Nella società moderna, la Scuola è l'istituzione che, principalmente, accanto alla famiglia, svolge il ruolo educativo. Per questo la Costituzione riconosce che frequentare la scuola per imparare è un diritto, in pratica qualcosa che ognuno deve avere.
Cosa dice la Costituzione Art. 3: [ Cosa dice la Costituzione Art. 3: [ ... ] È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza di tutti i cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana […]. Art. 34: La scuola è aperta a tutti. L'istruzione inferiore, impartita per almeno nove anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze[…]. La Costituzione afferma che le scuole private non hanno il diritto di ricevere aiuti economici dallo Stato, in quanto dichiara che tali istituti devono operare "senza oneri per lo Stato". L'art. 34, però, assicura il diritto allo studio a tutti i cittadini italiani, quindi anche a quelli che frequentano le scuole private.
Tutti gli studenti, secondo le nuove normative, hanno il diritto-dovere di seguire il percorso formativo per almeno dodici anni e, comunque, fino al compimento del diciottesimo anno d’età, con la possibilità di alternare, a partire dai quindici anni, la frequenza alle lezioni in classe con periodi di lavoro in aziende private. In questo senso, la scuola è un dovere che ognuno ha verso se stesso ma anche verso gli altri, perché un buon grado d’istruzione è un vantaggio per tutta la collettività. È per questo che lo Stato impone lo svolgimento di determinati programmi e sono i cittadini che, attraverso le tasse, forniscono allo Stato la somma di denaro che esso spende per l'edilizia scolastica, il materiale, lo stipendio del personale, ecc. Andare a scuola significa, quindi, sfruttare un servizio pubblico, pagato con i soldi di tutti.
In Italia la scuola, come istituzione pubblica, ha origine quando, nel 1861, è attuata l'unità. Allora l'analfabetismo riguardava il 74% dei cittadini, per questo era uno dei problemi sociali da risolvere; furono, quindi, emanate leggi per diffondere l'istruzione. Nel 1923 l'obbligo è elevato ai quattordici anni, anche se è spesso evaso per le condizioni d’arretratezza del Paese. La «Carta della scuola» sancisce, nel 1930, la suddivisione della Media inferiore in due tipi distinti: - la Scuola Media, che consente l'accesso a qualsiasi istituto superiore; - la Scuola d’Avviamento professionale, che offre la possibilità di apprendere un mestiere o di frequentare un istituto professionale.
Nel 1948 la Costituzione stabilisce che l'istruzione è gratuita e obbligatoria per almeno otto anni . Nel 1962 è creata la Scuola media unica, che conferma l'obbligatorietà della frequenza fino a quattordici anni o fino a che sia conseguita la licenza media e abolisce l'Avviamento professionale. Nel 1974 sono introdotti i Decreti Delegati, che prevedono l'ingresso dei genitori nella scuola. Nel 1977 sono aboliti i voti e gli esami di riparazione nella Scuola media inferiore. Nel 1999 viene approvata la legge che innalza l'obbligo scolastico fino ai quindici anni. Nel marzo 2003 è approvata una nuova legge di riforma della scuola, di cui è stato emanato il primo decreto attuativo, che riguarda la scuola dell'infanzia e il primo ciclo d’istruzione (scuola primaria e scuola secondaria di primo grado). Nel 2004 il Consiglio dei Ministri approva due decreti che ridefiniscono l'obbligo scolastico e aprono la strada all'intreccio tra attività in aula ed esperienze professionali.
Il sistema scolastico italiano risulta a tutt'oggi così organizzato: • scuola dell'infanzia (ex scuola materna - tre anni); • primo ciclo, formato da: - scuola primaria (ex scuola elementare - cinque anni) - scuola secondaria di primo grado (ex scuola media - tre anni). • secondo ciclo o scuola secondaria di secondo grado (ex scuola superiore), comprendente: - il sistema dei licei (cinque anni) - il sistema dell'istruzione-formazione (tre, quattro o cinque anni)
Carta dei diritti degli studenti, approvata a Roma nel 1990 durante la Conferenza nazionale sulla scuola : Diritto alla scuola come ambiente abitabile e accogliente e come ambiente sereno e formativo. Diritto alla libertà d’apprendimento. Diritto alla continuità dell'apprendimento, garantito da un impegno istituzionale di rimozione degli ostacoli attraverso attività di recupero, sostegno, orientamento. Diritto al riconoscimento della propria identità personale attraverso un insegnamento individualizzato rispettoso delle esigenze dei portatori di handicap e delle differenze personali, sessuali, etniche e socioculturali. Diritto alla libera espressione del proprio pensiero. Diritto alla libera aggregazione nell'ambiente scolastico. Diritto alla partecipazione attiva e responsabile alla vita della scuola. Diritto ad una valutazione corretta e trasparente. Diritto alla trasparenza delle procedure concernente i provvedimenti disciplinari. Diritto a ricorrere ad una sede istituzionale per ottenere il riconoscimento di eventuali diritti non rispettati.
