Il relativismo culturale e il contesto culturale costituito dall’evoluzionismo antropologico
Le matrici dell’evoluzionismo antropologico Lo sviluppo parallelo dell’antropologia evoluzionista e della teoria darwiniana e il forte impatto che tale teoria ebbe sulle scienze sociali la teoria di Lamarck come analogia per spiegare l’evoluzione culturale tratti culturali di nuova invenzione possono essere trasmessi da un individuo all’altro I nuovi tratti culturali hanno la capacità di trasformare le relazioni sociali esistenti Le società divengono più complesse nel corso di questo processo L’evoluzionismo in archeologia Il dibattito sulla relazione tra le società «selvagge» o «primitive» contemporanee e l’Inghilterra vittoriana
L’evoluzionismo unilineare Secondo questa concezione esiste una linea di evoluzione dominante: tutte le società passano attraverso gli stessi stadi. le società progrediscono a velocità diverse e quelle che sono state più lente sono rimaste a un livello «inferiore» rispetto a quelle che progrediscono più rapidamente. Diversi evoluzionisti unilineari hanno posto l’accento su cose diverse: la cultura materiale, i mezzi di sussistenza, l’organizzazione della parentela, le credenze religiose. Generalmente gli evoluzionisti unilineari ritenevano che questi fenomeni fossero interconnessi e che quindi i cambiamenti, per esempio nei mezzi di sussistenza, creassero cambiamenti evolutivi nell’organizzazione della parentela, nelle credenze e nella pratica religiosa, e così via.
Franz Boas e la nascita del relativismo culturale Il relativismo culturale classico emerse dal lavoro di Franz Boas e dei suoi allievi, e per la prima metà del ventesimo secolo esso fu il paradigma dominante nell’antropologia americana. F. BOAS Nato in Westfalia nel 1858, studia fisica e geografia a Heidelberg e Bonn, consegue il dottorato di ricerca a Kiel nel 1881. Nel 1883 cominciò una ricerca sul campo tra gli inuit dell’Isola di Baffin con l’intenzione di comparare il loro ambiente fisico, misurato «oggettivamente», con la conoscenza che essi ne avevano. Giunse presto a comprendere l’importanza della cultura come forza determinante della percezione, e di conseguenza rifiutò l’implicito determinismo ambientale di partenza. Nel 1885 iniziò a studiare le culture della costa nord-occidentale dell’America settentrionale, dapprima attraverso le collezioni dei musei e in seguito, a partire dal 1886, effettuando ricerche sul campo. Insegnò alla Columbia University di New York dal 1896 al 1936, e il suo dipartimento divenne il centro della ricerca antropologica negli Stati Uniti.
Boas e le teorie evoluzioniste Boas si oppose all’evoluzionismo, principalmente su tre aspetti: Confutò con forza la comparabilità dei dati usati per sostenere l’evoluzionismo, sostenendo che il compito dell’antropologo dove consistere nell’acquisire un’esperienza di prima mano sulle altre culture e svolgere la loro ricerca sul campo utilizzando la lingua dei nativi per ottenere un punto di vista interno sulla cultura studiata Si oppose all’idea della superiorità razziale e culturale implicita negli scritti di matrice evoluzionista e rifiutò ogni fondamento della cultura su base biologica sottolineando l’indipendenza del linguaggio e della cultura dalla «razza» Sostenne che popoli diversi sono primitivi o avanzati a seconda di quello che si prende in considerazione: p.e. gli aborigeni australiani hanno una cultura materiale povera, ma una struttura sociale complessa.
Cultura e personalità Quello per la cultura è stato l’interesse astratto a cui l’antropologia americana è stata fedele da Boas agli anni “80 del secolo scorso, anche se non c’è sempre unanimità su che cosa sia la «cultura»: AL. Kroeber e Clyde Kluckhohn nel 1952, citano più di cento definizioni di cultura date da antropologi, filosofi, critici letterari e altri. Tuttavia, se da un lato, la definizione di Tylor è rimasta al centro delle considerazioni sulla cultura in senso astratto, la prospettiva che emerse come la più importante nell’ambito antropologico fu quella di Ruth Benedict così come emerge dal suo testo Modelli di cultura (1934) caratterizzata da: Olismo Nuova concezione della comparazione In Modelli di cultura Benedict compara tre popoli: gli zuni del New Mexico i kwakiutl dell’Isola di Vancouver i dobu della Melanesia giungendo alla conclusione che ciò che è un comportamento normale in una cultura non lo è in un’altra e che persino gli stati psicologici sono culturalmente determinati.
