VERSO UNA INTEGRAZIONE DEI SERVIZI PER I MINORI SEMINARIO SALA KURSAAL - LUNGOMARE ZARA GIULIANOVA (TE) 17 OTTOBRE 2014 Sinergie di intervento tra Scuola e Tribunale per i Minorenni Relatore: Avv. M. Teresa Salbitani
Diritto alla salute ed al benessere Ogni bambino ha diritto alla salute e ad una vita priva di violenza. La violenza non rappresenta solamente un problema di salute pubblica alla quale le politiche della salute devono dare una assoluta priorità, ma anche un problema sociale, economico, educativo, giuridico e, ancor di più, una fondamentale questione di sensibilità culturale collettiva. La protezione e la tutela dei minori di età compete a vari soggetti - istituzionali e non - che sono chiamati ad agire in rete e ad integrare così le loro diverse competenze, nell’adempimento delle responsabilità loro attribuite dalla legge. 2
Scuola Il mondo della scuola è osservatorio privilegiato della condizione dei bambini e degli adolescenti e, pertanto, si inserisce di diritto in questa rete. Il minore di età che vive una situazione di disagio (nel senso più ampio del termine, che va dalle difficoltà più semplici al “grave pregiudizio”) è il protagonista di ogni intervento di protezione che lo riguardi. L’intervento va costruito a sua misura e con la sua collaborazione. Egli è, infatti, la risorsa prima e più importante da attivare per il ristabilimento di una situazione di benessere o per la prevenzione di un rischio di pregiudizio o di pregiudizio. 3
Non solo la la problematizzazione di alcune situazioni rende necessaria, nella pratica, la collaborazione tra scuola e altre agenzie di protezione sul territorio, servizi, ma anche il bisogno di prevenire il disagio ed il problema E’ evidente che, interlocutore privilegiato siano i servizi sociali e quelli sanitari La scuola e i servizi devono, in questi casi, prima di tutto dialogare e instaurare tra loro una forma di comunicazione corretta ed efficace, tenendo conto delle differenze che connotano i due soggetti dal punto di vista istituzionale, delle culture professionali, delle modalità operative. 4
Il disagio interrogarsi sulla dimensione del “disagio” di cui sono portatori bambini e ragazzi nella realtà sociale del territorio può indurre a un grave errore di prospettiva: quello di concentrare l’attenzione sulle carenze dell’azione educativa e sui fallimenti delle istanze di socializzazione, secondo un approccio “negativo” che proietta sui bambini ansie, problemi e tensioni della società nel suo insieme. Questa tendenza ad enfatizzare le paure (la paura per i nostri bambini insieme alla paura che ci fanno i bambini – specie quelli degli altri), invece delle potenzialità positive di cui l’infanzia e l’adolescenza sono portatrici, è molto diffusa e pervasiva. Assecondarla può appagare il bisogno di sicurezza degli adulti, ma non fa necessariamente l’interesse dei minori d’età. Prima di interrogarci su come prevenire e curare il disagio, la marginalità, la delinquenza, dovremmo dunque concentrarci sulla promozione e lo sviluppo della personalità del bambino, dei suoi diritti, del suo benessere. Questa prospettiva “promozionale” appare ampiamente accolta presso i servizi orientati all’infanzia e all’adolescenza nella nostraRegione. 5
Ancora più difficile risulta pertanto tradurre le osservazioni che si possono fare in ambiente scolastico, che hanno ad oggetto una realtà così instabile, in un linguaggio che sia di qualche utilità per chi opera in altri settori, come in quello dei servizi sociali e sociosanitari. Eppure l’importanza di qualificare, di incentivare, di facilitare la comunicazione tra scuola e servizi è sotto gli occhi di tutti. 6
Il progetto educativo che investe le persone in età evolutiva, infatti, si sviluppa tra una pluralità di attori - la famiglia, la scuola, le varie agenzie sociali… - e, in presenza di difficoltà o ostacoli, è di estrema importanza che questi soggetti lavorino in rete e si sappiano quindi interfacciare in modo rapido e produttivo. Possiamo dire che la comunicazione tra i vari soggetti ora elencati, è: > 1) quella che si instaura in relazione al trattamento delle forme più consolidate di “disagio”, già riconosciute a livello sociale e normativo, per le quali potrebbero già esistere standard di comportamento istituzionalizzati. 2) quella possibile in altre situazioni “intermedie”, significative sul piano della vita scolastica (nell’ambito della didattica, della convivenza tra alunni, dei rapporti con l’educatore, ecc.), e da cui gli insegnanti traggono elementi peridentificare un certo “malessere”, più o meno latente, di cui il singolo o il gruppo di allievi è portatore; situazioni però che non sono ancora nell’ambito della patologia,ma possono essere osservate e trattate per una attività di prevenzione Sono indicative di una “zona grigia” in cui il malessere sofferto dagli alunni non ha ancora un nome o non si manifesta ancora in modo preciso. 7
