Prof. Antonio Lo Faro Il recesso dal contratto di lavoro

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Transcript della presentazione:

Prof. Antonio Lo Faro Il recesso dal contratto di lavoro DIRITTO DEL LAVORO Il recesso dal contratto di lavoro Diritto del lavoro 2004-05

Le ipotesi “minori” di estinzione del rapporto di lavoro Risoluzione consensuale o per mutuo consenso; Maturazione del termine nei rapporti a scadenza finale; Impossibilità sopravvenuta della prestazione Morte del lavoratore ….

Il recesso unilaterale Si tratta della causa di estinzione del rapporto di lavoro più rilevante dal punto di vista normativo e sociale. A seconda del contraente che pone in essere la decisione “unilaterale” di recedere dal rapporto, si distinguono: Le dimissioni (da parte del lavoratore); Il licenziamento (da parte del datore di lavoro).

L’impostazione originaria, ancora in parte presente nel codice civile L’istituto giuridico del recesso dal rapporto di lavoro nella filosofia dei codici liberali: ognuna delle due parti può liberamente recedere dal rapporto di lavoro alle medesime condizioni Il principio generale della libera recedibilità medesime condizioni =

La libera recedibilità bilaterale nel codice del 1865… Ratio simile a quella che sorreggeva il divieto di rapporti di lavoro a tempo indeterminato Considerata una conquista di civiltà giuridica per il lavoratore, elevato alla condizione di libero contraente formalmente posto su un piano di parità negoziale

…e nel codice civile del 1942: il recesso “ad nutum” pari significato giuridico di dimissioni e licenziamento “Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti…” (art. 2118 cod. civ.) Ciascuno dei contraenti

L’unico limite imposto alle parti: IL PREAVVISO o la corrispondente indennità sostitutiva L’unico limite imposto alle parti: IL PREAVVISO

L’obbligo del preavviso incide sul principio di libera recedibilità? No, nella misura in cui è posto a carico di entrambe le parti Rivela una considerazione della situazione di sostanziale disparità negoziale tra le parti? Consente un controllo giurisdizionale sulla decisione datoriale? No, nella misura in cui i motivi della decisione datoriale rimangono insindacabili

In alcuni casi viene meno anche il limite del preavviso La “giusta causa” “…o senza preavviso qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione del rapporto” (2119 c.c.)

La necessità di dimostrare la ricorrenza di una giusta causa incide sul principio di libera recedibilità? Per recedere da un rapporto di lavoro senza preavviso occorre dimostrare la sussistenza di una giusta causa L’unica conseguenza che deriva dalla mancanza di una giusta causa non è l’invalidità del recesso, ma la necessità di concedere il preavviso (o, meglio, la relativa indennità)

Nel sistema del codice civile la libertà di licenziare non viene intaccata… DALL’OBBLIGO DI PREAVVISO NÉ DALLA PREVISIONE DELLA GIUSTA CAUSA Perché la mancanza di giusta causa ex art. 2119, anche ove accertata dal giudice, lascia comunque libero il datore di licenziare, con l’unico limite della indennità sostitutiva del preavviso Perché il licenziamento con preavviso ex art. 2118 rimane assolutamente insindacabile dal giudice

Parità formale e diseguaglianza sostanziale dei contraenti Le dimissioni del lavoratore creano al datore di lavoro il mero fastidio di una sostituzione Il licenziamento comporta invece per il lavoratore la perdita della fonte del proprio sostentamento “Il contratto di lavoro riguarda l’avere per il datore ma l’essere per il lavoratore” (F. Santoro Passarelli)

Dopo la Costituzione La progressiva riduzione della libera recedibilità da principio ad eccezione residuale qual è il compromesso più accettabile per comporre il contrasto tra libertà dell’iniziativa economica privata (art. 41 Cost) e diritto al lavoro (art. 4 Cost)?

La tendenza evolutiva dell’ordinamento italiano 1. Selezionare le ipotesi di legittimo recesso del rapporto per iniziativa del datore DUE PRINCIPI Il blocco dei licenziamenti (1945 ) La successiva contrattazione interconfederale (1950) La legge 604 del 1966 L'art. 18 dello Statuto La legge 108/1990 2. Sottoporre il giudizio di legittimità del recesso al controllo giurisdizionale

La giurisprudenza della Corte che precede la riforme degli anni 60-70 Il diritto al lavoro (art. 4) non è norma precettiva per cui il recesso ad nutum è legittimo “l'art. 4 della Costituzione, come non garantisce a ciascun cittadino il diritto al conseguimento di un'occupazione (…) così non garantisce il diritto alla conservazione del lavoro

continua Con ciò non si vuol dire che la disciplina dei licenziamenti si muova su un piano del tutto diverso da quello proprio dell'art. 4 della Costituzione. occorre una legge…

continua … il potere illimitato del datore di lavoro di recedere dal rapporto a tempo indeterminato non costituisce più un principio generale del nostro ordinamento. Questi ultimi dimostrano che le condizioni economico-sociali del Paese consentono una nuova disciplina, verso la quale l'evoluzione legislativa viene sollecitata anche da raccomandazioni internazionali

