Riformare l’amministrazione Pubblica

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Riformare l’amministrazione Pubblica Bruno Dente 16 maggio 2014

L’amministrazione pubblica non esiste, quindi non si può riformare Grazie dell’attenzione

La tesi La PA non è un oggetto unitario, anzi la tesi della sua unitarietà è uno dei principali ostacoli alla riforma Rifondare il dibattito implica un passaggio da una concezione macro a una serie di azioni micro Però è necessario un orientamento di fondo condiviso per dare coerenza alle proposte Partiamo dalla storia della(e) riforma(e)

La crisi del 1992 Amato, Cassese, Bassanini: Contrattualizzazione dei pubblici dipendenti Istituzione controllo interno Abolizione controlli esterni Riorganizzazione numero ministeri Struttura interna ministeri Spoils system apicale Federalismo amministrativo Semplificazione, autocertificazione

E ancora: Riorganizzazione SSN (direttore generale) Autonomia università (budget) Creazione Autorità Indipendenti Autonomia impositiva enti locali (ICI) Riforma del Titolo V della Costituzione eccetera

Alla fine del decennio l’amministrazione pubblica era completamente differente da quella tradizionale. Un principio: separazione politica/amministrazione Un simbolo: l’orario di lavoro

La crisi del 2008.... ....ha generato la riforma Brunetta ....e quella del 2011 una forte ricentralizzazione Perchè?

Tre o quattro ragioni Perchè è (più) difficile Per la debolezza della pratica politica Per la debolezza della pratica professionale Per la debolezza della teoria Ovviamente, si tratta di un’autocritica. (cfr. Bruno Dente, In un diverso stato, Bologna, il Mulino 1999 2a ed)

Perchè è (più) difficile per le dimensioni del fenomeno: anche se la PA italiana non è cresciuta quantitativamente si è ulteriormente differenziata per la crisi economica (mancanza di risorse da investire) per i dubbi sul percorso avviato (privatizzazioni, eccetera) perchè la percezione di insuccesso diminuisce la motivazione alla riforma

Per la debolezza della pratica politica effetto del bipolarismo evidente nella vicenda dello spoils system e in parte nella struttura ministeriale effetto delle coalizioni eterogenee (Governo Prodi 2) effetto delle pulsioni giustizialiste (nullafacenti, fannulloni, ecc.) che spingono verso soluzioni regolative

Per la debolezza della pratica professionale incapacità di andare al di là di un modello razionale (più coordinamento, ecc.) enorme fiducia nei processi e nelle procedure (valutazione, ciclo della performance, ecc.) separazione tra dimensione strategica e dimensione operativa difficoltà di pensare il processo di riforma come diverso dalla palingenesi Sottovalutazione dei “centri di potere”

Per la debolezza della teoria Negli anni ’90 la modernizzazione cercava di superare il gap tra tradizione dell’amministrazione e politiche di welfare. Negli anni ’90 esistevano dei modelli disponibili vecchi (programmazione, decentramento, ecc) e nuovi (new public management, ad es.). Oggi c’è incertezza sul futuro delle politiche pubbliche prima ancora che sulla struttura dell’amministrazione.

E allora? Parlare oggi di riforma dell’amministrazione al singolare non ha molto senso. L’unica via di uscita è quella di interventi puntuali sulle diverse amministrazioni legati alle loro caratteristiche specifiche: passare da una logica macro a una micro. Le condizioni ordinamentali ci sono (quasi) tutte. Del resto ci sono esempi di successo (Agenzia delle Entrate, emergenze e protezione civile, ecc.).

1. Legare la riforma all’attualità Oggi è centrale l’esigenza di risparmiare risorse. Il senso e l’obiettivo di un processo di riforma non può che essere un downsizing delle pubbliche amministrazioni

2. Partire dai contenuti Legare riforma organizzativa e revisione delle politiche (e delle forme istituzionali) La spending review dovrebbe iniziare dalla identificazione delle priorità e solo a valle i modelli organizzativi per migliorare efficacia ed efficienza. Ragionare per politiche significa confrontarsi con la multi-level governance. Abolire gli sprechi significa anche rinunciare a politiche di qualità ma costose.

3. Abolire il diritto amministrativo Ripensare fortemente le modalità di azione tipiche (diritto amministrativo) Il diritto speciale dovrebbe essere riservato alle attività che consistono nell’esercizio dell’autorità Si tratta del passaggio più difficile: ma prima o poi bisognerà affrontarlo.

4. Trovare i protagonisti Porre al centro la qualità del management apicale anche con immissioni dall’esterno I DG nei Comuni e in Sanità, i Capi Dipartimento nei ministeri, devono essere i principali attori della riforma. Creare un mercato di manager pubblici è essenziale. Negli anni ’90 si era iniziato ma poi ha prevalso l’alleanza politici/burocrati.

5. Partire dalle risorse umane Costruire, talvolta da zero, delle politiche del personale. Efficacia, efficienza, qualità nelle PA dipendono per l’80% dalle persone e per il 20% dai sistemi. Nella grande maggioranza delle amministrazioni non esistono vere politiche delle RU. La valutazione del personale è parte delle politiche delle RU, non l’alternativa.

6. Aumentare gli strumenti del management Dotare il management degli strumenti per ristrutturazioni organizzative (e diminuzione del personale) I risparmi strutturali sono solo diminuzione del costo del lavoro e quindi del numero dei dipendenti. Bisogna rendere possibili le ristrutturazioni aziendali nella PA. Bisogna porre il problema del default.

7. Assicurare la continuità del processo Costruire un presidio centrale non gerarchico e dotato delle necessarie competenze Trasformare radicalmente il Dipartimento della Funzione Pubblica per costruire il punto focale della riforma.

Manca un orientamento di fondo condiviso Piero Bassetti: affidiamo tutta la responsabilità …a una persona che sia garante della riuscita dell’EXPO…il comando non deve essere la risultanza di un sistema di controlli Basilio Rizzo: la decisione di riservare le procedure più rigorose solo per gli appalti superiori a 100.000 euro invece di 50.000 è sbagliata..….dobbiamo dare l’idea che i controlli si intensificano Corriere della Sera 9 maggio 2014

Tra il 1970 (nascita delle Regioni) e il 2000 la teoria dominante spingeva verso il decentramento delle funzioni e delle responsabilità. A partire dal nuovo millennio la tendenza si è prima arrestata e poi invertita. La complessità delle società contemporanee rende molto difficile la centralizzazione, ma se questa è la strada occorre anzitutto rafforzare il centro e non solo indebolire la periferia.

Oppure bisogna ritornare coraggiosamente sulla strada del decentramento e dell’autonomia attraverso lo smantellamento delle sovrastrutture procedurali (i controlli, appunto) che si sono moltiplicate negli ultimi anni.