Sacralizzazione della politica vs. politicizzazione della religione:

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Transcript della presentazione:

Sacralizzazione della politica vs. politicizzazione della religione: Erica Antonini Sacralizzazione della politica vs. politicizzazione della religione: totalitarismo vs. fondamentalismo 1

In antitesi alla moderna differenziazione funzionale dei sottosistemi sociali (Luhmann), nella tarda modernità politica e religione tornano a sperimentare inedite forme di intersezione, secondo modalità ed esiti altamente differenziati (Gentile, 2001). E' possibile in tal modo distinguere tra: forme di sacralizzazione della politica, quali le religioni civili (nelle democrazie) e le religioni politiche (nei regimi non democratici); forme di politicizzazione della religione, quali i fondamentalismi. 2 copia DEMOCRAZIA: DEFINIZIONI, CONDIZIONI, CRISI 16 febbraio 2013 2

1. La sacralizzazione della politica a) Religioni civili e religioni politiche 2. La politicizzazione della religione a) Il fondamentalismo b) Totalitarismo e fondamentalismo: un'analisi comparata 3 copia DEMOCRAZIA: DEFINIZIONI, CONDIZIONI, CRISI 16 febbraio 2013 3

1. La sacralizzazione della politica 4 a) Religioni civili e religioni politiche

5 Il concetto di religione civile è già presente in Jean-Jacques Rousseau, che ricorre a tale espressione per definire le religioni laiche del Cittadino, funzionali alla democrazia. Scrive il filosofo ginevrino nel 1756: “Non appena gli uomini vivono in società hanno bisogno di una religione che ve li mantenga. […] In un qualunque Stato che possa esigere dai suoi membri il sacrificio della vita, chi non crede in una vita futura è necessariamente un vile o un pazzo; ma è fin troppo noto in che misura la speranza della vita futura può spingere un fanatico a disprezzare la vita terrena. Liberate il fanatico dalle sue visioni e dategli la stessa speranza come premio della virtù: ne farete un vero cittadino”.

6 La “sacralizzazione della politica” in epoca moderna si avvale soprattutto della diffusione delle cosiddette “religioni secolari”, che si affermano quando la dimensione politica, conquistata la sua autonomia istituzionale nei confronti della religione tradizionale, assume un carattere di sacralità, fino a rivendicare per sé la prerogativa di definire il significato e il fine fondamentale dell’esistenza terrena per l’individuo e la collettività. La religione secolare (o laica) consiste in un sistema, più o meno elaborato, di credenze, miti, riti e simboli, che conferisce carattere sacro a un’entità terrena (la nazione, lo Stato, la razza, la classe, il partito, il movimento), rendendola oggetto di culto e devozione.

7 Scrive Raymond Aron in un noto saggio sul tema: “Propongo di chiamare ‘religioni secolari’ quelle dottrine che, nell’animo dei nostri contemporanei, prendono il posto della fede perduta, e che collocano la salvezza dell’umanità in questo mondo, in un avvenire lontano, nella forma di un ordine sociale da costruire”. Si tratta di dottrine che “definiscono lo scopo ultimo, quasi sacro, in rapporto al quale vengono definiti il bene e il male. […] Esse, in tal modo, danno un’interpretazione globale del mondo (quantomeno del mondo storico)”. In breve, conclude Aron, le religioni secolari sono religioni di salvezza collettiva, le sole, al giorno d’oggi, che “sembrano possedere il segreto per risvegliare passioni che sollevano le montagne” (Aron 1944). 7

Le prime religioni della politica, le religioni civili, nascono, dunque, per consacrare la legittimità della democrazia e per subordinare l’interesse particolare al bene comune. Esse: - non si identificano con l’ideologia di un particolare movimento politico; - affermano la separazione fra Stato e Chiesa; - convivono con le religioni tradizionali, senza identificarsi con nessuna particolare confessione religiosa, - si pongono come un credo civico comune sovrapartitico e sovraconfessionale; - riconoscono un’ampia autonomia all’individuo nei confronti della collettività; - fanno generalmente appello al consenso spontaneo per l’osservanza dei comandamenti dell’etica pubblica e della liturgia collettiva. 8

A titolo di esempio, Emilio Gentile scrive che “la banconota americana da un dollaro, con l'effige di George Washington, è un simbolo religioso”. 9

10

I motti (“In God We Trust”, “E Pluribus Unum”, “Novus Ordo Seclorum”, “Annuit Coeptis” e le immagini sulla banconota (aquila americana, piramide tronca di tredici blocchi, triangolo sacro con occhio divino) hanno inequivocabilmente un significato religioso, anche se non si evidenzia di quale religione essi siano la testimonianza. Il biglietto è un simbolo religioso poiché “esprime una professione di fede che conferisce un alone di sacralità al popolo della repubblica stellata, alla sua origine, alla sua storia, alle sue istituzioni, al suo destino nel mondo”. Fin dall'epoca della guerra di indipendenza (1776), infatti, il popolo americano “si considera scelto da Dio per compiere una missione storica a beneficio di tutta l'umanità” (Gentile 2001: VII-IX). 11