La disciplina del licenziamento oggi: due tipologie di normative (I) I LIMITI (II) I RIMEDI (quando si può legittimamente licenziare?) Giusta causa e giustificato motivo (quali sono le conseguenze del licenziamento illegittimo?) Risarcimento o reintegra nel posto di lavoro

(I) I LIMITI SOSTANZIALI La “correzione” del libero recesso (l. 604/1966) LA GIUSTA CAUSA CAMBIA FUNZIONE Non più finalizzata al mero riconoscimento del preavviso Ma elevata ad elemento di legittimità del licenziamento Il licenziamento come recesso “vincolato”

Il principio di causalità del licenziamento come principio costituzionale in ambito europeo Articolo 30 Carta di Nizza: Ogni lavoratore ha il diritto alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato, conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali

Il principio della causalità del recesso GIUSTIFICATO MOTIVO (l. 604/1966) Soggettivo Oggettivo GIUSTA CAUSA (2119 c.c.) Notevole inadempimento degli obblighi contrattuali ragioni attinenti alla attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa Gravissimo inadempimento delle obbligazioni contrattuali

L’interpretazione delle clausole generali di giusta causa e di giustificato motivo da parte della giurisprudenza

LA NOZIONE DI GIUSTA CAUSA gravissimo inadempimento contrattuale o anche circostanze esterne al sinallagma contrattuale?

Un’ipotesi classica di licenziamento come sanzione dell’inadempimento Sussiste la giusta causa di licenziamento nel caso in cui il lavoratore abbia trascorso il tempo destinato al lavoro, e come tale retribuito, a collegarsi per scopi personali ad Internet ed a consultare i documenti scaricati, con la rete telefonica pagata dall'azienda, integrando tale comportamento una grave violazione degli obblighi contrattuali (Corte d'appello Ancona 1/8/2003)

Fatti esterni comunque riconducibili alla nozione di inadempimento Vincenzo C., dipendente con mansioni di operaio, si è assentato per malattia, essendo stato colpito da lombosciatalgia acuta. Durante l’assenza ha lavorato nell’esercizio commerciale della moglie. L’azienda lo ha licenziato. Il Pretore ha nominato un consulente tecnico, dalla cui relazione  è risultato che la collaborazione alla conduzione dell’esercizio commerciale s’era svolta con modalità richiedenti movimenti in iperestensione (spostamento e sistemazione della merce) e flessione del tronco (apertura e chiusura dei locali), tali da produrre un effetto ritardante del pieno recupero fisico La Suprema Corte ha confermato la validità del licenziamento rilevando che il dipendente aveva dimostrato piena indifferenza per il nocumento che arrecava all’organizzazione aziendale: “Non si vede come il datore di lavoro possa continuare a fare affidamento sulla leale e corretta collaborazione di un dipendente che si sottragga al dovere primario di rendere possibile la prestazione ritardando il recupero della capacità a svolgere mansioni contrattualmente dovute” (Cassazione  n. 2378 del 17 febbraio 2003)

Un caso recente (e significativo di come l’interpretazione delle norme influisca sul giudizio di validità del licenziamento) Cassazione Civile - Sez. Lavoro - Sentenza  16 giugno 2008 , n. 16207 IL FATTO. Un lavoratore in stato di astensione facoltativa dal lavoro ex Legge n.53/2000 (congedo parentale), svolge attività lavorativa presso la pizzeria della moglie e, conseguentemente a tale condotta, viene licenziato per giusta causa dal datore di lavoro

GIUDICE DI PRIMO GRADO Impugnato il licenziamento dal lavoratore, il giudice di primo grado rigetta la domanda dello stesso in quanto ritiene che l’utilizzo del congedo parentale per finalità diverse dalla cura della prole vale a configurare la giusta causa di licenziamento

GIUDICE D’APPELLO Secondo il giudice del gravame occorre considerare la diversità della situazione in esame rispetto a quella del lavoratore assente per malattia che presti attività lavorativa a favore di terzi. Nel caso de quo l’attività svolta dal lavoratore era finalizzata a soddisfare una esigenza della famiglia e quindi rappresenta un legittimo esercizio del congedo pertanto il licenziamento è privo di giusta causa e meritevole di essere annullato

LA CASSAZIONE La Corte richiama alcune sentenze della Consulta con le quali i giudici costituzionali hanno ribadito come “ la tutela della paternità si risolva in misure volte a garantire il rapporto del padre con la prole in modo da soddisfare i bisogni affettivi e relazionali dei bambino al fine dell'armonico e sereno sviluppo della sua personalità; esigenza che, richiedendo la presenza del padre accanto al bambino, è impedita dallo svolgimento dell'attività lavorativa e impone pertanto la sospensione di questa, affinché il padre dedichi alla cura del figlio il tempo che avrebbe invece dovuto dedicare al lavoro”.