Ascolto del minore L’insegnante, antenna sensibile, osservatorio del malessere rischia di non trovare facilmente “alleati” in grado di sostenerlo nell’ascolto e nell’eventuale intervento a favore del bambino, né presso la famiglia, né presso i servizi del territorio e nemmeno, talvolta, all’interno dell’istituzione scolastica in cui opera. Allo stesso modo, i segnali di difficoltà che un operatore sociale coglie in un bambino, devono poter essere discussi con insegnanti e dirigenti scolastici potendo contare su una base comune di informazioni e nozioni che faciliti un progetto di lavoro condiviso, ed eviti la delega delle responsabilità. A rendere difficile, l’attivazione della rete dei servizi contribuisce in particolare la difficoltà di individuare sul piano operativo una “chiave di accesso” che apra la comunicazione tra la scuola stessa e i servizi sociali e sociosanitari dedicati all’infanzia e all’adolescenza e la orienti in modo costruttivo, senza tradursi in una delega incondizionata. 8
Cogliere i segnali prima che si manifesti il “pregiudizio” Un ambiente scolastico che si ispiri ai diritti del bambino e dell’adolescente ha il compito di sostenere il singolo insegnante o il gruppo di docenti o il dirigente scolastico che, avendo percepito il malessere di un alunno, cerchi di impedire l’insorgere di una situazione di rischio o pregiudizio per il bambino o l’adolescente. 9
cosa si intende per “rischio” e “pregiudizio”. Secondo le Linee Guida Regionali per i servizi sociali, sociosanitari e per tutti coloro che lavorano in rete, con il termine ‘pregiudizio’ si intende una condizione di particolare e grave disagio e/o disadattamento che può sfociare (rischio di pregiudizio) o è già sfociata (pregiudizio) in un danno effettivo per la salute psico-fisica del minore. Tale condizione, obiettiva e non transitoria, non assicura al bambino o al ragazzo i presupposti necessari per un idoneo sviluppo psico- evolutivo e un’idonea crescita fisica, affettiva, intellettuale e mentale. 10
Segue; pregiudizio Possono costituire situazione di pregiudizio: la grave trascuratezza, lo stato di abbandono, il maltrattamento fisico, psicologico o sessuale ad opera di un familiare o di altri soggetti, la grave e persistente conflittualità tra i coniugi”. Quando si riscontra che in una data situazione i fattori effettivi di pericolo prevalgono su quelli di sicurezza, in particolare quando la famiglia del minore appare in difficoltà, i servizi possono attuare interventi di protezione. 11
Scuola = osservatorio privilegiato L’importante ruolo di un insegnante può consistere nel cogliere precocemente (quindi prima che si realizzi un “pregiudizio”) i segnali di rischio, condividerli con i colleghi e gli altri operatori della scuola e comunicarli a chi professionalmente opera nel campo della protezione e cura dei minori per progettare insieme in quale modo aiutare il bambino e/o il ragazzo interessato. 12
Condividere le proprie percezioni Occorrerebbe fornire ad insegnanti, dirigenti e in generale operatori scolastici osservazioni e suggerimenti metodologici su come attivarsi, in particolare nei riguardi dei servizi sociali e sociosanitari del territorio, per interpretare in modo corretto i segnali di un presunto rischio e scongiurare il pericolo di pregiudizio. 13
Sinergia di interventi > azione co-costruita Anche i servizi naturalmente hanno interesse ad attivare una buona comunicazione con la scuola, per evitare il ricorso a complessi e talvolta traumatici interventi in protezione o per migliorare l’efficacia dell’intervento intrapreso. L’azione nei confronti dell’alunno va insomma co-costruita tra i soggetti della scuola e dei servizi territoriali Scuole e servizi territoriali potrebbero mettere a punto e utilizzare sistematicamente, tenendo conto delle specifiche esigenze di ogni realtà locale, degli strumenti tecnici finalizzati a favorire la comunicazione reciproca. In molte aree esistono già delle prassi consolidate in materia. 14
