L’uomo e il cibo: un’amicizia che dura da secoli

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Transcript della presentazione:

L’uomo e il cibo: un’amicizia che dura da secoli L’alimentazione degli antichi romani Liceo Scientifico Paritario “Talisio Tirinnanzi”, Legnano (MI)

Cosa mangiavano gli antichi romani? Sulla cucina e in generale sull’alimentazione dei romani si hanno svariate fonti, letterarie e archeologiche. Solitamente si immaginano pasti esagerati, come ci racconta Petronio nel Satyricon, ma la realtà quotidiana doveva essere ben diversa, specialmente per la popolazione. L’alimentazione dei latini ha conosciuto senz’altro una svolta in età imperiale, quando cominciarono ad affluire a Roma prodotti provenienti dall’Oriente e dall’Asia, tra cui le spezie. In precedenza, fin dall’epoca arcaica, l’alimento principale dei romani era il puls, una polenta di farina di farro cotta in acqua, che veniva accompagnata da legumi, pesci, verdure, frutta, formaggi e, raramente, dalla carne.

Cosa mangiavano gli antichi romani? La base dell’alimentazione era costituita dai cereali, che si consumavano facendo zuppe, focacce, farinate, e avevano un potere nutritivo di molto superiore al nostro. tra questi l’orzo è forse il più antico. Si coltivavano poi il farro, l’avena e il miglio. Per quanto riguarda la carne, i Romani mangiavano maiali, agnelli, capretti, polli, oche, selvaggina. Non i bovini, destinati solo per il lavoro dei campi. Si consumava naturalmente molto pesce, di cui il Mediterraneo era ricchissmo. E poi verdure e legumi. tra questi molti mancavano, perché saranno introdotti solo secoli dopo (ad esempio i fagioli, i pomodori). Un altro alimento diffuso e importante era il formaggio, duro o molle. E infine la frutta fresca o secca. Gli chef latini amavano stupire i convitati con portate spettacolari, come ci racconta Petronio, quando Trimalcione elogia il cuoco perché capace “di trasformare un lardo in un piccione, un prosciutto in una tortora, uno zampone di maiale in una gallina”.

Cosa mangiavano gli antichi romani? I pasti erano tre: la colazione (ientaculum), in genere costituita dagli avanzi della sera precedente, o da focaccia, latte, pane e olive, miele; il pranzo (prandium), cioè uno spuntino a base di pane, carne fredda, uova o pesce e legumi; infine la cena (coena), che era il pasto più importante della giornata ed iniziava tra le 15 e le 16. era costituita da più portate, dagli antipasti al dessert. Spesso era un convivium, cioè un momento di condivisione con altri ospiti durante il quale si chiacchierava, si assisteva all’esibizione di mimi o musicisti. Durante la cena vi erano tre momenti: la gustatio, cioè una serie di antipasti accompagnati dal mulsum, un vino misto a miele. Seguivano le primae mensae, costituite da varie portate di carne o pesce. Si concludeva con le secundae mensae, costituite da frutta fresca o secca, dolci a base di miele.

Cibo e cultura: mangiare non è solo una questione di nutrizione! Che il momento del pasto fosse importante non solo per nutrirsi, lo testimoniano le fonti letterarie e l’archeologia. Il triclinium era la stanza in cui si cenava, così chiamata per il caratteristico letto a tre cuscini (tre posti). nelle ville dei ricchi potevano essercene più di una. Il pavimento era su tre lati in leggera pendenza verso il centro, dove era collocato un tavolo basso intorno a cui erano disposti i letti triclinari. Il quarto lato, che corrispondeva con il lato del tavolo privo di triclinio, non era in pendenza per permettere ai servi di portare comodamente le vivande. i commensali si sdraiavano a tre a tre sul lato sinistro, in modo da guardare tutti verso il centro e seguire la conversazione come se fossero intorno a un tavolo rotondo. il locale veniva decorato con mosaici o affreschi sulle pareti.

Cibo e cultura: mangiare non è solo una questione di nutrizione! In età imperiale la cena divenne presso le classi benestanti una forma di ostentazione della propria ricchezza. Svetonio racconta che durante un convito offerto da Nerone vennero spesi oltre quattro milioni di sesterzi solo per la decorazione floreale (Nero, XXVII).

