Il sistema tributario italiano

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Transcript della presentazione:

Il sistema tributario italiano

Sistema tributario L’attuale struttura del sistema tributario italiano deriva dalla radicale riforma del 1971. La riforma si poneva i seguenti obiettivi: Adeguamento alla capacità contributiva; Semplificazione del sistema tramite la riduzione del numero di imposte; Lotta all’evasione fiscale.

I principi generali del sistema tributario italiano sono delineati dalla Costituzione, essenzialmente negli articoli 23 e 53. I principi fondamentali sono quattro: la legalità dell’imposta; l’universalità dell’imposta; l’equità del carico fiscale; la progressività dell’imposta.

Articolo 23 “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge” Articolo 53 “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”

L’Italia, nel 1976, a seguito di una sentenza della Corte Costituzionale, ha scelto l’individuo come unità impositiva. A ciascun contribuente è assegnato un numero di codice fiscale. Si tratta di un’espressione alfanumerica (per le persone fisiche è costruita attraverso i dati anagrafici, per un totale di 16 caratteri) o numerica (per gli altri soggetti è chiamato anche numero di partita IVA ed è composta da 11 cifre). Il codice fiscale è lo strumento di identificazione dei contribuenti sia nei rapporti con il fisco sia con gli Enti e le Amministrazioni Pubbliche.

In Italia, il sistema fiscale si basa essenzialmente sull’autodeterminazione delle imposte da parte dei privati. Il calcolo e il pagamento delle imposte più importanti e rilevanti è demandato ai contribuenti. Questa operazione è definita anche “autoliquidazione” o “autotassazione”. Per alcune imposte, ad esempio l’imposta di bollo, l’autoliquidazione del tributo ha luogo senza alcuna comunicazione agli Uffici fiscali. Nella maggioranza dei casi, invece, l’autoliquidazione prevede anche che vi sia la comunicazione di varie informazioni all’amministrazione finanziaria che concernono la ragione del versamento quali: le generalità del contribuente; le ragioni alla base del pagamento.

In Italia l’evasione fiscale è uno dei principali problemi sociali. La lotta all’evasione fiscale deve essere attuata avendo a disposizione due strumenti fondamentali: l’equità, che si fonda sulla capacità di misurare e tassare in misura accettabile tutto ciò che viene occultato; su una radicale semplificazione della legislazione tributaria; sull’aumento dell’efficienza della spesa pubblica; dall’attività di deterrenza nei confronti dell’evasione tramite la qualità e la quantità dei controlli; la sicurezza della pena nei casi in cui venga scoperta l’evasione.

Le entrate pubbliche Classificazione di Luigi Einaudi delle entrate pubbliche: Tassa: compenso corrisposto da chi fa domanda di un bene o servizio il consumo beneficia sia il richiedente sia il resto della collettività, per mezzo delle esternalità positive. In questo caso i costi non sono completamente coperti dai ricavi, e il resto è coperto dalla fiscalità generale, e giustificato con la presenza di esternalità. Esempi: tasse scolastiche e universitarie. Imposta: prelievo coattivo del settore pubblico la cui natura e misura è stabilità con criteri politici.

Le imposte Noi qui ci concentreremo sulle imposte. Imposte dirette: riscosse periodicamente mediante ruoli nominativi. Non si trasferiscono e colpiscono una manifestazione “diretta” della capacità contributiva. Sono correlate alla ricchezza, sia quando esiste già come un bene (es. il patrimonio) sia quando viene prodotta svolgendo un servizio o una prestazione (il reddito). Es. Irpef, Irap, Imu. Imposte indirette: sono riscosse in corrispondenza di determinati atti compiuti, anche occasionalmente, dal contribuente. Si possono trasferire dai soggetti che sono tenute a pagarli su altri soggetti, e colpiscono una manifestazione “indiretta” della capacità contributiva. Es. Imposta catastale, sulle successioni e sulle donazioni, Iva.

