La scuola siciliana e i rimatori siculo- toscani Appunti letteratura italiana I M. R. Di Deco
La magna curia Durante il regno di Federico II, Palermo divenne un grande centro culturale. La magna curia favorì lo studio delle discipline scientifico- filosofiche, promosse istituzioni culturali (Università di Napoli, Scuola Medica di Salerno) e studi di retorica. Lo stesso imperatore, colto e versatile, fu poeta in volgare, così come i figli Enzo e Manfredi.
La lirica provenzale e la scuola siciliana I poeti siciliani subirono un influsso determinante dalla lirica provenzale, ma la loro produzione si differenzia per molti aspetti dalla poesia in lingua d’ oc e può essere compresa solo nell’ambito della politica e del clima culturale della corte di Federico II. Le loro liriche rielaborano il motivo cortese provenzale, ma i versi, destinati alla lettura e non alla recitazione, non sono più accompagnati dalla musica. L’immagine femminile è convenzionale (creatura eccezionale, bella, virtuosa e inaccessibile, capelli biondi, sguardo luminoso e atteggiamento dolce); l’analisi dell’esperienza amorosa, astratta e poco realistica, ne descrive le conseguenze nell’interiorità dell’individuo.
Scelte poetiche a confronto Estrazione sociale Temi Rapporto poesia- contesto sociale Fruizione delle liriche Provenzali Poeti di professione, cavalieri o esponenti della nobiltà feudale Figura femminile, argomenti politici, guerreschi e talvolta religiosi L’omaggio nei confronti della donna riflette il rapporto signore- vassallo I versi, riservati all’ascolto, sono accompagnati dalla musica Siciliani Poeti dilettanti, funzionari alla corte di Federico II Esperienza amorosa La sottomissione alla donna è una formula convenzionale, estranea alla realtà I componimenti sono destinati alla lettura
La lingua Possiamo ricostruire la lingua poetica dei Siciliani soltanto per approssimazione. Infatti della lingua da loro effettivamente impiegata possediamo solo una scarsa documentazione (di cui fa parte, fortunatamente, anche una canzone di Stefano Protonotaro), giuntaci attraverso il lavoro di un filologo del Cinquecento, Giovanni Maria Barbieri, che poteva disporre di un codice originario siciliano oggi perduto. Con la crisi rapida e improvvisa della civiltà siciliana seguita alla sconfitta di Benevento, i canzonieri siciliani che raccoglievano la produzione poetica della Scuola non furono più né tramandati né ricopiati e quelli esistenti andarono perduti. Essi erano stati però ricopiati in Toscana da copisti che ne avevano alterato la lingua, volgendola dal siciliano al toscano.
Le strutture metriche e retoriche Le strutture metriche e retoriche della poesia siciliana hanno condizionato l’intera tradizione lirica italiana, che trova in esse il loro modello originario. Esse si rifanno a quelle della poesia trovadorica, però selezionandole rigorosamente in modo da escludere le forme legate alla lotta politica (come il sirventese) o più ispirate alla cronaca. D’altronde, il regime imperiale non concedeva quel clima di libertà e di contraddizioni politiche da cui poteva nascere la poesia politica in Provenza o nell’Italia del Nord e del centro. Le strutture metriche vengono ridotte a tre principali: la canzone (derivata dalla canso provenzale), che diventa la forma più elevata e illustre di poesia lirica; la canzonetta, avente una struttura narrativa e dialogica e dunque si presta ad argomenti meno nobili ed elevati; il sonetto, che è una vera e propria invenzione siciliana, essendo stato usato per la prima volta dal caposcuola dei Siciliani, Giacomo da Lentini.
L’omaggio feudale: il vassallo inginocchiato pone le mani in quelle del signore (qui, una dama). Sigillo di Raymond de Mondragon - 1200 circa
La scuola toscana L'eredità dei poeti federiciani fu raccolta nell'Italia centrale dai cosiddetti poeti siculo-toscani e in un ambiente culturale più avanzato. Essi diedero vita a una linea poetica di “transizione” tra i poeti siciliani e quello che Dante definì, nel Purgatorio (XXIV) dolce stil novo. I rappresentanti della scuola toscana furono Guittone d'Arezzo,Bonagiunta Orbicciani, Chiaro Davanzati. I codici che ci hanno trasmesso le rime dei siciliano, tra i quali il più famoso è il Vaticano 3793, ci hanno pure conservato le rime di poeti lucchesi, senesi, fiorentini, aretini, pisani, che sono stati i tramiti del passaggio di quella grande esperienza lirica in un territorio destinato a diventare in breve il vero crogiolo della nostra maggiore letteratura...
