Colpa medica e nesso di causalità lezione del 27 maggio 2014
Principi generali Art. 25, comma 2, Costituzione: “Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”. Art. 1 c.p.: “Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge né con pene che non siano da essa stabilite”. Art. 27, comma 1, Costituzione “La responsabilità penale è personale”.
Il fatto tipico Il fatto tipico è la fattispecie legale, ovvero il modello di reato delineato dalla norma incriminatrice, inteso quale complesso degli elementi costitutivi che contraddistinguono ogni illecito penale e che condizionano la punibilità: presupposti oggettivi e materiali della condotta (condotta, evento e nesso di causalità); presupposti soggettivi e psicologici (i criteri di imputazione subiettiva dell’evento); ogni altro requisito capace di influire sulle conseguenze giuridico penali.
La colpevolezza Costituisce il criterio di imputazione subiettiva della condotta tipica al suo autore: l’applicazione della pena presuppone l’attribuibilità psicologica del singolo fatto di reato alla volontà antidoverosa del soggetto. “Qualora un solo elemento della fattispecie tipica, che concorre a contrassegnare la lesività del fatto, fosse sganciato dal dolo e dalla colpa, verrebbe meno il carattere personale dell’addebito e un’eventuale attribuzione di responsabilità penale si porrebbe in insanabile conflitto con l’art. 27 comma 1 Cost” (Corte Costituzionale, sent. 364/1988).
Tipicità e colpevolezza Il nesso di causalità tra condotta e evento rappresenta il criterio di imputazione oggettiva che riconnette un’azione e un evento lesivi all’autore, ergo al soggetto attivo che ha posto in essere materialmente la condotta commissiva o omissiva. La colpevolezza costituisce il criterio di imputazione subiettiva di quella medesima condotta al soggetto che merita l’applicazione della sanzione penale solo e nella misura in cui il fatto tipico sia, non soltanto materialmente ma anche soggettivamente, riconducibile alla sua azione cosciente e volontaria.
Tipicità e colpevolezza Art. 1 c.p.: “Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge né con pene che non siano da essa stabilite”. Art. 40 c.p.: “Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione o omissione. Non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”. Art. 42 c.p.: “Nessuno può essere punito per un'azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l'ha commessa con coscienza e volontà. Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto, se non l'ha commesso con dolo, salvo i casi di delitto preterintenzionale o colposo espressamente preveduti dalla legge. La legge determina i casi nei quali l'evento è posto altrimenti a carico dell'agente, come conseguenza della sua azione od omissione. Nelle contravvenzioni ciascuno risponde della propria azione od omissione cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa”.
Tipicità e colpevolezza Il legislatore esige per la configurabilità del reato: il nesso di causalità tra condotta ed evento; la c.d. suitas, ovvero la coscienza e volontà della condotta: dunque, l'esistenza di un nesso psichico tra l'agente ed il fatto, che si viene a creare tutte le volte in cui la condotta è posta in essere volontariamente e quando, anche se non sussisteva tale esplicita volontà, con uno sforzo del volere, la condotta integrante il reato poteva essere evitata dal soggetto.
La colpevolezza: i criteri di imputazione soggettiva (art. 43 c.p.) Il delitto: è doloso, o secondo l'intenzione, quando l'evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell'azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l'esistenza del delitto, è dall'agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione; è preterintenzionale, o oltre l'intenzione, quando dall'azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall'agente; è colposo, o contro l'intenzione, quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.
La colpa La coscienza e volontà ex art. 42 c.p.: A) nei reati dolosi consiste in un coefficiente psicologico effettivo; B) nei delitti colposi si identifica: - ora con un dato psicologico: la colpa con previsione dell’evento (colpa cosciente); - ora con un dato normativo (la colpa c.d. incosciente); L’azione si considera voluta quando risulta soltanto ‘dominabile’, governabile controllabile dal volere: può essere impedita mediante l’attivazione dei normali poteri di arresto e di impulso della volontà. La colpa si fonda su un rimprovero di non avere attivato quei poteri di controllo che l’agente doveva e poteva attivare per scongiurare l’evento lesivo. Il giudizio sulla ‘volontarietà’ assume un contenuto normativo proprio perchè si fonda essenzialmente sul fatto che l’agente non ha osservato, pur potendolo, lo standard di diligenza richiesto nella situazione concreta. “Il fatto è che nel campo del delitto colposo vi è azione penalmente rilevante finché è possibile muovere un rimprovero per colpa: in altri termini, i presupposti dell’azione finiscono col coincidere con le condizioni che rendono possibile l’imputazione colposa. Detto in breve: azione e colpa stanno e cadono insieme” (Fiandaca-Musco, Diritto penale, parte generale, Zanichelli).
La colpa Art. 43 c.p.: “il delitto è colposo o CONTRO L’INTENZIONE quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia ovvero per inosservanza di leggi regolamenti ordini o discipline”.
La colpa intesa come violazione di regole di cautela individuate secondo i criteri della prevedibilità ed evitabilità. La norma precauzionale è una regola di condotta a contenuto preventivo diretta ad impedire la realizzazione di eventi lesivi. Alla base delle norme di cautela stanno regole di esperienza ricavate da giudizi ripetuti nel tempo sulla pericolosità di determinati comportamenti e sui mezzi più adatti ad evitarne le conseguenze. Le regole di diligenza vigenti nei vari contesti sociali di riferimento rappresentano la cristallizzazione di giudizi esperenziali di prevedibilità ed evitabilità ripetuti nel tempo. La prevedibilità ed la evitabilità dell’evento costituiscono i criteri di individuazione delle misure precauzionali da adottare nelle diverse situazioni concrete. La colpa è esclusa in relazione ad eventi imprevedibili o inevitabili (caso fortuito e forza maggiore: art. 45 c.p.). La colpa va commisurata alla capacità del singolo di osservare la regola di cautela specificatamente imposta così da potere affermare che l’osservanza del dovere di diligenza imposta da una norma cautelare sia esigibile, nel caso concreto, da parte del soggetto agente. Il reato colposo postula un addebito di leggerezza mosso nei riguardi del soggetto per avere realizzato, non volutamente ma pur sempre a causa della violazione di regole precauzionali poste a presidio di determinati beni giuridici, un fatto reato che sarebbe stato evitato mediante l’osservanza di quelle prescrizioni, esigibile dal medesimo soggetto.