Pur essendo forse tuttora il paese più religioso nel mondo industriale, gli Stati Uniti non sono, tuttavia, uno Stato confessionale, non riconoscendo a nessuna religione o Chiesa una posizione privilegiata nel suo ordinamento istituzionale. Il primo emendamento, aggiunto nel 1791 alla Costituzione del 1787, garantisce, infatti, libertà a tutte le confessioni religiose. Ma non c'è contraddizione tra la separazione tra Chiesa e Stato e la professione di fede religiosa espressa dai motti, dai simboli e dai riti politici degli Stati Uniti (es: frequenti riferimenti a Dio nel linguaggio politico). Infatti, “la fede in Dio espressa nei simboli e nei riti politici della nazione americana è la manifestazione di una forma particolare di religione, che non coincide con nessuna delle confessioni religiose professate dai cittadini degli Stati Uniti: è una religione civile, cioè un sistema di credenze, di valori, di riti e di simboli che conferiscono un alone di sacralità alla entità politica degli Stati Uniti, alle sue istituzioni, alla sua storia, al suo destino nel mondo” (ivi: IX-X) 12

Scrive ancor Gentile: “Anche se la religione civile degli Stati Uniti è derivata dal protestantesimo, e ne ha portato per oltre un secolo una forte impronta nel suo richiamo al puritanismo e alla tradizione biblica, col tempo se ne è distaccata […], diventando un credo puramente civico, convivente con le confessioni cristiane o non cristiane”. Queste ultime, dal canto loro, “rendono omaggio alla sacralità della nazione, alle sue istituzioni e ai suoi simboli”, tramite, ad esempio, l'esposizione in molte Chiese della bandiera nazionale (ivi: XI). 13

Rappresentando una forma di sacralizzazione della politica propria dei regimi democratici (fondati su pluralismo delle idee, libera competizione per l'esercizio del potere, revocabilità dei governanti da parte dei governati attraverso metodi pacifici e costituzionali), la religione civile: - rispetta la libertà dell'individuo; - convive con altre ideologie; - non impone l'adesione obbligatoria e incondizionata ai propri comandamenti. 14

Al contrario, un’altra particolare concretizzazione storica del fenomeno della sacralizzazione della politica in epoca contemporanea è costituita dalle religioni politiche, termine la cui paternità è comunemente attribuita a Eric Voegelin (1938), proprie dei regimi non democratici, quali autoritarismi o totalitarismi (fondati sul monismo ideologico, sul monopolio irrevocabile del potere, sulla subordinazione obbligatoria e incondizionata dell'individuo e della collettività al suo codice di comandamenti. Ne consegue che la religione politica: - è intollerante, impositiva, integralista; - vuol permerare di sé ogni aspetto della vita individuale e collettiva (ivi: XIII-XIV). 15

16 Più in particolare, per Gentile una religione politica si manifesta ogni volta che un movimento o un regime politico: - “consacra il primato di una entità collettiva secolare, collocandola al centro di una costellazione di credenze e di miti che definiscono il significato e il fine ultimo dell’esistenza sociale e prescrivono i principi della discriminazione fra il bene e il male; - formalizza questa concezione in un codice di comandamenti etici e sociali, che vincolano l’individuo all’entità sacralizzata, imponendogli l’obbligo della fedeltà e della dedizione, eventualmente fino al sacrificio della vita; - considera i suoi appartenenti una comunità di eletti e interpreta la propria azione politica come una funzione messianica per il compimento di una missione a beneficio dell’umanità; - istituisce una liturgia politica per l’adorazione dell’entità collettiva sacralizzata, attraverso il culto delle figure in cui essa si materializza, e attraverso la rappresentazione mitica e simbolica di una storia sacra, periodicamente attualizzata nella rievocazione rituale degli eventi e delle gesta compiute nel tempo dalla comunità degli eletti” (ivi: 3-4, 206-7). 16

il pluralismo politico limitato L'autoritarismo Juan Linz: il pluralismo politico limitato Secondo la definizione classica dei regimi autoritari, elaborata da Juan Linz (1975), i regimi autoritari sono caratterizzati da: a) pluralismo politico limitato; b) una classe politica irresponsabile del proprio operato; c) mancanza di una ideologia guida articolata, ma presenza di mentalità specifiche; d) assenza di una mobilitazione politica capillare e su vasta scala; e) un leader che esercita il potere politico entro limiti mal definiti, essenzialmente arbitrari, eppure relativamente prevedibili. 17

a) e b) Il pluralismo nei regimi autoritari sarà perciò: 18 a) e b) Il pluralismo nei regimi autoritari sarà perciò: LIMITATO: le organizzazioni autorizzate a esercitare potere politico sono pochissime; vengono legittimate dal leader; hanno sfere riconosciute di autonomia alquanto circoscritte; NON COMPETITIVO: le organizzazioni non entrano in competizione tra loro, essendo “monopolistiche” nel loro settore; NON RESPONSABILE: le organizzazioni alle quali è consentito di sopravvivere non rispondono ad alcun elettorato, non debbono rispondere alla “base” e sono strutturate al loro interno in maniera gerarchica. 18