Il sistema tributario italiano Nel 1973-74 è entrata in vigore la normativa basata sulle linee guida della Commissione Cosciani, che raccomandava di articolare il sistema tributario italiano intorno a 3 principali tributi: L’Imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef) L’Imposta sul reddito delle persone giuridiche (Irpeg) L’Imposta sul valore aggiunto (Iva)

Il sistema tributario italiano L’implementazione di questo sistema fu fortemente condizionata dalla situazione economica degli anni ‘70 e ‘80, segnata da un tasso di inflazione molto alto e dal fiscal drag. In questo quadro, il peso dell’imposizione diretta andrà crescendo. Alla fine degli ‘80, la differenza tra le risorse prelevate con imposte dirette e quelle prelevate con imposte indirette è di quasi 4 punti percentuali di Pil. Tra le imposte indirette la principale è l’Iva, il cui gettito è automaticamente influenzato dall’inflazione.

Il fiscal drag Il drenaggio fiscale (fiscal drag), consiste nell’aumento della pressione fiscale originato dall'espansione inflazionistica dei redditi delle persone fisiche in presenza di aliquote fiscali crescenti rispetto al reddito misurato in termini nominali. In un contesto inflazionistico, a parità di aumento dei redditi (che dovrebbero aumentare di pari passo col livello dei prezzi, in presenza di un adeguamento automatico dei salari), il drenaggio fiscale interviene laddove i percettori di redditi, inquadrati all'interno di scaglioni di imposta, subiscono l'applicazione di una aliquota superiore, pur mantenendo invariato, al lordo, il valore reale dei salari. Il reddito disponibile risulta di conseguenza inferiore. Il fiscal drag consiste di fatto in un aumento "mascherato" delle imposte, all'interno di un contesto inflazionistico che allinea il livello dei prezzi a quello dei redditi, e quindi ai relativi scaglioni di imposta.

Il sistema tributario italiano Dalla fine degli anni ‘80 si diffuse la convinzione della necessità di una riforma del sistema tributario, volta a: Ridurre le aliquote Ampliare la base imponibile Tra il 1996 e il 1998 sono entrati in vigore alcuni istituti della riforma Visco, tra cui l’Irap, che prevedeva tra l’altro la riduzione delle aliquote massime delle imposte sui redditi. Con il secondo governo Berlusconi il centrodestra ha avanzato un nuovo progetto di riforma volto a un ulteriore abbassamento delle aliquote ed attuato solo in parte.

L’Irpef

L’imposta sul reddito delle persone fisiche Soggetti passivi dell’Irpef sono sia le persone fisiche residenti sia quelle non residenti, limitatamente al reddito conseguito nel territorio dello stato. L’imposta dovuta si calcola sottraendo dal reddito complessivo le deduzioni e ottenendo così il reddito imponibile. Al reddito imponibile si applica la scala delle aliquote e il risultato è l’imposta lorda. Poi, dall’imposta lorda si devono sottrarre le detrazioni. L’importo così calcolato è detto imposta netta.

L’imposta sul reddito delle persone fisiche L’Irpef è un’imposta diretta che si applica in base al principio della capacità contributiva. Il reddito è considerato una buona approssimazione della capacità contributiva. Le nozioni di reddito comunemente discusse come punto di riferimento per il calcolo dell’imposta sono: Reddito prodotto Reddito entrata Reddito consumo

L’imposta sul reddito delle persone fisiche Nozione di reddito prodotto: implica che si considerino come componenti della base imponibile tutte le remunerazioni derivanti dalla partecipazione a un’attività produttiva. Secondo questo principio sono tassabili solo i redditi da capitale e da lavoro, mentre sono escluse donazioni e plusvalenze patrimoniali (molto regressivo). Nozione di reddito entrata: costituisce reddito fiscalmente rilevante quanto un individuo può consumare senza ridurre il valore del patrimonio iniziale. Include anche le plusvalenze. Reddito consumo: la base imponibile tassabile dovrebbe coincidere con il consumo annuale del contribuente, dato dalla differenza tra tutte le entrate (reddito da lavoro, da capitale, donazioni, ecc.) e il risparmio. Secondo questo principio i risparmi non sono soggetti a tassazione e le plusvalenze sono tassate solo nel momento in cui sono usate per finanziare il consumo. In questo modo però si favoriscono le classi più abbienti.

