La base di ogni umanesimo LA CURA La base di ogni umanesimo carlucciobonesso.info Prof. Carluccio Bonesso
attraverso la formazione timologica. La SITI promuove la competenza emotiva attraverso la formazione timologica.
CURA Lo svolgimento della vita avviene nella continua inter-azione fra: AMBIENTE E BISOGNI E dunque tutto il fare è un prendersi cura. L’uomo è cura.
Il primo assioma della timologia, scienza delle emozioni, recita così: “Non vi è azione senza relazione e la relazione precede sempre l’azione”. È dunque la qualità della relazione che condiziona e promuove la qualità delle azioni. L’azione d’un bacio è quella che è, ma in una relazione positiva indica rispetto e amore, mentre in una ostile è il bacio di Giuda, il tradimento!
Protocollo medico Secondo la definizione dell’Institute of Medicine le Linee Guida sono: "raccomandazioni di comportamento clinico, prodotte attraverso un processo sistematico, allo scopo di assistere medici e pazienti nel decidere le modalità di assistenza più appropriate in specifiche circostanze cliniche". Tutte azioni! Assenza di concetti relazionali!
Evidenze Molte ricerche sui clienti che affollano gli ambulatori medici, riferiscono che una buona percentuale dei pazienti si rivolgono al medico per situazioni non riconducibili a chiara manifestazione di patologia. La maggioranza dunque, ricorre al medico per qualcosa che è sintomatico di un disagio esistenziale o relazionale, rispetto al quale il curriculum degli studi di medicina risponde in modo limitato.
Il carico emotivo Una persona che vive in fiducia ed affetto, ricca di gioia e serenità andrà dal medico solo per chiara e manifesta patologia. La maggioranza invece, arriva con il proprio fardello di paure, rabbie, tristezze e sensi di colpa nascosti dietro i sintomi più disparati, a cui il medico non è stato attrezzato per rispondere, perché si tratta di relazione di cura, piuttosto che di protocolli e sequenze mediche.
La relazione di cura La propensione che sta alla base della relazione di cura non è l’interesse, né l’attrazione affettiva e neppure la simpatia, ma l’empatia. Da tempo vari studiosi vanno ipotizzando con buone evidenze, che alla base della trascuratezza, del bullismo e persino dell’autismo, ove si evidenzia una ridotta attività dei neuroni specchio ( Ramachandran e Oberman), sussista una carenza empatica.
L’empatia è la capacità di comprendere profondamente il sentire altrui. Il saper consonare con lo stato interiore dell’altro è la precondizione di ogni relazione di cura. Ogni sentire negativo non espresso, rimane inciso nella memoria emotiva ed è fonte duratura di stress. Il medico non può ignorare questo fatto.
Nell’uomo, come anche nei primati e nei roditori, la zona più direttamente coinvolta nell’elaborazione degli atteggiamenti sociali è quella della corteccia mediale anteriore.
EMPATIA Capacità di immedesimarsi con gli stati d’animo e con i pensieri delle altre persone, sulla base della comprensione dei loro segnali emozionali, dell’assunzione della loro prospettiva soggettiva e della condivisione dei loro sentimenti (Bonino, 1994).
Empatia e neuroni MIRROR Studi sugli esseri umani hanno dimostrato che osservare le azioni o le espressioni facciali di altri individui induce un’attivazione degli stessi circuiti neurali che sono attivati quando è l’osservatore ad eseguire le stesse azioni o ad assumere le medesime espressioni facciali. (Leslie et al., 2004) L’empatia, quindi, si basa su un processo di simulazione interna degli stati altrui. (Gallese V., 2003)
Empatia e neuroni MIRROR Uno studio pubblicato su Molecular Psychiatry ha portato ad identificare i geni alla base di questo ”potere empatico” superiore che consente, a chi lo possiede, di interpretare le emozioni di chi ha di fronte. (Simon Baron-Cohen, University of Cambridge) Nello specifico gli scienziati hanno individuato alcune varianti genetiche associate al potere empatico, ad esempio a carico del gene ‘LRRN1′ (Leucine Rich Neuronal 1) che è attivo nello ”striato”, una regione del cervello nota, non a caso, per essere collegata alla capacità empatica.
