“Why be moral?” L’etica di san Tommaso oggi Viterbo, 29 novembre 2014
Perché essere morali? La morale viene comunemente intesa, sulla scia di Kant (1724-1804), come la scienza che determina cosa si deve fare, come ci si deve comportare; ma una tale prospettiva risulta assai incompleta, tanto dal punto di vista storico quanto da quello teorico.
Etica classica Nell’etica classica – di cui potremmo indicare come paradigma la posizione di Aristotele (384-322 a. C.) e di san Tommaso d’Aquino (1224.1274)– il punto di vista è quello del soggetto agente, del quale si ricerca la “vita buona” o “virtuosa”, in cui consiste la felicità vera.
Etica moderna Nell’etica moderna – di cui possiamo indicare come paradigma la morale di Hobbes (1588-1679) – il punto di vista si sposta in un osservatore esterno, legislatore o giudice, che ricerca i criteri, i principi e le norme per l’azione giusta.
In terza persona? Nella prospettiva della terza persona, l’etica dovrebbe creare una società in cui gli individui possano liberamente perseguire i propri scopi, senza danneggiare gli altri. Tutto si concentra sui diritti e i doveri.
In prima persona! Quando le etiche della terza persona vogliono garantire al soggetto la possibilità di realizzare i propri desideri senza danneggiare gli altri, esse – di fatto – riconoscono l’importanza delle persone, della loro libertà e dei loro desideri. Ma, paradossalmente, non si occupano del senso della vita delle persone: libertà e desideri sono lasciate senza meta, in balia della «volontà di volontà» o dei capricci del momento.
La sfida egoistica Con quale forza vengono imposti i doveri? I soggetti più potenti si troverebbero per ciò stesso «al di là del bene e del male». Si direbbe che così si fa a meno dell’etica. Ma è precisamente questo il problema del nichilismo post-moderno: perché essere morali? Friedrich Nietzsche (1844-1900) non ha forse detto che la morale costituisce «il pericolo dei pericoli»?
Che bene c’è? Bonum est quod omnia appetunt Bonum est perfectivum
Poiesis e praxis Ogni atto umano lascia nel soggetto una traccia, modifica in certa misura le sue tendenze, la sua volontà e persino il suo organismo corporeo: si tratta di una sorta di “riflusso”, di retroazione che modifica l’io e, se reiterato, fa acquisire alle sue facoltà l’orientamento stabile ad agire in un determinato modo. Questo orientamento o attitudine o disposizione stabile delle facoltà è chiamato, nel linguaggio classico, habitus.
La virtù La virtù è costitutiva della dignità umana, in quanto condizione di libertà. L’uomo è libero quando conosce il fine per cui agisce e può disporre pienamente di se stesso in vista di tale fine. La felicità dell’uomo virtuoso consiste nel fatto che, realizzando il bene nella sua vita, egli diventa ciò che deve diventare, ottiene ciò che desidera dal profondo, ciò che ama realmente.
Il giusto mezzo “La virtù è una disposizione concernente la scelta, consistente in una medietà in rapporto a noi, determinata secondo ragione, così come la determinerebbe un uomo saggio”. (Aristotele)
La natura umana La ragione sag- gia e retta è quella che indica i mezzi adatti al raggiun- gimento del fine; ma in cosa consi- sta il fine non è determinato arbi- trariamente dalla ragione: è stabili- to dalla natura. La conoscenza della natura umana è indispensabile per la formulazione del giudizio morale.
Fallacia naturalistica? La “legge di Hume” (1711-1776) e la “fallacia naturalistica” di Moore (1873-1958) proibiscono di derivare il dover essere dall’essere. Il “naturale” viene fatto coincidere col “fisico”, empiricamente costatabile, mentre il livello morale sarebbe quello della “autonomia”.
Indigenza e vulnerabilità Jürgen Habermas (n. 1929) vede la morale come un meccanismo di difesa atto a compensare la vulnerabilità umana. Hans Jonas (1903-1993) individua come paradigma della responsabilità il pianto del neonato. Lo stato in cui questa vulnerabilità è tutelata e quest’indigenza è tolta, costituisce allo stesso tempo il bene del soggetto paziente e il dovere del soggetto agente.
La legge naturale Il bene morale è l’indicazione del fine di un processo di sviluppo che attua le possibilità già presenti nella forma di vita umana. In questa forma, vi sono tendenze e aspirazioni; in quanto formate dalla ragione, tali inclinazioni naturali appartengono alla legge naturale, la quale è un prodotto della ragione che si sviluppa “nelle” tendenze stesse.