La colpa generica: violazione di regole non scritte aventi fonte sociale Negligenza: difetto di attenzione o di sollecitudine, dimenticanza, svogliatezza, scarso impegno, superficialità, indolenza, trascuratezza dell’osservanza di determinati protocolli di comportamento e inosservanza di una regola di condotta positiva; Imprudenza: avventatezza, eccessiva precipitazione, insufficiente ponderazione o scarsa considerazione degli interessi altrui, trasgressione di una regola di condotta da cui discende l’obbligo di non realizzare una determinata azione o di compierla con modalità diverse da quelle tenute; Imperizia: inosservanza di regole tecniche per insufficiente preparazione culturale, per inettitudine personale, per scarsa dimestichezza o per inadeguata applicazione, deficienza di cultura professionale o di abilità tecnica o di esperienza specifica richieste per l’esercizio di determinate professioni.
La colpa generica “E’ prudente chi, conoscendo i risultati dell’esperienza, è in grado di agire prevedendo l’evento che deriva dall’azione; è perito chi, oltre a sapere, sa fare; ed è diligente chi opera con amore evitando così le distrazioni e le mancanze” (Carnelutti).
La colpa specifica: violazione di regole scritte aventi fonte giuridica Inosservanza di: a) leggi; b) regolamenti (norme a carattere generale predisposte dall’Autorità pubblica per regolare lo svolgimento di determinate attività); c) ordini (disposizioni impartite al singolo da una Autorità pubblica o privata); d) discipline (norme indirizzate ad una cerchia ristretta e specifica di destinatari e emanate sia da Autorità pubbliche che da Autorità private).
L’accertamento della colpa I quattro elementi costitutivi della colpa: l’involontarietà (difetto della volontà del fatto tipico: il soggetto non vuole l’evento che è “contro l’intenzione del soggetto” o non conosce né vuole uno qualsiasi degli altri elementi costitutivi del fatto tipico); l’inosservanza di norme precauzionali aventi una fonte sociale o fonte giuridica e poste al fine di prevenire il verificarsi di eventi dannosi (mancato rispetto del c.d. standard obiettivo di diligenza); l’attribuibilità soggettiva della inosservanza (la concreta esigibilità del comportamento alternativo lecito, conforme alla oggettiva regola cautelare ed idoneo ad impedire il fatto); la materializzazione dell’inosservanza colposa nell’evento che la norma cautelare mirava a prevenire o evitare (c.d. concretizzazione del rischio: la causalità della colpa).
L’accertamento della colpa inosservanza della regola preventiva (scritta o non scritta) di condotta; rimproverabilità dell’inosservanza e l’esigibilità della condotta alternativa; vanno accertate con criteri ex ante; con il parametro oggettivo dell’agente modello (l’homo eiusdem condicionis et professionis); con il parametro soggettivo dell’agente reale; così collocandosi, idealmente, nella posizione dell’agente all’inizio della sua attività, e tenendo conto di tutte le evidenze del caso concreto (c.d. criterio della prognosi postuma); per stabilire 1) se l’evento concretizza lo specifico rischio che la norma violata intendeva evitare (causalità della colpa); 2) se la condotta alternativa lecita imposta dalla norma violata, qualora realizzata (nel caso di colpa per omissione) o non realizzata (nel caso di colpa per commissione), avrebbe impedito l’evento con alto grado di probabilità logica (causalità materiale).
La colpa medica Si distingue dalla colpa comune perché ha un differente ambito applicativo: l’area del rischio consentito. Il rischio è insuperabile ma è accettato dalla scienza medica e dalla società: dunque, è "consentito". “Lo spartiacque tra condotta colposa e non colposa in ambito medico è sempre dato dal rischio, non essendovi colpa per l’evento prevedibile ma verificatosi nonostante la fedele osservanza delle regole tecniche ed essendovi colpa per quegli eventi lesivi prevedibili ma prevenibili mediante l’osservanza delle leges artis” (Cass. Pen., 2.7.2002, in Giust. pen. 2003, 338).
La colpa medica L’attività medica risulta disciplinata: dalle linee generali desumibili dal codice deontologico voluto dalla stessa categoria professionale; dalle regole cautelari, tecniche e comuni, elaborabili sulla scorta delle indicazioni fornite dall’art. 43 c.p.; dalle c.d. leges artis; dalle disposizioni che regolano in via generale le varie attività sanitarie; dalle c.d. linee guida.
La regole cautelari del medico obbligo di astenersi da attività che determinino un rischio incontenibile; obbligo di adottare ogni precauzione per diminuire o elidere, a seconda dei casi, il pericolo insito nell’attività svolta; obbligo di effettuare uno studio completo del caso clinico; obbligo di seguire costantemente le condizioni del paziente e adottare le iniziative opportune; obbligo di aggiornamento professionale; obbligo di vigilanza sui propri collaboratori e di diligenza nella scelta di essi.
L’attività medica: le tre fasi La diagnosi si articola in una parte empirica (raccolta dei sintomi mediante anamnesi, esame obiettivo, esami di laboratorio o strumentali propedeutici ad enucleare i dati patognonomici per determinate patologie; ricorso ai criteri della diagnosi differenziale quando si profilano più ipotesi con identità sintomatica sino alla progressiva eliminazione di quelle alternative e all’individuazione di quella effettiva) e in una parte razionale (valutazione, comparazione, elaborazione e selezione dei dati raccolti); la prognosi è l’evoluzione della patologia diagnostica; la terapia è la cura.
