Cassazione Civile S.U. n.9100/2015 rel. Renato Rordorf CRITERI APPLICABILI ALLA QUANTIFICAZIONE DEL DANNO NEL CASO DI AZIONE DI RESPONSABILITA’ ESERCITATA DAL CURATORE Il presupposto Azione di responsabilità ex art 146 comma 2 l.f. con la quale si imputa all’amministratore l’inadempimento di specifici obblighi: la distrazione di alcuni beni sociali La mancata redazione di due bilanci d’esercizio La mancata redazione di due dichiarazioni fiscali L’omessa tenuta delle scritture contabili
I precedenti: Cassazione 1281/1977 (caso in cui l’amministratore è stato imputato di aver posto in essere nuove operazioni in presenza di una causa di scioglimento) Cassazione 6493/1985 (caso in cui veniva contestata l’omissione della tenuta contabile o la tenuta sommaria della stessa) E’ stata affermata la possibilità di determinare il danno quale differenza tra Attivo e Passivo fallimentare
I precedenti: Cassazione 9252/1997 (caso in cui l’amministratore è stato imputato di aver posto in essere nuove operazioni in presenza di una causa di scioglimento) La violazione non comporta l’automatico utilizzo del criterio differenziale A-P. Il danno può essere commisurato a tale differenza, in mancanza di prova di un maggior pregiudizio, solo se da detta violazione sia dipeso il dissesto economico e il conseguente fallimento.
Cassazione 10488/1998 NO all’utilizzo del criterio differenziale A-P. Il danno va determinato in relazione alle conseguenze immediate e dirette delle violazioni contestate; con ciò ritenendo che il metodo di determinazione A-P possa costituire una limitazione alla determinazione del danno.
Cassazione 1375/2000 Conferma l’inutilizzabilità del criterio differenziale A-P precisando che tale metodo possa essere utilizzato solo quando il dissesto economico e il fallimento si siano verificati per fatto imputabile agli amministratori. Occorre fornire prova non solo che ci sia un disavanzo ma anche dimostrare la specifica violazione dei doveri imposti dalla legge e il nesso tra violazione e danno alla società
Cassazione 2538/2005 e 3032/2005 Confermano i principi già statuiti precisando che l’impossibilità di commisurare il danno con la formula A-P consegue al fatto che: 1) Lo sbilancio potrebbe avere cause molteplici e non legate all’illegittima condotta degli organi sociali 2) A-P è in contrasto con il principio civilistico dell’accertamento del nesso di causalità tra condotta illegittima e danno Il criterio A-P resta quale PARAMETRO per la determinazione del danno in via equitativa SE è accertata l’impossibilità di ricostruire i dati con l’analiticità necessaria per individuare le conseguenze dannose legate al comportamento degli organi sociali. Il giudice di merito deve motivare l’uso del criterio differenziale indicando le ragioni che non hanno permesso l’accertamento degli specifici effetti pregiudizievoli riconducibili a tali violazioni. Il medesimo orientamento è espresso anche da Cass. 16211/2007, Cass. 17033/2008 e Cass. 16050/2009
Segue…. Nell’ambito di questo quadro giurisprudenziale, tutto sommato coerente, sono intervenute due successive sentenze della Suprema Corte nel corso dell’anno 2011 (nn. 7706 e 5876) dai tratti comuni: 1) Compete all’attore dare la prova dell’esistenza del danno 2) Compete all’attore dare la prova dell’ammontare del danno 3) Compete all’attore fornire prova che il danno sia stato causato dal comportamento illecito Tuttavia in caso di mancanza o irregolare tenuta delle scritture contabili tali da rendere impossibile per il curatore provare il nesso di causalità, tale condotta (che viola specifici obblighi di legge) appare idonea a tradursi in un pregiudizio al Patrimonio Sociale. In questo caso si attua l’inversione dell’onere della prova.
