicati nell’articolo 5, comma 1, lettere a) e b), di presentare, a tutela dell’integrità dell’ente, segnalazioni circostanziate di condotte illecite, rilevanti ai sensi del presente decreto e fondate su elementi di fatto precisi e concordanti, o di violazioni del modello di organizzazione e gestione dell’ente, di cui siano venuti a conoscenza in ragione delle funzioni svolte; tali canali garantiscono la riservatezza dell’identità del segnalante nelle attività di gestione della segnalazione; almeno un canale alternativo di segnalazione idoneo a garantire, con modalità informatiche, la riservatezza del segnalante; il divieto di atti di ritorsione o discriminatori, diretti o indiretti, nei confronti del segnalante per motivi collegati, direttamente o indirettamente, alla segnalazione; nel sistema disciplinare adottato ai sensi del comma 2, lettera e), le sanzioni nei confronti di chi viola le misure a tutela del segnalante, nonché di chi effettua con dolo o colpa grave segnalazioni che si rivelano infondate.

Art. 2. (Tutela del dipendente o collaboratore che segnala illeciti nel settore privato) 2-ter. L’adozione di misure discriminatorie nei confronti dei soggetti che effettuano le segnalazioni di cui al comma 2-bis può essere denunciata all’Ispettorato nazionale del lavoro, per i provvedimenti di propria [sic!] competenza, oltre che dal segnalante, anche dall’organizzazione sindacale indicata dal medesimo.   2-quater [primo periodo]. Il licenziamento ritorsivo o discriminatorio del soggetto segnalante è nullo. Sono altresì nulli il mutamento di mansioni ai sensi dell’articolo 2103 del codice civile, nonché qualsiasi altra misura ritorsiva o discriminatoria adottata nei confronti del segnalante. 2-quater [secondo periodo]. È onere del datore di lavoro, in caso di controversie legate alle irrogazione di sanzioni disciplinari, o a dimensionamenti, licenziamenti, trasferimenti, o sottoposizione del segnalante ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro, successivi alla presentazione della segnalazione, dimostrare che tali misure sono fondate su ragioni estranee alla segnalazione stessa.

Art. 3. (Integrazione della disciplina dell’obbligo di segreto d’ufficio, aziendale, professionale, scientifico e industriale) Nelle ipotesi di segnalazione o denuncia effettuata nelle forme e nei limiti di cui … all’articolo 6 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, come modificati dalla presente legge, il perseguimento dell’interesse all’integrità delle amministrazioni pubbliche e private, nonché alla prevenzione e alla repressione delle malversazioni, costituisce giusta causa di rivelazione di notizie coperte dall’obbligo di segreto di cui agli articoli 326, 622 e 623 del codice penale e all’articolo 2105 del codice civile. La disposizione di cui al comma 1 non si applica nel caso in cui l’obbligo di segreto professionale gravi su chi sia venuto a conoscenza della notizia in ragione di un rapporto di consulenza professionale o di assistenza con l’ente, l’impresa o la persona fisica interessata. Quando notizie e documenti che sono comunicati all’organo deputato a riceverli siano oggetto di segreto industriale, professionale o d’ufficio, costituisce violazione del relativo obbligo di segreto la rivelazione con modalità eccedenti rispetto alle finalità dell’eliminazione dell’illecito e, in particolare, la rivelazione al di fuori del canale di comunicazione specificamente predisposto a tal fine.

