1 POLITICHE INDUSTRIALI PER LO SVILUPPO Augusto Ninni Università di Parma a.a
2 Alcune critiche ai modelli (tradizionali e non) di politica industriale
3 Critiche generali all’applicazione della PI Protezione all’industria prolungata ben oltre il periodo di “infanzia” Confusione tra obiettivi: occupazione, redistribuzione del reddito, sviluppo della capacità tecnologica
4 Imprese pubbliche e proprietà delle risorse Ostacoli alla presenza di società estere Ostacoli all’afflusso di tecnologia estera
5 Più in generale, WB “The East Asian Miracle”, 1993: Lo sviluppo è avvenuto grazie alla PI e all’intervento dello Stato ma è anche vero che: Lo sviluppo è avvenuto nonostante la PI e l’intervento dello Stato In realtà: Stato coordinatore e fornitore di regole (stabilità macro, istruzione e capitale umano, informazione: PI non interventista, ma informato e relativamente libero da influenze di gruppi di pressione)
6 Problemi relativi alle giustificazioni teoriche della PI interventista nei PVS Non ai fallimenti del mercato, ma con riferimento a fallimenti dello Stato > fallimenti del mercato Giustificazione dell’industria nascente
7 Il modello tradizionale giustifica la temporaneità dell’intervento pubblico in qualche esternalità dinamica. Kemp (1964) distingue tra processi di apprendimento interni all’impresa ed esterni: i vantaggi dei primi sono appropriabili dall’impresa, quindi solo i secondi richiedono protezione (perché altrimenti nessuno li farebbe) e solo se le riduzioni nel tempo dei costi sono superiori ai costi sopportati durante il periodo di assistenza.
8 Pertanto non giustifica mai la protezione accordata a un’intera industria. Questa vale solo in presenza di due condizioni: esistenza di una esternalità verifica del miglioramento nei costi
9 Baldwin (1969) si riferisce a un’impostazione pre- Odagiri: per quale motivo le imprese non trovano fondi nel mercato dei capitali (prima di entrare nel settore): le banche non possono sostituire lo Stato ? Problema di competenza e di informazione: dato che nessuno sa con certezza se quell’industria si svilupperà realmente, né referenti dell’industria né banche né Stato, allora, se deve essere il mercato dei capitali a finanziare, pretenderà un premio per il rischio tale (caricato sugli interessi) da rendere non profittevole l’investimento; allora è meglio che lo faccia lo Stato (??)
10 Bardhan (1971) sottolinea che il tema dell’industria nascente è per natura dinamico: è previsto un learning- by-doing che dipende dal volume cumulato di output. E’ allora socialmente ottimo sussidiare l’industria nascente e il profilo temporale del sussidio ottimale dipende dalle condizioni iniziali. Tuttavia gli spillover internazionali possono parzialmente sostituire l’apprendimento interno, così che una localizzazione (di una filiale) dell’impresa multinazionale può sostituire lo sforzo dello Stato.
11 Succar (1987) estende l’analisi di Bardhan a livello inter- industriale sostenendo che gli spillover ottenuti con l’industria nascente possono diffondersi al resto dell’economia; tuttavia vale la condizione di Negishi: occorre provare che il flusso scontato di guadagni di produttività complessiva generati dal learning by doing nell’industria nascente superi il flusso scontato dei sussidi
12 Infatti l’investimento in nuove industrie può dare origine a esternalità di informazione che rendono difficile per gli investitori ottenere un tasso di rendimento così elevato da giustificare l’investimento iniziale (se privato)
13 Questo tema estende all’argomento dell’industria nascente l’approccio principale che giustifica il coinvolgimento pubblico nella R&S, ovvero la scarsa appropriabilità dell’innovazione da parte dell’innovatore, quindi il disincentivo a innovare nell’ammontare (e nella direzione) richiesti dalla società (ed è uno dei motivi per cui esiste una protezione dei diritti di proprietà intellettuale).
14 Peraltro, non è detto che la protezione dal commercio aiuti a risolvere problemi di esternalità: il sussidio è sicuramente più efficace della tariffa (perché ?). Se inoltre è vero che la teoria ricardiana, in quanto statica, non costituisce una buona traccia per la specializzazione internazionale anche perché ignora i collegamenti fra industrie (Succar), tuttavia anche l’industrial targeting è difficilmente alla portata della PI, per difetti di informazione dei policy makers.
15 PI come garanzia dei meccanismi di coordinamento Già da Rosenstein Rodan (1954 !) era stato sottolineato come il coordinamento tra investitori risultasse importante, al punto che, in assenza di questo coordinamento, gli investimenti non sarebbero stati effettuati (esternalità pecuniarie reciproche). Una volta di più, il meccanismo dei prezzi non consente il coordinamento richiesto.
16 Consideriamo due industrie nascenti, A e B, con A che produce un bene intermedio per B: nessuna delle due industrie è profittevole se opera da sola. Tuttavia, se ambedue sono insediate contemporaneamente, esse diventano profittevoli. E’ socialmente ottimo installarle insieme. Questo potrebbe dare luogo a fenomeni di integrazione verticale.
17 Secondo Okuno-Fujiwara (1988) lo Stato può intervenire sussidiando la produzione di una delle due industrie, o sussidiando l’esportazione di quella che produce beni finali, oppure proteggendo con dazi. Ma la soluzione di politica commerciale è realistica solo in caso di paesi molto grandi. Ma secondo l’autore il compito migliore del governo sarebbe facilitare lo scambio ripetuto di informazioni fra le industrie: ma non è facile che vi riescano i policy makers.
18 Anche Rodrik (1996) interviene nel tema, sottolineando l’importanza del coordinamento di informazioni (eliminando per le imprese i costi di transazione), ma sostenendo che questa è una “strategia rischiosa”. E cita il rapporto World Bank del 1993 sull’Est Asia, facendo notare come gli sforzi dei governi per portare a un coordinamento delle decisioni di investimento abbiano portato a industrie inefficienti. Cartelli di recessione, uscita negoziata
19 Rodrik (2004) sostiene che l’approccio basato sulle esternalità (tecnologiche e) pecuniarie è superato: egli vede la PI come una collaborazione strategica fra agenti pubblici e privati, il cui scopo principale è l’individuazione delle aree dove il paese ha dei vantaggi comparati. La novità rispetto alla tradizione precedente è che gli investitori privati non hanno informazioni particolari. Se l’investimento in un’attività incerta è un sunk cost, gli investitori possono temere che in caso di entrata libera dopo l’investimento, che si rivela essere profittevole, allora non saranno in grado di ottenere degli extraprofitti dall’investimento (che perciò non faranno). (Industria 2015) Ma i policy makers possono effettivamente aiutare ?
20 Che cosa dovrebbe conoscere il Governo A parte i problemi che derivano dalle attività rent-seeking, il Governo dovrebbe conoscere: Quali imprese e industrie generano spillover informativi Quali imprese e industrie beneficiano da economie di scala Quali settori hanno un vantaggio comparato di lungo periodo Una conoscenza (superiore a quella delle imprese) della competitività potenziale delle imprese Una previsione di quali imprese creano nuove conoscenze e scoprono migliori metodi di produzione Ecc.
21 Tutte queste conoscenze non sono nemmeno disponibili presso i più quotati analisti finanziari dei PI Per un compito molto più piccolo – accertare i motivi del più basso livello di produttività della Corea rispetto agli USA in alcuni settori - McKinsey ha impiegato parecchi anni e parecchie persone ! Quindi il problema dell’informazione dello Stato è il principale ostacolo alle PI (Industria 2015)