19 c) La mentalità autoritaria è un insieme di credenze flessibili, con margini di ambiguità interpretativa, meno codificato e meno rigido rispetto a una “ideologia”. La mentalità è diffusa tra i governati e sfruttata e potenziata dai capi del regime autoritario per ottenere acquiescenza, obbedienza o, molto raramente, impegno attivo. La mentalità autoritaria più diffusa fa leva su una tradizionalissima triade: Dio, patria, famiglia. Proprio perché la maggior parte dei regimi autoritari non ha una ideologia precisa e sviluppata, le loro “mentalità” possono presentare differenze considerevoli, costruendosi con riferimento a tradizioni politiche, sociali, culturali e religiose con base grosso modo nazionale. 19

20 d) I regimi autoritari differiscono dai regimi totalitari anche per la loro incapacità di natura organizzativa e riluttanza ideologica a mobilitare grandi masse. Solo in alcuni momenti del loro sviluppo, i regimi autoritari presentano e promuovo una mobilitazione estesa o intensa. Questi movimenti coincidono in particolare con la fase di instaurazione del regime. e) La maggior parte dei regimi autoritari dipende in maniera significativa dalla figura del loro leader, che esercita il potere politico entro limiti mal definiti, essenzialmente arbitrari, eppure relativamente prevedibili. A causa di questa dipendenza dalla figura del leader-fondatore, raramente i regimi autoritari riescono a superare le crisi di successione. 20

C.J. Friedrich e Z. Brzezinski: la “sindrome” totalitaria Il totalitarismo C.J. Friedrich e Z. Brzezinski: la “sindrome” totalitaria 21 Secondo C.J. Friedrich e Z. Brzezinski, le caratteristiche distintive dei regimi totalitari sono: a) un partito unico di massa; b) un'ideologia ufficiale; c) una polizia segreta notevolmente sviluppata; d) il monopolio statale dei mezzi di comunicazione; e) il controllo centralizzato di tutte le organizzazioni politiche, sociali, culturali, fino alla creazione di un sistema di pianificazione economica; f) la subordinazione completa delle forze armate al potere politico. 21

a) Il partito unico è lo strumento principale 22 a) Il partito unico è lo strumento principale per l’acquisizione e l’esercizio del potere politico nei regimi totalitari. Il pluralismo in questi regimi è perciò totalmente assente. Nei regimi totalitari, in cui il leader è, nella maggior parte delle occasioni, il prodotto di organizzazioni, il superamento delle crisi di successione è più semplice e lineare rispetto a quanto avviene nei regimi autoritari. 22

23 b) Per Friedrich e Brzezinski, l’ideologia ufficiale dei regimi totalitari è “un insieme di idee ragionevolmente coerenti che riguardano i mezzi pratici per cambiare totalmente e per ricostruire una società con la forza o con la violenza, fondata su una critica globale o totale di quel che è sbagliato nella società esistente o antecedente”. L’ideologia totalitaria è, in qualche modo, utopica ed escatologica, ovvero orientata alla definizione e al conseguimento di fini ultimi da realizzarsi al di fuori e al di là dell’esistente. I regimi totalitari di tipo comunista (Urss, Cina, Corea del Nord e, per una fase limitata, Vietnam del Nord) hanno avuto a disposizione un’ideologia marxista-leninista, che presentava caratteristiche di uniformità, rigidità, univocità e mirava a fondere sistema politico e società. Il regime totalitario nazista non era attrezzato con una vera e propria ideologia, poiché il manifesto programmatico di Hitler, esposto in Mein Kampf, non è paragonabile all’ideologia marxista-leninista. Tuttavia anche il nazismo conteneva forti elementi escatologici. 23

I regimi totalitari mirano a mantenere la società 24 I regimi totalitari mirano a mantenere la società in uno stato di mobilitazione imposta dall’alto che sia la più estesa, la più frequente e la più continua possibile: una “rivoluzione permanente” (Neumann 1942), al fine di cambiare la società e formare l’uomo nuovo. I regimi totalitari si propongono di essere, pertanto, REGIMI DI MOBILITAZIONE, richiedendo: impegno continuativo degli individui; imposizione dall’alto di una mobilitazione frequente e intensa; eliminazione di ogni confine fra pubblico e privato. 24