Il relativismo linguistico di Whorf Prima di Boas si pensava che le lingue fossero tutte molto simili. Conoscendo la grammatica greca o latina, si sarebbero potute descrivere tutte le lingue del mondo. I boasiani dimostrarono che sotto molti aspetti questo non è vero. Le lingue inuit e amerindie sono molto più complesse del greco o del latino: Whorf ipotizzò che le persone che parlano tali lingue hanno modi diversi di guardare il mondo rispetto a quelle che parlano lingue più semplici come l’inglese. L’«ipotesi Sapir-Whorf», come fu conosciuta, suggerisce che non ci sono due sole forme di pensiero, la «nostra» e la «loro», ma una molteplicità di forme, ciascuna associata alla lingua di chi pensa in tale forma.
La posizione di Whorf può essere considerata una forma estrema di relativismo cognitivo e per questo è stato criticato in diversi punti: alcune delle idee pubblicate da Whorf sulla relazione tra linguaggio e cultura sono troppo semplicistiche. E facile confutare la nozione che il linguaggio determini il pensiero: popoli con una cultura simile parlano a volte lingue molto diverse, così come, popoli che parlano lingue strettamente imparentate possono avere culture abbastanza diverse. le idee di Whorf pongono un’enfasi eccessiva sulla differenza linguistica. Dagli anni Sessanta i linguisti hanno avuto la tendenza ad enfatizzare gli aspetti universali del linguaggio. non abbiamo prove del fatto che il linguaggio determini la realtà. se i modelli di pensiero connessi a lingue diverse fossero così diversi non potremmo mai comparare i diversi modi di pensare e nella sua essenza essa nega la possibilità della comparazione antropologica.
Verso la scienza cognitiva Dopo la prematura morte di Whorf nel 1941, all’interno dell’antropologia ci fu un affievolimento dell’interesse per gli argomenti da lui studiati. Quando l’interesse per gli aspetti linguistici della cultura riemerse negli anni Cinquanta, l’enfasi teorica era mutata, dal livello descrittivo (di cui erano stati pionieri Boas e Sapir) a quello strutturale.
Il relativismo culturale Melford Spiro identifica tre tipi relativismo culturale: relativismo descrittivo, relativismo normativo e relativismo epistemologico relativismo descrittivo “Con entusiasmo variabile, gli antropologi sono stati «deterministi culturali» fin dal diciannovesimo secolo, sostenendo che la cultura stessa (e non semplicemente la biologia) regola il modo in cui gli uomini percepiscono il mondo. Un corollario di quest’affermazione è che la variabilità culturale produrrà una differente comprensione culturale e psicologica a seconda della popolazione; questa posizione è detta relativismo descrittivo. In antropologia praticamente tutte le scuole di pensiero accettano perlomeno una forma debole di relativismo descrittivo”.
Il relativismo normativo il relativismo normativo parte dalla constatazione che ogni cultura giudica le altre in conformità ai propri criteri interni, e giunge ad affermare che non esistono criteri universali di giudizio tra le culture. All’interno del relativismo normativo possiamo distinguere due forme logicamente distinte: il relativismo cognitivo il relativismo morale
Il relativismo cognitivo Il relativismo cognitivo riguarda le proposizioni descrittive, come «La luna è fatta di formaggio verde» o «La musica pop fa venire il mal di testa». Esso assume che, in termini di verità e falsità, tutte le asserzioni sul mondo sono culturalmente contingenti, e che di conseguenza asserzioni non culturalmente contingenti sono semplicemente impossibili. In altre parole, tutta la scienza è etnoscienza
Il relativismo morale Il relativismo morale ha a che fare con le proposizioni valutative, come «I gatti sono più belli dei cani» o «E sbagliato mangiare verdura». Esso assume che i giudizi etici ed estetici devono essere formulati nei termini di valori culturali specifici piuttosto che universali. Ne consegue che, in termini sociali e psicologici, sia il comportamento appropriato sia i processi di pensiero (per esempio, la razionalità) devono essere giudicati in conformità a valori culturali.
Il relativismo epistemologico Il relativismo epistemologico assume come suo punto d’avvio la più forte versione possibile del relativismo descrittivo. Esso combina una posizione estrema di determinismo culturale con la concezione che la diversità culturale sia praticamente illimitata. Qui è importante distinguere tra: determinismo culturale generico che assume l’esistenza di uno schema culturale universale tipico solo dell’uomo all’interno del quale le culture variano, per esempio l’«unità psichica» del genere umano; e determinismo culturale particolare secondo il quale non esiste una cosa del genere. I relativisti epistemologici abbracciano questo secondo punto di vista. Essi sostengono che la natura e la mente umana sono culturalmente variabili. Quindi sia le generalizzazioni sulla cultura sia le teorie generali della cultura sono ingannevoli.