LE CONCLUSIONI non può condividersi la tesi della realizzazione delle esigenze della figlia minorenne attraverso lo svolgimento di attività lavorativa, da parte del padre in congedo, nella pizzeria della moglie: il legittimo esercizio del congedo parentale postula la presenza del padre accanto alla propria bambina

pertanto, ove si accerti che il periodo di congedo viene invece utilizzato per svolgere una diversa attività, si configura un abuso per sviamento dalla funzione propria del diritto, idoneo ad essere valutato dal giudice ai fini della sussistenza di una giusta causa di licenziamento, non assumendo rilievo che lo svolgimento di tale attività (nella specie, presso una pizzeria di proprietà della moglie) contribuisca ad una migliore organizzazione della famiglia

2) Fatti inerenti alla vita privata del lavoratore

della delicatezza delle funzioni affidate al soggetto; Al ritorno da un volo internazionale, un assistente di volo è stato trovato in possesso di modica quantità di stupefacente. La sentenza di merito, che ha ritenuto non sussistere una giusta causa, va cassata perché non ha tenuto conto: della delicatezza delle funzioni affidate al soggetto; dei profili di grave pericolo per la incolumità dei passeggeri; dell'esigenza di continua attenzione da prestarsi nell'esercizio delle mansioni; della responsabilità aggravata dell'azienda per eventuali accadimenti negativi conseguenti a tale situazione; della immanente lesività dell'immagine della società del danno concreto alla stessa cagionato, posto che al dipendente, in conseguenza del fatto, fu ritirato il tesserino di accesso ai locali doganali ed aeroportuali; della strumentalizzazione del rapporto di dipendenza e del servizio per l'approvvigionamento della droga

Il principio generale La condotta inerente alla vita privata del lavoratore, di norma irrilevante ai fini della lesione del rapporto fiduciario tra dipendente e datore di lavoro, può integrare giusta causa di licenziamento qualora fatti e comportamenti estranei alla sfera del contratto siano tali da far venire meno quella fiducia che integra presupposto essenziale della collaborazione tra datore e prestatore di lavoro. Cass. civ., sez. lav., 22 agosto 1997, n. 7884 fatti e comportamenti estranei alla sfera del contratto siano tali da far far venire meno quella fiducia

…segue: la valutazione “in concreto” del vincolo fiduciario Nel caso di giusta causa di licenziamento, i fatti addebitati devono rivestire il carattere di grave negazione dell'elemento della fiducia; la valutazione relativa deve essere operata con riferimento non già ai fatti astrattamente considerati, bensì agli aspetti concreti afferenti alla natura ed alla qualità del singolo rapporto, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, alle circostanze del suo verificarsi e ad ogni altro aspetto correlato alla specifica connotazione del rapporto (Cass. civ., sez. lav., 27 marzo 1998, n. 3270) bensì agli aspetti concreti afferenti alla natura ed alla qualità del singolo rapporto

3) L’entità del pregiudizio patrimoniale Un dirigente di una filiale di una catena di grandi magazzini, è sorpreso in un'altra filiale sita in una città diversa, ad occultare sulla propria persona alcuni oggetti di modestissimo valore economico, quali una confezione di chiavi tubolari e un paio di solette da scarpe (Cass. civ., sez. lav., 18 giugno 1998, n. 6100) E’ UNA GIUSTA CAUSA DI LICENZIAMENTO?

SI Nel caso di licenziamento per giusta causa, viene in considerazione non l'assenza o la speciale tenuità del danno patrimoniale (rilevanti in sede penale), ma la ripercussione sul rapporto di una condotta suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento - in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del lavoratore rispetto agli obblighi assunti

Un altro caso In ipotesi di licenziamento per giusta causa (comminato a dipendente di impresa operante nel settore della grande distribuzione per avere consumato in due mattinate successive alcuni pasticcini), la complessiva valutazione della gravità dell’infrazione, è da condurre sulla base dei seguenti criteri: esistenza o meno di precedenti disciplinari, posizione del dipendente all’interno dell’organizzazione aziendale, modalità della commissione del fatto, entità del danno provocato all’impresa;

… ove, in applicazione di tali criteri, risultino l’inesistenza di precedenti disciplinari, lo svolgimento di mansioni non implicanti particolari responsabilità, modalità di commissione del fatto implicanti indici minimali di intensità dolosa, nonché la particolare tenuità del danno provocato, il licenziamento deve considerarsi illegittimo, trattandosi di infrazione inidonea a minare irreparabilmente l’elemento fiduciario (Pret. Varese 9/5/97)