Predisposizione di moduli Tali prassi potrebbero concretizzarsi in un modulo, predisposto dal servizio competente in quel territorio, che raccoglie i dati essenziali e sufficienti a descrivere il minore che presenta profili di rischio più o meno rilevanti, nonché i dati essenziali relativi alla natura del problema (meglio se raccolti attraverso una serie di indicatori forniti dal servizio stesso) rispetto al quale la scuola chiede l’avvio di un percorso comune di lavoro e/o una specifica consulenza. 15
Linee Guida Regione Abruzzo Le linee guida in materia di maltrattamento ed abuso affrontano la complessità legata al fatto che i servizi si collocano in un articolato crocevia: - tra le componenti sociali e quelle sanitarie dei processi d’intervento; - tra le esigenze di tutela e quelle di cura nei confronti del minore e della sua famiglia - tra le istanze giudiziarie e quelle relative alla presa in carico psicosociale; - tra l’azione di soggetti pubblici e quella delle agenzie del Terzo settore. Gli obiettivi che si intendono perseguire sono: – a) favorire l’emergere dei fenomeni di maltrattamento e abuso nei confronti dei minori; – b) assicurare la tempestiva individuazione e la presa in carico precoce ed integrata dei minori attraverso gli strumenti di tutela; – c) uniformare gli interventi assistenziali ed i procedimenti diagnostici terapeutici; – d) integrare le attività tra operatori di ambiti diversi; – e) individuare ed ottimizzare le risorse specifiche dei servizi pubblici e del privato sociale. 16
L.G. 2 – Le fasi dell’intervento Una coerente progettualità nell’individuazione e presa in carico delle situazioni di maltrattamento all’infanzia non può che implementarsi in un’attiva e diffusa politica di “riduzione del rischio” mirata ad impedire la cronicizzazione del disagio incrementando con interventi specifici di “empowerment” le buone competenze genitoriali in particolare nelle fasce più deboli della popolazione. Per garantire un efficace intervento di tutela e cura sia delle vittime che di coloro che agiscono il maltrattamento occorre che vengano attivati, a cura dei diversi soggetti coinvolti nella presa in carico, alcune azioni organizzate in un articolata sequenza logica prima che temporale. 1) Prevenzione 2) Rilevazione 3) Protezione 17
2.1. Prevenzione Il fenomeno del maltrattamento e abuso in danno dei minori impone, prima che esso si manifesti attraverso azioni, la promozione di interventi di natura sociale e sanitaria che vadano ad agire sulle condizioni di rischio quali la scarsa educazione genitoriale, la presenza di gravidanze a rischio di rifiuto del legame, la presenza di famiglie con problemi di alcolismo, di disagio mentale, di degrado socio culturale e ambientale, i nuclei monogenitoriali in condizioni di disagio, le formazioni di gruppi di minori violenti o caratterizzati la comportamenti di bullismo. 18
La Rilevazione La realtà di un fenomeno che per le sue caratteristiche si configura come sommerso, negato, non affrontabile tramite una spontanea richiesta di aiuto, richiede, per essere osservato e curato, l’attivazione di mirate strategie di rilevazione di cui sono responsabili tutti i soggetti che quotidianamente sono a contatto con il mondo dell’infanzia. Per rilevazione si intende, quindi, il percorso di approfondimento che trae spunto da osservazioni compiute nell’ambito della loro funzione istituzionale da insegnanti, medici, educatori nonché da familiari o cittadini preoccupati dall’emergere di comportamenti di disagio e sofferenza vissuti da un minore. L’accuratezza e tempestività degli elementi raccolti in questa prima fase dell’intervento determinano in modo significativo la possibile attivazione di un precoce intervento di tutela, protezione, valutazione, presa in carico. In tale fase si effettua una prima rilevazione dei segnali di malessere dei minori, dei rischi per la loro crescita, della connessione dei segni di disagio con le eventuali condotte pregiudizievoli degli adulti. Importante a questo proposito affinare la capacità di discriminazione tra le condizioni di rischio e le condizioni in cui si è già verificato un danno, nonché la possibilità di approfondire, e se necessario intervenire, su quelle situazioni che frequentemente si presentano in modo “mascherato” e quindi difficilmente individuabili. E’ di fondamentale importanza L’attivazione di una funzione di ascolto dei segnali di disagio 19