La base imponibile dell’Irpef La nozione di reddito adottata per l’Irpef è una mediazione tra il concetto di reddito-prodotto e quello di reddito entrata, con alcuni elementi che tengono conto della spesa. Le plusvalenze sono considerate solo in parte imponibili e le componenti di risparmio di natura previdenziale sono escluse dall’imponibile. Il reddito complessivo comprende: Redditi fondiari: comprendono i redditi dominicali (derivanti dal possesso a vario titolo di un terreno destinato alla produzione agricola), agrari e da fabbricati. Redditi da capitale: derivanti da rapporti aventi per oggetto l’impiego di capitale. Per es. interessi derivanti da mutui e prestiti, da depositi e da conti correnti e obbligazioni, utili derivanti da partecipazioni a società, dividendi azionari. Redditi da lavoro dipendente: compensi ricevuti per prestazioni di lavoro subordinato e in relazione a contratti di collaborazione coordinata e continuativa. Si considera il salario al netto dei contributi sociali a carico dei lavoratori e dei datori di lavoro, ma al lordo dei costi sostenuti per la produzione (dei quali si tiene conto con un’apposita detrazione).

La base imponibile dell’Irpef Redditi da lavoro autonomo: proventi derivanti dall’esercizio di arti e professioni e dalla cessione dei diritti d’autore. In questo caso il reddito imponibile è dato dalla differenza tra i ricavi e i costi sostenuti nel periodo di esercizio (per evitare comportamenti elusivi la norma definisce con grande precisione i beni deducibili, ma è chiaro che controllare è molto difficile). Redditi d’impresa: percepiti nell’esercizio di imprese individuali o di società di persone. I redditi delle società di capitali invece sono tassati con l’Irpeg. Per le società di persone il reddito è accertato in capo alla società, che è tenuta alla dichiarazione, e poi ripartito tra i soci in proporzione alla loro quota di partecipazione indipendentemente dalla loro distribuzione effettiva. Redditi diversi: plusvalenze realizzate attraverso la lottizzazione e successiva vendita di terreni e fabbricati, plusvalenze realizzate attraverso la cessione di immobili acquistati da meno di cinque anni, o di partecipazioni sociali qualificate o non qualificate.

Aliquote Quando è stata introdotta nel 1974, l’Irpef aveva 32 scaglioni e l’aliquota marginale massima era pari all’82%. Nei 20 anni successivi scaglioni e aliquote sono stati ridotti. Con la riforma Visco del 1998 gli scaglioni sono stati portati a 5 e l’aliquota massima al 46%. La riforma Tremonti del 2003 prevedeva la riduzione a 2 scaglioni verso una vera e propria flat tax. Attuata solo parzialmente: scaglioni diminuiti a 4 e aliquota massima al 46%. Progressività affidata alla non tax area e alle deduzioni. La Legge 296/06 (finanziaria 2007) ha spostato di nuovo sugli scaglioni – riportati a 5 - il compito di assicurare la progressività.

Aliquote Scaglioni (in euro) Aliquota (in percentuale) Fino a 15.000 23 Oltre 15.000 fino a 28.000 27 Oltre 28.000 fino a 55.000 38 Oltre 55.000 fino a 75.000 41 Oltre 75.000 43

Deduzioni Per calcolare il reddito imponibile e prima di applicare le aliquote bisogna sottrarre dal reddito complessivo le deduzioni. Sono deducibili: Contributi previdenziali e assistenziali obbligatori per legge. Rendita catastale dell’immobile adibito ad abitazione principale. Spese mediche per assistenza a portatori di handicap. Assegni corrisposti al coniuge, quelli alimentari e le erogazioni liberali. Contributi sanitari obbligatori per l’assistenza erogata nell’ambito del servizio sanitario nazionale.