GIUSTIFICATO MOTIVO SOGGETTIVO Le possibili conseguenze paradossali del rilievo attribuito alla sussistenza del vincolo fiduciario Comportamento veniale del lavoratore Notevole inadempimento degli obblighi contrattuali Se viene meno la fiducia GIUSTIFICATO MOTIVO SOGGETTIVO GIUSTA CAUSA Licenziamento in tronco Licenziamento con preavviso

e la condanna la implica necessariamente? 4) I rapporti tra giudizio penale e giudizio civile nel caso del recesso per giusta causa Il proscioglimento esclude sempre la sussistenza di una giusta causa di licenziamento ? e la condanna la implica necessariamente?

Assolto ma licenziato Il Tribunale ha riconosciuto la legittimità del licenziamento per giusta causa intimato ad un dipendente che aveva tentato, in concorso con altri, di sottrarre denaro dai conti correnti dei clienti della banca e che, chiamato a rispondere del reato di associazione a delinquere, era stato assolto dal giudice penale per essere rimasta l'intenzione criminosa alla fase, penalmente non rilevante, degli atti preparatori Trib. Roma, 30 settembre 1997

Enrico G. , dipendente della S. p. A Enrico G., dipendente della S.p.A. Terminal Contenitori Porto di Genova, è stato licenziato con l’addebito di aver fatto inviare al direttore generale vari quantitativi di merce mediante l’apposizione della firma contraffatta dal medesimo. Pretore e Tribunale hanno invalidato il licenziamento, affermando che il fatto attribuito al lavoratore, integrante il reato contravvenzionale di molestie, poteva definirsi uno scherzo di pessimo gusto, una condotta fastidiosa, ma inidonea ad interferire sulla comunità di lavoro. L’azienda ha proposto ricorso per cassazione sostenendo che la motivazione data dal Tribunale per la sua decisione doveva ritenersi gravemente illogica in quanto, pur dando atto che il lavoratore aveva commesso un reato nei confronti del direttore generale, aveva escluso la sanzionabilità di questa illecita condotta con il licenziamento

Condannato ma reintegrato La Suprema Corte ha confermato la sentenza del Tribunale rilevando che la condotta tenuta dal lavoratore, pur costituendo un reato, non aveva una portata violenta, intimidatrice ovvero ingiuriosa e quindi era inidonea a influire sull’attività lavorativa del direttore e a ripercuotersi sulla comunità di lavoro aziendale. (Cassazione Sezione Lavoro n. 18282 del 23 dicembre 2002)

Il rilievo del giudicato penale DOPO il licenziamento considerato valido per g.m.o. in caso di applicazione di misure restrittive della libertà personale (rinvio)

GIUSTA CAUSA (2119 c.c.) Rilievo di fatti estranei al rapporto… …se, con riferimento alla specifica prestazione, sono in grado di alterare il vincolo fiduciario… …senza considerare l’entità del danno patrimoniale… …e a prescindere da ogni rilievo del parallelo giudizio penale

La nozione di giustificato motivo: Oggettivo: ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa Soggettivo: notevole inadempimento degli obblighi contrattuali I rapporti con la nozione di giusta causa Insindacabilità delle scelte datoriali, mitigata solo da: C.d. obbligo di repechage Verifica del nesso di causalità

La valutazione giudiziale dell’esigenza organizzativa Il titolare della ditta Star Ricambi, ha licenziato un’impiegata, con motivazione riferita alla necessità di dare un lavoro a suo figlio, che aveva appena assolto agli obblighi di leva. “La interpretazione del termine "giustificato" di cui all'art. 3 della legge n. 604 del 1966 che il ricorrente implicitamente prospetta è esclusa dalla lettera del medesimo articolo che precisa il significato del termine alternativamente come notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro (giustificato motivo soggettivo) ovvero ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro, al regolare funzionamento di essa (giustificato motivo oggettivo). È evidente che l'esigenza di dare lavoro ad un figlio nella azienda, anche allo scopo di addestrarlo alla conduzione di essa in vista della successione, non rientra tra le ragioni che integrano il giustificato motivo oggettivo” (Cassazione Sezione Lavoro n. 10371 del 30 luglio 2001)

Il G.m.o. riconducibile a fatti interenti alla persona del lavoratore “in caso di sopravvenuta infermità permanente del lavoratore, l’impossibilità della prestazione lavorativa quale giustificato motivo di recesso del datore di lavoro dal contratto di lavoro subordinato non è ravvisabile per effetto della sola ineseguibilità dell’attività attualmente svolta dal lavoratore, perché può essere esclusa dalla possibilità di adibire il lavoratore ad una diversa attività, che sia riconducibile – alla stregua di una interpretazione del contratto secondo buona fede – alle mansioni attualmente assegnate o a quelle equivalenti (art. 2103 codice civile) o, se ciò è impossibile, a mansioni inferiori, purché tale diversa attività sia utilizzabile nell’impresa, secondo l’assetto organizzativo insindacabilmente stabilito dall’imprenditore