Basandosi sull'analisi di Hannah Arendt (1951), 25 Basandosi sull'analisi di Hannah Arendt (1951), Domenico Fisichella (1987) considera come caratteristica fondante dei regimi totalitari l’esistenza o la costruzione di un universo concentrazionario, ovvero “una struttura politica per lo sradicamento del tessuto sociale mediante lo strappo e la cancellazione dalla società di interi settori o gruppi”. L’elemento del terrore (politico e psicologico), anche nella sua versione di “universo concentrazionario”, resta una caratteristica cruciale dei totalitarismi, ma, secondo alcuni studiosi, richiede 2 indispensabili elementi coadiuvanti: un grado di sviluppo tecnologico che consenta al controllo terroristico totalitario di dispiegarsi pienamente la presenza di un partito unico che applichi il controllo terroristico con estesa capillarità 25

ideologia, terrore, “costruzione del nemico” Hannah Arendt: ideologia, terrore, “costruzione del nemico” 26

Nell’intento di evidenziare i tratti di assoluta novità storica del regime totalitario, Arendt individua la differenza fondamentale tra totalitarismi e altre forme di regime non democratico nel fatto che i primi non sono finalizzati a realizzare interessi di parte e nemmeno a conseguire semplicemente il silenzio di ogni forma di opposizione. Essi mirano a un fine ben più radicale e ambizioso: modificare la realtà per ricrearla secondo gli assunti dell’ideologia. 27

28 In particolare, tre elementi rendono specificamente totalitaria un'ideologia: 1. “nella loro pretesa di spiegazione totale, le ideologie hanno la tendenza a spiegare non quel che è, ma quel che diviene”, ripromettendosi di fornire “una spiegazione totale del passato, una completa valutazione del presente, un’attendibile previsione del futuro”; 2. il pensiero ideologico “diventa indipendente da ogni esperienza”; “emancipatosi così dalla realtà percepita coi cinque sensi, esso insiste su una realtà ‘più vera’, che è nascosta dietro le cose percettibili”; 3. le ideologie ottengono tale emancipazione del pensiero dall’esperienza ordinando i fatti “in un meccanismo assolutamente logico che parte da una premessa accettata in modo assiomatico, deducendone ogni altra cosa; procedono così con una coerenza che non esiste affatto nel regno della realtà” (Arendt 1951, trad. it., pp. 644-645). 28

Si tenta così di rendere totalmente impermeabile il sistema alla confutazione da parte del reale, arrivando al paradosso per cui: “se ciò che accade, è accaduto o accadrà, contraddice l’assunto ideologico, sono i fatti, e non tale assunto, a dover essere cambiati” (ib.) Ne deriva che ciò che realmente conta nella propaganda – il più rilevante strumento organizzativo del regime totalitario – è la forma di “predizione infallibile” con cui vengono esposti i concetti e la loro capacità di risultare coerenti e logici nello svolgimento delle premesse. Non hanno importanza né il contenuto del messaggio veicolato, né la corrispondenza degli enunciati con i fatti, i quali, al contrario, sono sistematicamente ignorati e disprezzati, in linea con la convinzione secondo cui essi dipendono completamente dall’umano potere di fabbricarli. 29

Nel far ciò, la propaganda gioca su due fenomeni tipici della transizione storica dalla società divisa in classi alla società di massa: 1. in primo luogo, essa fa leva sul senso di isolamento tipico delle masse moderne che, svanito il sentimento di appartenenza a una classe sociale, sono pronte ad affidarsi a chiunque offra loro un punto di riferimento, al fine di appagare il proprio bisogno di sicurezza; 2. inoltre, la propaganda totalitaria gioca sul tradizionale disprezzo manifestato dalla masse per la contraddittorietà della realtà, alla cui scomoda complessità preferiscono la nitidezza di una sua interpretazione unilaterale, che spieghi i fatti come esempi di leggi universali. La propaganda assume, dunque, la specifica funzione di creare un mondo interamente fittizio, che sia al tempo stesso elemento di unione e fonte di sicurezza. 30

“… il suddito ideale del regime totalitario 31 “… il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista o il comunista convinto, ma l’individuo per il quale la distinzione fra realtà e finzione, fra vero e falso non esiste più”. (Arendt 1951)