La Cassazione S.U. 9100/2015 La Suprema Corte postula che l’azione di responsabilità esige il concorso di tre condizioni che devono sussistere congiuntamente: 1) La violazione dell’obbligo di adempiere (obbligazione di mezzi e non di risultati) con la diligenza dovuta dal mandatario, agli obblighi imposti da legge o statuto o la violazione di obblighi e doveri generali (diligenza e vigilanza); 2) L’esistenza di un danno risarcibile; 3) L’esistenza di un nesso di causalità che leghi, secondo una valutazione oggettiva, il danno ad un comportamento negligente posto in essere dagli amministratori
Le S.U. negano la possibilità di un approccio in termini generici, valorizzando la funzione della causalità materiale premettono che “i doveri imposti dalla legge, dall’atto costitutivo dallo statuto agli amministratori sono assai variegati” essendo: - in parte puntualmente specificati (come ad es. la tenuta della contabilità e la redazione dei bilanci, gli adempimenti fiscali e previdenziali etc.) in parte generici, discendenti dall’obbligo generale di ricoprire la funzione con la necessaria diligenza. Di conseguenza: essendo diversi i doveri degli amministratori, diverse saranno anche le conseguenze dannose essendo queste in rapporto di causalità con le violazioni. Ha quindi «senso parlare …. Della liquidazione del quantum debeatur e degli oneri di prova ….in quanto sia prima ben chiarito quale è il comportamento che si imputa all’amministratore … e quale violazione, tra i molteplici doveri gravanti sul medesimo amministratore, quel comportamento ha integrato»
Le S.U. valorizzano inoltre il profilo dell’allegazione: Mutuando da Cass. S.U. 13533/2001: il creditore attore deve fornire prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, anche limitandosi ad allegare l’inadempimento della controparte. Controparte ha l’onere di dimostrare il fatto estintivo costituito dall’adempimento. Nel caso di specie la procedura fallimentare si era limitata a dedurre la mancata tenuta delle scritture contabili e a fondare da tale allegazione la richiesta di commisurazione del danno in A-P; mancava quindi l’allegazione di un comportamento astrattamente idoneo a cagionare un danni, sufficiente a legittimare un’indagine istruttoria.
Le S.U. precisano ancora che «l’inadempimento rilevante nell’ambito delle azioni di responsabilità da risarcimento del danno nelle obbligazioni cosiddette di comportamento non è qualunque inadempimento, ma solo quello che costituisca causa (o concausa) efficiente del danno», con la conseguenza che «l’allegazione del creditore non può attenere ad un inadempimento, qualunque esso sia, ma ad un inadempimento per così dire qualificato, e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno». Di conseguenza le S.U. si interrogano su quali, tra gli inadempimenti “qualificati”, siano astrattamente efficienti a produrre un danno corrispondente all’intero deficit patrimoniale accumulato dalla società fallita e accertato in sede concorsuale. Le S.U. concludono affermando che un danno di tale portata potrebbe essere determinato solo da quelle violazioni del dovere di diligenza così generalizzate da incidere sull’intero patrimonio sociale o comunque da quei comportamenti che possano configurarsi come la causa stessa del dissesto sfociato nell’insolvenza. In mancanza di una tale ampiezza di effetti dell’inadempimento allegato, la pretesa di far coincidere il danno risarcibile con il deficit accertato in sede concorsuale risulta privo di fondamento per il solo fatto che l’attività di impresa è intrinsecamente connotata dal rischio di possibili perdite.
Motivazioni: Pertanto: L’attività d’impresa è intrinsecamente soggetta a rischio e, come noto, non è sufficiente una gestione diligente dell’impresa per garantire risultati positivi. Non può ritenersi che il deficit patrimoniale della fallita sia esclusivamente il frutto del protrarsi della gestione dell’impresa in assenza del presupposto della continuità aziendale, in quanto quasi sempre un’impresa in crisi accumula perdite anche nella fase di liquidazione, non comportando questa l’immediata cessazione di ogni tipologia di costo. Pertanto: Se il deficit patrimoniale non può essere posto a carico dell’amministratore come conseguenza della violazione da parte sua dell’obbligo di diligenza nella gestione dell’impresa, tanto meno una simile conclusione appare giustificata quando viene addebitata la violazione di doveri specifici, cui corrispondono comportamenti idonei a determinare, a carico del patrimonio sociale, soltanto effetti parimenti specifici e ben determinanti.