I temi e le forme I componimenti ispirati al tema dell'amore non si discostano dai motivi cari ai siciliani e ai provenzali, però la preoccupazione è quella di fare una lirica dotta, erudita, in uno stile complesso-difficile-ricercato. Inoltre i rimatori toscani affrontano anche temi politici e civili, legati alle lotte tra le città e tra le fazioni cittadine, alle virtù morali e ai comportamenti umani. Mentre la lirica dei Siciliani era legata all'ambiente ed alle professioni della corte, quella toscana riflette la realtà della città comunale ed i suoi poeti sono sempre, in qualche modo, parte della vita sociale e politica della loro città, cosicchè la loro arte si distinse, oltre che per la ricerca formale, per un forte senso civico.
La ballata I rimatori toscani inventarono la ballata. Dante nel De vulgari eloquentia definisce la ballata un componimento in stile comico, cioè basso e popolaresco, distinto da quello alto della canzone e da quello medio del sonetto. La lingua usata dai rimatori siculo- toscani è in genere il volgare toscano alto, di tono realistico, con alcune espressioni popolari prese da altri volgari, come il siciliano e l’umbro, e di provenzalismi in lingua d’ oc e gallicismi in lingua d’oil.
La canzone La canzone costituisce la forma metrica privilegiata della materia amorosa. E’ formata da un numero variabile di strofe (dette stanze) e ognuna composta da un numero variabile di versi ottonari, con un congedo finale. Le strofe, o coblas, possono avere rime uguali (coblas unissonans) oppure il primo verso di ogni strofa riprende l’ultima parola della precedente ( coblas capfinidas). Per Dante Alighieri la canzone rappresentava la forma di poesia più illustre e con francesco Petrarca raggiunse la forma esemplare.
Il sirventese Il sirventese è componimento poetico di origine provenzale, di argomento politico-guerresco o morale-satirico. Incerta è la spiegazione del termine che voleva esprimere forse il carattere feudale di poesie composte in onore del proprio signore o, più genericamente, indicare la “poesia da servi”, in relazione agli argomenti trattati, volgari rispetto alla nobiltà del tema amoroso, cui si addiceva la forma solenne della canzone; o, in senso più strettamente letterario, per significare la sudditanza del testo in rapporto alla musica.
Chiaro Davanzati Legato allo stile dei provenzali e dei siciliani nella seconda metà del Duecento, quando cominciava a imporsi lo stilnovo, Chiaro Davanzati ha goduto di una fama breve. Già la generazione successiva lo dimentica, non ne tiene conto, non lo nomina nemmeno. Eppure Chiaro, come dice Aldo Menichetti nella sua introduzione all’edizione critica, «è il rimatore più rappresentativo della poesia fiorentina prima di Dante», sia per la tecnica, sia per la quantità dei testi tramandati. La sua rappresentazione dell'amore non ha nulla dell'impegno spirituale, intellettuale ed esistenziale degli stilnovisti; nei suoi versi c'è piuttosto l'amore carnale, il buon senso borghese, la leggerezza dei toni. Il suo vecchio stile è diventato rapidamente fuori moda, ma ha avuto tutto il tempo per essere rivalutato. L'edizione critica di tutte le rime, realizzata da Aldo Menichetti negli anni Sessanta, ha ridato a Chiaro il posto di primo piano che gli spetta fra i poeti del Duecento.
Guittone d’Arezzo Fu per circa mezzo secolo il poeta più importante della penisola, grazie ad una vasta produzione amorosa e politico- morale ebbe molti imitatori. Creò una stile elaborato, talora al limite del virtuosismo (la sintassi è contorta e densa di inversioni), che lo avvicina al “poetare chiuso” inaugurato dal provenzale Arnaut Daniel. Guido Guinizzelli, precursore dello stilnovismo, riconobbe in lui un maestro, ma quando a Firenze nacque lo Stilnovo, Cavalcanti e Dante criticarono le scelte formali di Guittone, vicine alla lingua popolaresca.
Bonagiunta Orbicciani Si può dire che egli sia rimasto più noto nella letteratura italiana come personaggio del Purgatorio dantesco che per la sua opera poetica: la lettura tradizionale dell'episodio del canto XXIV è che Dante, per far meglio risaltare la novità del Dolce Stil Novo, abbia per contrapposizione citato un rappresentante di un genere poetico precedente. Merito indubbio del Contini, nella splendida edizione ricciardiana del 1960, è invece di aver rivalutato la figura di Bonagiunta, mostrandolo come un protagonista delle tenzoni, le gare poetiche che coinvolgevano tutti i dotti dell'epoca. Inteso in questo senso di scontro poetico, la scelta di Dante di sceglierlo come antagonista della poetica propria e di quella della sua scuola non ha un significato riduttivo, ma di riconoscimento del valore dialettico del poeta lucchese. Nel Purgatorio tra i golosi