Per Hannah Arendt, se la legalità è l’essenza del governo democratico, “il terrore è l’essenza del potere totalitario”, vero motore del regime, che assume una funzione pedagogica, perfino catartica, essendo finalizzato alla “purificazione dell’esistente”. E così come la forza autocostrittiva della deduzione logica distrugge i contatti la realtà, la capacità di azione, di esperienza e di pensiero, la coercizione esercitata dal terrore totale distrugge lo spazio di movimento tra gli uomini e la possibilità per questi di creare reciproci legami. Ciò che distingue tipicamente il terrore totalitario da quello dittatoriale è che, mentre quest’ultimo “minaccia soltanto gli autentici oppositori”, il primo investe anche “gli innocenti cittadini senza opinioni”, e spesso i fautori stessi del regime (ivi, p. 445). 32

In linea con questa logica, secondo Arendt un regime diventa davvero totalitario nel momento in cui, eliminata la reale opposizione, va alla ricerca del nemico oggettivo, cioè di colui che non ha intenzione di opporsi al regime, ma che è avversario per definizione ideologica, in base a un procedimento di selezione del tutto casuale e arbitrario. Se il nemico reale è chi si oppone al potere con azioni concrete, e se il nemico potenziale è colui che viene perseguitato per la sua appartenenza a un gruppo economico, a una confessione religiosa o a una data categoria sociale in contrasto con gli orientamenti e i programmi del potere stesso, pur non avendo posto in essere alcun comportamento configurabile come ostile, del tutto arbitrario appare il concetto di nemico oggettivo, che indica colui che è dichiarato tale dal potere totalitario. Il nemico oggettivo viene denunciato e perseguito come tale sulla base di una proiezione futura di ostilità; poiché infatti il regime totalitario si configura in termini di movimento, e questo non può non incontrare ostacoli, ne consegue che tali ostacoli vanno affrontati ed eliminati in anticipo. 33

“Rendere l'uomo superfluo”: la sfida dell'universo concentrazionario L'universo concentrazionario innesca un processo di progressiva distruzione della personalità, nell’intento di “rendere gli uomini superflui”. Esso è per Arendt un laboratorio in cui si vuole sperimentare l’assunto secondo cui “tutto è possibile”; finanche il tentativo di modificare la natura umana e di instaurare un dominio assoluto dell’uomo sull’uomo. 34

35 Condizione preliminare per l’attuazione di tale esperimento è una radicale deumanizzazione, perseguibile tramite un processo di progressiva distruzione della libertà umana. Soltanto se l’essere umano sarà ricondotto al suo livello puramente animale e se le sue reazioni non saranno che riflessi condizionati, egli potrà essere sottomesso interamente al potere totalitario: “Il dominio totale, che mira a organizzare gli uomini nella loro infinita pluralità e diversità come se tutti insieme costituissero un unico individuo, è possibile soltanto se ogni persona viene ridotta a un’immutabile identità di reazioni, in modo che ciascuno di questi fasci di reazioni possa essere scambiato con qualsiasi altro” (1951, trad. it., p. 599).

36 Per annientare la personalità, occorre prima di tutto distruggere il soggetto del diritto che è nell’uomo, poi si procede con l’eliminazione della sua personalità morale. Mentre il primo passo è relativamente facile, per il compimento del secondo bisogna arrivare al punto estremo di negare all’individuo la sua stessa morte. Il processo di annientamento della persona, infatti, non si esaurisce entro i campi ma proietta le sue conseguenze nell’intero corpo sociale, mediante la cura rivolta alla completa scomparsa delle vittime. Come scrive Camus, nei regimi totalitari “non si muore, si scompare” (1958, p. 262). Riuscendo a rendere anonima persino la morte, i lager riescono a spogliarla del significato di fine di una vita compiuta.

37 La distruzione della personalità morale è poi perfezionata dalla negazione della possibilità di scegliere tra bene e male. Il terzo e ultimo passo verso la distruzione della soggettività distrugge la differenziazione fisica che caratterizza ogni uomo in virtù del semplice possesso del proprio corpo, manipolando lo stesso organismo, con infinite possibilità di sofferenza. E' l'origine della biopolitica, come insieme di meccanismi di potere che prendono in gestione il corpo e i processi biologici (Foucault).

Arendt traccia inoltre un’interessante distinzione 38 Arendt traccia inoltre un’interessante distinzione tra le condizioni umane della solitudine, dell’isolamento e dell’estraniazione. A suo avviso l’uomo-massa isolato non è ancora del tutto il soggetto adeguato del dominio totalitario, dal momento che, pur avendo rinunciato alla vita pubblica, rimane ancora in possesso della propria vita privata.

Mentre l’isolamento attiene alla sfera politica, 39 Mentre l’isolamento attiene alla sfera politica, l’estraniazione si estende a quella dei rapporti sociali: “L’isolamento è quel vicolo cieco in cui gli uomini si trovano spinti quando viene distrutta la sfera politica della loro vita, la sfera in cui essi operano insieme nel perseguimento di un interesse comune. Ma, per quanto lesivo del potere e della capacità di azione, esso lascia intatte le attività creative. […] Nell’isolamento l’uomo rimane in contatto col mondo come artificio umano; solo quando viene distrutta la forma più elementare di creatività, la capacità di aggiungere qualcosa di proprio al mondo comune, l’isolamento diventa insopportabile”.