Esame del caso di specie: Nel caso di distrazioni di beni il danno al patrimonio sociale discende dal valore di quei beni e si riferisce al vantaggio che da essi l’impresa avrebbe potuto ricavare con la vendita. Il curatore al riguardo si premunirà di una perizia di parte. La mancata redazione dei bilanci e delle relative dichiarazioni fiscali, può determinare un aggravamento del passivo limitatamente a interessi e sanzioni conseguenti con la precisazione che il nesso di causalità viene meno se l’amministratore dimostra che la società non era in grado di porre in essere l’adempimento a causa del deficit finanziario. Omessa tenuta contabilità ➤ La questione si riferisce sia alla omessa che alla irregolarità di tenuta delle scritture contabili che non abbiano consentito al curatore di ricostruire con certezza le vicende societarie che hanno condotto all’insolvenza. Secondo le S.U. tale omissione non appare di per sé sufficiente a determinare una responsabilità risarcitoria a carico degli amministratori ove non si dimostri che a causa delle violazioni contabili la società ha subito un danno. Le S.U. muovono dall’evidenza che la contabilità registra i fatti di gestione e non li determina e che è dagli accadimenti che deriva il deficit non dalla relativa registrazione.
Neppure in questa ipotesi pertanto può essere imputato all’amministratore l’intero deficit fallimentare. In tal caso il danno può semmai essere costituito dal maggior onere nell’espletamento dei compiti del curatore, con eventuale aggravio dei costi della procedura. L’imputazione dell’intero deficit patrimoniale non può discendere, pertanto, neppure dalla considerazione che la mancata (o irregolare) tenuta delle scritture contabili abbiano impedito al curatore di provare con sufficiente precisione il danno sofferto dalla società, giustificando lo spostamento dell’onere della prova in capo all’amministratore in virtù del principio della «prossimità della prova» Tale principio statuisce in ogni caso che l’attore alleghi un inadempimento, almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno, essendo possibile - solo a tale condizione - un esonero dalla dimostrazione del nesso causale tra inadempimento e danno. La mancanza o irregolarità delle scritture contabili – secondo le S.U. - non appaiono però legate ad alcun nesso di causalità, neppure potenziale, con il danno costituito dal deficit patrimoniale accertato in sede concorsuale e quindi non trova alcuna giustificazione lo spostamento dell’onere della prova a carico dell’amministratore convenuto.
Possibile soluzione: La difficoltà di quantificazione e di prova del danno riconducibile alla mancanza delle scritture contabili può tuttavia consentire al curatore di invocare l’articolo 1226 c.c. chiedendo al giudice di provvedere alla liquidazione del danno in via equitativa. In tale contesto il giudice può di certo tener conto, in tutto e in parte, dello sbilancio patrimoniale della società accertato in sede concorsuale ma dovrà sorreggere la sua statuizione con una puntuale motivazione: - sia delle ragioni che non hanno consentito l’accertamento degli specifici effetti pregiudizievoli concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore sia della plausibilità logica del ricorso a tale criterio in rapporto alle circostanze del caso concreto In via del tutto analoga il Giudice potrà considerare, nella determinazione del danno in via equitativa, anche l’utilizzo di altri metodi, come quello della perdita incrementale (di cui si riferirà).
Altri casi a) Condotte di natura distrattiva: come già segnalato nella sentenza commentata, il danno conseguente coincide con l’importo dissipato o con il controvalore del bene distrutto. b) Operazioni non inerenti all’oggetto: determinazione delle risorse impiegate o dissipate per porre in essere le operazioni stesse. c) Violazioni di norme tributarie e previdenziali: il danno coincide con l’importo delle sanzioni irrogate o degli interessi maturati; in questo caso occorre tuttavia valutare se lo stato di crisi/insolvenza della società non rendeva comunque possibile il pagamento delle somme. d) Atti posti in essere in conflitto di interesse: il danno coincide con le somme fuoriuscite in conseguenza dell’atto posto in essere; al riguardo sembra tuttavia opportuno verificare se dal compimento dell’atto è conseguita un’utilità . e) Pagamenti preferenziali non più revocabili: il danno è calcolato tenendo conto della sottrazione alla massa fallimentare della differenza tra quanto ricevuto dal creditore preferito e quanto quest’ultimo avrebbe percepito ove fosse stato pagato in moneta fallimentare.