Detrazioni Calcolato il reddito imponibile e applicate le aliquote, si ottiene l’imposta lorda, dalla quale devono essere sottratte le detrazioni. Le principali detrazioni previste dal nostro ordinamento sono: Detrazioni per carichi familiari (coniuge, figli a carico, ecc.). Detrazioni da lavoro e da pensione: servono a rendere nulla l’imposta netta per i pensionati che hanno un reddito pari o inferiore a 7500€, per i lavoratori dipendenti che hanno redditi inferiori a 8000€ e per gli autonomi sotto i 4800€. Per tutti gli altri servono a ridurre l’imposta. Detrazioni riguardanti gli oneri personali al 19%: consentono di personalizzare l’imposta sul reddito tenendo conto di alcune caratteristiche che ne influenzano la capacità contributiva, come lo stato di salute, il mantenimento agli studi di altre persone, ecc. Tra le spese detraibili ci sono le spese mediche, premi assicurativi, interessi passivi su mutui per l’abitazione principale, spese di frequenza di corsi universitari. Altre detrazioni con finalità incentivanti: spese per l’affitto se il reddito complessivo è inferiore a una certa soglia, spese legate alla mobilità del lavoratore dipendente, spese per ristrutturazioni edilizie.

Distribuzione dei redditi dichiarati Fonte: Dipartimento Finanza del MEF, Analisi delle dichiarazioni,

Iva

Imposte indirette Come abbiamo visto nel 2017 le imposte indirette ammontavano al 14,5% delle entrate dello stato. Tra queste le più importanti sono l’Iva, le imposte sui prodotti energetici e l’Irap (che è un tributo regionale). Le imposte generali sulle vendite possono colpire: L’intero valore di un bene L’incremento di valore che si registra in una determinata fase della produzione o dello scambio. Possono essere applicate in diversi momenti del ciclo produttivo o distributivo.

Imposte indirette Imposte monofase o sul valore pieno: colpiscono una sola fase del processo produttivo e sono commisurate al valore pieno del bene in quella fase. Es.: imposte sulle vendite al dettaglio negli USA e imposte di fabbricazione in Italia. Imposte plurifase sul valore pieno: colpiscono tutte le fasi del processo produttivo e dello scambio e ogni volta sul valore pieno del bene. È un’imposizione di tipo cumulativo che era in vigore in Italia prima dell’Iva. Imposte plurifase sul valore aggiunto (o non cumulative): colpiscono tutte le fasi della produzione e degli scambi, ma ogni volta interessano solo il valore aggiunto realizzato in quel particolare stadio (es.: Iva).

Imposta plurifase sul valore aggiunto Esempio: produzione del pane. L’agricoltore coltiva il grano e lo vende al mulino. Il mulino trasforma il grano in farina e lo vende al fornaio. Il fornaio usa la farina per produrre il pane e lo vende al droghiere. Il droghiere vende il pane al consumatore finale.

Imposta plurifase sul valore aggiunto Produttore Acquirente Venditore Valore aggiunto Aliquota IVA Agricoltore 400 80 Mugnaio 700 300 60 Fornaio 950 250 50 Droghiere 1000 10 Totale 2050 3050 200 L’Iva si applica in percentuale sul valore aggiunto che si crea in ogni fase della produzione. Lo stesso risultato sarebbe stato ottenuto applicando un’imposta del 20% sulla vendita al dettaglio (effettuata dal droghiere), ma un’imposta plurifase sul valore aggiunto permette di considerare in modo diverso le spese per investimenti.

Imposta plurifase sul valore aggiunto La base imponibile di un’imposta plurifase non cumulativa sul valore aggiunto non coincide necessariamente con il valore aggiunto dell’economia. In particolare, l’imposta può riferirsi a 3 diverse definizioni di base imponibile, a seconda di come si trattano le spese per investimenti. Le spese per investimenti possono essere trattate: Come ogni altro input: il loro valore viene sottratto per intero dal valore delle vendite. In questo caso l’Iva viene detta “sul consumo” perché riguarda solo il consumo e non l’investimento. Si può dedurre, in ciascun periodo, solo l’importo corrispondente al deprezzamento. Nessuna deduzione per investimenti e ammortamenti. La normativa italiana permette di sottrarre per intero il valore degli investimenti.

La struttura delle aliquote Iva Nell’esempio del pane le aliquote erano tutte uguali. La normativa europea prevede un range tra 2 aliquote, una al 15% e una al 25%. In Italia vigono 3 aliquote: due ridotte (al 4% e al 10%) e una “ordinaria” al 22%. Le aliquote variano a seconda del bene che colpiscono per ragioni di equità, oppure perché si tratta di beni meritori.