Il licenziamento inefficace Il licenziamento nullo Fattispecie di licenziamento invalido, diverse dalla annullabilità (mancanza di giusta causa o giustificato motivo) Il licenziamento inefficace Privo delle forme prescritte Il licenziamento nullo Discriminatorio, Intimato durante il periodo di malattia o maternità In occasione di matrimonio della lavoratrice 1) Comunicazione per iscritto 2) Possibilità di richiedere i motivi entro 15 giorni 3) Obbligo di rispondere entro 7 giorni 4) Altre “irritualità” (non immediatezza, modificazione dei motivi)

Il licenziamento disciplinare Un caso particolare di licenziamento soggetto a specifiche “forme” procedurali Il licenziamento disciplinare

Il problema del licenziamento disciplinare L’art. 7 dello Statuto Le norme disciplinari relative alle infrazioni e alle relative sanzioni devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti Il datore non può irrogare sanzioni senza aver preventivamente contestato l’addebito al lavoratore e averlo sentito a sua difesa Il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante sindacale Queste disposizioni si applicano al licenziamento disciplinare? ovvero Il licenziamento è una sanzione disciplinare?

La fonte del problema E il licenziamento? “Non possono essere disposte sanzioni disciplinari che comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro” (art. 7, c. 4 Statuto) E il licenziamento?

Le diverse conseguenze pratiche Se il licenziamento è qualificato come sanzione disciplinare Se il licenziamento non è qualificato come sanzione disciplinare Si applica l’art. 7 Statuto Si applica la disciplina ordinaria (L. 604/66/ Contestazione dell’addebito Difesa del lavoratore assistito, se vuole, dal sindacato Comunicazione per iscritto del recesso Possibilità di richiedere i motivi entro 15 giorni

La soluzione giurisprudenziale IL LICENZIAMENTO COME SANZIONE ONTOLOGICAMENTE DISCIPLINARE (l’area della giusta causa è pressoché interamente coperta da licenziamenti disciplinari)

L’impugnativa del licenziamento Art. 6, l. 604/1966: Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro 60 giorni dalla ricezione della sua comunicazione ovvero della comunicazione dei motivi ove questa non sia contestuale a quella del licenziamento

L’impugnativa può essere: GIUDIZIALE STRAGIUDIZIALE impedisce, in ogni caso, la decadenza qualsiasi atto scritto idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore (art. 6, l. 604/1966)

(II) I RIMEDI RISARCIMENTO o EFFETTIVA REINTEGRA nel posto di lavoro (quali sono le conseguenze del licenziamento illegittimo perché privo di giusta causa o giustificato motivo?) Tutela reale Tutela obbligatoria RISARCIMENTO o EFFETTIVA REINTEGRA nel posto di lavoro

COSA SI INTENDE PER “TUTELA OBBLIGATORIA” (art. 8 l. 604/1966) Quando risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo, il datore di lavoro è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro …o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un’indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto risarcire riassumere

Una norma pragmatica… …e un po’ ipocrita Nell’ambito della tutela obbligatoria, il licenziamento privo di giustificazione è illegittimo, ma è ugualmente idoneo a produrre i suoi effetti (Mancini) La finta alternativa tra riassunzione e pagamento dell’indennità La monetizzazione di fatto del licenziamento

COSA SI INTENDE PER “TUTELA REALE” (art. 18 l. 300/1970) il giudice con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo, ovvero ne dichiara la nullità, ordina al datore di lavoro di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro. inefficace annulla nullità reintegrare

COSA SI INTENDE PER “TUTELA REALE” (art. 18 l. 300/1970) Il giudice con la sentenza di cui al primo comma condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore stabilendo un'indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione e al versamento dei relativi contributi assistenziali e previdenziali; in ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione

ALLA TUTELA OBBLIGATORIA: QUI UN ATTO INVALIDO NON È IDONEO LA DIFFERENZA DI FONDO RISPETTO ALLA TUTELA OBBLIGATORIA: QUI UN ATTO INVALIDO NON È IDONEO A PRODURRE GLI EFFETTI PER I QUALI ESSO E’ STATO ADOTTATO

Alcuni nodi applicativi problematici L’esecuzione dell’ordine di reintegra La detraibilità dell’aliunde perceptum La detraibilità dell’aliunde percipiendum