La colpa medica La colpa professionale, in relazione alle varie fasi considerate, si può così sintetizzare: diagnosi errata e conseguente terapia errata (il medico diagnostica una lombosciatalgia quando in realtà il paziente ha una trombosi o un dolore intercostale quando vi è un infarto al miocardio); diagnosi corretta ed errata scelta della terapia (il medico diagnostica una neoplasia ma opta per una terapia farmacologica anziché intervenire illic et immediate); diagnosi corretta, scelta appropriata della terapia ma esecuzione errata della terapia stessa (si pensi ad un errore nel corso dell’intervento chirurgico); terapia inadeguata per prognosi errata (si fissa tardivamente un intervento a seguito di una erronea valutazione della progressione della patologia correttamente diagnosticata). Il dato temporale assume, in tale prospettiva, una indubbia significazione: - in relazione alle conoscenze mediche conclamate ed al correlativo livello medio di abilità manuale e tecnica al momento della messa in opera della condotta professionale; - in relazione al quadro clinico verificabile ed agli strumenti terapeutici e diagnostici concretamente disponibili, sempre al momento della messa in opera della condotta. Il medico è libero nella scelta del trattamento da applicare ma tale libertà non è assoluta e insindacabile. L’attività medica va valutata secondo le sue regole tecniche per cui occorre preventivamente valutare se tra due o più trattamenti possibili questi sono approvati dalla scienza sicché sarà in colpa il medico che, in presenza di un unico metodo terapeutico ufficialmente riconosciuto, abbia preferito intraprendere strade non collaudate dall’esperienza; tale censura, invece, non potrà essere mossa in presenza di opzioni differenti suffragate dalla scienza e dalla tecnica. A questa funzione direttiva provvedono le c.d. linee guida che, pur costituendo la positivizzazione di regole cautelari frutto di precedenti esperienze, non possono sostituire il talento professionale o prescindere dalle peculiarità del caso concreto.
Le linee guida nella giurisprudenza ante Legge Balduzzi “Il medico deve, con scienza e coscienza, perseguire un unico fine: la cura del malato utilizzando i presidi diagnostici e terapeutici di cui al tempo dispone la scienza medica, senza farsi condizionare da esigenze di diversa natura, da disposizioni, considerazioni, valutazioni, direttive che non siano pertinenti rispetto ai compiti affidatigli dalla legge ed alle conseguenti relative responsabilità. Il rispetto delle "linee guida", non può essere unicamente assunto quale parametro di riferimento della legittimità e di valutazione della condotta del medico e quindi nulla può aggiungere o togliere al diritto del malato di ottenere le prestazioni mediche più appropriate nè all'autonomia ed alla responsabilità del medico nella cura del paziente. Pertanto, non può dirsi esclusa la responsabilità colposa del medico in riguardo all'evento lesivo occorso al paziente per il solo fatto che abbia rispettato le linee guida, comunque elaborate, avendo il dovere di curare utilizzando i presidi diagnostici e terapeutici di cui al tempo la scienza medica dispone” (Cass. Pen., sez. IV, 2 marzo 2011, n. 8254).
La valutazione della colpa sulla scorta delle cc. dd La valutazione della colpa sulla scorta delle cc.dd. Linee guida: la Legge Balduzzi (L. 8 novembre 2012 n. 189 “l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene alle linee guida e buone pratiche accreditate presso la comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve”.
L’accertamento della colpa alla luce della Legge Balduzzi A seguito di tale intervento legislativo occorre accertare: se esistano linee guida o pratiche mediche afferenti all’atto medico eseguito; se si tratti di linee guida pertinenti alla specifica attività medica e non dettate da altre esigenze quali quelle di natura aziendalistica o economica; se contengono direttive attinenti al profilo della perizia e non anche della negligenza e della imprudenza; se sia ravvisabile colpa lieve o colpa grave (che è la violazione macroscopica, l’errore inescusabile, il difetto di quel minimo di abilità e perizia tecnica).
I profili di innovazione della Legge Balduzzi la valorizzazione delle linee guida e delle virtuose pratiche terapeutiche, purché corroborate dal sapere scientifico e accreditate presso la comunità scientifica; la distinzione tra colpa grave e colpa lieve.
Cass. Pen., sez. IV, 24 gennaio 2013, n. 11493 IL CASO Un medico ginecologo era stato ritenuto responsabile del delitto di omicidio colposo (art. 589 c.p.) in danno di neonata, deceduta per danni cerebrali conseguenti ad una asfissia intrapartum. Al sanitario, era stato addebitato che pur in presenza di tracciati cardiotocografici significativi di concreto rischio per il benessere del feto, non operava un costante monitoraggio della accertata situazione di preallarme nè predisponeva ed eseguiva un intervento di parto cesareo che, se operato, avrebbe evitato l'asfissia intrapartum ed il conseguente decesso della bambina. La scelta terapeutica operata dal medico si sarebbe rivelata fatale atteso che procedendo al parto naturale la nascitura avrebbe sofferto una grave asfissia che le avrebbe cagionato una tetra paresi spastica e poi la morte. I giudici di appello affermavano che la colpa era da rinvenirsi nel fatto che il sanitario, pur avendo indotto il travaglio con prostaglandine, aveva affidato la partoriente ad una ostetrica e, sebbene richiamato più volte a causa dei fortissimi dolori avvertiti dalla donna appena un'ora dopo la somministrazione del farmaco, era ritornato in clinica solo verso le ore cinque, omettendo un costante monitoraggio della predetta. I difensori deducevano vizio di motivazione della sentenza della Corte territoriale giacchè i giudici di appello, nel valutare la presenza di un errore diagnostico, non avevano tenuto conto delle linee guida afferenti i criteri di scelta tra il parto naturale ed il taglio cesareo, dettate con la deliberazione della Regione Campania n. 118 del 2 febbraio 2005.