Un cuoco famoso: Apicio Marco Gavio Apicio nasce nel 25 a.C. da una famiglia molto ricca e sarà una delle figure più particolari e romanzesche della cultura latina. La sua fama deriva dalle sue incredibili stravaganze gastronomiche come piatti a base di talloni di cammello e lingue di pavoni. Le sue sperimentazioni culinarie sono raccolte in un libro di circa 500 ricette intitolato DE RE COQUINARIA (sulla cucina). Siamo sicuri che questo libro non può essere stato scritto da lui: infatti spesso vi ricorrono nomi di personaggi vissuti dopo Apicio. Ciò che è certo è che all'origine di questa raccolta culinaria ci sono ricette composte realmente da Apicio, soprattutto ricette che riguardano le salse (in latino conditurae), settore di cui Apicio era il massimo esponente. Il libro che noi abbiamo, comunque, è il risultato di molteplici stratificazioni. Da questo corpus di ricette si capisce come i Romani amassero i sapori forti e agrodolci.

Attraverso il gusto delle ricette… il gusto delle parole Qual è il senso di un lavoro di questo tipo in un liceo scientifico? La cultura gastronomica può essere una strada per scoprire la civiltà latina. Non solo, ma cercando di mettere in pratica le ricette gli studenti sono chiamati a chiedersi il vero significato delle parole e il lavoro di traduzione avrà per la prima volta un vero risultato pratico: il piatto.

Attraverso il gusto delle ricette… il gusto delle parole Ricette di Apicio:  Salsum sine salso Iecur coques, et mittes piper aut liquamen aut salem. addes oleum. icur leporis aut aedi aut ogni aut pulli; et, si volueris, in formella piscem formabis. oleum viride supra adices. Pesce salato senza pesce salato Cuoci fegato, pesta, e metti pepe o liquame o sale. Aggiungi olio. Fegato di lepre o di capretto o di agnello o di pollo; e se vorrai, formerai un pesce in uno stampino. Aggiungi olio verde sopra.  

Attraverso il gusto delle ricette… il gusto delle parole Ricette di Apicio:  Dulcia domestica Palmulas vel dactylos excepto semine, nuce vel nucleis vel pipere trito infercies. sale foris contingis, frigis in melle cocto, et inferes. Farcisci con una noce o pinoli o pepe tritato (frutti di ) palma o datteri snocciolati. Tocca fuori col sale, friggi in miele cotto, e servi.

I segni dell’impero romano nel paesaggio e nell’agricoltura lombarda Il percorso prosegue con collegamenti interdisciplinari alla Geografia e alle Scienze della Terra per studiare i segni dell’impero romano sul territorio, il paesaggio e l’agricoltura lombarda L’area del milanese, e lombarda in generale, si è sempre caratterizzata dalla necessità di spostare acqua da dove ve ne era troppa a dove era scarsa

La struttura geologica del territorio

Il territorio lombardo: i segni dell’impero romano Centuriazione: 1 iugero = 0,25 ha; 1 centuria = 200 iugeri

Il territorio lombardo: i segni dell’impero romano Inizialmente il sistema repubblicano romano si basava sulla figura dell’agricoltore soldato. Al termine delle campagne si bonificava e si distribuiva la terra ai veterani. Successivamente, con l’evoluzione verso l’era imperiale, la ricchezza si concentrò in poche mani e le strutture agricole si evolsero verso le ville.

Il territorio lombardo: i segni dell’impero romano I tre "grandi" fiumi (Lambro, Seveso e Olona) scorrevano nei loro alvei naturali, il Lambro e l'Olona più lontani dalla città di Milano , mentre il Seveso più vicino. Non vi erano canali, ma essendo Milano al centro della fascia delle risorgive tra Adda e Ticino, il territorio era ricchissimo d'acqua e, per praticare l'agricoltura e per muoversi in un terreno altrimenti soltanto paludoso, gli abitanti hanno forzatamente dovuto regolarizzare il flusso delle acque ricorrendo a canalizzazioni e drenaggi, cui si sono sovrapposte

Il territorio lombardo: i segni dell’impero romano Nel 222 a.c. i Romani conquistano Milano e la città si allarga accrescendo il proprio fabbisogno idrico. Il Sevesoè il fiume che transita più vicino alle mura e ancora in epoca repubblicana viene in parte deviato verso la città. Per scaricare le sue acque esauste viene costruito il primo canale artificiale milanese, la Vettabbia che, utilizzato prima per irrigare i campi, sfocia infine nel Lambro a Melegnano.