Una rilevante questioni processuale La riforma in appello della sentenza di primo grado che era stata favorevole al lavoratore: Le somme corrisposte in esecuzione della sentenza che ordina la reintegra nel posto di lavoro costituiscono risarcimento del danno ingiusto subito dal lavoratore per l’illegittimo licenziamento, di modo che con la riforma della sentenza che dichiara la legittimità dell’impugnato licenziamento viene a cadere l’illecito civile ascritto al datore di lavoro e non sussiste più l’obbligo del risarcimento a suo carico. Pertanto, le somme percepite dal lavoratore perdono il loro titolo legittimante e devono essere, conseguentemente, restituite al datore di lavoro (Cass. 30/3/2006 n. 7453, Pres. Lupi)

Un correttivo Le somme corrisposte dal datore di lavoro in esecuzione della sentenza che ordina la reintegrazione nel posto di lavoro costituiscono risarcimento del danno; in caso di riforma della sentenza che dichiara l'illegittimità del licenziamento, pertanto, venendo conseguentemente meno l'obbligo di risarcimento a suo carico, esse devono essere restituite fin dal momento della riforma della sentenza. Solo quando all'ordine di di reintegrazione abbia fatto seguito l'effettiva ripresa dell'attività lavorativa resta preclusa, a norma dell'art. 2126 c.c., la ripetibilità delle somme versate al lavoratore a titolo di retribuzione per l'attività stessa (Cass. 13/1/2005 n. 482).

Il nuovo art. 102 bis disp. att. c.p.p La reintegra nel posto di lavoro in funzione non sanzionatoria (l. 322/1995) Il nuovo art. 102 bis disp. att. c.p.p Chiunque sia stato licenziato perché sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere ovvero degli arresti domiciliari ha diritto di essere reintegrato nel posto di lavoro in caso di sentenza di assoluzione, di proscioglimento o di non luogo a procedere ovvero di provvedimento di archiviazione

L’indennità sostitutiva della reintegra Le modifiche del 1990 L’indennità sostitutiva della reintegra “Il lavoratore ha la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto” Una giuridificazione delle prassi transattive

Area in cui si applica ancora il principio della libera recedibilità I lavoratori domestici I lavoratori ultrasessantenni in possesso dei requisiti per la pensione, salvo che non abbiano optato per la prosecuzione del rapporto I lavoratori in prova I dirigenti

COME CONVIVONO LE TRE DISCIPLINE DEL LICENZIAMENTO? Le discipline successive non sostituiscono quella precedenti. Tutte continuano a trovare applicazione Artt. 2118 e 2119 c.c. (recesso ad nutum) Art. 8 l. 604/1966 (tutela obbligatoria) Art. 18 Statuto dei lavoratori (tutela reale)

Il problema del computo dei dipendenti Unità produttive fino a 15 dipendenti Unità con più di 15 o datori con più di 60 dipendenti L’intensità della tutela dipende dalle dimensioni dell’unità produttiva ove avviene il recesso Area della stabilità obbligatoria: alternativa rimessa al datore di lavoro Area della stabilità reale: ordine giudiziale di reintegra

Oltre il “velo” della personalità giuridica Oltre il “velo” della personalità giuridica? Recenti orientamenti giurisprudenziali Pur non essendo consentito attribuire all’attività di gruppo, di per sé, un valore giuridicamente unificante, è tuttavia sempre possibile, in presenza di determinate caratteristiche organizzative e strutturali, ravvisare, in caso di collegamento societario, un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro. Tale situazione è ravvisabile ogni volta che vi sia una simulazione o una preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un’unica attività fra i vari soggetti del collegamento economico e ciò venga accertato in modo adeguato (Cass. n. 4274 del 24 marzo 2003)

LA REGOLA GENERALE PUO’ ESSERE INDICATA NELLA TUTELA OBBLIGATORIA A MENO CHE… Lavoratore domestico Dirigente Più di 65 anni Lavoratore in prova AREA DEL LICENZIAMENTO AD NUTUM A MENO CHE… più di 15 dipendenti nell’unità produttiva più di 60 nel complesso AREA DELLA TUTELA REALE

Due eccezioni importanti PRIMA ECCEZIONE Casi in cui, anche nelle piccole imprese, e anche nell’area del licenziamento ad nutum, si applica la tutela reale SECONDA ECCEZIONE Casi in cui, anche nelle grandi imprese, si applica la tutela obbligatoria IL LICENZIAMENTO DISCRIMINATORIO LE ORGANIZZAZIONI DI TENDENZA

Definizione di “organizzazione di tendenza” “datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fini di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto” Problemi applicativi: a) l’ambito di estensione della disciplina, con riferimento alle istituzioni scolastiche laiche o confessionali (ambito oggettivo di applicazione); b) l’ambito di estensione della disciplina con riferimento al personale che non è ideologicamente legato all’organizzazione (ambito soggettivo di applicazione)