Cass. Pen., sez. IV, 24 gennaio 2013, n. 11493 “trattandosi di colpa per negligenza ed imprudenza, può trovare applicazione il novum normativo di cui alla L. n. 189 del 2012, art. 3, che limita la responsabilità in caso di colpa lieve. La citata disposizione obbliga, infatti, a distinguere fra colpa lieve e colpa grave, solo limitatamente ai casi nei quali si faccia questione di essersi attenuti a linee guida e solo limitatamente a questi casi viene forzata la nota chiusura della giurisprudenza che non distingue fra colpa lieve e grave nell'accertamento della colpa penale. Tale norma non può, invece, involgere ipotesi di colpa per negligenza o imprudenza, perchè, come sopra sottolineato, le linee guida contengono solo regole di perizia. Va, comunque, precisato, in via generale, che le linee guida per avere rilevanza nell'accertamento della responsabilità del medico devono indicare standard diagnostico terapeutici conformi alla regole dettate dalla migliore scienza medica a garanzia della salute del paziente e (come detto) non devono essere ispirate ad esclusive logiche di economicità della gestione, sotto il profilo del contenimento delle spese, in contrasto con le esigenze di cura del paziente (va ovviamente precisato che anche le aziende sanitarie devono, a maggior ragione in un contesto di difficoltà economica, ispirare il proprio agire anche al contenimento dei costi ed al miglioramento dei conti, ma tali scelte non possono in alcun modo interferire con la cura del paziente: l'efficienza di bilancio può e deve essere perseguita sempre garantendo il miglior livello di cura, con la conseguenza del dovere del sanitario di disattendere indicazioni stringenti dal punto di vista economico che si risolvano in un pregiudizio per il paziente). Solo nel caso di linee guida conformi alle regole della migliore scienza medica sarà poi possibile utilizzarle come parametro per l'accertamento dei profili di colpa ravvisabili nella condotta del medico ed attraverso le indicazioni dalle stesse fornite sarà possibile per il giudicante - anche, se necessario, attraverso l'ausilio di consulenze rivolte a verificare eventuali particolarità specifiche del caso concreto, che avrebbero potuto imporre o consigliare un percorso diagnostico-terapeutico alternativo- individuare eventuali condotte censurabili”.
Cass. Pen., sez. IV, 24 gennaio 2013, n. 11493 “L'art. 3, D.L. 13 settembre 2012, n. 158, conv. in legge 8 novembre 2012, n. 189, che ha comportato un'abolito criminis nel caso di colpa lieve qualora l'esercente la professione sanitaria si attenga a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, non involge le ipotesi di colpa per negligenza o imprudenza, perché le linee guida contengono solo regole di perizia” (Cass. pen. Sez. IV, 24/01/2013, n. 11493).
Cass. Pen., sez. IV, 29 gennaio 2013, n. 16237 IL CASO Tizio, medico chirurgo, era stato condannato sia in primo che in secondo grado, per avere erroneamente eseguito un intervento di ernia discale ed avere violato la regola precauzionale enunciata in letteratura di non agire in profondità superiore a 3 cm e di non procedere alla pulizia radicale del disco erniario per evitare la complicanza connessa alla lesione dei vasi che corrono nella zona dell’intervento. Proponeva ricorso l’imputato che richiamava l’art. 3 della legge 8 novembre 2012 n. 189 rilevando la parziale abolizione della fattispecie di omicidio colposo, essendo stata esclusa la colpa lieve nel caso in cui il sanitario si attenga alle linee guida ed alle buone pratiche terapeutiche. La Corte reputa il motivo pertinente e fondato e, con motivazione articolata e pregevolissima, si sofferma sulla portata della riforma e sugli effetti applicativi di essa nel caso concreto atteso che la questione di fatto e di diritto affrontata in sede di merito si incentrava appunto sull’esistenza e sul contenuto di linee guida in ordine all’esecuzione dell’intervento in questione nonché sulla loro osservanza da parte del medico.
Cass. Pen., sez. IV, 29 gennaio 2013, n. 16237 “la restrizione della portata dell'incriminazione ha avuto luogo attraverso due passaggi: l'individuazione di un'area fattuale costituita da condotte aderenti ad accreditate linee guida; e l'attribuzione di rilevanza penale, in tale ambito, alle sole condotte connotate da colpa grave, poste in essere nell'attuazione in concreto delle direttive scientifiche. Insomma, nell'indicata sfera fattuale, la regola d'imputazione soggettiva è ora quella della (sola) colpa grave; mentre la colpa lieve è penalmente irrilevante”. “Tale struttura della riforma da corpo ad un tipico caso di abolitio criminis parziale. Si è infatti in presenza di norma incriminatrice speciale che sopravviene e che restringe l'area applicativa della norma anteriormente vigente. Si avvicendano nel tempo norme in rapporto di genere a specie: due incriminazioni di cui quella successiva restringe l'area del penalmente rilevante individuata da quella anteriore, ritagliando implicitamente due sottofattispecie, quella che conserva rilievo penale e quella che, Invece, diviene penalmente irrilevante. Tale ultima sottofattispecie è propriamente oggetto di abrogazione. La valutazione non muta se, per controprova, si guardano le cose sul piano dei valori: il legislatore ha ritenuto di non considerare soggettivamente rimproverabili e quindi penalmente rilevanti comportamenti che, per le ragioni ormai più volte ripetute, presentano tenue disvalore. Il parziale effetto abrogativo, naturalmente, chiama in causa la disciplina dell'art. 2 c.p., comma 2, e quindi l'efficacia retroattiva dell'innovazione. Tale ordine di idee trova conforto nella giurisprudenza delle Sezioni unite di questa Suprema Corte: si è infatti condivisibilmente affermato che il fenomeno dell'abrogazione parziale ricorre allorchè tra due norme incriminatrici che si avvicendano nel tempo esiste una relazione di genere a specie (Sez un., 27 settembre 2007, Magera, Rv. 238197; Sez. Un. 26 marzo 2003, Giordano, Rv. 224607). Invero, quando ad una norma generale subentra una norma speciale "ci si trova in presenza di un'abolizione parziale, perchè l'area della punibilità riferibile alla prima viene ad essere circoscritta, rimanendone espunti tutti quei fatti che, pur rientrando nella norma generale venuta meno, sono privi degli elementi specializzanti. Si tratta di fatti che per la legge posteriore non costituiscono reato e quindi restano assoggettati alla regola dell'art. 2 c.p., comma 2, anche se tra la disposizione sostituita e quella sostitutiva può ravvisarsi una parziale continuità" (Sez. Un. 26 marzo 2003, Giordano, cit.)”.