I criteri elaborati dalla giurisprudenza sono: Nei casi in cui l’azione di responsabilità sia conseguente al procurato stato di dissesto conseguente a mala gestio, la prova della consequenzialità giuridica tra condotta antigiuridica e danno e la quantificazione del pregiudizio patrimoniale prodotto si offrono a soluzioni più complesse che sfociano in valutazioni di carattere equitativo I criteri elaborati dalla giurisprudenza sono: 1) il criterio del deficit fallimentare (oggetto di critica nella sentenza commentata); 2) il criterio del differenziale dei patrimoni netti (o perdita incrementale) Il criterio del differenziale tra patrimoni netti. Il criterio è frequentemente utilizzato nei casi in cui sia possibile ricostruire la movimentazione degli affari dell’impresa e concludere che, se l’attività caratteristica fosse cessata prima dell’apertura del concorso, la perdita di patrimonio sociale sarebbe stato inferiore.
In tale caso gli amministratori avrebbero dovuto convocare l’assemblea per gli opportuni provvedimenti (trasformazione, ricapitalizzazione) o, in difetto, avrebbero dovuto proporre la messa in liquidazione nei casi in cui la perdita abbia l’effetto di diminuire il capitale al di sotto del limite legale. L’apertura della liquidazione comporta il mutamento dell’oggetto dell’attività, non più legato alla gestione caratteristica, ma volto a logiche meramente conservative. L’amministratore che, successivamente all’evidenziarsi della causa di scioglimento, effettua atti non compatibili con la logica conservativa, risponde degli atti compiuti. E’ quindi necessario: Individuare il momento a partire dal quale l’attività d’impresa è proseguita indebitamente; Individuare la data di fallimento o, se precedente, della messa in liquidazione. Individuare la differenza tra i Patrimoni Netti alle due date; la differenza costituisce la base su cui richiedere il risarcimento.
Critiche al metodo: Non è detto che la perdita riscontrata dopo la causa di scioglimento possa essere esclusivamente imputata alla prosecuzione dell’attività, poiché anche la stessa azione liquidatoria produce costi; Lo sbilancio patrimoniale può essere causato da molteplici cause non necessariamente riconducibili a comportamenti illegittimi dei gestori; Le perdite sono conseguenti alla gestione nel suo complesso e possono anche essere conseguenti a scelte discrezionali di gestione la cui discrezionalità è di per sé sottratta al vaglio giurisdizionale (c.d. business judgment rule). Così operando, tuttavia, si arriverebbe ad argomentare che è sempre necessario individuare le singole operazioni gestionali produttive di danno; ma il singolo atto, è pur vero che mal si presta ad una valutazione che prescinda dalla complessiva attività posta in essere dall’organo amministrativo. Se è pur vero che la curatela ha l’obbligo di indicare quale siano state le operazioni poste in essere nell’ambito della non più consentita prospettiva della continuità aziendale, tale onere appare di impossibile assolvimento laddove la perdita del capitale sociale sia risalente nell’ambito di attività varie e complesse. In ogni caso appare opportuno evidenziare che il confronto dei PN va effettuato con criteri omogenei.
Omogeneità delle situazioni patrimoniali poste a confronto: I principi di redazione delle situazioni patrimoniali oggetto di confronto devono essere i medesimi ; Il primo bilancio (ove si ritiene intervenuta la causa di scioglimento) va rettificato secondo criteri di liquidazione stornando i valori all’attivo il cui valore è giustificato solo nel presupposto della continuità: avviamento, immobilizzazioni immateriali, risconti attivi; Eventuali rettifiche poste in essere nel primo bilancio (appostate, magari, appostate o mantenute in bilancio al fine di occultare la perdita) vanno effettuate anche nel secondo bilancio, per omogeneità di confronto: esempio: la rettifica di un credito inesigibile; In caso di pluralità di amministratori succedutisi nella carica, occorre determinare l’incremento del deficit nei vari periodi in cui gli amministratori sono succeduti nella carica. Sul punto si segnalano gli orientamenti del Tribunale di Milano (Trib. Milano 7.10.2014 in Giurisprudenza delle Imprese, appunti in rema di responsabilità degli amministratori di S.p.A. e S.r.l. a cura di Dal Moro e Mambriani, Appunti in tema di quantificazione del danno delle azioni di responsabilità della curatela, in Il Fallimentarista, di Mauro Vitiello).