40 Allo stesso modo, l’estraniazione non coincide con la solitudine: mentre quest’ultima richiede l’essere soli, l’estraniazione si avverte più acutamente in compagnia di altri: “Nella solitudine […] sono con me stesso, e perciò due-in-uno, mentre nell’estraniazione sono effettivamente uno, abbandonato da tutti. La riflessione, in senso stretto, si svolge in solitudine ed è un dialogo fra me e me; ma questo dialogo del due-in-uno non perde il contatto col mondo dei miei simili, perché essi sono rappresentati nell’io con cui conduco il dialogo del pensiero”. Finché rimane in possesso del proprio io, l’individuo conserva sempre una qualche certezza sull’esistenza dell’altro e, dunque, un’apertura verso il mondo.

41 Lungi dall'accontentarsi della condizione di isolamento, il regime totalitario si prefigge la totale estraniazione dell'individuo, che comporta per questi la distruzione della vita privata, l'abbandono del proprio io, l'esperienza del più totale sradicamento e della più completa superfluità. Per Arendt essere sradicati significa non avere un posto riconosciuto e garantito dagli altri; essere superflui significa non appartenere al mondo. L'individuo estraniato è il soggetto ideale del dominio totalitario: “a quest'uomo che ha perduto persino se stesso, rimane un'unica facoltà che non necessita che di se stessa per funzionare, quella del ragionamento logico, che non può che produrre verità vuote, che non rivelano alcunché” (ivi, pp. 650-654).

“Banalità del male” e responsabilità Tutto questo chiama in causa complessi problemi etici. Il caso del gerarca nazista Adolf Eichmann, la cui coscienza è paragonata a un “vuoto contenitore”, rappresenta l’esempio, portato all’estremo, del modo repentino in cui, nei momenti di eccezione, può crollare la morale corrente della buona società. Poiché la bancarotta del comportamento etico ha a che fare col valore supremo da sempre assegnato all'obbedienza, l’inesorabile “banalità del male” è contrastabile soltanto attraverso quel giudizio che distingue, a prescindere da leggi e criteri generali, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, e in cui, con l'esercizio della responsabilità, si concretizza una delle abilità che più rendono la persona particolarmente degna di valore. 42

43 Su questa linea, un modo estremamente efficace utilizzato per scagionare tutti coloro che commettono dei reati è il concetto di “colpa collettiva”, estremamente ingannevole, dal momento che dove tutti sono colpevoli, nessuno lo è realmente. I concetti di responsabilità e di colpa hanno senso, infatti, solo se applicati agli individui. Infatti, “se si permettesse all’accusato di riconoscersi colpevole o incolpevole come rappresentante di un sistema, egli diventerebbe un ‘capro espiatorio’” (1963, trad. it., pp. 98-100, 108-110).

44 Oltre ai presupposti della metafisica e della filosofia politica, il totalitarismo revoca in dubbio i fondamenti stessi delle filosofie morali tradizionali. Non si può più aderire a un'etica della virtù come al contributo soggettivo per la costruzione e il mantenimento di un ethos condiviso. Politica e morale non possono più rimanere in un rapporto di stretta connessione: per Arendt il vero problema etico emerge nelle situazioni in cui morale e politica entrano in conflitto, in cui seguire le ragioni dell'una o dell'altra costituisce un vero e proprio dilemma.

45 La preoccupazione che percorre le riflessioni sul giudizio e la “capacità morale” del pensiero non è come porre rimedio al possibile crollo dei valori di una comunità ma è esattamente quella opposta: come resistere al conformismo di un ethos collettivo. L'Etica prospettata da Arendt separa dunque la morale dalla politica; anzi, pone questa distinzione come propria condizione di possibilità: un'Etica che si oppone al primato dell'ethos collettivo sulle istanze dei singoli e decostruisce la concezione di un soggetto morale che, confidando sull'autonomia della propria ragione, si pone a legislatore universale. Esercitare la responsabilità nell'ordine del possibile, in tempi normali, facendo del giudizio la semplice messa in atto di un sapere normativo, significa trasformare la morale in una tecnologia (Forti 1994).

2. La politicizzazione della religione a) Il fondamentalismo 46 46

47 Per quanto ogni religione, soprattutto tra le monoteiste, corra il pericolo di “assolutizzare la propria soluzione” intorno alla questione del senso dell’esistenza umana, i diversi fondamentalismi costituiscono soltanto tratti, zone periferiche di ciò che le religioni effettivamente rappresentano. Elemento comune alle varie manifestazioni fondamentaliste, che divergono a seconda dei diversi contesti culturali e religiosi nei quali sono nati e agiscono i rispettivi movimenti, gruppi e organizzazioni, oltre al richiamo a una dottrina religiosa o a una tradizione sacra, è la rilevanza del tema della politica.