Cass. Pen., sez. IV, 29 gennaio 2013, n. 16237 Il principio di diritto: «nel caso in esame la vicenda illecita dovrà essere nuovamente esaminata dalla Corte d'appello. Infatti, come emerge esplicitamente dalla sentenza impugnata, il giudizio in ordine alla colpa si è incentrato proprio sul tema delle linee guida e delle prassi terapeutiche, nonchè sulla loro osservanza da parte del medico. Si è discusso se esistessero direttive scientificamente accreditate in materia, pertinenti alle modalità di esecuzione dell'intervento ed in particolare alla profondità dell'Inserimento dello strumento chirurgico. Si è pure dibattuto se le prescrizioni in questione fossero rigide ovvero elastiche, tanto che la questione ha formato oggetto di specifico motivo di ricorso, incentrato sui ritenuto travisamento delle indicazioni espresse al riguardo in un documento scientifico. Ne consegue che il giudice di merito dovrà stabilire se il fatto si collochi nella sottofattispecie abrogata o in quella ancora vigente. L'indagine si muoverà con le cadenze imposte dalla riforma. Posto che l'innovazione esclude la rilevanza penale delle condotte connotate da colpa lieve che si collochino all'interno dell'area segnata da linee guida o da pratiche mediche scientificamente accreditate, il caso dovrà essere riesaminato per determinare se esistano direttive di tale genere afferenti all'esecuzione dell'atto chirurgico in questione. Nell'affermativa, si dovrà accertare se l'intervento eseguito si sia mosso entro i confini segnati da tali raccomandazioni. In tale eventualità dovrà essere pure chiarito se nell'esecuzione dell'atto chirurgico vi sia stata colpa lieve o grave. Ne discenderà l'esistenza o meno dell'elemento soggettivo del reato alla stregua della normativa sopravvenuta».
Cass. Pen., sez. IV, 29 gennaio 2013, n. 16237 “Le linee guida costituiscono sapere scientifico e tecnologico codificato, metabolizzato, reso disponibile in forma condensata, in modo che possa costituire un'utile guida per orientare agevolmente, in modo efficiente ed appropriato, le decisioni terapeutiche. Si tenta di oggettivare, uniformare le valutazioni e le determinazioni; e di sottrarle all'incontrollato soggettivismo del terapeuta. Tali regole, come sara' meglio chiarito nel prosieguo, non danno luogo a norme propriamente cautelari e non configurano, quindi, ipotesi di colpa specifica. Esse, tuttavia hanno a che fare con le forti istanze di determinatezza che permeano la sfera del diritto penale. Tale enunciazione, assai utile alla comprensione del sistema e delle implicazioni di fondo connesse alla riforma, ha bisogno di un breve chiarimento. Occorre partire dalla considerazione che la fattispecie colposa ha necessita' di essere eterointegrata non solo dalla legge, ma anche da atti di rango inferiore, per cio' che riguarda la concreta disciplina delle cautele, delle prescrizioni, degli aspetti tecnici che in vario modo fondano il rimprovero soggettivo. La discesa della disciplina dalla sfera propriamente legale a fonti gerarchicamente inferiori che caratterizza la colpa specifica, contrariamente a quanto si potrebbe a tutta prima pensare, costituisce peculiare, ineliminabile espressione dei principi di legalita', determinatezza, tassativita'. La fattispecie colposa, col suo carico di normativita' diffusa, e' per la sua natura fortemente vaga, attinge il suo nucleo significativo proprio attraverso le precostituite regole alle quali vanno parametrati gli obblighi di diligenza, prudenza, perizia. Se ci si chiede dove il giudice, consumatore e non produttore di leggi scientifiche e di prescrizioni cautelari, possa rinvenire la fonte precostituita alla stregua della quale gli sia poi possibile articolare il giudizio senza surrettizie valutazioni a posteriori, la risposta puo' essere una sola: la scienza e la tecnologia sono le uniche fonti certe, controllabili, affidabili. Traspare, cosi', quale interessante rilievo abbiano le linee guida nel conferire determinatezza a fattispecie di colpa generica come quelle di cui ci si occupa. L'indicazione e' semplice, lineare, ma non altrettanto lo e' l'itinerario per il conseguimento della scientificita' del giudizio. Infatti, l'acquisizione al processo di informazioni scientifiche adeguatamente attendibili non e' sempre agevole, tanto piu' quando si entra in ambiti complessi, controversi, caratterizzati da sapere in divenire” “Tutto cio' ha a che fare con i temi della legalita', della determinatezza e della colpevolezza. Si vuoi dire che l'ontologica "terzieta'" del sapere scientifico accreditato e' lo strumento a disposizione del giudice e della parti per conferire oggettivita' e concretezza al precetto ed al giudizio di rimprovero personale”.
Cass. Pen., sez. IV, 29 gennaio 2013, n. 16237 “Alla stregua della nuova legge, le linee guida accreditate operano come direttiva scientifica per l'esercente le professioni sanitarie; la loro osservanza costituisce uno scudo protettivo contro istanze punitive che non trovino la loro giustificazione nella necessita' di sanzionare penalmente errori gravi commessi nel processo di adeguamento del sapere codificato alle peculiarità contingenti. Tale disciplina, naturalmente, trova il suo terreno d'elezione nell'ambito dell'imperizia”.