La più recente giurisprudenza di legittimità: Cass La più recente giurisprudenza di legittimità: Cass., 26 settembre 2017, n. 22.375 Con particolare riferimento al “diritto di denuncia di fatti di potenziale rilievo penale accaduti nell’azienda” la Suprema Corte ha recentemente “escluso che [tale] denuncia … possa integrare giusta causa o giustificato motivo soggettivo di licenziamento, a condizione che non emerga il carattere calunnioso della denuncia medesima, che richiede la consapevolezza da parte del lavoratore della non veridicità di quanto denunciato e, quindi, la volontà di accusare il datore di lavoro di fatti mai accaduti o dallo stesso non commessi (Cass., 4125/2017; 14.249/2015; 6501/2013) e che il lavoratore si sia astenuto da iniziative volte a dare pubblicità a quanto portato a conoscenza delle autorità competenti . È stato, invero, escluso che l’obbligo di fedeltà di cui all’art. 2105 c.c., così come interpretato da questa Corte in correlazione con i canoni generali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. …, possa essere esteso sino a imporre al lavoratore di astenersi dalla denuncia di fatti illeciti che egli ritenga essere stati consumati all’interno dell’azienda, giacché in tal caso «si correrebbe il rischio di scivolare verso - non voluti, ma impliciti - riconoscimenti di una sorta di «dovere di omertà» (ben diverso da quello di fedeltà di cui all’art. 2105 c.c.) che, ovviamente, non può trovare la benché minima cittadinanza nel nostro ordinamento» (Cass., 4125/2017; 6501/2013). Tanto sul rilievo che lo Stato di diritto attribuisce valore civico e sociale all’iniziativa del privato che solleciti l’intervento dell’autorità giudiziaria di fronte alla violazione della legge penale, e sebbene ritiene doverosa detta iniziativa solo nei casi in cui vengono in rilievo delitti di particolare gravità, guarda con favore la collaborazione prestata dal cittadino, in quanto finalizzata alla realizzazione dell’interesse pubblico alla repressione dei fatti illeciti.

Da siffatte considerazioni è stata tratta l’affermazione secondo cui l’esercizio del potere di denuncia, riconosciuto dall’art. 333 c.p.p., non può essere fonte di responsabilità, se non qualora il privato faccia ricorso ai pubblici poteri in maniera strumentale e distorta, ossia agendo nella piena consapevolezza della insussistenza dell’illecito o della estraneità allo stesso dell’incolpato (si rimanda a Cass.Pen., n. 29.237/2010 e, quanto alla responsabilità civile, fra le più recenti, a Cass., n. 11.898/2016). La esenzione della responsabilità, anche nei casi di colpa grave, si giustifica considerando che la collaborazione del cittadino, che risponde ad un interesse pubblico superiore, verrebbe significativamente scoraggiata ove quest’ultimo potesse essere chiamato a rispondere delle conseguenze pregiudizievoli prodottesi a seguito di denunce che, sebbene inesatte o infondate, siano state presentate senza alcun intento calunnioso. Proprio la presenza e la valorizzazione di interessi pubblici superiori porta ad escludere che nell’ambito del rapporto di lavoro la sola denuncia all’autorità giudiziaria di fatti astrattamente integranti ipotesi di reato, possa essere fonte di responsabilità disciplinare e giustificare il licenziamento per giusta causa, fatta eccezione per l’ipotesi in cui l’iniziativa sia stata strumentalmente presa nella consapevolezza della insussistenza del fatto o della assenza di responsabilità del datore. [In particolare] perché possa sorgere la responsabilità disciplinare non basta, infatti, che la denuncia si riveli infondata e che il procedimento penale venga definito con la archiviazione della «notitia criminis» o con la sentenza di assoluzione, trattandosi di circostanze non sufficienti a dimostrare il carattere calunnioso della denuncia stessa.”

La stessa giurisprudenza più recente - discostandosi da quella tradizionale, anche coeva, che inquadra il diritto di denuncia nell’ambito del diritto di critica e, quindi, sottopone anche il primo a rispetto dei limiti di continenza sostanziale e formale - afferma che, in caso di esercizio del “diritto di denuncia di fatti i potenziale rilievo penale accaduti nell’azienda”, “a differenza delle ipotesi in cui è in discussione l’esercizio del diritto di critica, non rilevano i limiti della continenza sostanziale e formale, superati i quali la condotta assume carattere diffamatorio e, quindi, può avere rilevanza disciplinare, giacché … ogni denuncia si sostanze nell’attribuzione a taluno di un reato, per cui non sarebbe logicamente e giuridicamente possibile esercitare la relativa facoltà senza incolpare il denunciato di una condotta obiettivamente disonorevole e offensiva della reputazione dell’incolpato (Cass., 4125/2017; 15.646/2003; Cass.Pen., 29.237/2010”. In ogni caso ai fini disciplinari è irrilevante che la “denuncia all’autorità giudiziaria di fatti di potenziale rilevanza penale accaduti presso l’azienda [sia avvenuta] senza previa comunicazione ai superiori gerarchici, sempre che non risulti il carattere calunnioso della denuncia o dell’esposto”.