48 Il fondamentalismo è “un tipo di pensiero e di agire religioso che si interroga sul vincolo etico che tiene assieme le persone che vivono in una stessa società, sentita come totalità di credenti impegnati in quanto tali in ogni campo dell’agire sociale. Essi si pongono in modo radicale il problema del fondamento ultimo, etico- religioso, della polis,la comunità politica che prende forma nello Stato deve fondarsi su un patto di fraternità religiosa. Questo patto può essere inteso almeno in due modi: come riflesso di quel patto che un gruppo di credenti ritiene di aver stipulato con Dio, oppure come sinonimo di una tavola di valori ritenuti irrinunciabili e per i quali vale la pena lottare con le armi della politica” (Pace, Guolo, 2002, pp. 3-4).

49 Il fondamentalismo è perciò un fenomeno al contempo antico e moderno. Antico perché propone un modello alternativo “che si rivela, alla prova dei fatti, una camicia di forza che non riesce a contenere tutte le aspirazioni che nel frattempo gli individui del nostro tempo hanno maturato” (ivi, pp. 4-5). Moderno, perché interpreta i limiti stessi della modernità. A fronte di società che pretendono di essere eticamente neutre e a modelli di Stato che per definizione escludono ogni esplicito riferimento alla religione, il fondamentalismo ricolloca la funzione integratrice di quest’ultima al centro della vita sociale, ristabilendo anche il primato della legge religiosa su quella umana e positiva. In tal modo esso pretende di rifondare su basi assolute e certe la credenza collettiva nella legittimità degli ordinamenti statuali moderni, di cui spesso denuncia un grave deficit.

Forte delle regole contenute nel Libro sacro, 50 Forte delle regole contenute nel Libro sacro, diretta emanazione dell’Essere Supremo, il fondamentalista uniformerà il suo agire ai seguenti principi: - principio dell’inerranza, relativo al contenuto del Libro sacro, assunto nella sua interezza, in quanto totalità di senso e significati, non scomponibile né liberamente interpretabile dalla ragione umana; - principio dell’astoricità della verità e del Libro che la conserva; - principio della superiorità della Legge divina su quella terrena, che configura, tra l’altro, un modello integrale di società perfetta; - primato del mito della fondazione, che evidenzia l’assolutezza del sistema di credenza e accresce il senso di coesione e fraternità.

51 Da ciò derivano sia il fatto che le forme della mobilitazione dei militanti debbano lasciar sempre intravedere i riferimenti simbolici religiosi, sia il ricorso alla cosiddetta “sindrome del Nemico”. Quest’ultima – corrispondente al bisogno sociale dei fondamentalisti di non perdere le proprie radici, di non smarrire l’identità collettiva minacciata da una società sempre più individualista ed eticamente relativista – si concreta nella tendenza a imputare la responsabilità di questa deriva a un soggetto preciso, che, a seconda dei casi, può assumere volti diversi: il pluralismo democratico, il secolarismo, il comunismo, l’Occidente capitalistico, lo Stato moderno eticamente neutrale, ecc.

b) Totalitarismo e fondamentalismo: un'analisi comparata

E' possibile trarre alcune considerazioni, in una prospettiva 53 E' possibile trarre alcune considerazioni, in una prospettiva comparata, sugli elementi di affinità e di differenziazione tra le due forme di intersezione tra sfera politica e sfera religiosa nella società contemporanea. Tra i principali elementi di differenziazione tra i due fenomeni emergono: - la già accennata distinzione fondativa tra esperienze di “sacralizzazione della politica”, per cui la politica assume, nell’ideologia totalitaria, un carattere sacro, e manifestazioni di “politicizzazione della religione”, proprie di movimenti fondamentalisti che conquistano il potere per realizzare i principi religiosi nella società e nello Stato; - una diversa prospettiva temporale, secondo cui l’ideologia totalitaria, nella pretesa di spiegare non ciò che è ma ciò che diviene, è proiettata nel futuro, laddove centrale nel progetto fondamentalista, tramite il “mito delle origini”, è il richiamo al passato;

54 - la continua “riscrittura della storia”, ad opera del totalitarismo, al fine di far fronte alle contraddizioni del reale non in linea con i dettami dell’ideologia, versus il richiamo fondamentalista a un testo sacro e a una tradizione ritenuta assolutamente immodificabile; - la prevalenza, nel totalitarismo, del partito unico sullo Stato, pur nell’intenzionale moltiplicazione e sovrapposizione degli uffici, versus la forte dimensione statale dei fondamentalismi, in particolare nella versione islamica, sfociante a volte in vere e proprie teocrazie.