I profili problematici della Legge Balduzzi Il carattere non assoluto e non rigidamente vincolante delle linee guida; L’individuazione dei criteri di differenziazione tra colpa grave e colpa lieve: 1) la misura della divergenza tra la condotta effettivamente tenuta e quella che era da attendersi sulla base della norma cautelare cui ci si doveva attenere; 2) il grado di prevedibilità in concreto della realizzazione dell'evento ; 3) il grado di evitabilità in concreto della realizzazione dell’evento; 4) le specifiche condizioni dell’agente; 5) le motivazioni della condotta; 6) la previsione dell’evento. L’applicabilità al diritto penale del principio fissato dall’art. 2236 cod. civ.: “Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde se non in caso di dolo o colpa grave”.
Corte Costituzionale, ordinanza n. 395 del 6 dicembre 2013 Il Tribunale di Milano sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 (Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, nella parte in cui, al comma 1, dispone che «L'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve»: previsione che il rimettente reputa lesiva di un'ampia platea di parametri costituzionali (artt. 3, 24, 25, secondo comma, 27, 28, 32, 33 e 111 della Costituzione). L’ordinanza di rimessione enucleava le seguenti violazioni dei parametri costituzionali: rimarrebbe assolutamente incerto, anzitutto, se, con la formula «non risponde penalmente per colpa lieve», la norma escluda che versi in colpa lieve il sanitario attenutosi alle linee guida e alle buone pratiche, o preveda invece una causa di non punibilità in senso stretto a favore del sanitario cui pure sia addebitabile una colpa lieve; l'equivocità della locuzione in questione, non superabile tramite «una mera attività ermeneutica», renderebbe il dato normativo impreciso, ponendolo in contrasto con i principi di ragionevolezza e di tassatività della fattispecie penale (artt. 3 e 25, secondo comma, Cost.), nonché con la funzione rieducativa della pena (art. 27 Cost.); la norma censurata violerebbe il principio di tassatività, desumibile dall'art. 25, secondo comma, Cost., anche in ragione dell'omessa definizione del concetto di «colpa lieve», che segna il limite di operatività dell'«esimente» da essa delineata: concetto venuto sinora in rilievo, nell'ordinamento penale - secondo il giudice a quo - solo nell'ambito della valutazione del grado della colpa, richiesta dall'art. 133 del codice penale ai fini della quantificazione della pena, e senza, peraltro, che sul punto si siano formati orientamenti giurisprudenziali univoci.
Corte Costituzionale, ordinanza n. 395 del 6 dicembre 2013 la disposizione sottoposta a scrutinio determinerebbe, inoltre, una irragionevole compressione della libertà della scienza, in violazione degli artt. 3 e 33 Cost.; la ratio della non punibilità dell'operatore sanitario, da essa sancita, risiederebbe, infatti, nell'intento di contrastare la cosiddetta «medicina difensiva»: vale a dire, la tendenza della classe medica ad adottare scelte diagnostiche e terapeutiche che valgano a porla al riparo da conseguenze penali e da richieste risarcitorie, ma che non necessariamente rispondono all'interesse del paziente; la soluzione concretamente adottata dal legislatore tradirebbe, tuttavia, tale finalità, rischiando «di burocratizzare le scelte del medico e quindi di avvilire il progresso scientifico»: essa "premierebbe", infatti, coloro che prestano una «acritica e rassicurante adesione» alle linee guida e alle buone pratiche già codificate, penalizzando invece chi, con una pari dignità scientifica, se ne discosta, con l'effetto di bloccare l'evoluzione del pensiero scientifico e la sperimentazione clinica; la norma denunciata violerebbe l'art. 3 Cost. anche per l'irragionevole ampiezza assunta dalla sua sfera applicativa, in contrasto con l'evidenziata ratio; a fronte della genericità delle espressioni usate, la previsione di non punibilità sarebbe infatti riferibile, sul piano soggettivo, anche ad operatori sanitari non chiamati ad adottare scelte diagnostiche o terapeutiche, o le cui scelte non attengono alla salute umana (quali veterinari, farmacisti, biologi o psicologi, tutti compresi nel genus degli esercenti le professioni sanitarie), e, sul piano oggettivo, a qualunque reato colposo, anche diverso dai reati contro la persona; in ulteriore violazione dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza, la norma censurata renderebbe gli operatori sanitari non punibili anche per i reati colposi in materia di sicurezza del lavoro, quando pure si tratti di soggetti investiti di specifiche posizioni di garanzia a tale riguardo, in quanto aventi la qualifica di datore di lavoro, dirigente, preposto o lavoratore; l'art. 3 Cost. sarebbe violato, ancora, sotto il profilo della ingiustificata disparità di trattamento tra gli operatori sanitari e i soggetti con diversa qualifica che cooperino colposamente alla realizzazione del medesimo evento lesivo, posto che, a parità di grado di colpa, solo i primi beneficerebbero dell'esonero da responsabilità penale per i fatti commessi con colpa lieve; in contrasto con gli artt. 3, 24, 32 e 111 Cost., la disposizione denunciata comprometterebbe, inoltre, la tutela giudiziaria della persona offesa, la quale, nei casi previsti dalla disposizione stessa, potrebbe agire solo in sede civile, vedendosi così privata dei più ampi strumenti di tutela offerti dal processo penale, diversamente da quanto avviene in rapporto ai reati commessi con colpa lieve da soggetti non esercenti la professione sanitaria; nell'ipotesi, poi, in cui i sanitari fossero dipendenti pubblici, essi fruirebbero, in violazione degli artt. 3 e 28 Cost., di un trattamento privilegiato rispetto a quello riservato a tutti gli altri dipendenti pubblici, i quali, a parità di condotta lievemente colposa lesiva dei medesimi beni giuridici, continuano invece a rispondere penalmente; assolutamente impreciso e foriero, dunque, di un ulteriore vulnus del principio di tassatività sarebbe, infine, il riferimento alle «linee guida» e alle «buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica», delle quali non vengono precisate le fonti, le modalità di produzione e le procedure di diffusione, con il risultato di rendere indeterminabile l'area della non punibilità.