Alcune indicazioni di prospettiva L’ART. 18 DELLO STATUTO: una norma perennemente al centro dei dibattiti sulla “modernizzazione” del diritto del lavoro

Sgombrare il campo dalle false rappresentazioni del problema Da un articolo del senatore Debenedetti (PD) sul Sole 24 ore di qualche anno fa: “Occorre introdurre norme che rendano possibile il licenziamento per giustificato motivo economico“ “Per la nostra legge, non spetta all'azienda, ma al giudice, decidere se può o no mantenere quel lavoratore in quel posto” Il senatore Debenedetti bocciato all’esame di diritto del lavoro

La flessibilità non comporta soltanto una maggiore libertà per le imprese di assumere o licenziare e non implica che i contratti a tempo indeterminato siano un fenomeno obsoleto. La flessibilità significa assicurare ai lavoratori posti di lavoro migliori, la "mobilità ascendente", lo sviluppo dei talenti. La sicurezza, d'altro canto, è qualcosa di più che la semplice sicurezza di mantenere il proprio posto di lavoro: essa significa dotare le persone delle competenze che consentano loro di progredire durante la loro vita lavorativa e le aiutino a trovare un nuovo posto di lavoro. Essa ha anche a che fare con adeguate indennità di disoccupazione per agevolare le transizioni

Le ricadute nel dibattito interno Verso il superamento dell’art. 18 nell’ordinamento italiano?

È VERO O NON È VERO CHE SI TRATTA DI UN UNICUM NORMATIVO? L’obbligo giudiziale di reintegra, questione fondamentale nell’ordinamento italiano È VERO O NON È VERO CHE SI TRATTA DI UN UNICUM NORMATIVO? Molti sistemi nazionali consentono al giudice di non ordinare la reintegra – cosa che pure potrebbe fare – e di optare per un rimedio risarcitorio, quando risulti provato che “è impossibile ripristinare un’ulteriore proficua collaborazione fra le parti”

L’uso corretto della comparazione implica una contestualizzazione degli istituti Il caso tedesco Il ruolo sindacale Il caso olandese Il ruolo amministrativo Il caso spagnolo Il licenziamento “abaratado”

Una prima conclusione: due possibili modelli di gestione del licenziamento Modello di gestione “preventiva”, del licenziamento, che trova i suoi elementi costitutivi in una proceduralizzazione dei poteri datoriali Modello di gestione “successiva”, che rinvia la definizione della vicenda ad un momento cronologicamente posteriore all’atto di recesso

L’ORIGINE DEI PROBLEMI INTERNI IL MODELLO ITALIANO: TUTTO IL PESO SCARICATO SUL MOMENTO GIUDIZIALE A VALLE DEL RECESSO L’ORIGINE DEI PROBLEMI INTERNI La reintegra e i suoi possibili effetti distorsivi in un sistema giudiziale non perfettamente funzionante

Gli interventi sul processo (e la sua durata) A differenza del principio di causalità del recesso, la reintegra non è una nozione costituzionalmente vincolata La Corte costituzionale (sent. n. 46/2000) ha escluso che la tutela reale rappresenti “l’unico possibile paradigma attuativo” dei principi di cui agli artt. 4 e 35 della Costituzione I POSSIBILI INTERVENTI CORRETTIVI RISPETTO AD ALCUNE UTILIZZAZIONI DISTORTE DELLA NORMA: Gli interventi sul processo (e la sua durata) La possibile diversificazione nella tutela fondata sulle diverse cause di invalidità del recesso

IL SUPERAMENTO DELL’ART. 18 NEGLI ANNI 2000 Tentativi falliti e proposte in atto

La reintegra non avrebbe più trovato applicazione ai lavoratori: L’accantonamento dell’art. 18 nelle proposte di riforma dei primi anni 2000 La reintegra non avrebbe più trovato applicazione ai lavoratori: “Emersi” dal sommerso La cui assunzione avrebbe fatto scattare la soglia dimensionale Il cui contratto a tempo indeterminato fosse frutto di una conversione di un originario contratto a termine

Vecchi e nuovi assunti con contratto a termine “stabilizzato” L’insostenibilità dei “doppi regimi” di recesso rispetto all’art. 3 Cost Vecchi e nuovi assunti con contratto a termine “stabilizzato” Tra lavoratori Secondo alcuni emendamenti introdotti in sede parlamentare, la misura sulla stabilizzazione avrebbe riguardato solo il Sud Tra territori

Lo “stralcio” della norma dalla legge delega (il “Patto per l’Italia”) Tutti i rapporti di lavoro instaurati nell'arco di tre anni dalla data di entrata in vigore del relativo provvedimento, non saranno computati nel numero dei dipendenti ai fini dell'individuazione del campo di applicazione dell'art. 18 l. n. 300 del 1970

Il problema di “doppio regime” residuo” Due imprese di 20 lavoratori, a seconda della data di assunzione degli ultimi 5, sarebbero state sottoposte a due diversi regimi di recesso Tra imprese

L’accantonamento delle proposte (sostanziale superamento del problema attraverso la moltiplicazione delle forme di flessibilità in entrata?)