La struttura delle aliquote Iva Come differenziare le aliquote? Dipende dagli obiettivi del legislatore. Efficienza: se si vuole ottenere un certo gettito fiscale nel modo più efficiente possibile, le aliquote dovrebbero essere stabilite in modo che la domanda di ciascun bene si riduca nella stessa proporzione. In questo caso l’aliquota deve essere inversamente proporzionale all’elasticità della domanda rispetto al prezzo. Se la domanda è rigida, l’aliquota sarà relativamente alta. Equità: se il reddito delle fasce povere è destinato in gran parte a beni la cui domanda è rigida l’imposizione su questi beni dovrebbe essere ridotta o assente (es. generi alimentari).

Beni meritori L’economia del benessere giustifica le imposte sui consumi: come strumento per correggere le esternalità. È il caso delle accise sui prodotti energetici, che ne limitano il consumo. Con riferimento alla teoria dei beni meritori, il cui consumo il legislatore ritiene di dover incoraggiare. Esempio: aliquota ridotta sulle vendite di libri e periodici.

L’Irap La riforma fiscale del 1998 ha introdotto quale strumento della fiscalità regionale l’Irap (Imposta Regionale sulle Attività Produttive). L’imposta si applica al valore della produzione netta delle attività dirette alla produzione o allo scambio di beni o alla prestazione di servizi. Anche l’attività svolta dagli organi e dalla amministrazione dello Stato è oggetto di imposta. Questa imposta dovrebbe costituire il cardine del processo di decentramento fiscale e di attribuzione di maggiori poteri tributari agli enti regionali.

L’Irap Presupposto dell’imposta: esercizio abituale di una attività diretta alla produzione o allo scambio di beni e servizi. Soggetti passivi dell’imposta: soggetti passivi IRES (SpA, Srl, Società cooperative, enti pubblici e privati diversi dalle società che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali, società ed enti di ogni tipo non residenti nel territorio italiano limitatamente alla parte di reddito prodotta nel territorio italiano). Società di persone Esercenti arti e professioni Organi e amministrazioni dello Stato ed enti locali Base imponibile dell’Irap: valore aggiunto di tipo reddito netto dato dalla differenza tra ricavi e acquisti intermedi al netto degli ammortamenti, ossia il reddito prodotto al lordo dei costi per il personale e degli oneri e dei proventi di natura finanziaria.

L’aumento dell’Iva Il 16 settembre 2011 il governo Berlusconi ha approvato con decreto legge l’aumento dell’Iva ordinaria dal 20 al 21%. Il 1 ottobre 2013 (governo Letta) l’imposta ordinaria dell’Iva è passata dal 21 al 22%. Tale aumento era stabilito nella Legge di Stabilità 2013 (24 dicembre 2012, governo Monti) – per la quale a a decorrere dal 1° luglio 2013 le aliquote Iva del 10% e del 21% sarebbero aumentate di un punto percentuale. In un secondo momento è stato stabilito di non aumentare l’aliquota più bassa (che è rimasta al 10%). Si è sperato a lungo di non dover aumentare neanche l’aliquota del 21%, ma la sospensione dell’Imu ha reso l’aumento inevitabile.

La crescente consapevolezza della necessità di responsabilizzare gli enti locali che erogano spese da condotto ad un processo di riforma che nel 1993 ha investito per primi i comuni tramite l’ICI. Il decentramento tributario a livello regionale ha conosciuto una forte accelerazione nel 1998 con l’introduzione dell’IRAP (Imposta regionale attività produttive) il primo tributo proprio delle regioni. Il processo di decentramento ha comportato inoltre l’introduzione di Addizionali IRPEF a favore di Regioni, Province e Comuni. Le addizionali sono costituite da una componente obbligatoria, definita dal livello centrale e cui corrisponde un'uguale riduzione delle aliquote nazionali, e una componente facoltativa, che gli enti territoriali possono adottare autonomamente, entro limiti fissati dal livello centrale e senza corrispondente riduzione delle aliquote erariali.