Corte Costituzionale, ordinanza n. 395 del 6 dicembre 2013 “Il giudice a quo ha omesso di descrivere compiutamente la fattispecie concreta sottoposta al suo giudizio e, conseguentemente, di fornire una adeguata motivazione in ordine alla rilevanza della questione; il rimettente si limita, in effetti, a riferire di essere investito del processo penale nei confronti di alcuni operatori sanitari, imputati del reato di lesioni personali colpose gravi, cagionate ad una paziente «con colpa generica e per violazione dell'arte medica»; il rimettente non specifica la natura dell'evento lesivo, le modalità con le quali esso sarebbe stato causato e il grado della colpa ascrivibile agli imputati; ma, soprattutto, non precisa se, nell'occasione, i medici si siano attenuti - o, quantomeno, se sia sorta questione in ordine al fatto che essi si siano attenuti - a «linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica» proprie del contesto di riferimento, così che possa venire effettivamente in discussione l'applicabilità della norma censurata”; “al riguardo, occorre anche considerare come, nelle prime pronunce emesse in argomento, la giurisprudenza di legittimità abbia ritenuto - in accordo con la dottrina maggioritaria - che la limitazione di responsabilità prevista dalla norma censurata venga in rilievo solo in rapporto all'addebito di imperizia, giacché le linee guida in materia sanitaria contengono esclusivamente regole di perizia: non, dunque, quando all'esercente la professione sanitaria sia ascrivibile, sul piano della colpa, un comportamento negligente o imprudente”.
Corte Costituzionale, sentenza n. 166 del 28 settembre 1973 “la disciplina in tema di responsabilità penale non prescinde dal criterio stabilito dall’art. 2236 cod. civ. per l’esercente una professione intellettuale quando la prestazione implichi problemi tecnici di speciale difficoltà giacché ciò è il riflesso del principio sistematico dettato da due opposte esigenze: quella di non mortificare l’iniziativa del professionista col timore di ingiuste rappresaglie del cliente-paziente nell’ipotesi di insuccesso e quella inversa di non indulgere verso non ponderate decisioni o riprovevoli inerzie del professionista stesso”.
L’applicazione dell’art. 2236 cod. civ. in ambito penale “un’esigenza di coerenza interna dell’ordinamento giuridico porta alla necessità di evitare che comportamenti che non concretizzano neppure un illecito civile assumano rilevanza nel più rigoroso ambito penale” (Cass. Pen., sez. IV, 22.11.2011 n. 4391). “la norma civilistica può trovare considerazione anche in tema di colpa professionale del medico, quando il caso specifico sottoposto al suo esame impone la soluzione di problemi di specifica difficoltà non per effetto di diretta applicazione nel campo penale, ma come regola di esperienza cui il giudice può attenersi nel valutare l'addebito di imperizia sia quando si versa in una situazione emergenziale, sia quando il caso implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà” (Cass. Pen., sez. IV, 21.6.2007 n. 39592).
Il rapporto di causalità. Cass. Pen. , SS. UU. , 11. 9. 2002, n Il rapporto di causalità. Cass. Pen., SS.UU., 11.9.2002, n. 30328: la sentenza Franzese “a) Il nesso causale può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica - universale o statistica -, si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa impeditiva dell'evento hic et nunc, questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. b) Non é consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell'ipotesi accusatoria sull'esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell'evidenza disponibile, così che, all'esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l'interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con 'alto o elevato grado di credibilità razionale' o 'probabilità logica'. c) L'insufficienza, la contraddittorietà e l'incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in base all'evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva del medico rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione d ell'evento lesivo, comportano la neutralizzazione dell'ipotesi prospettata dall'accusa e l'esito assolutorio del giudizio”.
Il nesso di causalità materiale “Nell'ambito della scienza giuridica penalistica può dirsi assolutamente dominante l'interpretazione che, nella lettura degli artt. 40 e 41 del codice penale sul rapporto di causalità e sul concorso di cause, fa leva sulla 'teoria condizionalistica' o della 'equivalenza delle cause' (temperata, ma in realtà ribadita mediante il riferimento, speculare e in negativo, alla 'causalità umana' quanto alle serie causali sopravvenute, autonome e indipendenti, da sole sufficienti a determinare l'evento: art. 41 comma 2). E' dunque causa penalmente rilevante (ma il principio stabilito dal codice penale si applica anche nel distinto settore della responsabilità civile, a differenza. di quanto avviene per il diritto anglosassone e nordamericano) la condotta umana, attiva o omissiva che si pone come condizione 'necessaria' - conditio sine qua non - nella catena degli antecedenti che hanno concorso a produrre il risultato, senza la quale l'evento da cui dipende l'esistenza del reato non si sarebbe verificato. La verifica della causalità postula il ricorso al 'giudizio controfattuale', articolato sul condizionale congiuntivo 'se ... allora ...' (nella forma di un periodo ipotetico dell'irrealtà, in cui il fatto enunciato nella protasi è contrario ad un fatto conosciuto come vero) e costruito secondo la tradizionale 'doppia formula', nel senso che: la condotta umana `è' condizione necessaria dell'evento se, eliminata mentalmente dal novero dei fatti realmente accaduti, l'evento non si sarebbe verificato; la condotta umana 'non è' condizione necessaria dell'evento se, eliminata mentalmente mediante il medesimo procedimento, l'evento si sarebbe egualmente verificato”.