Il dibattito in corso: una riforma bi-partisan? Disposizioni per il superamento del dualismo del mercato del lavoro, la promozione del lavoro stabile in strutture produttive flessibili e la garanzia di pari opportunità nel lavoro per le nuove generazioni La c.d. proposta Ichino (raccoglie consensi e dissensi trasversali da entrambi gli schieramenti parlamentari)

(ovvero: “Il Contratto unico a stabilità crescente” ) LO SCAMBIO PROSPETTATO: meno flessibilità in entrata contro più flessibilità in uscita (ovvero: “Il Contratto unico a stabilità crescente” ) ?

Chi riguarderebbe Secondo la Relazione di presentazione, le imprese che assumono sarebbero molto più disposte a farlo a tempo indeterminato se si offre loro la possibilità di applicare ai nuovi assunti il nuovo regime, piuttosto che se le si costringe a operare nel vecchio Tranne pochi casi in cui continuerebbe ad essere ammesso il contratto a termine, i new entrants sono tutti assunti a tempo indeterminato, con periodo di prova di sei mesi

Le novità per i licenziamenti “soggettivi” “controllo giudiziale e art. 18 per il licenziamento disciplinare e quello discriminatorio, salva la possibilità per il giudice, considerate le circostanze, di condannare l’imprenditore anche solo al risarcimento (o, in altri casi, solo alla reintegrazione senza risarcimento)” In realtà ciò equivarrebbe, malgrado l’enunciazione, ad un abbandono dell’art. 18, con la sua piena applicazione lasciata alla discrezionalità del giudice

Le novità per i licenziamenti “oggettivi”: il cuore della proposta Le esigenze economiche od organizzative che motivano il licenziamento non sono soggette a sindacato giudiziale, salvo il controllo, quando il lavoratore ne faccia denuncia, circa la sussistenza di motivi discriminatori determinanti, o motivi di mero capriccio, intentendosi per tali motivi futili totalmente estranei alle esigenze organizzative o produttive aziendali.

Quando il lavoratore abbia maturato venti anni di anzianità, il licenziamento motivato con esigenze economiche od organizzative si presume dettato da intendimento di discriminazione in ragione dell’età, con conseguente applicazione dell’articolo 18 della legge 20 maggio 1970 n. 300, salva prova del giustificato motivo economico, tecnico od organizzativo, della quale il datore di lavoro è onerato in giudizio

Le (nuove) tutele per il lavoratore licenziato per motivi oggettivi All’atto della cessazione del rapporto conseguente a licenziamento non disciplinare, al prestatore è dovuta dal datore di lavoro un’indennità pari a tanti dodicesimi della retribuzione lorda complessivamente goduta nell’ultimo anno di lavoro, quanti sono gli anni compiuti di anzianità di servizio in azienda, diminuita della retribuzione corrispondente al preavviso spettante al prestatore stesso. Il prestatore stesso ha inoltre diritto alla stipulazione del contratto di ricollocazione di cui all’articolo 3.

Articolo 3 ‑ Contratto di ricollocazione al lavoro Al lavoratore al quale si applichi il nuovo sistema di protezione, quando abbia perso il posto in conseguenza di un licenziamento non disciplinare o di un licenziamento disciplinare dichiarato illegittimo in sede giudiziale, l’ente bilaterale è obbligato a offrire la stipulazione di un contratto di ricollocazione al lavoro che preveda: Una sorta di “modello danese”?

a) l’erogazione di una indennità di entità pari al 90% dell’ultima retribuzione per il primo anno, all’80% per il secondo, al 70% per il terzo e al 60% per il quarto; la durata minima del trattamento di disoccupazione è pari alla durata del rapporto di lavoro che lo ha preceduto, con il limite di quattro anni;    b) l’erogazione di assistenza intensiva nella ricerca della nuova occupazione    c) la predisposizione di iniziative di formazione o riqualificazione professionale mirate a sbocchi occupazionali effettivamente esistenti    d) l’impegno del lavoratore a porsi a disposizione dell’ente per le iniziative di cui alle lettere b e c secondo un orario settimanale corrispondente all’orario di lavoro praticato in precedenza;    e) l’assoggettamento dell’attività svolta dal lavoratore nella ricerca della nuova occupazione al potere e di controllo dell’ente, il quale lo esercita di regola attraverso un tutor cui il lavoratore viene affidato.

Maggiori informazioni ed interventi (compresi quelli critici) sul sito www.pietroichino.it