Flusso della relazione di cura tropismo emp. Edonia Una cosa è il protocollo ed un’altra è il “prendersi cura”, e per quanto accurato e professionale sia il protocollo, svincolato dalla relazione, non è CURA. L’uomo non può vivere in-sine-cura, insicuro! FILIA EMPATICA - FIDUCIA SERENITÀ TRASCURATEZZA - DISINTERESSE DISAGIO RELAZIONALE
Emozioni di setting Paura e fiducia sono le emozioni costantemente presenti nel setting terapeutico. Il paziente cerca il medico perché ha paura di qualcosa che gli dà sofferenza e che soprattutto non riesce a comprender bene. La sua paura ha come input: la malattia. Il medico ha la funzione di colui che aiuta ad affrontare il pericolo. Liminalmente è colui che aiuta emotivamente il paziente a passare dalla paura alla fiducia.
Il setting emotivo non va ignorato. L’emozione determina il climax terapeutico. Senza fiducia non c’è efficace relazione di cura. È propedeutico rilevare la paura e aiutare il paziente ad esplicitarla. È terapia affrontare l’antiedonia della paura per generare la proedonia della fiducia. Senza fiducia l’atto terapeutico può essere una sopraffazione.
Da non dimenticare ! Ogni emozione o è comunicata o è agita. Mentre l’emozione negativa non espressa rimane impressa, perciò genera stress. L’analfabetismo emotivo è caratterizzato da emozioni agite, non rese consapevoli, e colui che non è competente del proprio vissuto emotivo, avrà anche difficoltà a leggere le emozioni altrui. Conseguenze: inerzia e/o sequestro emotivo.
Ascoltare le paure e dare fiducia Alla nascita i bambini mostrano istintivamente di aver paura dei rumori forti ed improvvisi, dell’altezza, dell’oscurità e della solitudine. La malattia ne risveglia fondamentalmente due : la solitudine e l’oscuro. L’ammalato si sente improvvisamente solo ad affrontare un pericolo di cui non ha chiara conoscenza e verso il quale mette in atto strategie spesso regressive: negazione ed altro.
Più spesso dal medico si presentano persone con sintomi ed angosce da solitudine. La prima risposta del medico è cercare di istaurare una relazione fatta di fiducia e di stima reciproca, (accogliere e accompagnare) affinché il paziente possa affidargli qualcosa da custodire: il bene grande del proprio equilibrio e della propria salute. Ma il paziente desidera anche mantenere il controllo su ciò che dà in custodia e quindi affida la propria salute a patto di conoscere le strategie e le sue ragioni.
La fiducia non si concede a chiunque ed è sotto continuo controllo. Perché progredisca deve essere mantenuto un alto livello di comunicazione tra le parti: il medico che rende partecipe il paziente, ne aumenta la competenza e la consapevolezza di sé, evita la soggezione e promuove nel paziente la capacità di assumere responsabilità (collaborazione) nella cura della propria salute.
Per potersi fidare le persone proiettano il loro abbandono sul medico. Fidandosi di lui devono convincersi che non subiranno tradimenti o aggressioni. Ciò può essere incentivato da una comunicazione che sia anche gentile, che lasci nel paziente la convinzione interiore che non sarà lasciato solo ad affrontare il suo disagio. Importanti sono il contatto oculare, la prosodia serena e la gestualità gentile.
Vi sono però stati quali l’immaturità, la malattia grave, la vecchiaia, che rendono deboli dal punto di vista fisico o psicologico e quindi dipendenti. Qualora il malato fosse ancora padrone delle sue capacità di discernimento, mantiene un possesso della sua persona che gli permette di concedere la fiducia conservando la consapevolezza di sé e del proprio stato.