Gli stranieri iscritti alle scuole italiane stanno aumentando in modo vertiginoso. L'immigrazione in Italia ha caratteristiche particolari, è polverizzata: sopraggiungono da noi immigrati provenienti da diversissime zone e la loro dislocazione non riguarda solo le grandi città ma anche le piccole e i paesi. La situazione è molto complessa. I bambini arrivati dai Paesi dell'est non hanno in genere particolari difficoltà, anzi, sono bravi in materie come la matematica e le scienze; le loro famiglie considerano la riuscita negli studi come un'affermazione sociale. I bimbi di radici maghrebine hanno difficoltà d'inserimento molto più pronunciate, mentre quelli arrivati da Ceylon e dall'India eccellono in matematica, ma hanno qualche difficoltà nell'apprendimento della lingua italiana. Ma anche la scuola italiana ha i suoi problemi: i piccoli immigrati hanno una competenza linguistica più elevata di quelli italiani, molti sanno la loro lingua più un'altra europea, inglese o francese, una competenza che perdono col passare degli anni.
Da un rapporto dell’UNICEF emerge che: • Un miliardo di persone sono analfabete; di queste, due terzi sono donne. • 130 milioni di bambini (21% della popolazione tra i 6 e gli 11 anni) non hanno mai frequentato una scuola. • Sono almeno 20 milioni gli scolari iscritti che non arrivano a superare il quarto anno di scuola, il minimo per considerare un bambino alfabetizzato. • Più i Paesi sono poveri, meno spendono in istruzione.
L'istruzione è la strategia fondamentale per uno sviluppo economico e sociale del nostro pianeta: più alto è il grado d’istruzione, più attiva è la partecipazione al mondo del lavoro e più scende la media dei figli per famiglia. Il problema riguarda soprattutto le donne, che in Africa sono analfabete per circa il 70 per cento, in Asia per circa il 50 per cento e, ovunque nei Paesi poveri, le bambine sono istruite meno dei maschi. Nel rapporto 2004 sulla Condizione dell'infanzia nel mondo redatto dall'UNICEF, si legge che pensare a una priorità di investimenti nell'istruzione delle bambine vuol dire avanzare su vari altri fronti: la salute e la condizione delle donne; la cura della prima infanzia; l'alimentazione, l'acqua e i servizi igienici; la riduzione del lavoro minorile e di altre forme di sfruttamento; la risoluzione pacifica dei conflitti. Inoltre gli investimenti nell'istruzione delle bambine producono risultati multipli, per esempio, i figli delle madri istruite hanno molte più probabilità di andare a scuola; quanto più alto è il livello di scolarizzazione di una donna, tanto maggiori anche le probabilità che i figli beneficino dell'istruzione;
Il lavoro allontana i bambini dalla scuola; allo stesso tempo, un’istruzione insufficiente è causa di sfruttamento. Tra le iniziative di istruzione per i minori che lavorano, particolarmente efficaci sono state quelle che hanno raggiunto i bambini attraverso la “scuola informale”: si tratta di scuole con orari di lezione flessibili, che tengono conto dell’orario di lavoro dei bambini; le lezioni si svolgono nei paesi o nei villaggi dove i minori risiedono per facilitare la frequenza; i programmi sono adatti e interessanti per i ragazzi. Infine, si provvede alla formazione professionale, privilegiando le capacità pratiche e manuali di ciascuno. L’Undugu Society del Kenia gestisce cinque scuole per i bambini che si guadagnano da vivere raccogliendo spazzatura. Uno dei programmi più noti di scuola informale è il BRAC, che si rivolge a bambini con età compresa fra gli 8 e i 14 anni. L’istruzione è gratuita e l’obiettivo ultimo è quello di inserire i bambini che lavorano nei programmi scolastici ufficiali. Uno dei casi di maggiore successo del programma BRAC è quello del Bangladesh, dove più di 30.000 scuole offrono a quasi un milione di bambini l’opportunità di ricevere un’istruzione di base. Per fronteggiare il problema del reddito familiare insufficiente, oltre a borse di studio e altri finanziamenti per le spese scolastiche, alcune soluzioni prevedono anche piccoli stipendi per integrare l’economia familiare.
In Uganda, soprattutto se si è nati nei distretti di Gulu e di Pader, nel nord, portare a termine gli studi è un lusso che pochi si possono permettere. Presso la scuola “informale” di Kamwokya studiano ragazzi troppo grandi per stare tra i banchi di scuola o giovani che provengono da famiglie povere che non possono pagare le alte rette delle scuole private.
Africa - scuola in un villaggio del Burundi
Sudamerica – una scuola in Brasile
Asia – scuola in un villaggio nepalese
Si ha la sensazione che la scuola sia considerata un luogo di sprechi e di scarsa produttività. La scuola è spesso un ambito prediletto per un taglio della spesa pubblica. Questo atteggiamento ha dato come risultati: l'elevato numero d’alunni per classe, la riduzione delle ore di sostegno per gli alunni portatori di handicap, la riduzione di sovvenzionanti per progetti didattici, la riduzione del numero degli insegnanti, un trattamento economico sempre più dequalificante per gli insegnanti, che sono spesso costretti a pagarsi di prima persona i corsi d’aggiornamento. Per contro, è proprio agli insegnanti che la legge oggi chiede elevate prestazioni professionali e competenze che, spesso, con le singole discipline d’insegnamento hanno scarsamente a che vedere.