Segue – la rilevazione I punti della rete sensibili rispetto al mondo dell’infanzia operanti sul territorio sono individuati a due livelli: 1. un livello primario in cui i minori vengono incontrati nella “normalità” per bisogni generali legati alla loro crescita: – nidi d’infanzia e scuola; – associazioni religiose, culturali, del tempo libero, sport, ecc…; – servizi sanitari di base: pediatri di base, medici di base, consultori, medicina scolastica; – ospedali (pronto soccorso, pediatria, ginecologia). 2. un livello secondario di soggetti istituzionali che incontrano bambini o famiglie già portatori di una richiesta di aiuto a carattere socio- assistenziale o educativo: 20
La protezione La presa in carico del minore vittima di maltrattamenti ed abusi inizia quando gli viene assicurato un “contesto di protezione” all’interno del quale si possano attivare i necessari interventi di sostegno e cura. Tali interventi devono essere strettamente connessi ai tempi evolutivi e ai bisogni del minore. Le azioni protettive non devono solamente essere orientate alla protezione fisica - impedire il comportamento maltrattante -, ma anche alla protezione mentale - impedire comportamenti stigmatizzanti e colpevolizzanti, nonché pressioni psicologiche nei confronti del minore. Gli interventi di protezione devono essere modulati in relazione alla gravità del pregiudizio ed alla presenza o meno di risorse protettive nel contesto familiare anche allargato. In questo senso nei casi meno gravi si possono attuare forme di vigilanza sulla famiglia con l’affidamento ai servizi sociali, tramite progetti mirati a rafforzare e supportare le competenze genitoriali. Nelle situazioni più gravi è invece necessario collocare il bambino in un contesto diverso da quello familiare, sia per interrompere la sua esposizione agli atti dannosi sia per impostare un efficace percorso di diagnosi e cura. Tale percorso è irrealizzabile e vittimizzante se il minore è costretto a vivere in una condizione di minaccia e pregiudizio. 21
Segue – la protezione Le azioni protettive rischiano di produrre delicate condizioni di vittimizzazione secondaria qualora non siano gestite con grande accuratezza e professionalità. Richiedono infatti un lavoro complesso che investe i diversi sistemi e chiede una cooperazione tra professioni e servizi. La complessità è aumentata dalla necessità di connettere in modo sinergico atti ed interventi giudiziari con la presa in carico psicosociale. Tale raccordo è spesso di complessa gestione in relazione al conflitto di interesse tra bisogni del minore e salvaguardia delle relazioni familiari che inevitabilmente queste situazioni producono. Il Comune attraverso i servizi sociali territoriali o – qualora non siano presenti – quelli dell’Ambito sociale - ha istituzionalmente la funzione di protezione ed è l’interlocutore dell’Autorità Giudiziaria Minorile. Tuttavia l’attenzione e la cooperazione nell’attivazione e gestione delle azioni protettive coinvolge tutti gli operatori e servizi poiché per essere realmente protettivi gli interventi vanno calibrati nella scelta dei tempi e delle modalità. I minori allontanati vivono infatti una condizione di forte crisi determinata dalla perdita dei legami primari che, sebbene attuata con finalità protettive, non può che costituire ulteriore fonte di sofferenza rispetto al grave disagio sperimentato all’interno della famiglia. 22
conclusioni Necessità di rete ai fini di assicurare il diritto alla salute ed al benessere ai minori tutti Necessità che tutti i partecipanti alla rete usufruiscano di informazione formazione e strumenti idonei alla cura Necessità che la comunicazione tra tutti i partecipanti venga attivata e ricercata Necessità di buone prassi codificate che permettano ai partecipanti di individuare il miglior intervento da operare Necessità di buone prassi che assicurino un buon livello di protezione anche a tutti gli operatori della rete. 23