Misure di sicurezza, iniziative locali e politiche di integrazione Valentina Di Cesare, Mediatrice Culturale e Linguistica
La risposta italiana al fenomeno dell’ immigrazione è molto vasta e frammentaria e soprattutto estremamente dibattuta. I media da una parte, gli addetti ai lavori dall’altra spesso danno testimonianze diametralmente opposte sull’integrazione e la concreta possibilità di realizzare una società multiculturale.
La popolazione immigrata rappresenta una fascia sociale molto vulnerabile e la discriminazione e l’isolamento che ne spesso ne conseguono, contribuiscono ad aumentare il rischio della delinquenza e della successiva carcerazione. La tutela dei diritti basilari andrebbe sempre garantita in un paese civile e progredito anche se non sempre ciò è garantito, questo per vari motivi.
La tematica dell’inclusione in una società multiculturale si estende su molti fronti. Quello dell’assistenza sanitaria agli stranieri è stato oggetto, negli ultimi anni, di una completa revisione normativa, da cui si delineano, per l’Italia, precisi indirizzi di politica sanitaria. Va sottolineato che, per quanto anche in ambito sanitario si stia assistendo, in un’ottica federalista, ad un decentramento dei servizi, in futuro comunque il tema dell’immigrazione rimarrà di competenza statale.
Se volessimo fare un'analisi delle normative per la promozione e la tutela della salute dei cittadini stranieri non potremmo trascurare il ruolo delle regioni: ad esse spetterebbe sempre la traduzione delle normative nazionali in mirate politiche locali; le regioni dovrebbero ad esempio, contestualizzare definendone i destinatari e individuandone i percorsi.
La situazione italiana in tal senso è molto variegata e causa di differenze sostanziali tra regioni. Per citare un esempio, dal 1996 in poi l’Area sanitaria della Caritas romana ha raccolto e monitorato gli atti regionali in ambito sanitario. Dallo studio si evince che uno dei problemi maggiori nell’attuazione degli interventi sia la scarsa comunicazione e collaborazione tra i dipartimenti coinvolti (in genere politiche sociali o immigrazione con quello della sanità, ma anche altri).
Capita spesso che un assessorato non sappia nulla o comunque conosca poco dell'attività dell'altro e che tra gli stessi uffici del medesimo assessorato le informazioni siano confuse e contraddittorie. In alcuni casi per intervenire furono coinvolte le Consulte regionali che si sono attive alla metà degli anni novanta seppur con molti ritardi specie nelle regioni meridionali.
Nel 1990 con l'emanazione della Legge Martelli (L. 39/90) si è iniziato a pensare ad una normativa che tutelasse la salute degli immigrati e da allora sono partite le politiche regionali sugli immigrati (11 delle leggi regionali e una legge provinciale in materia di immigrazione, sono state promulgate proprio nel 1990). L’ambito sanitario, trattato solo rispetto all'immigrato lavoratore, rifacendosi alla prima legge sull'immigrazione (L. 943 del 1986), è stato ripreso da alcune regioni italiane
Dopo la legge Martelli, agli inizi degli anni '90 si distinse tra tutte la Regione Veneto che, per prima in Italia, forniva servizi di assistenza sanitaria anche agli irregolari ; l'Emilia Romagna, si rivelava sensibile in particolare alla salute di donne e bambini stranieri. A livello cittadino, alcune Aziende sanitarie (Brescia, Bologna, a Roma) si erano attivate garantendo servizi a immigrati irregolari e a clandestini
Attualmente in Italia l’immigrazione non è più un’emergenza ma un dato di fatto e in più, i flussi migratori sono cambiati e si caratterizzano come processi complessi, dove gli elementi di espulsione dai paesi di origine (povertà, disoccupazione, guerra, persecuzione politica ecc.) sono strettamente legati a quelli di attrazione nei paesi di arrivo (presenza di comunità di connazionali, richiesta di lavoro informale ecc.), e le scelte individuali sono legate a quelle collettive.
La legge n. 943/1986, (primo testo sull’immigrazione) dava alle Regioni funzioni primarie in materia di integrazione sociale: queste, infatti, avrebbero dovuto istituire apposite consulte regionali per arginare i problemi dei lavoratori immigrati e delle loro famiglie e invogliare i nuovi cittadini alla partecipazione a corsi di lingua e cultura italiana. Purtroppo questa legge non prevedeva finanziamenti specifici per implementare i servizi di cui sopra e alle regioni spettava il compito di trovare le risorse.
E’ solo con la legge n. 40/1998 che si giunge, finalmente, a un chiarimento circa il ruolo istituzionale delle Regioni nel campo dell’integrazione. A queste, infatti, spettava il compito di ripartire le risorse del Fondo Nazionale per le Politiche Migratorie, indicando le priorità e le linee di intervento da realizzare insieme agli enti locali.
La regione dunque sembrò il nucleo adatto da cui far partire politiche di integrazione e coesione ma anche di promozione dello sviluppo economico. Le politiche regionali sull’integrazione dovevano promuovere azioni volte a favorire una gestione delle dinamiche migratorie che tenessero conto delle esigenze territoriali e degli elementi culturali dei cittadini immigrati presenti.
L’obiettivo, in altre parole, era quello di assecondare le richieste di forza lavoro immigrata provenienti dai sistemi produttivi locali, considerare e conteggiare gli effettivi bisogni del territorio e favorire l’inserimento dei cittadini immigrati in un’ottica orientata allo sviluppo e alla crescita.
Dal 1998 in poi enti locali, Regioni, Province autonome, organizzazioni degli imprenditori e dei lavoratori, nonché organismi internazionali e associazioni operanti nel campo dell’immigrazione da almeno tre anni, hanno iniziato a collaborare per realizzare attività di formazione finalizzate all’integrazione, seguendo le linee di programmi approvati dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali e dal Ministero dell’Istruzione, anche su proposta delle regioni stesse.
Queste prime azioni, non sempre avvenute in maniera omogenea sul territorio nazionale hanno pian piano incentivato l’inserimento lavorativo sia nei settori produttivi italiani in Italia che l’inserimento lavorativo nei settori produttivi italiani che operano nei paesi di origine dei lavoratori stranieri
Le regioni, così come gli altri enti locali, hanno iniziato ad operare anche in modo associato, collaborando per raggiungere obiettivi congiunti.
Il diffondersi dei programmi europei ha poi portato le regioni ad assumere ruoli chiave nella cooperazione con altri paesi comunitari e non, promuovendo non solo obiettivi comuni ma contatti e collaborazioni tra regioni di diversi stati.
Ci sono molti programmi europei che ancora oggi vedono le regioni in primo piano nella realizzazione degli stessi. Esistono molte attività per l’integrazione, non solo dei lavoratori stranieri regolari, ma anche dei richiedenti asilo in territorio europeo.
Al di là del coordinamento tra le molte regioni europee, particolarmente importante per le politiche di gestione del fenomeno migratorio è la cooperazione con regioni esterne all’Unione Europea, appartenenti cioè a Stati che non sono – o non sono ancora – membri.
Il ruolo importante delle regioni nella cooperazione è quello legato al coinvolgimento paesi di origine degli immigrati, che sono senza dubbio uno degli elementi più importanti di cui tener conto nel processo di integrazione; tali elementi non vanno visti come inclusione a senso unico, ma come processo di adattamento e riconoscimento reciproco.