LE SCUOLE POETICHE DEL XIII SECOLO

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Transcript della presentazione:

LE SCUOLE POETICHE DEL XIII SECOLO A cura della Prof.ssa Maria Isaura Piredda

LA SCUOLA SICILIANA

Nella corte siciliana di Federico II di Svevia, tra il 1230 e il 1250, nacque un gruppo di intellettuali che usano il volgare locale, depurato e nobilitato.

Federico II nasce in Italia, a Jesi (nelle attuali Marche), nel 1194, figlio dell'imperatore Enrico VI (figlio di Federico Barbarossa) e di Costanza d’Altavilla, regina di Sicilia, ultima erede della dinastia normanna. Orfano di padre a soli tre anni, dopo due anni perse anche la madre e per volontà della madre venne affidato alle cure di un tutore di eccezione: il Papa Innocenzo III, che resse le sorti della Chiesa dal 1189 al 1216.

I testi dei poeti siciliani non ci sono pervenuti in originale, ma nella trascrizione dei copisti toscani (che hanno sovrapposto le caratteristiche del loro volgare a quello del siciliano).

I poeti siciliani sono tutti funzionari dello Stato, notai (come Jacopo da Lentini, che molto probabilmente inventò il sonetto), esperti di arti cavalleresche (come Pier della Vigna), giudici (come Guido delle Colonne) e nei loro versi trattano esclusivamente il tema dell'amore. Da ricordare anche Stefano Protonotaro, autore dell’unica canzone rimastaci con tutte le caratteristiche linguistiche del siciliano, senza contaminazioni di altri volgari (Pir meu cori alligrari)

Per questi funzionari di corte la poesia è solo evasione dalla realtà, oppure segno di appartenenza ad un'élite. L'amore per loro è puro gioco aristocratico e raffinato.

Essi inaugurano una nuova forma metrica, il sonetto (il primo fu Jacopo da Lentini) e trattano i temi tipici dell'amore cortese (= della poesia provenzale in lingua d’oc), ma senza accompagnamento musicale: l'omaggio feudale alla dama, di fronte alla quale l'amante si professa umile servitore, le lodi delle doti fisiche e spirituali della donna, la superiorità della propria donna su tutte le altre,

la sua bellezza, il riserbo a rivelare il proprio amore, il timore che le malelingue possano diffondere il segreto, il dolore per la lontananza, il rimpianto per le gioie dell'amore perduto, etc...

LA SCUOLA TOSCANA

L'eredità dei poeti siciliani fu raccolta nell'Italia centrale dai cosiddetti poeti siculo-toscani (solo grazie a questi poeti toscani oggi possiamo leggere, seppure in forma non originale, la poesia dei Siciliani). La scuola toscana si affermò a Firenze che era diventata una capitale economica europea, in fase di espansione.

La tradizione siciliana prosegue in Toscana perché molti intellettuali di questa regione erano vissuti per vario tempo alla corte di Federico II. Anche nella scuola toscana i componimenti si ispirano al tema dell'amore, però la preoccupazione è quella di fare una lirica dotta e colta, in uno stile complesso, difficile e ricercato. Inoltre non mancano i temi politici, soprattutto quelli dedicati a Firenze.

Mentre la lirica dei Siciliani era legata all'ambiente ed alle professioni della corte, quella toscana riflette la realtà della città comunale I poeti toscani fanno parte della vita sociale e politica di Firenze La loro arte si distinse, oltrechè per la ricerca formale, per un forte senso civico.

Tra i più noti rappresentanti di questa scuola vi sono Bonagiunta da Lucca, Monte Andrea, Chiaro Davanzati e Guittone d'Arezzo. Il maggior poeta fu Guittone d'Arezzo (morto nel 1294).

IL DOLCE STIL NOVO

Negli ultimi decenni del XIII secolo a Firenze si forma il “dolce stil novo”, una tendenza poetica con cui la lirica amorosa tocca la sua fase culminante in Italia. Questa scuola poetica, però, nasce a Bologna ad opera di Guido Guinizzelli, fra la fine del Duecento e l'inizio del Trecento

Gli stilnovisti sono esponenti di famiglie agiate, di formazione universitaria, attivamente impegnati nella politica del comune, e scrivono in un fiorentino colto e raffinato, per un ristretto pubblico di affini.

a cui si aggiunse il pistoiese Cino de' Sigibuldi. Ne sono esponenti i poeti fiorentini: Guido Cavalcanti, Dante Alighieri, Lapo Gianni, Dino Frescobaldi, a cui si aggiunse il pistoiese Cino de' Sigibuldi.

Li distingue il rifiuto degli artifici stilistici ed uno stile limpido e piano (definito “dolce”, perchè sono evitati i suoni aspri). Il tema principale ricorrente nelle liriche stilnoviste è la visione spiritualizzata della donna che viene esaltata come angelo in terra e dispensatrice di salvezza.

A differenza di quanto avveniva nei canzonieri siciliani, si trovano nei testi stilnovisti nomi di donne amate, come ad attestare un impegno autobiografico; così abbiamo la Beatrice di Dante, la Selvaggia di Cino, la Giovanna di Cavalcanti.

Gli stilnovisti amavano distinguersi dai ceti inferiori non per nobiltà di sangue ma per “altezza d'ingegno” (cioè la raffinata cultura che è indizio di superiore nobiltà d'animo). La formula “dolce stil novo”, usata per designare il gruppo, è stata coniata da Dante nel canto XXIV del Purgatorio.

Il maestro e fondatore del gruppo è Guido Guinizzelli, a cui appartiene il “manifesto” della nuova tendenza: la canzone Al cor gentil rempaira sempre amore.