55 Pur nelle molteplici distinzioni, connesse alle numerose varianti storiche dei regimi esaminati, tra i tratti comuni alle due forme di organizzazione politica si rilevano: - la pretesa di propugnare un “pensiero unico”, un’interpretazione unilaterale della realtà e della storia, che comporta un disprezzo per l’esperienza e tutto ciò che può contraddire la logica dell’ideologia totalizzante, che intende spiegare tutto, con metodo rigorosamente logicodeduttivo, a partire da una premessa data per assiomatica; - l’avversione per ogni forma di pluralismo – ritenuto un’insidia in entrambi i casi, nel momento in cui esso fornisce una molteplicità di risposte di senso, contemporaneamente l’una accanto all’altra in uno stesso ambito o in uno stesso stato – e l’azione nel contrastarlo e, al limite, annullarlo;

56 - la pretesa di incarnare una missione salvifica volta alla rigenerazione morale di una situazione presente, ritenuta corrotta, e all’edificazione di un nuovo tipo di uomo, di società e di Stato. Pur differendo profondamente nel merito di tale visione, entrambi i fenomeni difendono l’idea che la realizzazione di questa visione debba aver luogo in questo mondo, nel presente, piuttosto che in un futuro fondamentalmente in sondabile; - la tendenza a trasformare completamente i simboli dell’identità collettiva e della struttura istituzionale della società nel costruire il nuovo ordine sociale, basato su dogmi ideologici universalistici e rivoluzionari, che in linea di principio trascendono qualunque unità primordiale, nazionale o etnica, pur senza negarne la parziale legittimità;

- la stessa missione salvifica – di cui si fanno promotrici le élite – 57 - la stessa missione salvifica – di cui si fanno promotrici le élite – come base della legittimazione ultima in entrambi i casi. Essi si basano su una legittimazione dall’alto, che apparentemente non ha alcun bisogno dell’approvazione popolare. Le modalità di tale legittimazione si esprimono in termini rivoluzionari estremi e di vasta portata, così come in politiche di intensa mobilitazione, da cui consegue un nuovo tipo di responsabilità per i governati; - la partecipazione attiva della società alla formazione di un nuovo ordine sociale e culturale, insieme a un alto livello di impegno verso tali ordini. In linea di principio, l’intera comunità diventa non solo oggetto ma anche portatrice della visione o missione di salvezza: l’élite la rappresenta “solamente” – dopo averla eventualmente istituita – promulgando la “reale” volontà della società;

58 - la totale sottomissione dell’individuo alla generale visione totalitaria e alla comunità, in nome della salvezza, che si traduce, da un lato, nel progetto dell’universo concentrazionario totalitario di “rendere l’uomo superfluo” e, dall’altro, nelle manifestazioni terroristiche associate al radicalismo fondamentalista, tramite l’assolutizzazione, con i kamikaze, del sacrificio umano; - una concezione forte, demiurgica, volontaristica, secondo alcuni “giacobina”, comunque tipicamente moderna, del ruolo della politica nella società, in quanto sfera in grado di governare i processi di trasformazione sociale, mediante l’istituzione universalmente individuata nello Stato;

59 - la limitazione, tendente all’annullamento, dell’autonomia della società civile rispetto allo Stato; - la negazione dell’autonomia delle diverse sfere dell’attività umana, dunque della moderna differenziazione funzionale dei sottosistemi sociali e delle sfere della coscienza; - un forte orientamento ideologico universalistico, volto a negare, in linea di principio, la rilevanza dei confini nazionali o politici. Al contempo stesso tali ideologie hanno definito/definiscono un nuovo ordine socio-politico con ampi confini, anche se relativamente delimitati; - la tendenza, in breve, a coniugare tradizione (nelle forme della sacralità, del fanatismo e del mito) e modernità (nelle forme dell’organizzazione e della tecnologia).

“La fine del mondo comune è destinata a prodursi 60 “La fine del mondo comune è destinata a prodursi quando esso viene visto sotto un unico aspetto e può mostrarsi in una sola prospettiva”. (Hannah Arendt, The Human Condition, 1958).

Riferimenti bibliografici - E. Antonini, Il progetto totalitario. Politica e religione nella cultura moderna, FrancoAngeli, 2006 - H. Arendt, Le origini del totalitarismo (1951), Edizioni di Comunità, 1999 - E. Gentile, Le religioni della politica. Fra democrazie e totalitarismi, Laterza, 2001 - K. Kienzler, Fondamentalismi religiosi. Cristianesimo, ebraismo, islam, Carocci, 1996 - E. Pace, R. Guolo, I fondamentalismi, Laterza, 1998 - G. Pasquino, I regimi non democratici, in Id., Nuovo Corso di Scienza Politica, il Mulino, 2009 61