Il nesso di causalità materiale “può affermarsi che, operata l'eliminazione mentale dell'antecedente costituito dalla condotta umana, il risultato non si sarebbe o si sarebbe comunque prodotto, in quanto si sappia, 'già da prima', che da una determinata condotta scaturisca, o non, un determinato evento. E la spiegazione causale dell'evento verificatosi hic et nunc, nella sua unicità ed irripetibilità, può essere dettata dall'esperienza tratta da attendibili risultati di generalizzazione del senso comune, ovvero facendo ricorso (non alla ricerca caso per caso, alimentata da opinabili certezze o da arbitrarie intuizioni individuali, bensì) al modello generalizzante della sussunzione del singolo evento, opportunamente ri-descritto nelle sue modalità tipiche e ripetibili, sotto 'leggi scientifiche' esplicative dei fenomeni. Di talché, un antecedente può essere configurato come condizione necessaria solo se esso rientri nel novero di quelli che, sulla base di una successione regolare conforme ad una generalizzata regola di esperienza o ad una legge dotata di validità scientifica - 'legge di copertura' -, frutto della migliore scienza ed esperienza del momento storico, conducano ad eventi 'del tipo' di quello verificatosi in concreto. Il sapere scientifico accessibile al giudice è costituito, a sua volta, sia da leggi `universali' (invero assai rare), che asseriscono nella successione di determinati eventi invariabili regolarità senza eccezioni, sia da leggi `statistiche' che si limitano ad affermare che il verificarsi di un evento è accompagnato dal verificarsi di un altro evento in una certa percentuale di casi e con una frequenza relativa, con la conseguenza che quest'ultime (ampiamente diffuse nei settori delle scienze naturali, quali la biologia, la medicina e la chimica) sono tanto più dotate di 'alto grado di credibilità razionale' o 'probabilità logica', quanto più trovano applicazione in un numero sufficientemente elevato di casi e ricevono conferma mediante il ricorso a metodi di prova razionali ed empiricamente controllabili. Si avverte infine che, per accertare l'esistenza della condizione necessaria secondo il modello della sussunzione sotto leggi scientifiche, il giudice, dopo avere ri-descritto il singolo evento nelle modalità tipiche e ripetibili dell'accadimento lesivo, deve necessariamente ricorrere ad una serie di 'assunzioni tacite' e presupporre come presenti determinate 'condizioni iniziali', non conosciute o soltanto congetturate, sulla base delle quali, 'ceteris paribus', mantiene validità l'impiego della legge stessa”.
L’accertamento del nesso causale “Il giudice, pur dovendo accertare ex post, inferendo dalle suddette generalizzazioni causali e sulla base dell'intera evidenza probatoria disponibile, che la condotta dell'agente 'è' (non 'può essere') condizione necessaria del singolo evento lesivo, è impegnato nell'operazione ermeneutica alla stregua dei comuni canoni di 'certezza processuale', conducenti conclusivamente, all'esito del ragionamento probatorio di tipo largamente induttivo, ad un giudizio di responsabilità caratterizzato da 'alto grado di credibilità razionale' o 'conferma' dell'ipotesi formulata sullo specifico fatto da provare: giudizio enunciato dalla giurisprudenza anche in termini di 'elevata probabilità logica' o 'probabilità prossima alla - confinante con la certezza'. Orbene, il modello nomologico può assolvere nel processo penale allo scopo esplicativo della causalità omissiva tanto meglio quanto più è alto il grado di probabilità di cui l'explanans è portatore, ma non è sostenibile che si elevino a schemi di spiegazione del condizionamento necessario solo le leggi scientifiche universali e quelle statistiche che esprimano un coefficiente probabilistico 'prossimo ad 1', cioè alla 'certezza', quanto all'efficacia impeditiva della prestazione doverosa e omessa. rispetto al singolo evento. Soprattutto in contesti, come quello della medicina biologica e clinica, cui non appartengono per definizione parametri di correlazione dotati di tale valore per la complessa rete degli antecedenti già in fieri, sui quali s'innesta la condotta omissiva del medico, per la dubbia decifrabilità di tutti gli anelli della catena ezio-patogenetica dei fenomeni morbosi e, di conseguenza, per le obiettive difficoltà della diagnosi differenziale, che costruisce il nodo nevralgico della criteriologia medico-legale in tema di rapporto di causalità. E' indubbio che coefficienti medio-bassi di probabilità cal. frequentista per tipi di evento, rivelati dalla legge statistica (e ancor più da generalizzazioni empiriche del senso comune o da rilevazioni epidemiologiche), impongano verifiche attente e puntuali sia della fondatezza scientifica che della specifica applicabilità nella fattispecie concreta. Ma nulla esclude che anch'essi, se corroborati dal positivo riscontro probatorio, condotto secondo le cadenze tipiche della più aggiornata criteriologia medico-legale, circa la sicura non incidenza nel caso di specie di altri fattori interagenti in via alternativa, possano essere utilizzati per il riconoscimento giudiziale del necessario nesso di condizionamento. Viceversa, livelli elevati di probabilità statistica o schemi interpretativi dedotti da leggi di carattere universale (invero assai rare nel settore in esame), pur configurando un rapporto di successione tra eventi rilevato con regolarità o in numero percentualmente alto di casi, pretendono sempre che il giudice ne accerti il valore eziologico effettivo, insieme con l' irrilevanza nel caso concreto di spiegazioni diverse, controllandone quindi 1' `attendibilità' in riferimento al singolo evento e all'evidenza disponibile”.
L’accertamento del nesso causale “con il termine 'alta o elevata credibilità razionale' dell'accertamento giudiziale, non s'intende fare riferimento al parametro nomologico utilizzato per la copertura della spiegazione, indicante una mera relazione quantitativa entro generi di eventi ripetibili e inerente come tale alla struttura interna del rapporto di causalità, bensì ai profili inferenziali della verifica probatoria di quel nesso rispetto all'evidenza disponibile e alle circostanze del caso concreto: non essendo consentito dedurre automaticamente - e proporzionalmente - dal coefficiente di probabilità statistica espresso dalla legge la conferma dell'ipotesi sull'esistenza del rapporto di causalità”.
L’accertamento del nesso causale Al fine di stabilire se un’azione attiva o omissiva sia stata condizione necessaria dell’evento e se, dunque, rientri nel novero di quegli antecedenti che, sulla base di una successione regolare di accadimenti conforme ad una legge dotata di validità scientifica (legge di copertura) o ad una generalizzata regola dell’esperienza (l’id quod plerumque accidt), portano ad eventi del tipo di quello realmente verificatosi, occorre fare riferimento: a) alle leggi scientifiche atte a spiegare le relazioni tra accadimenti (leggi universali e statistiche); b) Alle massime di esperienza; c) alle risultanze del caso concreto quali emergono dall’evidenza disponibile.