Ascoltare la rabbia e dare conforto La malattia è anche una minaccia che genera conseguentemente la rabbia contro qualcosa che turba profondamente le sicurezze e le certezze del paziente. Il medico aiuti il paziente a tirarla fuori, ad esprimerla, perché può diventare un’alleata per reagire ed affrontare il male. Quando invece fosse il rancore o l’odio per qualcuno, il far riflettere sul malessere connesso promuoverebbe il cambiamento interiore.
Ascoltare la tristezza e dare prospettiva La tristezza è la porta d’ingresso della depressione ed è l’emozione che segue ad una perdita o sconfitta. Non va mai sottovalutata, perché include la paura, la rabbia ed il rifiuto. Aiutare ad esprimere ed elaborare le emozioni incluse è rendere competente il soggetto del suo malessere.
Elaborare la perdita parte dall’accettare il dato iniziale di choc e rifiuto collegato a sofferenza devastante se non espressa, a cui segue la rabbia e la paura. In questa fase il paziente ha bisogno di sapere che le emozioni hanno bisogno di un tempo per sedimentarsi, ma poi trovano un assestamento di tipo consolatorio o rassegnazione a cui seguirà la purificazione del ricordo e la celebrazione.
Ascoltare i sensi di colpa ed aprire alla responsabilità Il senso di colpa è il più devastante dei sentimenti e include la paura, la rabbia, il rifiuto e la tristezza. Insegnare alle persone a prendere contatto con un sentire fra i più antiedonici, accettando il limite umano dell’errore, assumendosi le responsabilità, è azione altamente terapeutica. Il senso di colpa è epigeneticamente il più carico di conseguenze patologiche.
Relazione medico - famiglia Sempre più nel caso di malati cronici e/o portatori di disabilità permanenti sono le famiglie ad assumere, di fatto, il carico assistenziale. Più spesso è la figura del/della badante, rappresentato di solito da un immigrato/a che accudisce il malato, sotto la verifica di un familiare.
Di fatto il medico, affinchè abbiano efficacia le terapie, deve prendersi cura di queste persone (caregivers), in quanto esposti allo stesso stress che soffrono gli operatori sanitari (sindrome del burnout). Essi sono una delle sue fonti principale di informazione del paziente al quale prestano assistenza, e il suo supporto psicologico quotidiano.
Il “caregiving” può essere definito come il “dono della cura”, cioè il prendersi carico, da parte di una o più persone, di un’altra che necessita assistenza. Il carico emotivo e le limitazioni che gravano su chi a lungo ricopre questo ruolo, ha un effetto molto marcato che può durare a lungo anche dopo che l’assistenza si è conclusa.
Allora a quali bisogni rispondere? Chi si prende cura d’un altro ha bisogno di: - sentire d’esser utile e di far abbastanza per il malato (gratitudine e apprezzamento); - esser rassicurato sul fatto che il paziente o il congiunto non soffra (situazione dolorifica) - essere ben informato sulla reale situazione; - esprimere le emozioni e comunicarle per affrontare con consapevolezza l’esperienza che sta vivendo (verbalizzare il vissuto);
- sentirsi supportato dal medico e dall’equipe curante (appoggio); - dare un senso alla situazione di malattia, soprattutto se cronica ed irreversibile; - essere sostenuti nel trovare l’atteggiamento più adeguato da assumere in un dato momento; - sentire la vicinanza reciproca e l’approvazione della sua dedizione.
ESSERE I PASTORI DELL’ESSERE. concludendo Il paradigma interattivo evidenzia come in qualunque compito, in cui sia implicato un altro essere umano, non si possa mai separare l’azione dalla relazione. Essere medici, ma anche genitori o insegnanti comporta un prendersi cura dell’Altro, un diventare protagonisti e custodi della vita, o come diceva Heidegger, ESSERE I PASTORI DELL’ESSERE.
GRAZIE